Fondamenti di geometria a più dimensioni e a più specie di unità rettilinee esposti in forma elementare. Lezioni per la scuola di magistero in matematica

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Itofeemtg pitting ^ BOUGHT WITH THE INCOME FROM THE 7 SAGE ENDOWMENT VuND THE GIFT OF Henry */2 y 72

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i DI u ini i ir, 11 A PIO DIMENSIONI E A Pili SPECIE DI UNITÀ RETTILINEE ESPOSTI IN FORMA ELEMENTARE DI GIUSEPPE VERONESE PROFESSORE NELLA R. UNIVERSITÀ DI PADOVA Siffatti tentativi di rinnovamento radi- cale dei principii si incontrano non di rado nella storia dello scibile. Oggi poi sono un portato naturale dello spirito critico, cui a buon diritto si vanno sempre informando le indagini scientifiche (E. BELTRAMI: saggio di inter-prelazione della Geometria non Eu- clidea. Giorn. di Battaglini, 1869). * INTRODUZIONE PRINCIPII FOMENTALI DELLE FORME MATEMATICHE ASTRATTE PARTE I. LA UETTA, IL PIANO E LO SPAZIO A TRE DIMENSIONI NELLO SPAZIO GENERALE PARTE II. LO SPAZIO A QUATTRO E A N DIMENSIONI NELLO SPAZIO GENERALE APPENDICE i'A DO VA TIPOGRAFIA DKL SEMINARIO 1891

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PREFAZIONE Le vive dispute intorno alla geometria a più di tre dimensioni fra matematici e fra matematici e filosofi, originate a parer nostro in gran parte dal metodo puramente analitico col quale essa veniva trat- tata, e dallo scambio che si faceva e si fa tuttora delle varietà astratte o numeriche a n dimensioni cogli spazi geometrici propriamente detti; la credenza comune che sia sempre nascosto un concetto analitico nella con- siderazione di questi spazi e non si possano trattare sicuramente che con T analisi 1), la conseguente confusione sul concetto di spazio e quindi anche sull'essenza della geometria stessa, ci persuasero fin dal 1882 di ciò, che uri libro inteso a mostrare elementarmente coma la geo- metria degli spazi a più di tre dimensioni si possa svolgere in modo perfettamente analogo a quella del piano e dello spazio ordinario, sa- rebbe riuscito utile e importante, sia perché avrebbe difeso il con- cetto prettamente geometrico di tali spazi, come anche perché avreb- be reso più facile e comune lo studio di questa geometria 2). Se avessimo potuto ammettere come nota la geometria dello spa- zio ordinario, il lavoro sarebbe stato molto meno difficile e in più 1) II concetto di forme spaziali che non devono corrispondere all'intuizione ordinaria, può essere svolto sicuramente soltanto colla geometria analitica (v. Helmoltz : Die Thatsachen in der Wahrnehmung, pag. 24; Berlin, 1879). Parecchi confidano che si riescirà a liberare da concetti analitici, dall'uso delle coordinate, persine la definizione degli spazi ad n dimensioni (D'O vidi o - Uno sguardo all'origine ed allo sviluppo della matematica pura, pag. 58. Torino, 1889). 2) A questi studi abbiamo accennato in una nota della nostra memoria La superficie oma- loide normale del 4 ordine a due dimensioni dello spazio a cinque dimensioni, e le sue proiezioni nel piano e nello spazio ordinario (Atti della R. Acc. dei Lincei, 1884), oltre che ad un nostro corso di lezioni tenuto nella R. Università di Padova intorno a questo argomento; lezioni che si ripeterono poi in alcuni degli anni successivi sui punti principali di questo libro. Il manoscritto di quest'opera fu consegnato alla R. Acc. dei Lincei fino dal 1889, ma, quando potemmo, abbiamo tenuto conto, specialmente nell'appendice, che fu l'ultima parte ad esser stampata, dei lavori pub- blicati su questo argomento dopo il 1889.

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Vi breve tempo stampato. Ma non lo potevamo per due ragioni: prima, per* che dovevamo risalire alle origini dei concetti della geometria, svolgendo graduatamente quella della retta, del piano e dello spazio a tre dimen- sioni per passare poi nello stesso modo a quella degli spazi superiori, o iperspazì ; poi, perché accettando le premesse e le deduzioni della geometria elementare ordinaria così come fu svolta sino ad oggi avremmo dovuto porre a base delle nostre considerazioni la proprietà che il mondo fisico è a tre dimensioni nei limiti delle nostre osservazioni, proprietà che non è punto necessaria allo svolgimento scientifico della geo- metria. D'altronde per ricostruire col metodo sintetico i principi fonda- mentali di questa scienza, ci pareva indispensabile considerarli da un punto di vista più generale, così che la geometria dello spazio ordinario, come quella di ogni altro spazio ad n dimensioni, avesse i proprì fondamenti e le proprie leggi nei fondamenti e nelle leggi dello spazio generale; e ci pareva d'altra parte necessario, anche per sbarazzare la via da ogni pregiudizio, di non presuppore alcuna co- gnizione matematica, ma di ammettere soltanto nel lettore una qual- che attitudine e abitudine a pensare matematicamente. Senonchè a voler cominciare dai fondamenti, ci siamo trovati dinanzi alla questione molto intricata degli assiomi geometrici, e quindi anche a quella dei principi della matematica pura che è intimamente collegata colla prima, e intorno alle quali si sono affaticati non po- chi dei più illustri matematici, specialmente di questo secolo. In questa prefazione diamo un resoconto sommario del nostro metodo e svolgiamo considerazioni colle quali e coli*aiuto dell'appendice si pos- sono meglio giudicare le idee che dominane nella nostra opera. In questo resoconto facciamo alcune considerazioni sugli assiomi geometrici, e sulla geometria propriamente detta, che è utile di leggere per formarsi un'idea chiara delle serie difficoltà che presenta una tale questione e della necessità che siano rimosse. Ma il corpo del libro ne è indi- pendente, dimodoché chi non ha una sufficiente preparazione o chi incontra qualche difficoltà nel comprendere o giudicare certe discus- sioni delicate, le quali hanno bisogno dello svolgimento del testo per poter essere esattamente interpretate, può passare senz'altro alla let- tura del testo riservandosi di tornare poi su questo resoconto '). 1) E per questo che siamo rimasti incerti dapprima se non fosse stato utile sopprimere addi- rittura la prefazione, limitandoci a poche parole, come si fa oggi comunemente. Ma ci convincemmo per l'opposizione accanita che incontrarono certe idee, mai ben definite, che anche a costo di non riuscire brevi quanto avremmo voluto, era necessario accennare come questa opposizione rispetto a certe nostre definizioni o ipotosi non abbia alcun fondamento; imperocché non vi è campo della matematica noi qnnlo i pregiudizi siano radicati maggiormente come in quello dei principi di essa,

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VII Le cose pensate o hanno o non hanno necessariamente un'immagine in un campo esistente effettivamente fuori del pensiero; ad es. il punto della geometria appartiene alle cose della prima categoria, perché vi sono oggetti esterni che ci forniscono o risvegliano in noi direttamente l'idea del punto, e senza di cui non si ha il punto geometrico pro- priamente detto 1). Il numero, che è nella sua prima formazione il risultato della fun- zione del numerare oggetti, anche puramente astratti 2), appartiene invece alle seconda categoria, perché non vi è bisogno di alcun oggetto fuori del pensiero che debba rappresentarlo, vale a dire che ne sia T immagine, per avere la determinazione matematica di esso 3). Le cose della seconda categoria si chiamano forme, e le scienze che si occupano delle forme scienze formali. Tali sono la logica e la matematica pure. In queste scienze la verità scaturisce dall'armo- nia dei diversi atti del pensiero. Le scienze di oggetti esistenti effettivamente fuori del pensiero si chiamano sperimentali. La verità in queste scienze riposa invece suir armonia del pensiero coir oggetto fuori di esso, e quindi siamo costretti a ritenere in esse come impossibile tutto ciò che è in con- traddizione colle leggi del pensiero stesso e dell' oggetto, o per meglio dire della rappresentazione mentale di esso. Le scienze formali hanno il loro fondamento sui principi, sulle operazioni mentali, e su definizioni o ipotesi : la dimostrazione si basa in esse sulla combinazione dei diversi atti del pensiero senza entrare e specialmente della geometria; e ove sia più facile, sia per la oscurità in cui cadono inconsape- volmente anche autori illustri, sia per critiche poco attente e coscienziose di travisare i concetti altrui. Questa prefazione serve a far conoscere in riassunto gli scopi, il metodo e i risultati prin- cipali dell'opera, e facilitare la lettura del testo a coloro che hanno bisogno di esaminare soltanto lo svolgimento di esso relativamente ad una data idea, perché non tutte le idee fondamentali sono dipendenti in modo che 1* esclusione di una fra esse conduca a rigettare anche le altre. Certo è che tutte hanno la loro ragione d'essere nel loro insieme, e che quindi il libro va giudicato nel suo complesso e nell'unione dei diversi suoi scopi. Parrà a prima vista che si cominci troppo tardi la trattazione della geometria; ma ciò non è che apparente, perché in fondo della prefazione non si ha alcun bisogno per comprendere il testo, e nella introduzione sono svolte le parti semplici e le conseguenze dell'assioma II e dell'ipotesi I della parte I. Che se poi si concedono le proprietà dell' introduzione, lo studio della geome- tria si può cominciare addirittura dalla parte I, come quello degli spazi a quattro e a w dimen- sioni dalla parte II. 1) Intr. pag. 47 e parte I. pag. 209-210. 2) Intr. pag. 26-27. 3) Con ciò non intendiamo dire che le cose della seconda categoria non si pensino in seguito al- 1* osservazione di oggetti fuori del pensiero; l'importante o di vedere se la cosa pensata possa es- sere definita o data matematicamente senza F aiuto necessario dell'osservazione sensibile, vale a dire se possa essere indipendente da questa, come avviene precisamente del numero, ma non del punto. Come pure non intendiamo dire che il punto non sia un prodotto del nostro spirto, ma lo è necessariamente combinato colla sensibilità esterna.

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vnr in altri campi. Siccome nelle scienze sperimentali vi deve essere armonia tra l'oggetto ed il pensiero, così esse si fondano su quelle verità che si intuiscono colla percezione di quel!' oggetto, ma che non possono essere dedotte le une dalle altre Queste verità si chiamano as- siomi, e le verità dedotte dagli assiomi teoremi. Vi sono poi nella scienza geometrica assiomi che si intuiscono per l'osservazione degli oggetti esterni e si estendono a quelli che siamo indotti a ritenere realmente esistenti fuori di questo campo; ve ne sono invece altri che riguar- dano soltanto gli oggetti che immaginiamo esistano fuori di questo campo, i quali pur essendo uguali ai primi, hanno solamente nn'esi- stenza astratta ; dimodoché la geometria come noi la consideriamo, si può chiamare una scienza mista. Questi ultimi assiomi vengono ac- cettati come verità fondamentali quantunque non siano comprovati dalla nostra esperienza, senza però che contraddicano alle leggi del campo di essa, e perciò essi non hanno 1' evidenza dei primi, e sono propriamente postulati o ipotesi. È chiaro poi che fra gli assiomi di una special scienza sperimen- tale non bisogna annoverare quei principi che appartengono alla lo- gica pura, e sono necessità dell' intendimento umano e patrimonio di tutte le scienze. Le scienze formali sono per noi esatte, quelle sperimentali tanto più lo sono quanto più semplici e intuitivi sono gli assiomi propria- mente detti, sui quali esse si appoggiano, e quanto più presto esse pos- sono sostituire i loro oggetti mediante forme astratte e svolgersi col metodo deduttivo. La scienza sperimentale più esatta è la geometria, perché gli oggetti fuori del pensiero, che servono alla determinazione degli assiomi, vengono sostituiti nella nostra mente da forme astratte, e quindi le verità degli oggetti si dimostrano colla combinazione delle forme già ottenute indipendentemente da ciò che succede di fuori. È per questo che non senza qualche ragione la geometria (come per motivi analoghi la meccanica razionale) va considerata fra le mate- matiche pure; sebbene essa sia nella sua radice una scienza sperimen- tale '). Si entra tosto nel campo pratico quando si cerca una costruzione empirica di queste verità, operando cogli oggetti primitivi in modo analogo a quello usato con le forme astratte, a cui hanno dato ori- gine. Queste operazioni nel di fuori si potranno eseguire soltanto 1) Ormai sull'origine empirica della geometria si può dire che i geometri sono tutti concordi nell'ammetterla. Gauss nella sua lettera a Bessel (Gòttingen 27 f. 1829 - Briefwechsel zwi- schen Gauss und Bessel) esprime appunto la convinzione che la geometria non si possa fon- dare a priori, e così pure in un'altra lettera a Bessel (9 ap. 1830) ripete lo stesso concetto. Così Grassmann - Ausdehnungslehre. Bini. Leipzig, 1844) si esprime nel medesimo senso; ma per essi la geometria è sempre a tre dimensioni (vedi app.).

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tt con oggetti di un campo ristretto, cioè del campo delle attuali nostre osservazioni esterne; ma l'impossibilità pratica di fare altrettanto con altri oggetti o di questo medesimo campo o fuori di esso non infirma per nulla le verità già acquisite in un campo astrattamente più ampio. Noi distinguiamo anzi nettamente la geometria dalle sue prati- che applicazioni, e troviamo appunto assiomi che non sono necessari per lo svolgimento scientifico della geometria, mentre lo sono per le sue pratiche applicazioni. La geometria teoretica pertanto si distingue dalle altre scienze sperimentali esterne in questo: che essa ha bisogno dell'osservazione esterna per fissare i suoi assiomi propriamente detti, ma se ne rende tosto indipendente considerando non già i corpi stessi bensì il luogo che essi occupano nello spazio intuitivo vuoto, diventando subito dopo una scienza puramente deduttiva ') E la meccanica teoretica stessa non può libe- rarsi a stretto rigore dai corpi, perché ad es. il principio del movi- mento riguarda i corpi stessi e non il luogo da essi occupato. In ogni modo la geometria teorica non ha bisogno nei suoi fondamenti dell'aiuto necessario di nessun'altra scienza sperimentale, ad es. della meccanica e della fisica (come meglio diremo in seguito), mentre in- vece queste scienze hanno bisogno della geometria. Quand'è che un'ipotesi matematica è possibile? Nel campo mate- matico è possibile la definizione, il postulato o l'ipotesi ben deter- minata, i cui termini non si contraddicono fra loro e non con- traddicono ai principi, alle operazioni logiche e alle ipotesi già stabilite, e alle verità che da esse derivano. Ben determinata vuoi dire che corrisponde ad un solo concetto, senza cioè che vi sia dubbio sul suo signficato. Una nuova for- ma, o una proprietà di una data forma stabilita per mezzo di un'i- potesi, non deve essere unicamente dipendente dalle verità già pre- messe, perché in questo caso o è conseguenza immediata di quelle verità, o non è tale, ed allora deve essere dedotta dalle premesse. Un'ipotesi è matematicamente falsa soltanto quando stabilisce una proprietà che è o può essere dimostrata in contraddizione con le ve- rità precedenti, o con quelle che da queste si possono dedurre La possibilità di un1 ipotesi non dipende dalla sua fecondità, che ci da il valore matematico dell'ipotesi stessa. Un'ipotesi può essere possibile, ma essere anche tale da non condurre ad alcun risultato o ria restringere il campo delle nostre ricerche. Questa è un'altra questione, certo molto importante, perché l'ipotesi deve lasciare li- 1) Parie I, pag. 209-210.

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bero campo alla deduzione e al bisogno che ha il nostro spirito di non porsi alcun limite ingiustificato nella ricerca del vero matema- tico; e perché ogni ipotesi deve servire a scoprire nuove verità o a meglio collegare verità già conosciute. Ma il poco valore di un'ipo- tesi non è un argomento efficace contro la possibilità di essa. Ogni nuova forma stabilita o data per mezzo di un'ipotesi possi- bile deve essere sottoposta agli stessi principi e alle stesse operazioni mentali, necessario alla ricerca del vero. Questa è evidentemente una necessità logica. Ma le leggi delle operazioni matematiche, a cui è assoggettata, dipendono dalla definizione o costruzione di essa, se que- sta è ben determinata; e non è a 'priori escluso il caso che queste leggi siano diverse da quelle che valgono per le forme prima consi- derate 1). Non è dunque permesso a priori di assoggettare in tal caso alle stesse leggi le operazioni coi nuovi enti, Un'ipotesi A. è indipendente da un'altra ipotesi B quando A o la sua contraria (non-4) non si deduce da B. Un' ipotesi indipendente dalle precedenti, e in sé non contraddito- ria, non conduce necessariamente a contraddizioni. Invero, occupandosi la matematica delle fornir, essa dovrà considerare almeno una prima forma e distinguerla dalle altre mediante alcune sue proprietà. Se una di queste proprietà A è indipendente dalle altre B,C,D ecc. ed è ben determinala, ciò significa che A o la sua contraria non è con- seguenza di B,CfD ecc. Se A conducesse necessariamente ad una con- traddizione significherebbe che da Z?,C\D ecc. si dedurrebbe la pro- prietà contraria non A. Certo che l'indipendenza o l'arbitrarietà di un'ipotesi è sempre subordinata, come si disse, a quelle già stabilite. Si può dunque dire che stabiliti i caratteri delle forme matematiche la possibilità mate- matica è regolata dal principio di contraddizione,, cioè A è A e non è non A . E la possibilità diventa per la matematica realtà, sebbene astratta, perché le forme del pensiero matematico sono vere quanto le forme della sensibilità che hanno una realtà concreta. Nes- suno infatti può dubitare dell'esistenza dei nostro intelletto e delle sue funzioni logiche senza contraddirsi. Se si prova l'indipendenza dell'ipotesi dalle premesse, allora è di- mostrata anche la sua possibilità, e se si prova prima la possibilità, il che nella matematica è strettamente necessario, può non esserne provata l'indipendenza. Se un' ipotesi anche dopo una lunga serie di ricerche non ha condot- 1) Cosi ad es. la somma dei numeri transfiniti di G. Cantor (intr. pag. 102) non soddisfa alla legge commutativa, come quella dei numeri finiti.

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io ad alcuna contraddizione, si ha T induzione della possibilità ma non la certezza che essa non possa condurre con ulteriori sviluppi a qualche contraddizione, non essendo escluso che da una falsità si possa dedurre una o più verità. E in matematica non basta la sola induzione della verità, per quanto fondata; sebbene il sentimento sia pur necessario anche nelle matematiche discipline, siccome da esso spe- cialmente dipende il progresso della scienza, perché da una pura combinazione di segni o di oggetti senza un* idea direttiva nulla si può ricavare. La dimostrazione della possibilità delle ipotesi non si può dunque trascurare, come pur vien fatto specialmente ove si fa uso del conven- zionalismo nello studio dei fondamenti, o la si dimostra indirettamente ricorrendo ad esempi tratti da teorie che si vogliono studiare più tardi; metodo codesto che non lascia sempre soddisfatti. Se manca una dimo- strazione che giustifichi l'ipotesi, basta poterla giustificare coir espe- rienza diretta, come avviene ad es. per gli assioni geometrici; appunto per l'armonia che come abbiamo detto esiste fra la percezione degli og- getti e le leggi logiche del pensiero stesso. Ma veramente non si deve essere contenti finché non si è data una dimostrazione per via pura- mente logica, e per riuscirvi occorre sopra tutto partire da assiomi semplici, oppure da assiomi dei quali si esaminino le parti semplici; e quando non la si può dare, è bene fare dei tentativi, che ad altri possono servire in ulteriori ricerche. Rimane invero ancora da trattare la questione generale se e quando un gruppo di assiomi, postulati o convenzioni, si può ritenere astrat- tamente possibile. Riteniamo che bisogna ricorrere appunto alle ope- razioni e agli assiomi logici, come noi abbiamo fatto per le nostre operazioni e ipotesi dell' introduzione. Però è anche vero che se da un' ipotesi falsa si possono ricavare delle verità, gli esempi dati su questo proposito sono così semplici e la falsità del resto così evidente da non poter dubitare che qualora un'ipotesi matematica sia tutta o in parte falsa essa non conduca ben presto a qualche contraddizione ; eccetto che non si abbia tanta cecità da voler evitare l'effetto delle contraddi- zioni cori al ere ipotesi false, come pure è accaduto in passato. Né bi- sogna confondere una tale questione con quelle ipotesi che essendo pure in tutto o in parte false, nel corso della deduzione vengono so- stituite dalla mente del ricercatore con ipotesi esatte o tali da evitare le falsità delle prime. Quando è invece che un'ipotesi è geometricamente possibile* Abbiamo detto che le* ipotesi di una scienza sperimentale non solo non devono contraddire ai principi e alle operazioni logiche, ma eziandio allo proprietà dell'oggetto speciale della scienza stessa. Per

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xii i caratteri che distinguono la geometria, un'ipotesi astratta è geo- metricamente possibile quando essa non contraddice agli assiomi ne- cessari allo svolgimento teorico della geometria, che prendiamo dal- l'esperienza, ossia alle proprietà deir intuizione spaziale nel campo limitato di essa, corrispondente a quello delle nostre osservazioni esterne. Le ipotesi astratte possibili che allargano il campo della geometria possono servire alla ricerca del vero nel campo concreto più ristretto, senza che per questo le suddette ipotesi suppongano necessariamente la realtà concreta delle forme da esse definite. In questo la geome- tria, per quanto abbiamo detto, si distingue dalle scienze oggetto co- stante delle quali sono i fatti del mondo esteriore, e in cui, come ad es. nella fìsica, le ipotesi devono aver di mira soltanto la spiega- zione e il concatenamento dei fenomeni naturali, senza per questo che esse debbano sempre corrispondere a fatti reali; le quali ipo- tesi poi possono anche essere modificate o sostituite con altre. 11 nostro spazio generale è geometricamente possibile, e quindi esso ha una realtà astratta, senza intendere con ciò che il mondo esteriore in se sia una rappresentazione completa di questo spazio. Così, coll'i- potesi delle diverse unità rettilinee, che è conseguenza di quelle da noi fatte sull'infinito e sull'infinitesimo attuale, o in altre parole delF indipendenza della geometria dall'assioma V d'Archimede, non abbiamo bisogno di credere alla realtà concreta dell'infinito e dell1'infinitesimo attuale. Anche se fosse dimostrato ad es. che real- mente non esiste in concreto il nostro spazio generale, non per questo geometricamente saremmo obbligati a rinunciare a questa ipo- tesi *). Se non possiamo intuire ad es. le figure a quattro dimensioni come intuiamo quelle a tre, ciò non significa che l'ipotesi delle quat- tro dimensioni ne in senso astratto, né in concreto contraddica alle ipotesi e quindi alle proprietà geometriche dello spazio intuitivo a tre dimensioni 2). Sono da escludere invece quelle ipotesi del campo corrispon- dente a quello delle nostre osservazioni esterne le quali coritrad- 1) Quali geometri noi non abbiamo dunque nulla di comune cogli spiritisti e coli'abilità dei medium. Quando persone anche illustri assicurano che certi fenomeni spiritistici avvengono, dubitiamo della loro verità di fatto per il modo misterioso con cui sono condotte le osservazioni, coni'è ad es. dei nodi e del tavolo descritti dal prof. Zòllner (Wiss. Abh. Leipzig 1872), e che il prof. Zòllner stesso ebbe la cortesia di farci vedere a Lipsia. Però se tìsicamente l'ipotesi della quarta dimensione o dello spazio generale potesse servire a gettare nuova luce sui fenomeni naturali e sulle loro cause sconosciute allora l'ipotesi sarebbe scientificamente giustificata, e il fisico troverebbe nel nostro librcf le proprietà geometriche fonda- mentali di cui avrebbe bisogno. Ma anche qui è bene rilevarlo, il valore dell'ipotesi geometrica è indipendente da quello che può avere l'ipotesi fisica. 2) Vedi più sotto e l'appendice.

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XIII dicono air intuizione spaziale, come ad es. quella che il cerchio non sia una linea chiusa o che il cerchio abbia assintoti reali 1). Se si fosse bene stabilito quando un'ipotesi è matematicamente o geometricamente possibile, si sarebbero evitate tante dispute inutili sulla possibilità di quasi tutte le nuove ipotesi che di mano in mano hanno arricchito il patrimonio della scienza. La matematica pura non respinge che ciò che è falso, e quindi per combattere un* ipotesi matematica bisogna dimostrare che è falsa, ma la dimostrazione deve essere logico-matematica non filosofica nello stretto senso della pa- rola; e per dimostrare che è falsa occorre dimostrare che essa conduce necessariamente ad una contraddizione, quando però è un'ipotesi sem- plice; che se fosse composta alcune parti di essa potrebbero essere anche vere e feconde. Se il problema matematico sui fondamenti della ma- tematica e della geometria si spinge fino alla soglia del problema filo- sofico intorno all'origine delle idee .matematiche e geometriche, però non la oltrepassa. Questo è certo un gran bene per la nostra scienza, perché altrimenti essa sarebbe in balìa nei suoi principi delle molteplici opinioni filosofiche che si disputano la verità 2). Però, per timore di cadere nell'indeterminato non è neppure conveniente il ridurre la ma- tematica e la geometria nei loro fondamenti a un puro convenzionalismo di segni, ma bensì esse vogliono essere trattate con metodo filosofico, vale a dire rendendo più chiara che è possibile la natura delle cose di cui si occupano, senza negare per questo l'importanza di altri me- todi sotto punti di vista diversi, ma più ristretti. Che di una data ipotesi o convenzione si possa far senza, ad es. di quella dei numeri immaginari, è possibile, ma oltre che ciò avrebbe per conseguenza una restrizione del campo matematico senza alcuna giustificazione, questo fatto non dimostrebbe nulla contro l'ipotesi e le sue conseguenze nel campo stesso indipendente da questa ipotesi. 1) Vedi l'appendice. 2) Chi vuoi avere un'idea del problema fìlosofico intorno ai concetti fondamentali della matema- tica e della geometria può leggere ad es. l'opuscolo di F. Ma sci: Sulla natura logica delle cono- scenze matematiche (Roma 1885), sebbene egli sia kantiano in quanto ei sostiene la verità assoluta di tutti i postulati euclidei, e neghi la possibilità di una geometria a più di tre dimensioni. Non sembra però che Kant sia stato sempre contrario a questa geometria, che anzi egli credeva all'esistenza di vari spazi, se si deve giudicare da quanto egli dice nei suoi Gedanken der wahren Schàtzung der lebedingen Kraft. Kant's Werke, voi V pag. 25. Veggasi B. Erdmann. Die Axio- me der Geometrie ; Leipzig, 1871), cosi pure B. Baumann : Die Lehren von Raum, Zeit und Mathe- matik in der neuren Phil. nach ihrem ganzem Einfluss dargestellt und beurtheilt; Berlin, 1868-1869. Nel primo volume e in molta parte del secondo è data un esposizione estesa e critica dal punto di vista fìlosofico dell'autore, delle idee dei principali filosofi da Suarez fino ad Hume intorno ai concetti fondamentali delle matematiche. Del resto si può dire che non vi sia valente filosofo che non siasi occupato con molto interesse delle idee matematiche, e non abbia spesso ricorso ai risultati matematici a sostegno delle proprie considerazioni.

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XIV Può darsi che ipotesi feconde possano condurre a contraddizioni, come avvenne nel calcolo differenziale e integrale, ma allora fa d* uopo os- servare se ciò dipenda dal principio dell'ipotesi, nel qual caso biso gna respingerlo, o se dipenda invece dal fatto che esso non sia stato ben definito, e quindi non sia stato ben circoscritto il campo della sua validità. È per questo che ad evitare tali gravi inconvenienti bisogna considerare separatamente le parti semplici di cui è costituita l'ipotesi, e occorre inoltre che esse siano giustificate (come meglio diremo poi) dai principi e dalle operazioni logiche o almeno da fatti sperimentali. Se ci si vuoi chiamare razionalisti o idealisti per le idee qui esposte, accettiamo il titolo per distinguerci da coloro che ingiusti- ficatamente vorrebbero negare allo spirito matematico e geometrico la massima libertà logica possibile, domandandosi per es. ad ogni nuovo risultato o ad ogni nuova ipotesi se abbia o no una rappresenta- zione sensibile, per es. nella geometria una pura rappresentazione sensibile esterna. Ma lo accettiamo nel senso che non si attribuisca ad esso alcun significato filosofico propriamente detto *). Quaìi matematici noi ci appoggiamo ai fatti mentali o della sen- sibilità che non possono essere contestati da alcuno, e la nostra guida è il principio di contraddizione. Ma dobbiamo essere naturalmente av- versi a quei sistemi filosofici, i quali conducano appunto a contrad- dizioni o a restrizioni non necessarie nel campo matematico o geome- trico 2). Il matematico può essere un filosofo nel senso che da una 1) Nel libro di Du Bois Reymond Allgemeine Funktionentheorie; Tùbingen, 1882,sono discussi i sistemi matematici dell'idealista e dell'empirista puro (Wundt Logik Voi. II ; Stuttgart, 1885 osserva che in senso nlosofìeo è meglio dire realista e nominalista). Ma tutti e due sostengono i loro sistemi con argomentazioni nlosofìche, che non possiamo accettare (1. e. ad es. pag. 86, 110- 111 e 114-116). Il sistema dell'idealista come avremo occasione di vedere non è scevro da errori e da indeterminatezze. 2) Posta così la possibilità geometrica non possiamo essere indifferenti, come sostiene l'insigne F. Klein (Vergleichenden Betrachtnngen ùber neuere geom. Forschungen; Erlangen, 1872. opp. trad. italiana di G. Fano negli Annali di Matematica, 1890) dinanzi al problema, se ad es. il po- stulato delle parallele Euclideo sia o no vero in senso assoluto rispetto alla nostra intuizione, co- me sostengono i Kantiani. Se esso fosse realmente vero, ipiani di Lobatscheswsky e di Rie- man non avrebbero più ragione di essere; e rimarrebbe soltanto vera la geometria della pseudo- sfera o della sfera o della stella nello spazio Euclideo o di altre loro rappresentazioni geometri- che in questo spazio. Quali geometri dobbiamo essere contrari all'opinione di Kant, perché l'os- servazione, o l'intuizione attuale, non ci aiuta che approssimativamente a decidere la questione nella parte di spazio che corrisponde al campo delle osservazioni esterne. Se noi crediamo di intuire tutto lo spazio ciò si spiega perché noi ci trasportiamo coli'immaginazione in ogni punto di esso, e vi applichiamo l'intuizione che si esercita in un campo ristretto. Matematicamente la questione suddetta non ci riguarda, ma geometricamente sì. Del resto, poiché rimane indeciso quale sia il postulato vero delle parallele, aspettiamo che si svolga la geometria secondo i concetti di Kant e si dimostri intuitivamente a priori la necessità dell'assioma suddetto, v. Helmotz (1 c.)s,ostier

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XV nuova esposizione dei suoi principi la filosofia può trarre grande giova- mento, ma il suo aiuto a questa scienza è sempre indiretto; mentre d'al- tra parte il filosofo, come tale, non può combattere le ipotesi matemati- che o geometriche, ma da esse deve cercare di trarre il maggior pro- fitto, quando sono ben determinate. Con questo idealismo noi abbiamo almeno il vantaggio sull' empiri- sta che facciamo uso di tutte le ipotesi possibili nella ricerca della veri- tà, e che quindi possiamo giungere più presto e meglio di lui a nuove verità nel campo stesso in cui egli vuoi rinchiudersi. Noi pretendiamo inoltre maggior rigore, perché per noi nulla è trascurabile in senso assoluto, neppure l'infinitesimo aggiunto che sia al finito; e se qualche cosa è trascurabile in confronto di altre, lo deve essere per una ragione matematica, non per pratica approsimazione. L'empirista non può accusarci di non tener conto dello scopo pratico della scienza, e che le nostre ipotesi geometriche non abbiano radice nell'esperienza, 0 non siano giustificate dai fatti mentali *). Noi riconosciamo ben volentieri l'aiuto che presta l'osservazione empirica alla matematica in generale, e come essa sia necessaria per sta- bilire gli assioni geometrici; ma non possiamo disconoscere altresì che il materiale greggio che ci forniscono le sensazioni viene* elaborato dal nostro intelletto, e che l'elemento soggettivo nelle matematiche pure, nella geometria e nella meccanica razionale ha il soppravvento sull'elemento obiettivo; e che d'altronde tutti possediamo le prime forme ideali geometriche prima ancora di cominciare a studiare geo- metria, senza bisogno di supporre che esse siano gli oggetti stessi reali con tutte le loro inesatezze. Non sono pochi i filosofi empiristi, 1 quali ritengono che le forme geometriche siano forme ideali, o almeno che non siano le sensazioni stesse che gli oggetti producono in noi 2), Esse sono un prodotto dell'intuizione combinata coli'astrazione. Allo Stuart Mili il Cayley osserva acutamente che se non avessimo ne contro i Kantiani che lo spazio può essere una forma dell'intuizione a priori, ma che non lo sono gli assiomi. Wundt (Logik, Voi. I) osserva che una tale opinione gli sembra contraddi- toria. Quali geometri dobbiamo ammettere la facoltà che noi abbiamo di intuire lo spazio, e che nessuno può negare, ma la facoltà non è 1* intuizione medesima, e per lo svolgimento della stessa geometria dobbiamo ritenere che F intuizione spaziale sia appunto il risultato di questa facoltà combinata coll'esperienza (vedi pag. 258 e seg.)- 1) Vedi a questo proposito l'appendice ove esaminiamo l'opera del sig. Pascli Ueber neuere Geometrie; Leipzig, 3882 . 2) Vedi ad es. Masci, Erdmann, Baumann, Wundt 1. e. Locke ad es. che è un deciso empirista sostiene che l'idea di spazio puro è distinta dall'idea di rigidezza o solidità dei cor- pi, e questa dall'idea di spazio, e che le parti dello spazio sono immobili (Bau in ami, 1. e. pa- gina 377).

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XVI il concetto della linea retta non potremmo dire che la retta non esi- ste in natura 1). Ciò che vale per un* ipotesi matematicamente possibile deve valere anche per la dimostrazione sia nella matematica pura come nella geo- metria ; bisogna cioè che in ogni parte semplice di cui è composta, essa sia pienamente determinata dalle proprietà premesse, o da proprietà che siano di quelle immediata ed evidente conseguenza o forme di- verse delle proprietà suddette, e non vi sia nessuna contraddizione nella catena di quelle che la costituiscono. Le condizioni alle quali devono essere assoggettati gli assiomi geometrici e le ipotesi per trattare il problema scientifico che ci siamo proposto in tutta la sua generalità e semplicità, sia per quanto abbiamo detto come per ciò che diremo più sotto, sono le seguenti : I. che siano separate dagli assiomi geometrici le verità che derivano dagli assiomi logici per mezzo di operazioni logiche; IL che gli assiomi propriamente detti esprimano le verità più semplici e intuitive, senza contenere altri concetti i quali deb- bano essere dati o dedotti più tardi; che dagli assiomi si dedu- cano tutte le altre proprietà senza introdurne tacitamente di nuove ; e finalmente che gli assiomi siano dati fin da principio in modo da lasciar campo ai diversi possibili sistemi geometrici; III. che siano separati gli assiomi necessari per lo studio della geometria da quelli necessari soltanto per le pratiche applicazioni di essa; IV. che gli assiomi siano indipendenti, badando perciò an- che al loro ordine, e a maggior ragione che non si contraddicano fra loro; V. che il metodo di trattazione sia elementare e basato sul processo costruttivo dell' intuizione spaziale; VI. che gli assiomi, i teoremi e le dimostrazioni fin da prin- cipio non contengano alcun elemento intuitivo indeterminato, in modo cioè che facendo astrazione dall'intuizione, dal sistema geo- metrico rimanga un sistema di verità puramente astratte, nel quale gli assiomi occupino il posto di definizioni o ipotesi astratte ben determinate. In primo luogo non bisogna confondere i dati dell'esperienza o dell'intuizione colle necessità o definizioni logiche (o queste con quelle). Per es. la definizione che si dadi figure uguali quando cioè l'una si può trasportare senza deformazione sull'altra, è ritenuta ordinaria- 1) Discorso tenuto all'associazione britannica delle scienze; Londra 1883. trad. francese nel Bulletin des sciences mathéniatiques Genn. ; e Febb. 1884.

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XVTI mente una definizione geometrica, mentre essa, come quella di due cose qualunque, deriva dall'assioma logico d'identità 1). Così dicasi della proprietà che due grandezze uguali ad una terza sono uguali fra loro. È per questo che è data la condizione VI; con essa è fa- cile vedere quali sono i principi e le definizioni logiche e le pro- prietà che da esse necessariamente derivano, ed avere il rigore de- siderato; senza trascurare per ciò la parte essenziale che deve avere l'intuizione spaziale nella geometria. Basta aprire un trattato qualunque di geometria elementare per convincersi che questa con- dizione non è punto osservata. Ad es. Euclide parla nelle sue prime definizioni di lunghezza, larghezza, di grandezza senza aver mai detto che cosa siano. Così la retta è per Euclide quella linea che giace ugualmente sui suoi punti, l'angolo di due rette che si incontrano è la loro inclinazione, quando non sono per diritto fra loro, ecc. Parla nelle nozioni comuni dell'addizione e sottrazione delle grandezze senza dire che cosa si debba intendere cori queste operazioni. Così si parla comunemente anche nei migliori trattati moderni, di spazio, di super- ficie e di linee senza aver dato di essi alcuna definizione o costru- zione matematica ben determinata, dimodoché facendo astrazione dal- T intuizione da tutto ciò non resta alcun oggetto determinato. Si fa pure uso dell'assioma del movimento dei corpi senza che sia detto che cosa gli corrisponda in senso astratto, e che cosa corrisponda astrattamente al movimento senza deformazione, ecc. Si dice che alcune nozioni, ad es. quella di spazio, non si potranno mai definire. Anche qui fa d'uopo distinguere. Lo spazio come intui- zione non si definisce, ma lo spazio come concetto si può definire geometricamente per es. come facciamo noi2). E se l'intuizione è neces- saria per l'essenza della geometria, non deve essere però elemento necessario, per quanto utile, nello svolgimento logico della geometria3). La differenza che abbiamo rilevata fra assiomi propriamente detti, po- stulati o ipotesi sparisce e deve sparire quando si faccia astrazione dal- l'intuizione. Gli assiomi devono esprimere proprietà intuitive, appunto perché la condizione prima della geometria è l'intuizione spaziale, vale a dire essi devono dare l'immagine netta delle cose che definiscono 4). A questo 1) Vedi più avanti. g) Vedi parte I libro III. 3) I filosofi i quali negano che lo spazio sia un concetto e non un'intuizione hanno ragione in questo: che da considerazioni puramente astratte e tanto meno numeriche, si può mai ricavare l'intuizione spaziale. 4) Monge (Séances des Écoles normales, t, I; Paris, 1795, e 2 ed. 1800) osserva ad es. che la definizione della retta come quella linea i cui punti rimangono fìssi quando nn corpo ruota intorno a due dei suoi punti, oltre che nou è semplice ha appunto il difetto di non dare una im- magine intuitiva chiara della retta.

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XVIII scopo anzi abbiamo fatto precedere ogni assioma da considerazioni empiriche, senza però, per la considerazione VI, che esse entrino quali elementi necessari nei loro enunciati e nelle loro conseguenze. Gli assiomi vogliono essere semplici, perche meglio si possa scorgere la loro necessità e indipendenza. Un assioma può essere anche composto di più parti per indicare tosto con esso le proprietà che distinguono un dato oggetto dagli altri, come il nostro ass li della linea retta; ma l'assioma deve essere esaminato nelle sue singole parti semplici. È chiaro che non si devono introdurre tacitamente proprietà sia pure evidenti, che o non dipendano dagli assiomi o la cui dimostra- zione richieda troppa preparazione per poterle considerare quale im- mediata conseguenza delle cose premesse. Così5 ad evitare petizioni di nrincipio bisogna far sì che gli assiomi e i teoremi non derivino da verità o concetti dei quali si dia più tardi la dimostrazione o la spie- gazione. Ad es. nella prima proposizione del libro I degli Elementi Euclide per la costruzione del triangolo equilatero, dato che sia il lato, fa uso di due cerchi che si incontrano in due punti nel piano, mentre non ha dimostrato questa proprietà, né l'ha data come as- sioma. Così non si può ritenere dimostrata la prop. V del libro XI senza l'assioma che lo spazio intuitivo è a tre dimensioni, ecc. L'indipendenza poi degli assiomi è necessaria per la semplicità della scienza. Ed invero se si potesse dare come assioma anche una sola proprietà sia pure intuitiva ma dipendente dalle premesse, al- lora sarebbe lecito di considerare i teoremi evidenti come assiomi. Se due assiomi o parti di un assioma stabiliscono due proprietà di una data figura che siano invece deducibili Tuna dall'altra, si ha ragione di ritenere che astrattamente esistano figure per le quali valga una sola delle proprietà suddette. Un tale difetto è nascosto ad es, nell'assioma con cui viene comunemente definito il piano, voglio dire 1' assioma : una retta che ha due punti comuni col piano giace in esso. Per mezzo di questa proprietà il piano può essere costruito tutto o in parte congiungendo tutti i punti di una retta con un punto fuori di essa; la superfìcie piana è così piena- mente determinata, e le sue proprietà devono scaturire tutte dalla sua costruzione, quando gli elementi di questa costruzione siano ben definiti. L'assioma del piano ci dice invece che ogni altra retta, ali'infuori di quelle già considerate, avente con esso due punti comuni vi giace per intero, Ma questa è una proprietà che per le consi- derazioni precedenti deve essere dedotta dalla costruzione stessa. Se ciò non è possibile, significa che gli assiomi sulla retta, o sulla coppia di rette che si incontrano, non la determinano sufficientemente in senso astratto.

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XIX Alla dimostrazione di questa proprietà nel sistema Euclideo siamo stati condotti dalla necessità di doverla dare per gli spazi a più di tre dimensioni, dei quali abbiamo soltanto la costruzione senza poter ricorrere per essi all'osservazione esterna l). L'indipendenza degli assiomi è certo utile, ma non bisogna disco- noscere .che è di una grande difficoltà il provarla. Noi stessi abbiamo dati degli assiomi che esprimono proprietà semplici (come gli assiomi IV e V), ma per tutte le figure che si trovano in date condizioni; mentre può farsi la domanda se occorra dare tali proprietà per tutte queste figure o per una parte soltanto. In questo senso facciamo vedere come basti ammettere che la retta sia determinata da una sola coppia dei suoi punti. Occorre inoltre esaminare se dato un sistema di assiomi mutandone l'ordine qualcuno di essi non sia conseguenza de- gli altri 2). Qual'è il metodo più proprio alla geometria, e specialmente per trattare i suoi principi? Secondo la condizione V esso è quello che scaturisce dal pro- cesso costruttivo dell* intuizione spaziale, ossia il metodo geome- trco puro o sintetico. E difatti, poiché prima ed essenziale con- dizione della geometria è l'intuizione spaziale, la quale ci fornisce i primi oggetti geometrici e le loro proprietà indimostrabili, il metodo più proprio è quello che tratta sempre le figure come figure, e la- vora direttamente cogli elementi di esse separandoli e unendoli in- 1) Questa osservazione sull'imperfezione dell'assioma del piano non è nuova. In una lettera a Bessel (Gòtt. 27 1., 1829) Gauss scrive: E strano che oltre alla lacuna conosciuta della geo- metria Euclidea, che si è cercato indarno di colmare, e non si colmerà mai, vi è un altro di fette, che per quanto so, nessuno ha intravveduto, e che non è facile togliere, sebbene ciò sia pos- sibile. Questo è la definizione del piano quale superficie nella quale la retta congiungente due punti qualunque vi giace per intero. Questa definizione contiene più di ciò che occorre alla de- terminazione della superficie, e involve tacitamente un teorema, che deve essere prima dimo- strato . Grassmann (1. e. pag. 32) riconosce che alla geometria manca una base scientifica, e fa ana- loghe considerazioni sull'assioma del piano. A pag. 34 dice poi giustamente: Quando un assioma può essere omesso senza introdurne uno nuovo, ciò deve esser fatto quand'anche fosse richiesta una completa trasformazione della scienza, perché da una tale omissione la scienza nella sua essenza guadagna in semplicità . Genocchi (Dei principi della meccanica e della geometria, Mem. della Società italiana dei XL t. II, serie III ; 1869, pag. 178) osserva che la generazione del piano mediante le rette che con- giungono i punti di una retta con un punto fuori di essa contiene il postulato delle parallele di Euclide. Se si dice che tutto il piaiio viene generato in questo modo, si esclude il sistema di Lobatschewsky, non però quello diRiemann; altrimenti non viene escluso neppure il piano di Lobatschewsky. 2) Cosi infatti succede ad es. definendo fin da principio la continuità della retta, per mezzo della quale si dimostrano non poche proprietà che sono assunte nei trattati elementari come as- siomi, mentre si fa pure uso della definizione del continuo (vedi rd es. de Paolis: Elementi di Geometria, post. XI),

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XX sieme, in guisa che ogni verità e ogni passo della dimostrazione siano accompagnati possibilmente dall'intuizione. La semplicità e l'eleganza delia geometria consistono appunto nella facilità delle sue costruzioni. Il metodo sintetico per la condizione VI da luogo al metodo sintetico astratto come è svolto nella nostra introduzione. Un metodo che suppone nota una parte delle proprietà geo- metriche per studiare i fondamenti della medesima, o una buona parte di teorie che non appartengono alla geometria stessa, è per lo meno un metodo artificioso e indiretto, che se potrà essere utile per verificare la esattezza di un sistema di assiomi, o per mettere in relazione queste con altre teorie, non potrà mai servire a risolvere nel rrfigUor modo la questione. Un tale metodo è ad es. generalmente quello numerico o analitico. Una prova ne sia che le profonde memorie di illustri autori sulle ipotesi della geometria, trattate con questo me- todo, non hanno fatto progredire di molto la geometria elementare pro- priamente detta, in modo che mentre quella moderna ha acquistato in questo secolo tanta larghezza e copia di vedute feconde, soltanto la prima è rimasta si può dire stazionaria, e non ne ha ricavato quasi alcun vantaggio 1). Come si può ammettere ad es. quale as- sioma fondamentale della geometria l'ipotesi che l'elemento lineare dello spazio sia la radice quadrata di una espressione differenziale quadratica e positiva delle coordinate; oppure che la curvatura dello spazio sia costante, o ancora che le linee descritte da un punto nel suo movimento siano funzioni di una variabile reale che ammettono la deri- vata; che fra le coordinate di due punti vi sia una ed una sola fun- zione che rimanga inalterata mediante un certo gruppo continuo di trasformazioni, o ancora che lo spazio sia una varietà a tre dimenzioni corrispondente al continuo numerico (.u, y, z), ed altre simili? Ma dove 1) Non sì deve credere però che al materiale degli Elementi si debba innestare qua e là teorie sia pure semplici della geometria moderna, ad es. della geometria proiettiva; o che si debba cangiarne il contenuto, o si debba abbandonare il metodo intuitivo basato sul puro ragionamento. Ciò sigiiifica invece che bisogna cercare di conquistare anche nella geometria elementare sia coli'aiuto delle nuove teorie, sia per altra via quelle vedute generali che dominino su tutto l'e- dificio degli Elementi, e li presentino in una forma scientifica e nello stesso tempo armonica, in guisa da non aver più degli assiomi dati a caso senza che si conosca l'intima ragione scienti- fica della loro necessità e indipendenza, anche se in un trattato per uso delle scuole le discus- sioni critiche devono essere bandite. Non è dunque necessario in massima aggiungere nuove teorie agli Elementi) ma o il materiale della geometria greca che bisogna correggere e rior- dinare con vedute pia larghe e più rigorose. D'altronde questo materiale non solo serve agli scopi pratici più semplici di questa scienza, ma serve altresì di base ad ogni ramo della geometria; nel problema dei suoi fondamenti non bisogna quindi aver riguardo più ad alcune proprietà clie ad altre, imperocché in tal modo si subordina la sua soluzione alle une o alle altre,

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XXI sono i fatti intuitivi e semplici che le spiegano e le giustificano ? Non ammettono forse oltre la conoscenza dell'analisi, quella impli- cita di una buona parte della geometria? Così secondo questo metodo la distanza di due punti è un numero; ma se la distanza è rappresentabile con un numero, il metodo analitico non ci dice che cosa sia la distanza, perché essa non è geometricamente un numero ; come la retta, il piano, gli spazi a tre ecc. a n dimen- sioni non sono geometricamente le equazioni o le forme analitiche ausiliarie che li rappresentano. Il problema scientifico e il problema didattico sono distinti, perché ad es. ragioni didattiche possono consigliare di dare qualche assioma di più per evitare specialmente nel principio complicate dimostrazioni, ma acciocché il primo aiuti il secondo occorre che i due problemi siano trattati collo stesso metodo. Ora è impossibile supporre che i giovani delle scuole secondarie superiori conoscano per lo meno una buona parte dell'analisi. Nei lavori nei quali usasi il metodo analitico e che hanno pure un'origine geometrica, è evidente la premura che si ha di far uso al più presto deir analisi ; e ve n' ha anche di quelli nei quali si scelgono gli assiomi allo scopo di potere applicare questa o quella parte anali- tica. Pur riconoscendo la grande importanza di tali lavori, che mettono in relazione le questioni dei principi geometrici con teorie feconde dell'analisi, non possiamo però disconoscere che in tal maniera si rende schiava la trattazione del problema di uno speciale punto di vista, che a priori si vuoi far prevalere; mentre bisogna vedere qual'ò il metodo più proprio alla natura di esso. Ora, esaminando la que- stione sotto il suo vero aspetta, il metodo puro è quello che deve essere preferito, perché un difetto del metodo analitico, e da tutti riconosciuto, è appunto quello che esso ci conduce molto sovente dalle premesse al risultato finale senza farci conoscere i diversi anelli della catena delle proprietà geometriche occórrenti nel passaggio dalla prima proprietà all'ultima, per quanto semplice edelegante possa es- sere la dimostrazione; mentre nei principi fa d'uopo sopra tutto ren- dersi ben conto di ogni particolare, cercando di avere una imma- gine geometrica ben chiama del modo con cui essa deriva dalle pre- cedenti. Un altro difetto è quello che talvolta esso richiede un grande apparato di simboli e di calcoli per giungere a proprietà geometriche semplicissime. Newton stesso osservò che aritmeticamente è più sem- plice ciò che viene determinato da equazioni semplici ; geometricamente è invece più semplice ciò che si ottiene mediante semplice tracciamento di linee; e nella geometria deve essere prima e preferibile ciò che

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xxtt è più semplice secondo il concetto geometrico *) Dimodoché noi non adottiamo il metodo analitico solo perche con esso si segue il cam- mino inverso del metodo storico col quale si è svolta la geometria, né seguiamo questo metodo perché corrisponde allo spirito della geo- metria greca, ma perche il metodo greco corrisponde meglio alla na- tura del problema. L'analisi applicata alla geometria serve a darci degli indirizzi an- che nello studio dei principi, ma apri ori non si sa se tali indirizzi siano utilizzabili dal punto di vista puramen te geometrico. Il metodo analitico poi per la sua generalità, se non si tien conto dell* intuizione, ci conduce a ipotesi su Ilo spazio a tre dimensioni che sono contrarie all'esperienza. E difatti dal punto di vista anali- tico ogni varietà numerica a tre dimensioni ha la stessa ragione d'essere dello spazio intuitivo, ma geometricamente come si è detto, non è la stessa cosa. È per questo che il metodo analitico oltre che portare la questione dei fondamenti della geometria in un campo di- verso, ha fatto generare il sospetto, spesso giustificato, che siano geo- metricamente impossibili i suoi risultati intorno alla geometria non Euclidea, è più ancora alla geometria di n dimensioni. Di più è da osservare che primo distintivo delle figure che ci col- pisce è la loro diversità di luogo, e che il metodo costruttivo nasce e si svolge da questa diversità. ]) Arithm. Univ. Amsterdam 1761, t. II De constructione lineari pag. 237 e seg. Egli sog- giunge: La semplicità delle figure dipende dalla semplicità della genesi delle idee; non è tale l'e- quazione, ma bensi la descrizione (sia geometrica che meccanica) mediante la quale la figura vie- ne generata e facilmente rappresentata . Egli considera però il cerchio semplice quanto la retta, mentre il cerchio ha bisogno per lo meno del piano, come la sfera almeno dello spazio ordinario. La retta per essere definita astrattamente mediante le sue proprietà non ha bisogno di altre figure. Sebbene in altre considerazioni di Newton nello stato attuale della geometria non si possa più convenire, pure le idee di uno dei sommi inventori del calcolo differenziale e integrale rispetto al carattere fondamentale della geometria rimangono sempre vere in tutta la loro generalità. E noi non veniamo meno a queste idee neppure nei nostri lavori di geometria a più dimensioni, poiché ad es. il nostro teorema che tutte le curve razionali del piano d' ordine n possono dedursi dalla curva razionale normale dellp spazio a n dimensioni, si basa sulla semplicità della costru- zione della curva normale stessa. Quantunque Leibniz abbia data una grande preferenza all'analisi, pure ha riconosciuto i di- fetti del metodo analitico specialmente nella trattazione dei principi della geometria, quando tentò di sostituirlo colla sua analisi geometrica (vedi appendice). E Gauss (Gòtt. Gelehrte Anzeigen, 1816, pag. 619) così si esprime: I mezzi logici perlaconca- tenazione e la rappresentazione delle verità nella geometria per s è non possono nulla produrre, e soltanto germogliano senza frutti quando la feconda e vivificatrice intuizione non domini da por tutto. Il sig. W. Killing nella memoria: Erweiterung des Raumsbegriffs. Braunsbergj 1884, ci fa sa- pere die Weiorstrass ha tenute parecchie lezioni nel Seminario matematico di Berlino sui principi della goomiMi'ia nel 187:2, e che sebbene egli sia partito dalla funzione della distanza, ha soste- nuto eh11 anzi tutto bisogna tentare una trattazione puramente geometrica .

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XKIII Non è poi da dimenticare per la questione che qui trattiamo, che non ancora è detta l'ultima parola sui fondamenti dell'analisi, come dimostrano recenti lavori di eminenti matematici e la nostra intro- duzione: perché i principi dell'analisi non sono tutti logicamente ne- cessari, e non pochi di essi racchiudono dei veri assiomi geometrici quando l'analisi è applicata direttamente allo studio della geometria, ad es. il principio di continuità nelle sue diverse forme analitiche, che non sempre trova la sua giustificazione nell'intuizione spaziale. Osservo ancora che lo spazio di n dimensioni sia geometricamente che analiticamente si deduce nella sua generazione da spazi di minori di- mensioni. La via più semplice è dunque quella di stabilire gli assiomi per gli spazi inferiori. Gli assiomi che si danno addirittura per le figure, ad es. dello spazio a n dimensioni, sono certo più complessi di quelli delle varietà ad un numero minore di dimensioni. In altre parole secondo la condizione li bisogna procedere dal semplice al composto. Ma si dirà che noi introduciamo subito il concetto dello spazio generale. In primo luogo esso è un concetto generale nel quale non entra ne la costruzione ne la misura delle sue dimensioni, e oltre a ciò di esso non ci serviamo che per maggiore libertà delle nostre co- struzioni, in modo che le considerazioni che facciamo nella prima parte sullo spazio generale valgono poi senz'altro in uno spazio di un numero dato qualunque di dimensioni. E da osservare ancora che tranne alcune proprietà, il testo rimarrebbe lo stesso anche senza la definizione di questo spazio. Il metodo sintetico si svolge direttamente nello spazio generale che non ha un numero determinato di dimensioni, mentre rimane da ve- dere se sia possibile trattare la geometria analitica direttamente in un tale spazio. Così pure rimane a trattare la geometria analitica asso- luta secondo le nostre ipotesi sull'infinito e sull'infinitesimo. Da tutto ciò non si deve inferire che noi combattiamo in generale il metodo analitico. Ttitt'altro; l'analisi rende certamente dei grandi ser- vigi alla geometria, come questa ne rende all'analisi. L'analista ricor- rendo alla geometria mette in esercizio una facoltà, che nell'analisi in se non trova applicazione, vale a dire l'intuizione spaziale, colla quale a colpo d'occhio si assicura di molte proprietà degli oggetti che gli stanno dinanzi; mentre il geometra facendo uso di un ben inteso formalismo analitico riesce spesso oggidì con maggior sicurezza al risultato finale. Però, acciocché un risultato analitico abbia un effettivo significato geometrico bisogna che si riferisca ad un ente che si possa costruire, e in ogni caso la geometria non può contentarsi di sapere ad es. che esiste una data superficie, ma vuole conoscere anche le leggi della costruzione della superficie stessa.

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Si sostiene giustamente che nelle ricerche scientifiche sia geome- triche che analitiche occorre usare tutti i metodi che possono con- durre a nuovi risultati 1). Ma è pur d' uopo riconoscere che special- mente fuori d'Italia vi è oggidì una forte tendenza a trascurare il metodo geometrico puro, quel metodo col quale in questo secolo stesso, Poncelet, Steiner, Staudt, Chasles, Ore mona, e tanti altri, arricchirono la geometria di tante feconde teorie ; e non sappiamo davvero quanta utilità possa avere questa tendenza. E poiché i due metodi anche nella scoperta della verità hanno virtù e bellezze pro- prie, che forse non sempre possono conservarsi in un metodo misto, così noi pure, per le ragioni anzidetto, riteniamo più che giustificati, anche nelle ricerche superiori della geometria, i tentativi diretti a trattare ogni questione geometrica col metodo sintetico. AH' appunto che si fa a questo metodo di non essere ben sicuro in alcune ri- cerche, si può rispondere che questo non è un difetto inerente al metodo, ma uri difetto dipendente dalla mancanza dello svolgimento necessario di esso. D'altronde mi pare che in generale massime rigide non si possano adottare, ma che debbano esser lasciate libere, come nell'arte, tutte le manifestazioni del pensiero scientifico a se- conda delle attitudini individuali. E inoltre fa d'uopo non dimenti- care che la matematica ha pure la sua filosofia, e che in questa ha non piccola importanza il modo con cui si arriva alla verità. Rispetto alT ordine degli assiomi e delle definizioni è opportuno sia dal punto di vista scientifico come da quello didattico che si in- troducano di mano in mano se ne presenta il bisogno, eccetto che per non ripetere una definizione generale, che si adopera per molte figure, non si creda talvolta di derogare a questa regola. Ma non si saprebbe giustificare in alcun modo il metodo di Euclide di riunire la maggior parte delle definizioni in principio del testo, senza che sia provata o data prima, o subito dopo, l'esistenza delle figure a cui quelle definizioni si riferiscono. Per le condizioni a cui abbiamo assoggettati gli assiomi geome- trici, e specialmente per le condizioni I e VI, dobbiamo vedere quali sono i principi e le operazioni logiche comuni sui quali si fonda la ma- tematica pura o la teoria delle forme matematiche astratte e concréte, ]) II grande matematico italiano Lag l'auge disse: Fintantoché l'algebra e la geometria sono stato separate i loro progressi furono lenti e le loro applicazioni limitate; ma allorquando queste due scienze si sono unite, esse si aiutarono vicendevolmente e progredirono insieme rapida- mente verso la perfezione (Gè no e e hi; 1. e.)- Klein (1. e pag. li, opp. trad. Le, pag. 337) e Segre Su alcuni indirizzi delle ricerche geometriclie- Rivista di matematica, febb. e marzo lS9I,ecc.

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xtv è quindi anche la geometria, ficco dunque la ragione dell'introduzione. La matematica pura si presenta così come una scienza di concetti e non di puri segni assoggettati a regole convenzionali, per quanto pos- sibili. Noi partiamo dai concetti di unità e di pluralità, dagli assiomi lo- gici, da cui deduciamo alcune importanti conseguenze. Dal concetto pure primitivo del prima e del poi deriviamo il concetto di serie o successione e di ordine di più oggetti dati o pensati. DalT operazione del porre e del togliere e del considerare insieme, o dell' unire, deri- viamo il concetto di gruppo e quello di gruppo ordinato. E dal con- cetto di gruppo abbiamo poi il concetto astratto di fuori. Vi sono serie limitate e illimitate, e dal principio a del n. 37 si deriva il concetto di serie limitata o illimitata, che contiene come parti altre serie illimitate. La serie più semplice è quella li- mitata di la specie o naturale, che ha un primo ed ultimo oggetto e non contiene alcuna serie illimitata; poi si ha la serie illimitata di la specie, le cui serie limitate sono tutte di la specie. Diamo i prin- cipi che regolano le operazioni dell'unire e del togliere, e rilevia- mo i contrassegni delle forme matematiche astratte e concrete. Un principio fondamentale è quello della corrispondenza univoca e del medesimo ordine fra le serie o gruppi di più elementi, col quale deduciamo diversi teoremi per le serie o gruppi ordinati in generale, e particolarmente per le serie limitate e illimitate di la specie. Mentre fino a questo punto abbiamo fatto uso soltanto del concetto di unità e di pluralità, dai gruppi ordinati discende il concetto di nu- mero nella sua prima formazione, e dalla corrispondenza fra gli ele- menti del gruppo che si numerano e le unità del numero si dedu- cono i teoremi fondamentali sui numeri che corrispondono ai gruppi naturali, fra i quali anche quello che mutando V ordine degli ele- menti di un gruppo naturale il numero da esso rappresentato rimane inalterato. La corrispondenza suddetta ci da modo di stabilire natural- mente il concetto di numero maggiore e minore, e le prime opera- zioni coi numeri naturali, e le leggi rispettive. Noi consideriamo dun- que dapprima il numero degli oggetti di un gruppo, da cui deriviamo poi le proprietà del numero come segno. Prendendo a guida il continuo intuitivo rettilineo che esaminiamo nelle sue diverse parti, definito 1' elemento fondamentale, e gli ele- menti distinti in senso relativo e assoluto, trattiamo del sistema di elementi, ad una dimensione, del sistema omogeneo e identico nella posizione delle sue parti. Dall'esame delle conseguenze del principio d'identità si ricava che

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xivi la corrispondenza d'identità fra due forme sì appoggia sull'identità di due altre forme ; da qui la necessità, per utilizare questa corrispon- denza, di partire da una prima forma fondamentale, per le parti della quale ammettiamo senz' altro l'identità in conformità al principio di questo nome dato al n. 8. La nostra forma fondamentale è un sistema ad una dimensione, identico nella posizione delle sue parti, continuo e determinato dal minor numero di elementi rispetto alle altre forme. Indipendentemente da queste due ultime proprietà, che stabiliamo più tardi, costruiamo sulla forma fondamentale la scala di un dato segmento come unità, e definito il campo di essa, troviamo le condizioni di uguaglianza di due scale. Introduciamo poi il concetto di segmenti finiti, infiniti e infinite- simi (attuali) limitati da due elementi, e stabiliamo le ipotesi semplici dell'esistenza e della costruzione compatibili colla definizione del si- stema omogeneo (ed anche di quello identico nella posizione delle sue parti) secondo le quali si determinano le relazioni fra i segmenti sud- detti. Da queste ipotesi si deduce appunto il concetto di più specie di unità di misura, dell'unità fondamentale alla quale si riferiscono gli infinitesimi e gli infiniti, e dell'unità assoluta che è un segmento limitato qualunque della forma fondamentale, e che chiamiamo pure finito assoluto. Dimostriamo con pieno rigore che l'infinitesimo di qualunque ordine è trascurabile rispetto ad un infinitesimo di ordine inferiore, sebbene rispetto ali' unità assoluta o in senso assoluto esso non sia trascurabile. Dai segmenti infiniti e infinitesimi deduciamo nuovi numeri interi infiniti, i quali tanto nella somma come nella moltiplicazione sono sog- getti alle leggi ordinarie, e quindi si distinguono dai numeri transfi- niti di G. Cantor, i quali non si possono applicare alla costruzione dei segmenti infiniti della nostra forma fondamentale 1). 1) Quando era già stampata gran parte della nostra introduzione fu pubblicata la chiara esposizione della teoria delle grandezze del prof. Bettazzi (Pisa 1890), nella quale l'autore stu- dia certe classi ad una dimensione di 2a specie che si decompongono in n sotto classi principali di la specie (essendo n un numero intero finito), le quali considerate isolatamente sono continue nel senso ordinario. Sebbene Bettazzi non dimostri direttamente la possibilità di queste classi, e così i principi come il metodo di dimostrazione siano diversi dai nostri, pure in questa parte ci siamo incontrati in alcune idee. Egli si arresta alla suddetta classe di 2a specie, mentre la classe cui da luogo la nostra forma fondamentale è una delle classi che Bettazzi chiama assolute, e non studia, la quale per i principi spe'ciali a cui soddisfa da luogo anche ad una misura. I nostri numeri infiniti e infinitesimi sono in fondo numeri complessi speciali con infinite uni- tà, tali però che il prodotto di due di esse non si esprime linearmente mediante le altre, e perciò per questi numeri vale il teorema che se il prodotto di due di essi è nullo deve esser tale anche uno dei fattori, come vale pei numeri complessi ordinavi e pei quaternioni di Hamilton.

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XXVlt Non disconosciamo la tendenza che vi è oggidì contro l'infinito e T in- finitesimo attuale, e specialmente contro quest' ultimo ; ma le ra- gioni addotte contro queste forme come erano proposte in passato non sono applicabili alle nostre, delle quali del resto abbiamo dimostrato logicamente la possibilità, come non sono applicabili alle forme del- l'infinito e infinitesimo attnale di Stolz e di duBois Reymond. Rispetto alla rappresentazione il segmento limitato infinito o infinite- simo della forma fondamentale possiamo rappresentarcelo tale quale un segmento rettilineo sensibile, come si vedrà meglio dalle appli- cazioni che ne faremo alla geometria 1). Sosteniamo l'infinitesimo attuale perché ne abbiamo dimostrato non solo la possibilità ma anche l'utilità nel campo geometrico; che anzi per quanto possa essere per sé interessante una tale teoria non T avremmo forse qui trattata senza le applicazioni geometriche che ne abbiamo fatte. La trattazione poi analitica della geometria indipen- dentemente dall'assioma d' Archi mede, pare a noi, dovrebbe riuscire interessante anche per l'analisi 2j. Stabiliamo poi le ipotesi della continuità relativa ad un' unità (o continuità ordinaria) e poi all'unità assoluta (continuità assoluta). Dalla continuità assoluta si ricava la prima rispetto ad ogni unità, ma non inversamente. Sia nel campo di un'unità relativa, sia rispetto al- l'unità assoluta si dimostra che ogni segmento limitato della forma è divisibile in n(o?i) parti uguali, che (AB) + (BC) = (BC)+(Cff')9 ove (GB") è identico ad (AB) e del medesimo verso di (AB); che il seg- mento (AB) percorso in un verso è uguale allo stesso segmento percorso nel verso opposto, oltre altre proprietà relative agli elementi limiti di un gruppo di elementi sulla forma fondamentale. E per ciò che anche indipendentemente dagli infiniti e infinitesimi la nostra definizione del continuo ordinario è preferibile alle altre che ammettono gli stessi principi, ma ammettono ad es, anche la legge commutativa della somma, oppure la proprietà (AB)=(BA). Applicando i principi della nostra definizione alla retta, essi esprimono delle proprietà semplici e intui- tive di questa. Definita la corrispondenza di proporzionalità fra i segmenti della forma fondamentale, deriviamo da essa le principali proprietà dei rap- porti fra segmenti, e in ispecie della loro uguaglianza. Data la definizione delle forme a più dimensioni e del loro campo, 1) Vedi note pag. 85-87 e 166. Rimandiamo il lettore alle nostre osservazioni sulle dimostra- zioni contro l'infinitesimo attuale in fine dell'appendice; s'intende che il testo ne è indipendente. 2) Vedi nota pag. 123-124 e le osservazioni sulla geometria proiettiva assoluta.

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XXVllt senza dar qui il concetto di continuità in generale, ci occupiamo della grandezza estensiva ed intensiva della forma fondamentale. Sia di questi sviluppi come del capitolo relativo ai numeri reali, assoluti e rela- tivi, non ci serviamo nella discussione dei principi della geometria. Le considerazioni del continuo numerico relativo e assoluto ci permet- tono però di spiegare le ragioni della scelta della nostra forma fon- damentale. Non risulta dalle ipotesi premesse che questa sia deter- minata da due piuttosto che da più di due elementi distinti. Da tutto ciò è manifesto che noi procediamo generalmente nella costruzione dei concetti matematici dal semplice ài composto 1). Sentiamo farci l'obiezione rispetto ai concetti dei numeri razionali e irrazionali che noi partiamo da ipotesi, mentre l'analisi si può svolgere col convenzionalismo basandosi sui soli numeri interi. Anzitutto nel- l'introduzione non abbiamo inteso di trattare i soli principi dell'analisi ma della matematica pura in generale, che comprende anche la scienza dell'estensione astratta 2); inoltre il concetto di questi numeri entra per noi in seconda linea, essendo scopo principale dell'introduzione di servire di base alla parte geometrica. D'altronde, vi sono illustri analisti i quali ritengono, e noi siamo del loro avviso, che anche Tana- lisi debba essere svolta nei suoi fondamenti con metodo fiiosofico nel senso da noi sopra spiegato 3), anziché con metodo artificioso. Ad ogni modo non vediamo alcuna differenza sostanziale fra le ipotesi o postulati astratti e le definizioni o convenzioni di segni necessario allo svolgimento della scienza 4). Questa introduzione oltre che fornirci i criterì fondamentali di cui abbiamo bisogno nella parte geometrica si può considerare come un tutto a sé; ed è per questo che abbiamo svolto alcune parti di essa che non applichiamo alla geometria. 1) Vedi ad es. note pag. 1 e pag. 15. 2) Ausdehnungslehre secondo H. Grassmann. 3)Du Bois Raymond sostiene che se nelle operazioni coi segni non si bada più al loro significato, nella discussione dei concetti fondamentali della matematica non si deve però di- menticare la loro origine (1. e. pag. 50 e seg ). Vedi intr. nota pag. 67. 4) Ad es. la proprietà fondamentale (a -f- ) -f- 1 in a .+. (b + 1) della somma dei numeri è chia- mata da Grassmann Erklarung (che equivale a un postulato) e non Bezeichnung (indicazione), e difatti v. H elmo tz la chiama assioma di Grassmann (Phil. Aufsàtze-E. Zeller-Zàhlen u. Messen pag. 24). Da altri è data come definizione, ma evidentemente senza questa definizione o conven- zione non è possibile svolgere le proprietà della somma. Ad es. Il sig. Peano (Arithmetices Prin- cipia; Torino 1889) da come assioma: se a e sono numeri interi uguali, a + 1, 6 -f-1 sono pure nu- meri uguali. E poi come definizione: se p, q, p', q' sono numeri interi qualunque ed è ^ ^7 si ha x x - . Questa proposizione è evidentemente della stessa natura della prima.

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XXIX Dopo che si è spiegato per mezzo dell* esperienza che cosa si deve intendere per spazio intuitivo vuoto e per punto, che è l'elemento fondamentale delle geometria, coll'ass. I si stabilisce esservi punti di- stinti ed uguali. Data la definizione di figure segue la definizione di spazio generale, cioè : Lo spazio generale è dato da un sistema di punti tale che data o costruita una sua figura qualunque vi è almeno un altro punto fuori di essa, le cui proprietà non dimostrabili derivano in parte dall1 osservazione esterna e in parte da principi astratti che non contraddicono alle prime; e le figure, finché il punto conserva il suo primo significato, sono sempre accompagnate dall' intuizione spaziale 1). La geometria è la scienza dello spazio generale, e perciò anche delle figure in esso contenute. Le considerazioni però che facciamo, tranne alcune, valgono anche indipendentemente da questo spazio, seb- bene noi lavoriamo sempre in esso 2). 11 concetto di fuori trova am- pia giustificazione nel primo capitolo dell'introduzione. Le parti semplici della prima parte dell'ass. II sulla retta sono già state discusse nelT introduzione ; e poiché scopo principale di questi studi è anche quello di risparmiare più assiomi che è possibile, così non abbiamo bisogno di ammettere la determinazione della retta che per una sola coppia dei suoi punti, completando poi questo assioma colla parte 2a, la quale stabilisce che ogni punto fuori di una retta e un punto qualunque di essa determinano un'altra retta. Così facendo pos- siamo svolgere le proprietà comuni generali di tutti i sistemi geome- trici possibili conosciuti. Gli altri tre assiomi sono proprietà semplici che riguardano l'iden- tità di due rette aventi un punto comune, la differenza dei due lati di un triangolo quando il terzo lato diventa indefinitamente piccolo, e T identità di due coppie di rette aventi un punto comune. La coppia di rette è una figura rettilinea, determinata dai segmenti rettilinei, aventi per estremi i punti delle rette date, e i punti delle rette così ottenute, e così via. La coppia rettilinea non è l'angolo di due raggi o di due rette. Secondo le ipotesi sull'infinito e sull'infinitesimo attuale dell'in- troduzione diamo alcune ipotesi le quali ci permettono di stabilire una geometria assoluta, indipendente cioè dall'assioma V d'Archimede, 1) II concetto di un tale spazio è implicito nella prima pagina del nostro lavoro pubblicato nel Voi. XIX dei Math. Annalen, e non è da confondere con quello dello spazio a n dimensioni in esso contenuto. 2) Vedi oss. Ili, del n. 1 e oss. IX del n. 4 della parte I,

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XXX e di far scaturire da essa due sistemi generali nei quali sono com- presi i sistemi particolari di Euclide e di Riemann. Nel sistema della retta chiusa assoluta, che noi adottiamo, abbiamo precisamente il sistema di Euclide e quello di Riemann, in modo che le ipo- tesi precedenti servono a mettere in relazione questi due sistemi in un solo sistema generale applicando il concetto delle diverse unità di misura. L'unità che ci da il sistema Riemanniano è appunto infinita rispetto a quella che ci da il sistema di Euclide. La facilità con cui dal piano Euclideo si passa al piano completo o Riemanniano, senza mai uscire dal piano, e la facilità con cui dal piano all'infinito dello spazio a tre dimensioni Euclideo, che è un piano completo, si dimostrano molte fra le proprietà fondamentali di questo spazio, e così analoga- mente per gli altri spazi di date dimensioni, ci pare degna di nota. Si potrà obiettarci che mentre sosteniamo dover essere il numero degli assiomi il minore possibile, facciamo uso di ipotesi astratte. E l'obiezione sotto un certo punto di vista ha il suo valore, ma anche a ciò si trova nel nostro libro una risposta. Intanto, come dimostriamo nelle note indi- cate con numeri romani, le ipotesi suddette non introducono alcun assioma oltre ai già dati nel campo finito, quando si voglia rimanere in questo solo campo, tranne il postulato delle parallele; perché in quelle note trattiamo appunto la geometria coli'aiuto del testo indi- pendentemente da quelle ipotesi, per far rilevare altresì quale im- portanza esse abbiano nello svolgimento e nel coordinamento delle proprietà fondamentali dello stesso campo finito. Di più, come ab- biamo detto, volendo trattare il problema scientifico in tutta la sua generalità, abbiamo date queste ipotesi per stabilire una geometria in- dipendente dall'assioma V d'A re hi in e de, e per trattare e coordi- nare meglio fra loro i diversi sistemi geometrici conosciuti. Prima ancora di dare le ipotesi suddette, dalla corrispondenza d'identità fra due forme, in^cui la retta rappresenta la forma fon- damentale, deduciamo i teoremi per l'uguaglianza delle figure, per la quale abbiamo bisogno dell'ass. V, benché dalle nostre osserva- zioni in proposito non risulti una prova sicura della sua indipendenza dai precedenti. Alla fine dei capitolo I del 1 libro trattiamo dei sistemi continui di figure invariabili nello spazio generale, e specialmente dei sistemi continui di segmenti invariabili sulla retta, senza ricorrere al movi- mento senza deformazione, del quale ci occupiamo al capitolo succes- sivo come principio di cui si ha bisogno soltanto per eseguire pra- ticamente le costruzioni geometriche. Pei sistemi continui di figure in- variabili ijoo occorre tener conto astrattamente di tutte le proprie^

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XXXI delle linee intuitive, vale a dire che in ogni punto esse hanno una tangente; il che semplifica di molto la nostra esposizione. Nel libro II della parte I studiamo da principio le prime proprietà dei fasci di raggi, e dei settori angolari ed angoli di essi *). Ci oc- cupiamo poi delle proprietà del parallelogrammo, e dimostriamo il teorema fondamentale che se da uri punto qualunque di uri lato de! triangolo si conduce una parallela ad un altro lato, essa incontra il rimanente, e in modo che i segmenti sul primo e sul terzo lato sono in corrispondenza di proporzionalità. Definito il piano come la figura che si ottiene dal fascio considerando in esso quale elemento il punto anziché il raggio, il teorema precedente e quelli sul parallelogrammo permettono di dimostrare rigorosamente e facilmente le prime pro- prietà del piano ; fra le quali va notata quella che ogni fascio di raggi (Rr) ha un sistema limite assoluto all'infinito rispetto al suo centro, il quale, con tutto che abbia molte proprietà caratteristiche in comune colla retta, fra cui quella di essere determinato da due punti e continuo, non si può dire però che sia una retta. Esso ha le stesse proprietà rispetto a tutti i punti del campo finito del piano relativamente all'unità fondamentale Euclidea e all'unità infinita o Riemanniana, ma non rispetto all'unità assoluta. Da queste prime proprietà deriva l'identità dei fasci e la pro- prietà che un fascio è identico nella posizione delle sue parti, e per- ciò che ogni settore angolare (ab) in un verso è identico allo stesso settore percorso nel verso opposto. Da ciò risulta pure che il piano viene diviso da una sua retta in parti identiche; che ogni retta del piano è situata per metà in ognuna di queste parti. Data la defini- zione di parte interna ed esterna di un triangolo si dimostrano i teo- remi relativi ai punti di intersezione di una retta coi lati del trian- golo. Così senza assiomi speciali né espliciti né impliciti dimostriamo le proprietà relative alle intersezioni di una retta con una circonfe- renza e di due circonferenze fra loro. Definiamo i versi delle figure piane e del piano senza ricorrere ad oggetti esterni, o ad osservatori, e al concetto del movimento; il che introdurrebbe degli elementi empirici nelle nostre considerazioni. Diamo le condizioni dell' identità di due figure nel piano, e distin- guiamo le figure identiche dello stesso verso (congruenti) da quelle di verso opposto (simmetriche); le proprietà principali dei sistemi piani continui di figure invariabili, e applichiamo poi questa teoria ì) Per le definizioni fin qui date di angolo veggasi l'appendice. Ci pare degno di essere rilevato il criterio che noi segniamo nella definizione di angolo nelle diverse sue forme. Vedi pag. 281 e seg., 400 e seg., 478 e seg. ecc.

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XXXII alla deduzione delle proprietà principali del movimento di una figura del piano, come abbiamo fatto sulla retta. Nel capitolo II del libro II prendendo come unità di misura una unità infinita rispetto all'unità fondamentale Euclidea, o finita ri- spetto ali' intera retta, si ha il piano completo. Per la maggior parte delle sue proprietà valgono le stesse dimostrazioni già date pel piano Euclideo. Nel capitolo III trattiamo specialmente del piano di Lo- batschewsky, mettendo a raffronto i tre sistemi fra loro. Del sistema di Lobatschewsky non ci occupiamo più oltre perché non ci è utile, come il sistema Riemanniano, nel coordinamen- to delle proprietà degli spazi geometrici Euclidei. Nel libro III dopo aver definito la stella di 2a specie e lo spazio a tre dimensioni dimostriamo le loro prime proprietà, e dopo aver dimostrato come si possa considerare che lo spazio abbia un piano al- Tinfinito rispetto all'unità Euclidea, che è un piano completo, si de- ducono dalle sue proprietà quelle della stella, e da queste si passa alle proprietà delle altre semplici figure dello spazio stesso, incontrando ognora altre figure e altri sistemi più complicati che presentano sempre nuove proprietà. Lo spazio completo a tre dimensioni si deduce dallo spazio Eu- clideo con un' unità infinita. Alla fine di questa prima parte è dato il terzo assioma pratico, il quale stabilisce a tre le dimensioni dello spazio intuitivo. Noi abbiamo seguito sempre le nostre costruzioni coir intuizione spaziale, ma poi- ché essa non è e non deve essere necessaria per la condizione VI allo svolgimento logico della geometria, così non abbiamo avuto bi- sogno di dar prima una tale proprietà, come non ci occorre neppure per il seguito. Arrivati a questo punto, e pei principi e le proprietà svolte nel capitolo I del libro I, che abbiamo trattati direttamente nello spazio generale (o anche volendo indipendentemente dalle dimensioni dello spazio), nessuna ragione giustificherebbe che ritenessimo possibile il solo spazio a tre dimensioni, perché è la forma corrispondente allo spazio intuitivo l), imperocché l'assioma pratico suddetto è necessario soltanto per le pratiche applicazioni, che abbiamo distinte nettamente dalla geometria teorica propriamente detta. Col processo fin qui svolto segue dunque la costruzione della stella di 2a specie e dello spazio a quattro dimensioni S4 mediante uno spazio a tre dimensioni S3 e un punto SQ fuori di esso nello spazio generale. 1) Vedi oss. emp. I del n. 1, nota II e ass. Ili pratico.

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XXXIII L'esistenza di un punto fuori di S9 non include ancora quella dello spazio Si, perché non si ha che il gruppo di punti (SZS0). Dalla costru- zione suddetta trattiamo collo stesso metodo le figure fondamentali dello spazio S4. Passiamo poi allo spazio di n dimensioni Sn, dove naturalmente trattandosi di un numero dato, comunque grande, ma finito di dimen- sioni, le dimostrazioni acquistano un carattere generale, e il metodo in esse è dirò così saltuario, perché ad es. le proprietà dello spazio completo Sn_! non possono essere trattate che alternativamente con quelle dello spazio Sn nel campo Euclideo; così pure molte dimo- strazioni bisogna darle col così detto metodo dell' induzione completa *) applicato contemporaneamente a più teoremi. In questa parte trat- tiamo dei sistemi generali continui di enti geometrici, sia nello spa- zio generale come in quello ad n dimensioni. Ma prima di trattare questa teoria, che si può anche chiamare geometria a più dimensioni rispetto ad altri enti geometrici già costruiti che non siano punti, occorre prima di tutto, per rimanere nel campo geometrico, stabilire le proprietà degli spazi in cui quegli enti sono stati dati o costruiti, allo stesso modo che la teoria delle curve piane di nmo ordine può i . . - . . chiamarsi geometria a - - dimensioni. Dallo svolgimento di questa parte risulta chiaramente che il no- stro processo costruttivo della geometria a più di tre dimensioni è un processo nel quale l'intuizione è fusa colla pura astrazione; ma risulta pure che noi non intendiamo punto di intuire completamente le figure di n dimensioni o dello spazio generale, come intuiamo quelle di tre le quali corrispondono agli oggetti del campo della nostra osservazione. Dal!' aggiunta, nella quale abbiamo indicato in che modo si possono stabilire i principi della geometria analitica ad n dimensioni, si vede che, come lo spazio ordinario viene rappresentato da una varietà nu- merica (x*y,z) che soddisfa ai nostri assiomi, lo spazio a n dimensioni viene rappresentato da una varietà numerica (xl9x29...,xn) che soddisfa agli stessi assiomi. Ma come la prima varietà non è lo spazio ordi- nario, così la seconda varietà non è il nostro spazio a n dimensioni. E noi abbiamo quindi ragione d'insistere nel far rilevare bene que- sto carattere fondamentale delle nostre ricerche, perché se rispetto al substrato di una verità geometrica, non ha importanza che essa sia enunciata in numeri o per mezzo degli enti geometrici corrispondenti, 1) Vedi intr. pag. 18.

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XXXIV nei fondamenti invece ha una capitale importanza l'esistenza, sia pure astratta, dell'oggetto geometrico l). Qui abbiamo avuto specialmente di mira lo svolgimento dei prin- cipi della geometria a più dimensioni, e di dimostrare ogni proprietà di cui avevamo bisogno, fatta eccezione di due proprietà date alla fine, ma che furono dimostrate altrove, e nelle quali si ha già la cer- tezza che non è compreso alcun altro assioma. Se le proprietà sono in gran parte note, le dimostrazioni sono invece in grandissima parte nuove. D'altronde un'esposizione matematica della geometria elemen- tare a più dimensioni secondo il nostro punto di vista, e che non fu mai fatta, rende più facile l'investigazione nelle parti superiori. Alla fine della parte II abbiamo fatto conoscere le operazioni del proiettare e del segare, e ne abbiamo dedotte alcune importanti con- seguenze, compatibilmente collo scopo e colla natura di quest' opera 2). L'utilità di questo metodo per rispetto allo spazio ordinario consiste appunto in questo; che da enti generali od anche speciali si deducono classi di enti nel piano e nello spazio a tre dimensioni, o in uno spazio di dimensioni inferiori, e inversamente, dimostrando più facil- mente e coordinando sotto un punto di vista generale proprietà o enti nuovi o già noti. È questa la generalizzazione del principio spesso usato col quale mediante la geometria dello spazio ordinario si dimostrano più pro- prietà delle figure piane, o si ottengono nuove proprietà di que- ste figure; dirò anzi che esso acquista la sua vera ragione nello spazio a n dimensioni, perche allora valgono dei teoremi gene- rali fra gli enti proiettati e gli enti ottenuti per proiezione. L'esi- stenza delle figure e la verità delle loro proprietà, che si otten- gono con questo metodo, ad es. nel piano, si possono provare na- turalmente coi soli postulati del piano (s'intende senza trascurarne alcuno); ma ciò anzi conferma l'utilità del metodo 3). La geometria di n dimensioni è poi vantaggiosa anche sotto altri aspetti, perché molti enti del piano e dello spazio ordinario si lasciano rappresentare da 1) Si veda la discussione che noi facciamo nell'appendice a proposito delle definizioni di spazio e di geometria a n dimensioni. 2) II lettore potrà utilmente quindi consultare i lavori che si sono svolti con questo procedi- mento a cominciare da quello da me pubblicato nei Math. Annalen, voi. XIX, come quelli svolti prima e poi col metodo puramente analitico che trovano in questo libro la loro vera base geometrica. 3) Coi metodi della geom. descrittiva si possono costruire effettivamente queste figure nel piano e nello spazio ordinario. Vedi A. Geom. descrittiva a quattro dimens. R. Istituto Veneto, Apr. 1882. Su questo argomento abbiamo tenuto una conferenza nel Seminario matematico diretto dal prof. Klein nell'estate del 1881.

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XXXV enti più semplici, ad es. da punti di uno spazio superiore, e quindi riesce spesso più agevole studiarne così le proprietà *). Certo è che non si può dire che un tale metodo sia applicabile in ogni ricerca geometrica. Ad es. esso si applica con maggior successo alla geometria proiettiva che alla geometria metrica. Ogni metodo ha i suoi pregi ma anche i suoi difetti, e sopra tutto bisogna possederlo bene per saperne ricavare l'utile che esso può dare; basta natural- mente che esso sia veramente fecondo in una categoria almeno di ricerche importanti; come per certi metodi non è ancora avvenuto. E se qui non potevamo badare tanto alla novità delle proprietà quanto ai principi con cui devono essere svolte, non si deve credere che noi incoraggiamo ricerche le quali altro non sono che facili genera- lizzazioni e nulla d'importante contengono né per la geometria a tre né per quella ad n dimensioni. Così non bisogna neppure esagerare nel senso di voler servirsi delle n dimensioni in questioni ove è più pro- prio e più facile servirsi invece delle dimensioni ordinarie. Dalla separazione della geometria teorica dalle sue pratiche ap- plicazioni, dal fatto che non tutti gli assiomi necessari per queste lo sono per quella; dal fatto ancora che la geometria non ha bisogno dei principi tolti dalla meccanica e dalla fisica; e infine da quanto abbiamo detto sull'uguaglianza delle figure, sulla distinzione di figure identi- che in congruenti e simmetriche in ogni spazio di un numero dato di dimensioni e sui sistemi continui di figure invariabili, chiaro appare che noi non facciamo uso del movimento dei corpi o dei "sistemi ri- gidi nella trattazione dei concetti fondamentali. Oggi, dopo i celebri lavori di Helmoltzil quale dichiara che non si può parlare di congruenza se non si possono muovere dei corpi rigidi o sistemi di punti senza deformazione 1* uno verso l'altro da alcuni si dichiara questo principio intuitivo indispensabile allo svol- gimento della geometria, e se ne fa uso esplicito nei trattati di geo- metria elementare, mentre non solo esso non è indispensabile, ma non può essere accettato senza venir meno al rigore necessario. Questo principio dipende invece dalle proprietà dell' ente geometrico partico- lare in cui si suppone avvenga il movimento ; applicato alla definizione dell'uguaglianza delle figure in uno spazio ad n dimensioni (n_l) restringe questo concetto alla sola congruenza, facendola dipendere dalle dimensioni dello spazio stesso; e restringe anche questa facendola 1) Vedi l'appendice.

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XXXVI dipendere da tutti i contrassegni delle linee intuitive; esso suppone non solo l'esistenza nello spazio di figure identiche ad ogni altra figura data, ma eziandio dei sistemi continui di figure invariabili, mentre poi tutte queste proprietà si deducono dalla costruzione dello spazio. Per essere spiegato si deve appoggiare esso stesso al principio d'identità. Non può poi servire a definire astrattamente il continuo geometrico, ed è, come si disse, necessario per le sole pratiche applicazioni. Con tutto ciò non intendesi dire che nello stabilire gli assiomi geo- metrici non si debba empiricamente far uso del movimento, che è un idea primordiale; come anche non intendesi dire che il movimento non sia necessario alla formazione delle idee geometriche: questo è un problema psicologico che non ci riguarda; ma bensì intendesi che deve essere escluso come principio necessario nei fondamenti della geome- tria teorica *). Fin qui abbiamo parlato sempre del problema scientifico in tutta la sua generalità. Ma la discussione sui concetti fondamentali della matematica non può non riguardare anche il lato didattico della que- stione, come già abbiamo accennato. Fu già osservato fin da principio che la geometria elementare da Euci i de fino ad oggi ha pochissimo progredito, in quanto che anche nei migliori trattati moderni non si sono tolti sistematicamente i di- fetti dei principi che si incontrano in Euclide, anche se in alcuni di essi si è portato qua e là qualche miglioramento; mentre non si può negare che altri stanno al di sotto degli Elementi del grande geome- tra greco, -sia per chiarezza come per precisione di concetti. I pro- blemi scientifico e didattico vanno trattati con vedute diverse, ma la migliore soluzione del secondo dipende da quella del primo, im- perocché sebbene le esigenze didattiche debbano avere la loro de- bita influenza, esso vuoi essere risolto secondo un ordinamento scien- tifico prestabilito, come questo deve essere trattato in modo da aiu- tare più che sia possibile la soluzione del primo. Noi parliamo special- mente dei trattati che servono per le scuole liceali, nelle quali la matematica va presentata ai giovani quale modello di rigore logico, più che come un insieme di verità utili praticamente, senza che per questo si perda di vista anche il suo scopo pratico. Per raggiun- 1) Vedi a questo proposito i ^ y, 22 e 23 del libro I colle relative considerazioni dell'intro- duzione, i S 18, 19, 20 del libro II della parte I, e i paragrafi analoghi degli altri libri. E poiché in questo punto siamo in disaccordo con Helmoltz, come anche con Newton secondo il quale la geometria non è che una parte della meccanica (Phil. nat. Principia math. ed. 2 Cauibridge p. 273), trattandosi di così alte autorità, verso le quali non crediamo di mancare in alcun modo al rispetto e all'ammirazione che giustamente meritano esprimendo il nostro modo di vedere diverso, sen- tiamo però il dovere di dire altre ragioni in appoggio della nostra tesi; il che faremo nell'ap- pendice.

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xxxvii gere questo scopo, al rigore dei principi può essere sagrificato, se occorre, un maggiore sviluppo della materia. D'altronde siamo convinti che an- che nelle scuole universitarie i giovani devono esser posti in grado non solo di conoscere ma di possedere bene le idee fondamentali delle scienze che studiano e il maneggio del calcolo, coi quali sarà loro fa- cile poi, anche da sé o colla guida di buoni libri, risolvere problemi e dimostrare teoremi difficili. È allo scopo suddetto che abbiamo accompagnato i capitoli rela- tiva alla retta e al piano con note contrassegnate da numeri romani, e limitandoci al campo finito Euclideo, abbiamo fatto vedere come sia possibile attenersi ai principi che informano il nostro libro, cioè: 1. che la retta può essere assunta come elemento fondamentale di costruzione delle figure e di riferimento delle grandezze geo- metriche ; 2. che non si ha bisogno da principio deir assioma delle tre di- mensioni dello spazio intuitivo, né esplicitamente né tacitamente nel- l'esposizione logica, pur facendo uso sempre dell'intuizione e di con- siderazioni empiriche quando occorrano per venire in aiuto a consi- derazioni astratte; 3. che non si ha bisogno dell' assioma del movimento che quale mezzo pratico, e senza che per questo si complichino le dimostrazioni su ir uguaglianza delle figure; 4. che tutte le proprietà fondamentali del piano e dello spazio a tre dimensioni si dimostrano col mezzo degli assiomi da noi dati e con quello delle rette parallele. A questo scopo il nostro assioma II nella nota IV per ragioni di- dattiche lo abbiamo sostituito coir assioma II', ed abbiamo svolta la geometria nel solo campo finito tanto coli' assioma II del testo, quanto coH'assioma II', finché nella nota XLIV e nelle seguenti non occorre più tener conto della distinzione di questi due assiomi. E poiché ci occorre il postulato delle parallele indipendentemente dal piano, a ciò provvediamo con una nuova definizione del paralle- lismo di due rette nella nota XVI. I nostri assiomi esprimono proprietà date comunemente negli assiomi dei trattati di geometria elementare, tranne il IV e V a cui si sostituiscono proprietà molto più complicate. In queste note ci siamo limitati alla retta e al piano, sopra tutto perché data la costruzione dello spazio S3, si vede facilmente come si deve procedere nelle modificazioni. Si può in ogni caso senza uscire dal campo finito stesso far uso cori vantaggio delle espressioni di punto all'infinito di due rette, per indicare che sono parallele; come di retta all'infinito di due piani per indicare che sono paralleli.

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XXXVIII Speriamo di poter svolgere presto questi principi in apposito trat- tato di geometria elementare. Potrà sembrare a prima vista che qualche parte del testo potesse essere tralasciata o abbreviata. Ciò può anche essere, ma oltre che teorie che non sembrano necessarie dapprima hanno in seguito la loro applicazione, dalla nostra discussione precedente sulle proprietà, e sulle dimostrazioni geometriche risulta che in questi argomenti nulla deve essere trascurato, e che la concisione quando trascina seco la indeterminatezza dei concetti è un grave difetto. In una sola reticenza possono essere nascoste tali proprietà la cui dimo- strazione richieda una radicale trasforma/ione dei principi mede- simi. Finché nel dimostrare si fa uso dell'evidenza non si ha mai la certezza assoluta di non avere commesso qualche errore. Vi sono due mezzi per eliminare più che è possibile I1 errore. Tanto più sarà minuziosa la ricerca altrettanto sarà di minore importanza Terrore commesso, e si tratterà più di questioni di forma che di sostanza ; e quanto più si saranno meditati a più riprese i punti controversi, tanto maggiore sarà la sicurezza di averlo evitato. A questo scopo, specialmente nell'introduzione e nei due primi libri della prima parte, o laddove lo ritenemmo opportuno, abbiamo divise le proprietà nelle loro parti semplici più che ci è stato possi- bile, indicando nelle dimostrazioni con molta frequenza le proprietà sulle quali esse si appoggiano; indicazioni che vanno diminuendo a mano a mano che si va innanzi, perché è inutile ripetere una pro- prietà di cui si è fatto uso contìnuo. Così, anche i punti deboli, se ve ne sono, risaltano maggiormente, permettendo ad altri di correggerli e di raggiungere quella perfezione che tutti dobbiamo desiderare nel- l'interesse della scienza. Ma bisogna anche guardarsi di non cadere nel pedantesco, dando troppa importanza a cose che non l'hanno, perdendo invece di vista le questioni di maggior conto. Pure facendo uso delle figure intercalate nel testo, nella prima parte le abbiamo indicate alla fine delle dimostrazioni per mostrare appunto che si deve più badare al ragionamento logico che ali' in- tuizione; mentre nella seconda parte le abbiamo indicate fin da prin- cipio acciocché il lettore ne faccia subito uso, e metta così in eser- cizio per quanto è possibile la sua intuizione spaziale adoperandola anche laddove mancano le figure ; senza per questo venir meno al ri- gore delle dimostrazioni. Certo che questo metodo minuzioso non è da consigliarsi nelle

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XXXIX ricerche superiori, perche condurrebbe a lungaggini inutili, essendo già il terreno in queste ricerche più facile e più sicuro alla deduzione. La scienza si svolge ormai in due direzioni, l'altezza e la profon- dita; né si può dire anche nella seconda direzione se si possa giun- gere ad una fine, poiché col mettere i principi sotto nuovi aspetti o in- troducendone di nuovi sempre nuove questioni si presentano, la cui trattazione serve a meglio approfondire le origini della scienza. Da principio non abbiamo avuto in mente di seriore questo libro per alcuna scuola; ma poiché uno degli scopi principali della scuola di ma- gistero di matematica annessa ad alcune delle nostre Facoltà di scienze almeno per ora è quello di preparare i futuri insegnanti delle scuole secondarie con conferenze intorno ai fondamenti delle materie d'inse- gnamento in queste scuole, crediamo che il nostro libro sia a ciò molto adatto, e possa quindi servire di guida nelle suddette conferenze. Questi insegnanti infatti non possono disinteressarsi del movimento scientifico intorno alle questioni relative ai fondamenti della scienza, che essi sono chiamati ad impartire, anche se naturalmente devono farlo in forma compatibile collo sviluppo intellettuale dei giovani, e colle esigenze degli altri insegnamenti. Essi possono poi contribuire moltissimo colla loro esperienza diretta alla soluzione del problema di- dattico. Ecco perché nel titolo del nostro libro abbiamo aggiunto Le- zioni per la scuola di magistero di matematica e tenemmo conto nel testo anche di questo scopo. Ed è anzi ad esso che si devono al- cuni maggiori sviluppi, che altrimenti potevano essere tralasciati. I giovani troveranno poi nell'appendice un'utile guida nello studio dei lavori di illustri maestri, che noi consigliamo ai nostri allievi della scuola di magistero. Il nostro libro potrà essere gradito anche da quei filosofi ai quali piace di occuparsi di tali argomenti, sebbene nell'esposizione siste- matica di queste ricerche abbiamo escluso a priori, per le ragioni dette innanzi, ogni considerazione di indole filosofica propriamente detta. Anche i più illustri matematici che si occuparono di tali questioni non andarono esenti da giuste critiche, pur avendo i loro lavori con- tribuito senza dubbio al progresso della scienza. Mi parrebbe quindi di peccare di poca modestia ritenendomi superiore ad ogni critica, specialmente in un lavoro così vasto; sebbene d'altra parte ho la coscienza di averlo meditato a più riprese, specialmente nei punti più controversi. Ma badando ai risultati ottenuti ho la certezza, e senza di questa non avrei pubblicato questo libro, di aver seguita una delle vie più semplici; ed ho eziandio la convinzione che ogni menda

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XL che potesse essere scorta eventualmente potrà esser tolta seguendo le medesime idee fondamentali. Debbo qui esprimere la mia alta riconoscenza verso S. E. il Mi- nistro della Pubblica Istruzione Pasquale Vi 11 ari e i membri della Giunta del Consiglio Superiore, che hanno voluto onorare quest* opera incoraggiandone la pubblicazione in conformità al R. Decreto 18 Mag- gio 1882. Così pure debbo ricordare con gratitudine l'egregio d.r Paolo Gazzaniga, professore al R. Liceo e libero docente di analisi nella R. Università di Padova per la revisione di buona parte del ma- noscritto, delle bozze di stampa e per gli utili consigli da lui avuti rispetto alla chiarezza di alcune considerazioni, specialmente nel prin- cipio dell'introduzione.

Table of Contents

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INDICE Prefazione...............pag. V-XL INTRODUZIONE Principi fondamentali delle forme matematiche astratte. CAPITOLO I. Nozioni e operazioni comimi. 1. Unità e pluralità Prima e poi Concetti e segni delle cose Operazioni del porre e dell'astrarre o del togliere......... pag. 1 2. Operazione del paragonare Principi necessari....... 3 3. Condizione di determinazione di una cosa Operazioni a senso unico e opera- zioni inverse........... 5 4. Gruppo di cose Concetto di fuori ......... C 5. Ordine di cose Successione o serie di cose........ 7 G. Gruppo ordinato Operazione dell'unire....... 9 7. Principi dell'operazione dell'unire.......... 10 8. Operazione dello scomporre Gruppo nullo Estensione dell'operazione del togliere . ............. 11 9. Serie e gruppo ordinato limitati e illimitati Serie limitata di la specie Serie di serie............... 12 CAPITOLO II. Prime proprietà delle forme matematiche astratte. % 1. Caratteri delle forme o grandezze matematiche astratte e concrete . . . pag. 15 2. Serie limitate e illimitate Serie limitate e illimitate di la specie ... 1C 3. Legge associativa di un gruppo ordinato Come l'operazione dell'unire possa non essere un'operazione a senso unico........ 19 4. Corrispondenza univoca e del medesimo ordine fra più gruppi .... 20 CAPITOLO III. Il numero nella sua prima formazione Numeri naturali. 1. Primo concetto di numero ........... pag. 26 2. Operazione del numerare Gruppi e numeri naturali Addizione . 27 3. Concetto di numero maggiore o minore di un altro Altre proprietà dei numeri. 3G 4. Sottrazione Moltiplicazione Divisione Numero zero .... 39

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XLIt CAPITOLO IV. Dei sistemi di elementi e in particolare di quelli ad una dimensione. % U Considerazioni empiriehe sul continua intuitiva rettilinea.....pag. 45 2. Elemento fondamentale Elementi e forme differenti di posizione e coincidenti in senso assoluto e relativo Leggi di determinazione oppure di esistenza o di costruzione delle forme........... 49 3. Determinazione delle forme Corrispondenza d'identità delle forme Concetto di maggiore e di minore............ 51 4. Sistema ad una dimensione Segmenti del sistema, loro estremi Segmento in- divisibile Versi del sistema semplice ad una dimensione chiuso od aperto Prolungamenti di un segmento nel sistema ...:... 55 5. Applicazione del linguaggio del movimento ai sistemi ad una dimensione. . 60 CAPITOLO V. Della forma fondamentale. 1. Definizione del sistema ad una dimensione omogeneo in un dato verso, e sue pri- me proprietà..............pag. 62 2. Prime proprietà del sistema identico nella posizione delle sue parti ... 65 3. Ancora delle identità di due forme. Forma fondamentale Necessità di essa Ipotesi I e II.............. 66 4. Operazioni dell'unire e del togliere sulla forma fondamentale e loro nuovo signi- ficato Segmento nullo Altra indicazione di un segmento percorso nei suoi due versi Relazione fra tre elementi qualunque della forma ... 68 5. Segmenti multipli e summultipli di un segmento dato della forma fondamentale, e loro simboli Scala, unità, origine e campo di essa Condizioni per l'uguaglianza delle scale Uguaglianza relativa di due segmenti rispetto ad un' unità Segmenti trascurabili rispetto ad un altro segmento ... 74 CAPITOLO VI. Segmenti finiti, infiniti, infinitesimi, indefinitamente piccoli e indefinitamente grandi Numeri infiniti. 1. Ipotesi (II) sul!' esistenza di elementi fuori del campo di una scala Segmenti fini- ti, infiniti e infinitesimi Segmenti finiti variabili Campo finito di una scala Ipotesi (IV) sulla determinazione dei segmenti infiniti Infiniti e infinitesimi di diversi ordini Loro proprietà Campi infiniti Elementi limiti ali' in- finito di diversi ordini............pag. 84 2. Numeri infiniti e infinitesimi di diversi ordini, loro proprietà e simboli . 99 3. Numeri transfiniti di Cantor Perché non possono applicarsi al confronto dei segmenti limitati della forma fondamentale ..*.... 102 4. Altra ipotesi (V) di costruzione dei segmenti della forma fondamentale Seg- menti e numeri infiniti d'ordine infinito Segmenti multipli e summultipli secondo un numero infinito Infinito, finito e unità assoluti Unità fonda- mentale................ 106 5. Legge associativa, commutativa della somma ; legge distributiva e commutativa della moltiplicazione dei numeri della classe (II) ...... 113 6. Unità di diverse specie Nuovo carattere dell'unità di misura ... 125 7. Divisione dei segmenti finiti in parti finite Segmento finito sempre decrescente Suo limite Segmento indefinitamente piccolo rispetto ad una data unità

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XLIII Ipotesi sulla continuità relativa ad un'unità Elementi limiti di un gruppo di elementi rispetto ad un' unità nella forma fondamentale .... pag- 125 8. Scomposizione di un segmento finito in n parti uguali Legge commutativa della somma di due o più segmenti consecutivi II segmento (AB) è identico allo stesso segmento percorso nel verso opposto rispetto all'unità finita Ele- menti limiti del gruppo di elementi ottenuto colla divisione successiva di un segmento in n parti uguali Altre proprietà degli elementi limiti dei gruppi rispetto ad un'unità............ 134 9. Ipotesi (VII) sui campi infinitesimi dei segmenti Infinitesimo e zero assoluto Scomposizione dei segmenti in un dato numero infinito di segmenti infinitesimi Indefinitamente piccolo in senso assoluto Segmenti finiti assoluti variabili sempre crescenti o decrescenti Ipotesi (Vili) sul continuo assoluto Discreto assoluto Elementi limiti assoluti di un gruppo di elementi sulla forma fon- damentale ............... 146 10. Divisione assoluta di un segmento in n parti uguali Determinazione delle scale rispetto ad un segmento dato come unità fondamentale Divisione di un segmento in 7] parti uguali Legge commutativa della somma di due o più segmenti consecutivi 11 segmento (AB) è identico al segmento opposto (BA) Elementi limiti del gruppo di elementi ottenuti colla divisione successiva di un segmento in t] parti uguali Altre proprietà degli elementi limiti asso- luti di un segmento dato Simboli che rappresentano le parti e gli elementi di un segmento Segmenti commensurabili di la e 2a specie, e segmenti incom- mensurabili .......... 152 11. Corrispondenza di proporzionalità fra i segmenti di una o più forme fondamentali 167 12. Estensione delle scale Campi finito, infiniti e infinitesimi intorno ad un ele- mento della forma fondamentale aperta o chiusa rispetto ad un'unità . . 173 13. Ancora dell'uguaglianza assoluta e relativa di due forme..... 175 CAPITOLO VII. Forme a più dimensioni Campo di tutte le forme Grandezza estensiva eà intensiva di una forma e in particolare della forma fondamentale. 1. Definizione delle forme a più dimensioni e loro campo.....pag. 177 2. Grandezza estensiva e intensiva delle forme e della forma fondamentale . . 177 CAPITOLO Vili (*). Numeri reali, relativi e assoluti, positivi e negativi. % 1. Verso positivo e negativo della forma fondamentale Segmenti positivi e nega- tivi Criterio di confronto fra gli uni e gli altri Convenzione dei segni -4- e 181 2. Numeri negativi e positivi Operazioni fondamentali dei numeri positivi e nega- tivi interi............... 183 3. Numeri frazionar! e loro operazioni fondamentali . ..... 189 4. Numeri reali, razionali e irrazionali, assoluti e relativi. . 196 CAPITOLO IX. Ultime considerazioni sulla forma fondamentale. % 1. Ipotesi riassuntiva della forma fondamentale Sua determinazione Forme fondamentali possibili............ 202 2. Considerazioni sulla scelta della forma fondamentale...... 203 (*) Di questo capitolo, come di altre parti dell'introduzione, non si fa uso nei fondamenti della geometria.

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ÌLIV PARTE PRIMA. La retta, il piano e lo spazio a tre dimensioni nello spazio generale. LIBRO I. La retta e le figure rettilinee in generale. CAPITOLO I. La retta e le figure rettilinee in generale Assiomi e ipotesi. % 1. Punto Assioma I Figura Spazio generale Geometria Sistemi di punti ad una dimensione............pag. 209 2. Assioma II Proprietà della retta.......... 213 3. Lunghezza di un segmento rettilineo o distanza di due punti in un segmento ret- tilineo Segmento e distanza di due punti sopra la retta aperta o chiusa Punti opposti della retta chiusa Raggi della retta..... 219 4. Ass. Ili Identità di due rette Figure rettilinee Triangolo ... 220 5. Punto limite di un gruppo di punti in generale Proprietà delle distanze di un punto dai punti di una retta .......... 222 6. Gruppi di punti che a due a due possono non determinare la retta ... 224 7. Segmento rettilineo limite di una serie di segmenti rettilinei Linea semplice Distanza di un punto dai punti di una linea semplice..... * 227 8. Ogni coppia di punti sulla retta aperta determina la retta Soltanto due punti opposti possono non determinare la retta chiusa......* 233 9. Corrispondenza d'identità fra due figure Coppia di rette Assioma V Teo- remi sulle figure rettilinee uguali......... 234 10. Ipotesi I e II sulla retta assoluta.......... 244 11. Triangolo con un lato infinitesimo Campo finito, infiniti e infinitesimi intorno ad un punto rispetto ad un'unità Campo finito assoluto Ipotesi III e IV 24G 12. Rette che uniscono un punto del campo finito con punti all'infinito . 255 13. Raggi e rette parallele............ 257 14. I due sistemi generali di geometria Sistemi di Euclide, di Lobatschewsky e di Riemann Ipotesi V............ 258 15. Primo assioma pratico o postulato di Euclide Indirizzo delle ulteriori ricerche e l'unità fondamentale............ 262 16. Retta completa.............. 263 17. Ipotesi VI Punti e figure opposte......... 265 18. Rette i cui punti determinano segmenti retti con un punto. L'ipotesi IV vale per ogni punto (dello spazio generale)........ 267 19. Rette e raggi paralleli assoluti e relativi Campo limite assoluto intorno ad un punto del campo finito Euclideo.......... 268 20. Raggi e segmenti paralleli dello stesso verso o di verso opposto ... 270 21. Figure uguali in senso assoluto e relativo........ 272 22. Segmenti congruenti e simmetrici sulla retta Sistemi continui di figure qua- lunque invariabili (nello spazio generale) Sistemi continui di segmenti invariabili sulla retta............ 274 23. Assioma II pratico Movimento reale sulla retta...... 279

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XLV LlRRO II. Il Piano. CAPITOLO I. // fascio di raggi e il piano Euclideo. 1. Settori angolari ed angoli di un fascio di raggi....... pag. 281 2. Il fascio (Rry, ) Settore angolare e angolo di due raggi Prime proprietà di essi Unità angolare............ 283 3. Settori angolari e angoli di un triangolo e di due triangoli uguali ... 288 4. Altre proprietà del fascio (Br)........... 291 5. Il parallelogrammo.............. 294 6. Teorema fondamentale sul triangolo.......... 296 7. Definizione del piano e sue prime proprietà Fasci intorno ai punti di esso. 299 8. L'identità del piano (Rr) intorno ai suoi punti del campo finito e a quelli all'in- finito Proprietà delle perpendicolari nel piano...... 305 9. Considerazioni sul sistema dei punti limiti assoluti all'infinito dei raggi di un fa- scio (Rr) rispetto al centro R........... 311 . 10. Parti in cui il piano viene diviso da una sua retta Parte interna ed esterna di un triangolo.............. 316 11. Angoli formati da due rette parallele con una trasversale comune Parti di una striscia piana rispetto ad una retta.......... = 322 12. Segmenti e distanze di un punto dai punti di una retta Distanza di due rette parallele................ 326 13. Altre proprietà dei triangoli........... 329 14. Figure simmetriche rispetto ad una retta......... 335 15. Circonferenza e cerchio Archi di circonferenza Corrispondenza fra gli archi, gli angoli e i segmenti della retta all'infinito....... 336 16. Punti comuui a due circonferenze nel piano Soluzione di problemi con la retta e il cerchio............... 343 17. Versi degli angoli, dei triangoli e dei fasci del piano Versi del piano . . 347 18. Figure congruenti e simmetriche nel piano........ 351 19. Sistemi continui ad una dimensione di figure invariabili nel piano ... 354 20. Movimento reale delle figure nel piano......... 358 CAPITOLO II. Il piano completo (o di Riemann). 1. Determinazione del piano completo Ipotesi VII....... pag. 361 2. Elementi polari e perpendicolari. ... *....... 363 3. Identità del piano intorno ai suoi punti.......- 365 4. Parti del piano completo rispetto ad una sua retta Parte interna ed esterna di un triangolo.............. 366 o. Segmenti e distanze normali Proprietà dei triangoli rettangoli ... 368 6. Figure simmetriche rispetto ad una retta nel piano completo .... 371 7. La circonferenza Punti comuni a due circonferenze..... = 371 8. Altre proprietà dei triangoli del piano completo....... 372 9. I versi degli angoli, dei triangoli e dei fasci del piano Versi del piano Fi- gure congruenti e simmetriche Sistemi continui di figure invariabili. . 374 10. Piani limiti assoluti di un punto......... . 375

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XLVI CAPITOLO III. Altre considerazioni sui sistemi di Euclide, di Lobatschewsky e dì Riernann. 1. Assioma delle parallele nel sistema di Lobatschewsky Perpendicolare ad una reità che la incontra e passa per un punto fuori della retta nei tre sistemi di geometria, indipendentemente dalle proprietà del fascio di raggi e del piano. pag. 376 2. Osservazioni sul piano di Lobatschewsky Altre proprietà che contraddistin- guono il sistema di Euclide supponendo date le proprietà comuni ai tre piani. La somma degli angoli del triangolo nel sistema di Lobatschewsky . . 380 LIBRO III. Lo spazio a tre dimensioni. CAPITOLO I. Lo spazio Euclideo a tre dimensioni. % 1. Costruzione della stella e dello spazio a tre dimensioni Prime loro proprietà pag. 385 2. Intersezioni di rette e piani dello spazio......... 387 3. Piano all'infinito Rette e piani paralleli........ 388 4. Identità dello spazio intorno ai suoi punti del campo finito Parti in cui lo spazio viene diviso da un suo piano......... 391 5. Rette e piani perpendicolari........... 393 6. Distanza di un punto da un piano, di due piani paralleli, di una retta ed un piano paralleli, di due rette............ 396 7. Angoli di raggi, rette, semipiani e piani......... 400 8. Identità dello spazio intorno ai suoi punti all'infinito e alle sue rette . . 405 9. Angoloide Triedro............. 406 10. Triedri uguali.............. 408 11. Tetraedro............... 409 12. Versi delle stelle, dei diedri, triedri e tetraedri. Versi dello spazio . . 412 13. Versi delle figure identiche Figure congruenti e simmetriche .... 417 14. Cono e cilindro.............. 420 15. Superfìcie sferica e sfera............ 423 16. Intersezioni di due e tre sfere........... 426 17. Sistemi continui di figure invariabili.........' 427 18. Movimento reale delle figure nello spazio......... 431 CAPITOLO II. Spazio completo a tre dimensioni. * 1. Stella e spazio completi Prime loro proprietà. Intersezione di rette e di piani...........- .... pag. 435 2. Figure polari............... 436 3. Identità dello spazio intorno ai suoi punti e alle sue rette Parti in cui esso viene diviso da un suo piano........... 438 4. Rette e piani perpendicolari........... 439 5. Distanza di un punto da un piano; di una retta da un piano e di due piani . 442 6. Angoli fra raggi, rette, semipiani e piani......... 444 7. Triedri................ 445

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XLVIt 8. Distanze di due rette............. pag. 446 9. Tetraedro............... 448 10. Versi dello spazio, dei suoi diedri, triedri e tetraedri Figure congruenti e sim- metriche............... 449 11. Cono, cilindro e sfera ............. 450 12. Sistemi continui di figure invariabili e movimento reale nello spazio completo Spazi a tre dimensioni limiti assoluti di un punto...... 454 13. Assioma III pratico............. id. PARTE SECONDA. Lo spazio a quattro e a n dimensioni nello spazio generale. LIBRO I. Lo spazio a quattro dimensioni. CAPITOLO I. Lo spazio Eit:liclco a quattro dimensioni. 1. Costruzione della stella di 2a specie e dello spazio a quattro dimensioni Prime loro proprietà............ . pag. 457 2. Intersezioni di rette, piani e spazi a tre dimensioni Fascio di spazi . . 460 3. Spazio all'infinito Rette, piani e spazi paralleli dello spazio Si Loro co- struzione con elementi del campo finito........ 463 4. Identità dello spazio S^ intorno ai suoi punti del campo finito Parti in cui S4 viene diviso da un suo spazio a tre dimensioni....... 466 5. Rette, .piani e spazi perpendicolari.......... 468 6. Distanze................ 475 7. Angoli......-......... 478 8. Identità dello spazio Sa intorno ai suoi punti all'infinito, alle sue rette e ai suoi piani................ 484 9. Triedri di 2a specie............. id. 10. Triedri uguali di 2a specie............ 487 11. Angoloide di m spigoli Quadriedro......... 488 12. Pentaedro............... 490 13. Versi della stella di 2a specie, dei triedri di 2a specie e dei quadriedri Versi dello spazio e dei pentaedri........... 493 14. Versi delle figure identiche Figure congruenti e simmetriche .... 497 15. Cono e cilindro aventi per vertice una retta Coni e Cilindri di la e di 2a spe- cie aventi per vertice un punto.......... 499 CAPITOLO II. Spazio completo a quattro dimensioni. % 1. Proprietà principali dello spazio completo........ 503

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XLV1II LIBRO IL Lo spazio Euclideo a n dimensioni. CAPITOLO I. Lo spazio Euclideo a n dimensioni. 1. Definizione e costruzione della stella di (n 2)wa specie e dello spazio a n di- mensioni ............... pag. 509 2. Intersezione di spazi nello spazio a n dimensioni....... 510 3. Spazi duali in Su Piramide fondamentale in Su...... 512 4. Numero delle dimensioni dei sistemi di spazi di date dimensioni nello spazio Su 513 5. Alcune proprietà dello spazio completo a n 1 dimensioni..... 514 6. Spazio all'infinito dello spazio Euclideo Sn Spazi paralleli .... 519 7. Identità dello spazio Sn intorno ai suoi punti del campo finito Parti in cui esso viene diviso da un suo spazio a n 1 dimensioni..... 521 8. Spazi perpendicolari............. id. 9. Distanze Angoli Identità dello spazio intorno ai suoi spazi Sm- 524 10. Angoloide ennispigolo o enniedro Piramide fondamentale in Sn . . . id. 11. Triedri, quadriedri eco. Enniedri di specie differenti...... 528 12. Versi degli enniedri e delle piramidi fondamentali nello spazio 8n - id. 13. Versi delle figure identiche Figure congruenti e simmetriche .... 531 14. Superficie sferica a n 1 dimensioni.......... 532 15. Linee e superficie o sistemi continui nello spazio generale, e di dato ordine nello spazio Sn,............... 533 16. Superficie coniche in uno spazio a n dimensioni, che hanno per vertice un punto 541 17. Coni e cilindri aventi per vertice uno spazio S,n....... 543 8 18 Altre proprietà della sfera S2 n-\.......... 544 19. Intersezioni di due, tre ecc. n sfere a n 1 dimensioni in Sn . . . . 546 20 Sistemi continui di figure invariabili in Su........ 547 8 21. Applicazione del linguaggio del movimento ai sistemi di figure invariabili . 549 CAPITOLO IL Operazioni del proiettare e del segare in Sn. Applicazione di esse allo studio delle configurazioni di un numero finito di spazi in ogni spazio Sr (r ^ n\ 1. Operazioni del proiettare e del segare Figure ornologiche complete . . pag. 550 8 2. Applicazioni al piano e allo spazio #3......... 558 3. Configurazioni generali di un numero finito di punti o di spazi.... 560 Aggiunta Primi principi di geometria analitica a n dimensioni Osservazioni sulla geometria proiettiva assoluta........... 562 APPENDICE Studio storico e critico dei principi della geometria Sulle definizioni di spazio e di geometria di n dimensioni Sul movimento senza deformazione Sulle de- finizioni di angolo di due raggi o di due rette aventi un punto comune Os- servazioni su alcune dimostrazioni contro l'infinitesimo attuale ... 566 Indice dei nomi................ 627 Errata Corrige................ 629

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INTRODUZIONE PRINCIPII FONDAMENTALI DELLE FORME MATEMATICHE ASTRATTE CAPITOLO I. Nozioni e operazioni comuni. 1- Unità e pluralità, Prima, e poi Concetti e segni delle cose. Operazioni del porre e dell'astrarre o del togliere. 1. Penso l). 2. Penso una cosa o più cose 2). Es. Il mio io è una cosa ; gli atti del pensiero, un giudizio, un raziocinio, gli animali e le piante sono più cose. 3. Penso prima una cosa, poi una cosa. Def. La cosa pensata prima nomino prima cosa, la cosa pensata poi (dopo) nomino seconda cosa. 4. Def. Ciò che corrisponde nel pensiero ad una cosa si chiama idea, con* cetto o rappresentazione mentale della cosa 3). 5. Ind. Una o più cose o concetti si indicheranno con segni, ad es. con let- tere dell'alfabeto. Def. Dico che questi segni rappresentano quelle cose, e che queste cose corrispondono ai loro segni e sono rappresentate dai loro segni 4). i ) Con ciò esprimo la facoltà e Patto del pensare. 2) Vedi oss. n. 8. Quando si pensa si pensa qualche cosa. Penso nessuna cosa, significa: non penso. 3) Noi non intendiamo di definire o di sottosegnare ogni espressione nuova della quale facciamo uso nel discorso e tanto meno di definire ogni espressione mediante quelle che la precedono, ma sol- tanto sottosegniamo o definiamo i concetti e le operazioni che servono a stabilire i principi sulle forme matematiche astratte. Dichiariamo inoltre una volta per sempre che ai vocaboli usati di mano in mano nelle definizioni e nel discorso ne sostituiremo altri che esprimano i medesimi concetti senza bisogno di avvertenza speciale, evitando però gli equivoci, e senza introdurre di nascosto concetti che devono essere spiegati e definiti. Osserviamo anche che le definizioni nominali, i concetti e le operazioni che mano mano spie- gheremo o definiremo hanno valore soltanto nei casi in cui le consideriamo; che se poi anche in altri casi si usano per analogia le stesse denominazioni, ciò non significa che per i nuovi enti debbano valere le stesse leggi e si debbano trovare nelle stesse condizioni degli enti prima definiti. E finché questi nuovi enti non vengano considerati non occorre nemmeno tenerli presenti. 4) È chiaro che questa def. o indipendente dall'ordine in cui si possono considerare i segni che rappresentano una cosa.

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Osa. Se A e B rappresentano un concetto, o come diremo anche un solo con- cetto, s'intende che A e B non rappresentano più concetti (2). 6. Def. Se penso una cosa dico che la cosa è data o posta dal pensiero ; se penso ad una cosa dico che la cosa è data o posta al pensiero. Es. La costruzione di un giudizio è una cosa posta dal pensiero; Carlo uomo è una cosa data al pensiero (vedi n. 18). 7. Def. I. Se date o poste prima più cose (3), ad es. A, B, C, D; io penso poi (3) alle cose A, B, Cy dico che astraggo o faccio astrazione da D, o anche che tolgo D dalle cose date. A, , C, si dicono cose rimanenti. Def. II. Pensare tutte le cose date, oppure ogni (ciascuna) cosa data si- gnifica non fare astrazione da alcuna di esse. 2. Operazione del paragonare Principi necessari. 8. Paragonare le cose A e B fra loro significa applicare i principi: I. Il concetto A è 11 concetto A (principio d'identità). Def. I. Se A e B rappresentano un solo concetto e, il concetto e rappre- sentato da A è il concetto e rappresentato da B (def. oss. 5 e I). Diremo: II concetto A è il concetto B o è lo stesso concetto B l). a. Se il concetto A è il concetto B, si deduce : il concetto B è il concetto A. Poiché per ipotesi A e B rappresentano un solo concetto (def. I), B e A rappresentano un solo concetto (def. 5), da cui si deduce a. (def. I) 2). b. Se il concetto A è il concetto B, e il concetto B è il concetto C, si de- duce: il concetto A è il concetto B. Il concetto rappresentato da A e da B è il concetto rappresentato da B e da C, perché B per ipotesi rappresenta un solo concetto ; dunque lo è da A da B da C (def. 5), e perciò anche da A e da C (def. 5), da cui b (def. I) 3). IL II concetto A non è 11 concetto B (principio di diversità che è la negazione di quello di identità). Def. IL Dico : il concetto A è diverso dal concetto B, se il concetto A non è il concetto B. Oss. Il concetto una cosa è diverso dal concetto più cose (2). III. Il concetto A è A e non è non - A (principio di contraddizione). Def. III. Diremo: A è e non è A o più semplicemente: A è non -A è assurdo. IV. Il concetto A è o non è 11 concetto B (principio del mezzo escluso fra i contradditorii). e. Se il concetto A non è il concetto B, il concetto B non è il concetto A. i) Si badi bene che non è il segno A uguale al segno , ma il concetto rappresentato da A che è il concetto rappresentato da B. In segni la def. I non esprime altro che Ar.c, Br.c. Qui con e inten- diamo il concetto dato stesso. 2j In segni da Ar.c, Br.c si deduce Br.c, Ar.c (def. 5} ; si deduce a fdef. I). 3} In segni: Ar.c, Br.c; Br.c, cr. e, si deduce Ar.c Br.c, Cr.cfdef. 5) ; si deduce Ar.c, Cr.c (def. 5). si deduce (def. I),

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3 B è A o non - A (IV). Se B è A^ A essendo per dato non - Bì si ha: B è e non è B (b\ ciò che è assurdo (III, def. III). Def. IV. Il risultato (conseguenza) dell'operazione del paragonare le cose A e B si chiama relazione tra A e B. Def. V. L'espressione: Più cose coincidenti significa una cosa (una sola cosa). Più cose che non sono una sola cosa (nel senso del n. 2) si chiamano distinte le une dalle altre. Oss. I. Quando parleremo senz' altro di più cose intenderemo che siano distinte. Def. VI. La proposizione: la cosa A è 'aguale alla cosa B significa: il con- cetto della cosa A è il concetto della cosa B (4). Si dice che in questo para- gone le cose A e B hanno una relazione di uguaglianza (def. IV). Segue da ciò e da a. d. Se A è uguale a B, B è uguale ad A. Def. VII. Quando A e B sono uguali hanno la stessa rappresentazione mentale nella relazione di uguaglianza (def. VI; 4), e quindi pensare ad A è come se si pensasse alla cosa B; diciamo perciò che le possiamo sostituire una all'alerà nel loro concetto o nella loro determinazione, o che si possono scam- biare fra loro. e. Se A è uguale a B e B è uguale a C segue: A è uguale a C. (def. VI e 6). Def. Vili. Se il concetto della cosa A non è il concetto della cosa B (II) le cose A e B si dicono diverse, la loro relazione dicesi relazione di diversità. f. È assurdo: A è uguale e non uguale a B. Difatti ciò significa che il concetto B (che è quello di A (b e def. VI), è e non è lo stesso concetto B (e), il che è assurdo (III, def. III). g. Se A non è uguale a Bt B non è uguale ad A. Difatti se B non è non uguale ad A è uguale ad A (IV), ed allora A è uguale a B (d), il che è assurdo (f). h. Se A è uguale a B ed A non è uguale a C, B non è uguale a C. Difatti se fosse B uguale a C sarebbe A uguale a C (e), contro l'ipo- tesi (IV). 9. Def. I. Contrassegno di una cosa è ciò per cui possiamo paragonarla con altre cose. Se delle cose A e B consideriamo un solo contrassegno M, esse sono uguali perché corrispondono al solo concetto M (def. I, VI, 8). Diremo che A e B sono uguali rispetto al contrassegno M. Def. IL Se le cose A e B sono uguali rispetto ad alcuni loro contrasse- gni e non rispetto ad altri, dirò che hanno comuni quei contrassegni rispetto ai quali sono uguali. Es. Cajo è uguale come uomo a Tizio, ma Cajo e Tizio possono essere diversi ri- spetto ad altri loro contrassegni. Def. Ilf. Se le cose A e B distinte (def. V, 8), ciascuna considerata nel suo concetto (4), sono uguali rispetto a tutti i loro contrassegni che conside- riamo, vale a dire corrispondono allo stesso concetto rispetto ad essi, le

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4 diremo uguali in senso assoluto o semplicemente uguali od anche identiche (vedi oss. III). E scriveremo A = 1?, da cui B = A (d, 8). Def. IV. Se sono uguali soltanto rispetto ad alcuni contrassegni, le diremo uguali in senso relativo o equivalenti. E scriveremo A = B, da cui B = A (d, 8). Oss. I. Se non si tien conto che di una sola uguaglianza, nel primo caso pos- siamo scrivere A = B e nel secondo A == B. Def. V. Tanto nell'uno come nell'altro caso A e B si chiamano memori (termini) dell' uguaglianza. Oss. II. Nel primo caso possiamo sostituire le cose A e B una all'ai tra rispetto a tutti i loro contrassegni : nel secondo caso invece possono scambiarsi rispetto ai soli contrassegni comuni (def. VII, 8). Dalle def. Ili e IV segue: a. Le cose A e B possono essere identiche in un solo modo, mentre pos- sono essere equivalenti in modi diversi secondo i contrassegni rispetto ai quali si possono considerare uguali. Oss. III. Le cose A e B identiche se sono distinte (def. V, 8) sono però diverse nel senso che non sono una sola cosa, ma di questa diversità non si deve tener conto nella loro relazione di identità, ossia si considerano come se fossero una sola cosa o coincidenti (def. V, 8). Se si tenesse conto anche della loro diversità, ad una cosa A non si potrebbe sostituire nessun'altra cosa distinta da A. Bisogna però che non sia contradetta l'identità A = A (i, 8) vale a dire non deve risultare che A è e non è A (III, 8). Def. VI. Se le cose A e B sono distinte, anche se sono identiche, possia- mo dire che hanno una posizione diversa. Oss. IV. Così più cose non possono essere diverse se in fondo non sono uguali rispetto a qualche loro contrassegno, se non altro per essere ciascuna di esse una cosa. Ma quando le diciamo identiche non teniamo conto della loro diversità di po- sizione; e quando le diciamo diverse non teniamo conto dei contrassegni comuni (def. II) i). b. Se A e B sono segni di una stessa cosa o del medesimo contrassegno di una cosa si ha: A = B oppure A = B. Difatti il concetto di A è il concetto di J5, poiché ^u B rappresentando una stessa cosa o il contrassegno di una cosa, rappresentano anche il con- cetto di questa cosa o di questo contrassegno: e quindi il concetto del segno A è il concetto del segno B (def. I, 8), dunque b (def. VI, 8). Oss. V. In seguito alle considerazioni precedenti risulta che A rispetto ad al- cuni contrassegni è B, mentre rispetto ad altri, per lo meno perché B e A non sono I) Quando si definiscono o si costruiscono nuovi enti mediante quelli già studiati o un errore lo- gico definire la loro uguaglianza, se questa parola deve conservare il suo significato primitivo e ge- nerale qui esposto e se dalla definizione i nuovi enti sono in so pienamente determinati. Stabiliti in- fatti i contrassegni dei nuovi oggetti, gli oggetti A e B saranno uguali se si potranno sostituire uno all'altro nelle relazioni A=A, B B, e da questa sostituzione si ricaveranno poi le condizioni di ugua- glianza dei nuovi enti vedi ad es. cap vili. È dai suddetti principi di identità e di diversità che trarremo in seguito quelli per le forme matematiche astratte e per le figure della geometria, senza bisogno di ricorrere al movimento dei corpi senza deformazione,

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5 una sola cosa, A non è B. E da osservare che qui non vi è assurdo (def. IH, 8) per- ché non risulta nel medesimo paragone che uA è e non è -# ma sarebbe assurda un uguaglianza dalla quale risultatse nel medesimo paragone anche in un solo caso A è e non è U . 3. Condizione di determinazione di una, cosa. Operazioni a senso unico e operazioni inverse. 10. Def. I. Si dice che A è condizione di B quando B non può essere senza di A. Diremo anche che A è condizione di un'operazione se senza di A non è possibile questa operazione. Se questa operazione ha per risultato By A è condizione di B. Def. II. Quando diremo ad es. che A, B, C, D determinano l'oggetto X intenderemo che A, B, C, D sono condizioni di un'operazione dalla quale si ottiene l'oggetto X, o che date le condizioni è dato l'oggetto stesso. Nel primo caso si dice che A, B, C, D servono a costruire l'oggetto X9 e in ogni caso che X dipende dalle condizioni che lo determinano. E se Y non determina X, X è indipendente da Y. Es. Siccome mediante i contrassegni di una cosa la distinguiamo dalle altre cose (def. I, 9), così i contrassegni sono le condizioni di determinazione della cosa. 11. Def. I. Una cosa, si dice, è determinata in modo unico da date condi- zioni quando quella e solo quella cosa è data da queste condizioni. Ma sic- come anche se vi fossero più cose determinate da date condizioni per distin- guerle le une dalle altre dovremmo avere altre condizioni : e queste e le prime determinerebbero una cosa soltanto, così quando diremo che una cosa è deter- minata da date condizioni intenderemo che lo sia in modo unico, eccetto che non sì dica diversamente. Def. IL Analogamente se un'operazione da un solo risultato si dice a senso unico. a. Il porre e il togliere una cosa sono operazioni a senso unico. Vale a dire posta una cosa A (6) non si pone che A, e facendo astrazione da A (7), si fa astrazione soltanto da A. Se ponendo infatti una cosa A si ponesse un' altra cosa B, si porrebbero più cose e non una (oss. 8). Analogamente per l'operazione del togliere. 12. Def. I. Se da A si ottiene B con un'operazione p, l'operazione colla quale da B si deduce A si chiama operazione inversa di p. a. Il porre e il togliere sono operazioni inverse. Difatti porre A significa considerare la cosa A, togliere A significa non considerare la cosa A prima pensata (6, 7).

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6 4. Gruppo di cose. Concetto di fuori . 13. Def. I. Penso insieme più cose date che non si contraddicono fra loro e tali che togliendo ciascuna di esse (7) non tolgo alcun'altra, delle cose date. Il risultato di questa operazione nomino gruppo (aggregato, molteplicità o sistema) delle cose date l). Es. 1. Ho ad es, l'idea A, poi l'idea B; dunque ho avuto più idee, cioè A e B (2). Considerando poi insieme queste idee ho il gruppo d'idee A e B. Es. 2. Sono dati più oggetti ad es. la penna, il calamaio, il libro ecc. Pensando insieme questi oggetti ho il gruppo di essi. Def. II. Diremo che le cose date sono nel gruppo, costituiscono o formano il gruppo o appartengono al gruppo, e che il gruppo è composto da esse. Def. III. Per evitare talvolta distinzioni inutili e dannose, anziché dire: un oggetto (cosa), diremo anche: un gruppo di un solo oggetto. Oss. Delle cose date non può essere una contenuta nell'altra e tanto meno il gruppo può essere una delle cose date. Se ciò fosse, facendo astrazione da essa (7) si farebbe astrazione da un'altra cosa data o dalle altre cose date. Ind. Gli oggetti di un gruppo che non sono gruppi di più oggetti li in- dicheremo in generale con lettere A, , C ecc. e i gruppi coi simboli (A), (B), (C) ecc. Def. IV. Se ogni oggetto di un gruppo (A) (def. II, 7) è un oggetto di un gruppo (.B), si dice che (A) appartiene al gruppo (B). Def. V. Se poi non tutti gli oggetti di (B) sono oggetti di (A), diremo che A è parte o sottogruppo di (B). Un gruppo si chiama anche tutto rispetto alle sue parti. a. Se (A) è sottogruppo di (B) e (B) è sottogruppo di (C), (A) è sottogrup- po di (C). Difatti ogni oggetto di (A) è oggetto di ( ), che è oggetto di (C), dunque ogni oggetto di (A) è oggetto di (C) (e, 8; def. V). Ma vi sono oggetti di (C) che non sono oggetti di (B) (def. V), i quali non possono appartenere ad (A) perché ogni oggetto di (A) è oggetto di (B) (def. V; IV, 8), dunque a 2). Def. VI. Un gruppo (A), si dice, è fuori di un gruppo (B) quando (A) o una parte di (A) non appartiene a (B) 3). Def. VII. Un gruppo (X) si dice comune a più gruppi (A), (B), (C) quando ogni oggetto di (X), è oggetto dei gruppi (A), (B), (C). Def. Vili. Una cosa qualunque del gruppo, o scelta ad arbitrio, nel gruppo significa che appartiene al gruppo senza essere necessariamente una cosa de- terminata del gruppo stesso. 1) Qui ci appoggiamo sull' operazione del pensare o considerare insieme nella sua espressione più semplice (Vedi il n. 29 nel quale sono stabiliti i principi di questa operazione). 2) Si dedacono imme iatamente altri teoremi analoghi dalle def. IV e V mediante la diretta ap- plicazione di e, 8. Ad es. se (A) appartiene a (B) e (B) appartiene a (e), (A) appartiene a (C); ed an- che: se (A) è sottogruppo di (B) e (B} appartiene a (C), (A) è sottogruppo di (CJ; ecc. 3) II concetto di fuori non include necessariamente quello di spazio, poiché se non altro resi- stenza formale di un oggetto fuori di un gruppo è determinata dalla negazione, cioè che non appar- tiene al gruppo dato. La negazione in questo caso è giustificata dal principio stesso del mezzo escluso fra i contradditori (IV, 8). perché questo principio non avrebbe vigore se non vi fossero cose B fuori di A, o cose A fuori di B (Vedi a, 37).

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5. Ordine di cose Successione o serie di cose. 14. Def. L La -prop.: Pensare le cose A e B nell'ordine AB significa pen- sare prima A e poi B (3). Considerando A e B come date in questo ordine (def. 6) diremo che si succedono nell'ordine AB. Relativamente a quest'ordine abbiamo detto che A è la prima e B la seconda cosa (3) ; diremo anche che A precede B, e B segue A. 15. Def. I. Ripetere il concetto A significa porre prima il concetto A e poi porre ancora il concetto A (6 e 3). a. La ripetizione di un concetto A è un'operazione a senso unico. Difatti ripetendo il concetto A (def. I) si ha soltanto il concetto A e non altro (def. I; a, 11 e 3). 16. Def. Se date più cose A, B, C, D, E, F, G, H, L, M, N.... (i puntini so- stituiscono le lettere), pensiamo prima ad A, poi a Bì e così via *), diremo che pensiamo le cose date, o che le cose date si seguono nell'ordine ABCDEFGHLMN..., nel quale A è la prima, B la seconda, C la terza, D la quarta, E la quinta cosa; e così via usando un nuovo vocabolo per ogni cosa considerata, in modo che per ripetizioni diverse usiamo vocaboli diversi 2). 17. Def. Considerare le cose A, B, C, D, E, F, G, H, L, M, N... ordinate, senza che sia dato il loro ordine, significa che le consideriamo una dopo l'al- tra, o successivamente. 18. Oss. Se esprimiamo ad es. un giudizio, noi possiamo giudicare poi ad es. se questo giudizio è o no esatto: in tal caso il giudizio si considera come cosa data al pensiero. Analogamente più cose poste prima dal pensiero possiamo considerarle poi come date al pensiero nell'ordine nel quale le abbiamo considerate, oppure indipen- dentemente da questo ordine, vale a dire facendo astrazione da esso (7). E inversamente: siccome ad una cosa data al pensiero corrisponde un con- cetto (4) mediante il quale noi la confrontiamo colle altre cose (8), così per mezzo di questo concetto la possiamo considerare come posta dal pensiero. Vale dunque il se- guente principio : Una cosa posta dal pensiero si può considerare poi come data al pensiero, e inversamente. 19. Def. Considerare la successione o serie di cose ABCD.... N.... significa considerare le cose ABCD....N.... nell'ordine ABCD....N.... L'ordine ABCD....N.... si chiama ordine della, successione 3). 20. Def. I. Diremo anche che A è nel primo posto della successione o anche che occupa il primo posto nella successione, B il secondo, C il terzo, D il 1) cosi ma significa che s'intende ripetuta la stessa operazione per le cose date senza conside- rarle una per una. 2) vedi def. IH, 47. 3) La successione delle nostre idee, o il poter considerare più cose una dopo l'altra, ci ^intuire qualche cosa senza la quale noi non potremmo svolgere il nostro pensiero, e questa qualche cosa è il tempo. Ma il concetto del prima e del poi non include necessariamente quello del tempo, vale a dire che non se ne possa fare astrazione. L'intuizione poi è quella facoltà colla quale il nostro spirito si assicura direttamente dell'esistenza di una cosa, e prende forme diverse secondo l'oggetto che si con- sidera. Cosi l'intuizione del tempo e quella dello spazio.

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8 quarto, e va dicendo (16); appunto perché la loro posizione è diversa non es- sendo una cosa sola, anche se sono identiche (oss. 8, def. Ili, oss. Ili, def. VI, 9). Def. IL Se indichiamo con A\ B', C9 Z)'... i posti della successione occupati da A, B, C, ! ..., vale a dire con le stesse lettere accompagnate da apici, di- remo che le cose A, B, C, I),... sono contenute nella successione A'S^CfU ecc. ed anche nella successione ABCD ecc. Oss. I. Le cose della successione anche se identiche occupano posti differenti nella successione (def. VI, def. Ili, oss. Ili, 9, oss. 8). Es. Io ho l'idea A, poi l'idea #, poi l'idea C; ABC formano una successione di idee nell'ordine ABC. Nella mia mente A occupa il primo posto, B il secondo e C il terzo 1). a. Cose diverse della serie occupano posti diversi nella serie. Perché per cose diverse usiamo vocaboli diversi, corrispondendo ad esse ripetizioni diverse (def. I e 16). 21. Tnd. Con Xì Y, Z, intenderemo cose qualunque della serie (def. Vili, 13 che vale anche per la serie). Def. Data una cosa qualunque X della serie ABC....X....Y.... qualunque (16, 19, def. Vili, 13) dico che le cose ABC...X, fatta astrazione da X (7.) pre- cedono o sono prima di X, e le rimanenti cose della serie (7) seguono o sono dopo di X nell'ordine della serie. a. La prima cosa della serie non ha cose che la precedono (def.). b. Ogni cosa X di una serie ABC...Y... e distinta da un'altra cosa qua- lunque Y della serie precede o segue la cosa Y (def. e a, 20). 22. Def. Se in una serie una cosa X non ha cose che la seguono o sono dopo di essa, si dice che X è Vultima cosa della serie. 23. Def. Se X precede Y e Z segue Y in una data serie, si dice che Y è compresa fra X e Z, e che Y e Z sono separate da X. Le cose di una serie che seguono una cosa X e precedono una cosa Z si chiamano anche interme- die fra X e Z nella serie. 24. Def. Se la prima cosa che segue una cosa qualunque X nella serie è Y, Y si chiama consecutiva seguente di X, e X consecutiva antecedente di Y. 25. Ind. Indicheremo una serie di oggetti anche con un solo segno ad es. con una lettera greca. Def. I. Una serie jS si dice contenuta in una serie, o che appartiene ad una serie a, quando gli oggetti di fi sono oggetti di a, e quando gli oggetti che precedono o seguono ogni oggetto X in jS precedono o seguono l'oggetto X in a. Def. II. Diremo che jS nel caso precedente è parte di a se in a vi sono oggetti che non appartengono a jS. Tuttavia, finché non diremo diversamente per parte jS di una serie a intenderemo una serie contenuta in a i cui oggetti consecutivi sono anche consecutivi in a (24). i) Anche il concetto di posto o di posizione astratta non Include necessariamente quello di spa- zio (Vedi nota 3, n. 13).

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6. Gruppo ordinato. Operazione dell'unire. 26. Def. I. Date le cose A e B nell'ordine AB, si consideri insieme B con A, o come diremo anche si unisca B ad A; e più generalmente, data una serie qualunque di cose secondo la condizione della def. I, 13 (19, 18) l) si applichi o si intenda compiuta questa operazione per le cose successive della serie (16, 19); il risultato di questa operazione chiamasi gruppo o tutto ordinato. Oss. Nel gruppo secondo la def. I, 13 non entra come contrassegno di questa operazione l'ordine in cui la si eseguisce. Es. Prima ho avuto l'idea A e poi l'idea B (3). Nell'operazione : considero in- sieme B con A tengo conto appunto dell'ordine in cui ho avuto le idee A e B* men- tre nel gruppo delle idee A e B secondo la def. 13 non tengo conto di questo ordine. Ind. Questo tutto lo indicheremo col segno AB, dove le lettere A e B si seguono nell'ordine delle cose corrispondenti nel tutto. Così se alla cosa AB si unisce la cosa data C, si ha un tutto ordinato che indicheremo col simbolo (AB)C. Se a questo si unisce la cosa data D si ha un tutto che indicheremo con ((AB)C)D. E così via. In generale un gruppo ordinato lo indicheremo con un segno della forma (A). Def. IL Diremo che gli oggetti dati formano o compongono il gruppo nel dato ordine, e che il gruppo si compone o è l'insieme degli oggetti dati nel- l'ordine stabilito. 27. Def. I. Un gruppo ordinato (A) appartiene al gruppo (B), se gli oggetti di (A) sono oggetti del gruppo ordinato (B), e la serie di (A) appartiene alla serie di (B) (def. I, 25). Def. li. Diremo anche che (A) è parte o sottogruppo di (B) se vi sono og- getti di (B) non contenuti in (A), e, se non si dirà diversamente, intende- remo anche che la serie di (A) sia parte della serie di (B) nel senso indicato nella def. II, 25. a. Gli oggetti A, B, C,...., N.... di un gruppo ordinato che compongono il gruppo (def. I) sono parti del gruppo. Sono infatti gruppi di un solo oggetto, dati ciascuno da una serie di un solo oggetto ; supponendo estesa anche al caso della serie la def. Ili, 13. b. Se il gruppo ordinato (A) apparitene al gruppo ordinato (B), e (B) al gruppo ordinato (C), (A) appartiene al gntppo ordinato (C). Ogni oggetto di (A) è oggetto di (B), che è oggetto di (O) (e, 8). Di più gli oggetti consecutivi di (A) sono oggetti consecutivi di (B) (def. II, 25); e questi, che sono gli oggetti considerati di (A), sono consecutivi di (C) (e, 8 e def. I). e. Se (A) è sottogruppo di un gruppo ordinato (B) e (B) è sottogruppo di un gruppo ordinato (C), (A) è sottogruppo di (C). Il gruppo ordinato (A) appartiene a (C) appartenendo a (B) (b). Come i) Vedi anche def. i, II, 32 e def. Il, 33.

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10 pel teorema , 13 sì dimostra che non tutti gli oggetti dì (C) sono oggetti di (A) '). d. Un gruppo non ordinato determina più gruppi ordinati. Difatti ogni oggetto del gruppo dato può essere considerato come primo oggetto, ogni altro come secondo e così via. Ind. Il gruppo che si ottiene dall' unione di un gruppo (B) ordinato o non ad un gruppo (A) ordinato o non, lo indicheremo col simbolo [(A) (B)]. 28. La serie non è un gruppo ordinato. Difatti nel concetto di serie (19) manca l'operazione dell'unire, come fu spiegato al n. 26; esso significa soltanto che sono date o pensate le cose della serie nell'ordine stabilito (es. 26). Osa. La serie ci da un tutto ordinato quando le cose della serie A B CD....Assono unite nel medesimo ordine fra loro. E quando considereremo la serie come gruppo la intenderemo, come gruppo ordinato. Si vede però che non si tien conto dell'operazione dell'unire, le parole serie e gruppo ordinato corrispondono allo stesso concetto e pos- sono scambiarsi fra loro. 7. Principi dell'operazione dell'unire. 29. I. L'atto semplice del considerare insieme più cose date in un dato ordine o indipendentemente dal loro ordine è a senso unico (def, II, 11). II. Pensando insieme o no più cose in un dato ordine o indi- pendentemente da questo ordine non si pensa alcuna cosa che non sia una delle cose date 2). III. Unire I9 oggetto C ali9 oggetto B unito all'oggetto A, signi- fica unire 1' oggetto C al tutto ottenuto dall' unione di B ad A, ovvero significa unire il tutto dato dall'unione di C a B coll'og- getto A (principio di associazione). ABC = (AB) C (1) ABC A (BC) (2) a. Unire l'oggetto C al tutto ottenuto dalV unione di B ad A equivale al- l'unire il tutto dato dall'unione di C con B all'oggetto A. Difatti da (1) e (2) si ha: (AB) C A (BC) ( , 9 e III). Oss. L Finché non si dirà diversamente l'operazione dell'unire sarà conside- rata in questo senso 3). 1) Vedi la nota 2, 13. 2) In questo modo è evitato che nel gruppo ordinato o non, o nella serie di cose date si conside- rino anche cose che conseguono dalle prime secondo certi principi. 3) Vedi nota n. 4. Alcuni autori indicano coirunire nn'operazione generale, mentre per noi ha qui un senso particolare ben determinato. Ad es. Stolz (Vorles. ub. Alg. Arith. Leipzlg. 1885 voi. I, pag. 2) per eindeutige verHnupfung (che si può tradurre per combinazione od unione a senso unico) delle grandezze a 6 e.,., di un dato sistema intende una regola secondo la quale a ciascuno oppure ad alcuni gruppi ab corrisponde soltanto una grandezza e di questo o di un altro sistema E per in- dicare la Verknupfung usa i segni o, O ecc. E scrive a o 6=c, e legge a con b è e. La Verknttpfung è presa in questo caso in senso generale. Anche l'operazione l\2 (A-4-B) è una Verknupfung che è com- mutativa ma non associativa (1. e. nota 2 al cap. m pag. 380. Veggasi anche HanKel: Vorles. ub. compi. Zahlen, 1867 pag. 21). Che A o B=l\2 (A+B) si possa leggere se si vuole A con B è C essendo C=i\2 (A+J5) non v'é dubbio, ma il con in questo caso non ha più il suo senso primitivo e comune, e non corrisponde più all'unione più semplice di B con A.

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11 b. Se i gruppi qualunque (A) e (B) ordinati o non, contengono ciascuno tutti gli oggetti dell'altro, ma non aggruppati diversamente, si ha (A) = (B). Difatti dati gli oggetti di (A) coli'operazione dell'unire si ha un solo gruppo (I, def. II, 11). Dunque se (B) fosse diverso da (A) (def. Vili, 8) si ot- terrebbero dagli stessi oggetti più gruppi e non un solo (oss. 8), contro il prin- cipio I. e. I sottogruppi di un gruppo ordinato (A) sono sottogruppi del gruppo formato dagli oggetti di (A) indipendentemente dal loro ordine. Gli oggetti di (A) sono oggetti del gruppo (A') da essi formato considerane doli indipendentemente dal loro ordine, perché così facendo non si astrae da alcuno di essi, altrimenti considerandoli di nuovo nell'ordine dato si pense- rebbe un altro oggetto, contro II. Se (T) è un sottogruppo qualunque del gruppo ordinato (A) (def. Vili, 13), esso da un gruppo (T) che appartiene al gruppo (A'), e poiché in (A) vi sono oggetti fuori di (T) (def. II, 27), ad es. l'oggetto X, così al gruppo (T') di (A) non appartiene X (II). Oss. IL Se gli oggetti di (A) e (B) sono aggruppati in modo diverso ma nello stesso ordine l'uguaglianza risulta dal principio III (vedi a, 40). 8. Operazione dello scomporre Gruppo nullo Estensione dell'operazione del togliere. 30. Def. Scomporre una cosa data X in parti è l'operazione colla quale si determinano delle parti AiB,C,Dr...,N che insieme unite danno il tutto X. a. Lo scomporre è l'operazione inversa dell'unire. Perché date le parti ABCD... N.... dall'unione di esse si ottiene il tutto, e collo scomporre si ottengono le parti ABCD... N... del tutto (def. 12). 31. 0*5. I. Se tolgo dalle parti ABCD,.. N... di un gruppo una o più parti, ma non tutte, le parti non tolte sono le parti rimanenti (7). Def. I. Per esprimere che togliendo tutte le parti dal tutto non vi è al- cuna parte rimanente, diremo che nulla rimane. Per evitare distinzioni inu- tili, o che facendole complicano le questioni, diremo anche che si ottiene in tal caso un gruppo nullo 1). Conv. Nell'operazione del togliere una o più parti dal tutto d'ora innanzi riterremo compresa l'operazione dello scomporre il tutto in parti, quando la scomposizione non è già eseguita. Oss. IL In questo senso le operazioni dell'unire e del togliere si possono consi- derare come inverse, imperocché la prima operazione dalle parti ci da il tutto, men- tre la seconda, eseguita la scomposizione, dal tutto ci fa conoscere ciascuna p rte facendo astrazione dalle altre (7). Oss. III. Se si tratta di un gruppo ordinato, l'operazione del togliere, essendo inversa di quella dell'unire, segue nell'ordine inverso dell'operazione dell'unire. i) In questo caso il nulla si considera per convenzione come qualche cosa, vale a dire come un gruppo di nessuna cosa.

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12 9. Serie e gruppo ordinato limitati e ilUmtati Serie limitata, di 1* specie Serie di serie. 32. Def. I. Se una serie ha un primo ed un ultimo oggetto (22) si dice limitata. Es. La serie delle mie idee ABC è limitata. Def. //. Se la serie non ha un' ultima cosa si chiama illimitata o senza fine, e quindi se ogni oggetto della serie data ha una cosa consecutiva seguente (24) la serie che si considera è illimitata *). 33. Def. I. Quando le cose A, B, C, D,..., JV,... di una serie si considerano in un nuovo ordine, in modo che le cose che precedevano e seguivano una data cosa la seguono, rispettivamente la precedono, nel nuovo ordine, la nuova serie e il nuovo ordine si chiamano inversi od opposti alla serie e all'ordine dati. a. La serie inversa dell'inversa di una serie data è la serie data stessa. In altre parole nell'ordine inverso dell'inverso le cose si succedono nello stesso ordine della prima serie. Difatti le cose che precedono e quelle che se- guono una cosa qualunque X nella serie data, la seguono, rispettivamente la precedono, nell'ordine inverso (def. I); e nell'ordine inverso dell'inverso la precedono, rispettivamente la seguono (def. I). b. L'ultimo oggetto di una serie è il primo oggetto della serie inversa. Perché tutte le cose che precedono un oggetto nella prima serie lo se- guono nell'ordine inverso (def. I), e quindi tutte le cose che precedono l'ultima nella prima (22) la seguono nella seconda. Es. Nell'ordine AB delle cose AB, A è la prima e B la seconda; neU'ordine in- verso BA, B è la prima ed A la seconda. b'. Se in una serie una cosa è compresa fra due altre, lo è pure nella se- rie inversa. Difatti se la cosa B è dopo di A e prima di C nella serie data, le cose date si seguono nell'ordine ABC (16); e nella serie inversa C è la prima ed A è l'ultima, quindi la B è pure compresa fra A e C (def. 23). b". Se una serie non ha un ultimo oggetto, la serie inversa non ha un primo oggetto. Difatti se lo avesse, la serie data avrebbe un ultimo oggetto (b). Oss. /. La serie inversa ha però nel caso b" l'ultimo oggetto (def. 19). Def. II. In tal caso diremo che la serie inversa non ha principio, ed è pure illimitata, come diremo illimitata una serie che non ha né primo né ul- timo elemento. Oss. li. Possiamo considerare non solo che siano date più cose A,B, C, D...N... al pensiero ma possiamo anche ritenere, senza cadere in contraddizione, che l'ordine sia un contrassegno proprio delle cose date (18). i) il concetto di successione di cose date (19) è indipendente dal fatto che questa serie sia o no li- mitata, e quindi i contrassegni di limitato e illimitato non sono in contraddizione col concetto di serie già dato. La negazione è anche in questo caso sufficiente a stabilire astrattamente l'esistenza della serie illimitata, perché non o in contraddizione col concetto di serie limitata, che la prima comprende in sé. il concetto del Ti 11 imitato come si vedrà non o precisamente quello dell'infinito.

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13 34. Def. I. La serie limitata, o illimitata, data può essere considerata come gruppo ordinato (oss. 28). Il gruppo ordinato che ne risulta si chiama limitato o illimitato. Def. IL Considerando le cose ABCD... N... di una serie limitata o illi- mitata come costituenti un gruppo (13), questo gruppo nel primo caso (def. I) dicesi limitato nell' ordine ABCD... N... della serie ; e nel secondo caso dicesi illimitato nell'ordine stesso. 35. Oss. La prima formazione della serie si ottiene colla semplice ripetizione del medesimo atto mentale (15), e la prima serie così ottenuta ha una prima ed ultima cosa. Diamo quindi la seguente : Def. Una serie limitata che non contiene come parte alcuna serie illimi- tata (def. II, 32; def. I, 25; def. II, 33) si chiama serie naturale o limitata di la specie. a. Ogni cosa X di una serie limitata di la specie ha una consecutiva se- guente e una consecutiva antecedente. Se X non ha una consecutiva antecedente e non è la prima, significa che vi sono cose nella serie che la precedono (def. 21). Fra una qualunque Y di queste e X vi è dunque un'altra cosa della serie, altrimenti Y sarebbe conse- cutiva antecedente di X (24), contro l'ipotesi. Dunque la serie data conterrebbe come parte una serie illimitata che precederebbe X, il che è assurdo (def.). X non può avere più consecutive antecedenti, ad es. Y e Z, perché o Y precede Z, o Z precede Y (b, 21), dunque nel primo caso Y è consecutiva antecedente di Z, e Z consecutiva antecedente di X. Analogamente nel secondo caso; dun- que X non può avere più consecutive antecedenti. Slmilmente si dimostra che X deve avere una consecutiva seguente. 36. Def. Se nessuna cosa nella serie è ripetuta (15) la serie dicesi semplice. a. Ogni serie può essere ritenuta come una serie semplice. Essendo diversi i posti occupati nella serie dalla stessa cosa (20) possiamo indicare la cosa ripetuta in ogni ripetizione con un segno diverso dai prece- denti, e quindi supponendo che la cosa ripetuta rappresenti più cose distinte vale la proprietà della def. per tutte le cose della serie. Oss. II. Quando non diremo diversamente intenderemo che la serie sia semplice. b. In una serie semplice date le cose qualunque A, J9, C\ \ o A è com- presa fra B e C; 2 o B è compresa fra A e C; 3 o C è compresa fra A e B. Difatti data la cosa A, le altre cose o la precedono o la seguono nella serie (6, 21), dunque o B e C seguono o precedono .A, oppure B precede A e C segue A ; o finalmente C precede A e B segue A. Se B e C seguono A nell'or- dine della serie, in questo ordine o sarà prima B o C. Se è prima B, B è com- presa fra A e C, perché B segue A e precede C (23); analogamente se è prima C, C è compresa fra A e B, e si ottengono i casi 2 e 3. Se B e C precedono A basta considerare la serie inversa alla data, e vale per questa il ragiona- mento precedente. Ma se una cosa è compresa fra altre in una serie lo è an- che nella serie inversa ( ', 33); dunque hanno luogo gli stessi casi secondo e terzo. Finalmente negli altri casi A è compresa fra B e C. 37. a. Data una cosa A determinata, se non è stabilito che A è il gruppo di

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14 tutte le cose possibili die vogliamo considerare, possiamo pensarne uri* altra non contenuta in A (vale a dire fuori di A) e indipendente da A. Difatti considerando ha cosa data A, la facciamo corrispondere ad un atto a del pensiero (4), e ripetendo ad es. una cosa B di A} che non sia un gruppo (def. I, 13; def. I, 26), se A è essa stessa un gruppo ordinato o non ordinato, e riguardando come contrassegno delle idee (9 e 4) l'ordine in cui si succedono (16), la seconda idea di B (3) è distinta dalle idee corrispondenti alle cose della prima (def. V, 8). Indicando questa seconda idea di B con #, la cosa ff è uguale a B (oss. HI, 9) ma non coincide con B essendo distinta da essa (IV, def. V, 8). Così se la seconda idea corrisponde a tutta la cosa A, riguardando l'or- dine come contrassegno delle cose pensate si ha un'idea A' distinta da A ed uguale ad A, ma che non coincide con A, altrimenti A e A' non sarebbero di- stinte (def. V; e IV, 8 e 18). E poiché l'atto mentale a cui corrisponde A' possiamo ritenerlo indipen- dente dall'atto cui corrisponde A, così A' è indipendente da A. Se si dice invece che A contiene tutte le cose possibili che vogliamo pen- sare, con ciò escludiamo priori le cose non contenute in A. Oss. /. La negazione che una cosa non appartiene ad A, o il concetto di fuori (def. VI, 13) ha dunque sempre valore logico e'quindi scientifico,, applicabile anche al caso del gruppo ordinato. Avremo cura però ogniqualvolta faremo uso di questa legge nel campo ristretto delle nostre forme possibili di aggiungere altre ragioni in appoggio di essa. Es. Dato lo spazio intuitivo S, separando l'idea del punto da quella dello spazio (vedi oss. emp. parte I, 1) se non si dice che lo spazio intuitivo contiene tutti i punti possibili, possiamo pensare un altro punto fuori di S, vale a dire uguale agli altri punti ma distinto da essi; oppure un altro spazio S" intuitivo uguale a Sma distinto da S. a. La serie delle cose cìie si ottiene ponencf/) una cosa B fuori di un'altra A, una cosa C fuori del gruppo AB, e così via, è illimitata. Perché supposto che si ottenga un ultimo gruppo A si può immaginare un' altra cosa B fuori di A (a). b. Una serie limitata o illimitata può contenere come parte un'altra serie illimitata. Difatti quando si dice che una serie è limitata non significa che essa non possa contenere un'altra serie illimitata come parte (def. II, 25), perché essa è limitata soltanto pel fatto che ha un primo ed ultimo oggetto (def. I, 34) ; ma ciò non da alcuna proprietà sugli oggetti intermedii (23). Nel caso del teorema a, A (o B} può essere anche un tutto limitato o illimitato ottenuto da una serie limitata o illimitata di serie limitate o illimitate considerate ciascuna come un oggetto. Se si ha il tutto MN ove M. è dato da una serie illimitata, MN è una serie limitata, e in questa seconda serie M è la prima cosa. Oppure se la se- rie M ha un primo oggetto A, la serie MN ha per primo oggetto A e per ul- timo oggetto N. Def. Se nelle successioni ABCD..., A'B'CD'..., limitate o no si ha A = A', B = B\ C C", D = JD' ecc. si dice che le cose delle serie sono ordinatamente o rispettivamente uguali.

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CAPITOLO II. Prime proprietà delle forme matematiche astratte. I- Caratteri delle forme o grandezze matematiche astratte e concrete. 38, 0ss, /. Le cose che vogliamo d'ora innanzi considerare oltre i contrassegni di tutto e di parte, di ordine o di serie hanno anche per contrassegno il modo con cui sono poste o date (9). L'ordine ci assicura quando una cosa è posta prima o dopo di un'altra, il modo riguarda invece le altre relazioni possibili di posizione (def. VI, 9 e def. IV, 8) che supponiamo esistano e non siano contenute nel concetto di ordine. Questa ipotesi non contraddice ai principii precedenti dovendo essere que- ste relazioni di posizione indipendenti dalle altre. Es. 1. Posta l'idea A% ripeto l'idea A e poi ancora l'idea A. Se si tien conto del tempo trascorso in ogni ripetizione si ha una relazione di posizione non compresa nel concetto di semplice successione e di ordine, poiché il tempo trascorso nella prima ripetizione può essere differente da quello trascorso nella seconda. Es. 2. Io pronuncio prima la vocale a a voce bassa e poi pronuncio la vocale e a voce alta; l'altezza della voce da una relazione di posizione non compresa nel con- cetto di ordine in cui pronuncio le vocali a ed e. Noi supponiamo inoltre che questi contrassegni siano determinati per via di ipotesi o di costruzioni possibili *). Def. L Le cose i cui contrassegni sono tutto, parte, ordine e modo di po- sizione, o che si possono paragonare mediante questi contrassegni (8 e 9) si chiamano forme o graiidezze matematiche astratte; anche se si fa astrazione (7) da alcuni dei suddetti contrassegni. Ma finché non diremo diversamente intenderemo che le forme abbiano tutti i contrassegni considerati 2). 1) Abbiamo già detto nella prefazione a quali condizioni devono soddisfare un'ipotesi, una co- struzione o una dimostrazione matematica. Qui basta logicamente la semplice ipotesi che possono esi- stere tali relazioni all'infuori del concetto di ordine. Gli esempi citati sono un di più, ma l'ipotesi non è dipendente da essi. Abbiamo qui evitato di ricorrere ad esempi geometrici appunto per allon- tanare il sospetto che il modo con cui sono poste le parti nel tutto sia necessariamente dipendente dall'idea di spazio. Al n. 41 ricorriamo anche ad esempi tratti dai corpi e dalle loro qualità. 2) Questa definizione delle forme matematiche astratte vale certamente per tutte quelle che noi considereremo, ma non intendiamo però che questa definizione debba essere assoluta e quindi circo- scriva fin d'ora il campo della matematica. Come ho avvertito nella nota del n. 4 non cerco defini- zioni o spiegazioni che valgano in ogni caso, ma soltanto nei casi che mano mano si presentano. Eu- clide non spiega in nessuna parte dei suoi Elementi il concetto di grandezza, come del resto non ne spiega molti altri. H. Grassmann chiama grandezza ogni cosa che deve essere posta uguale o disu- guale ad un'altra cosa (Lehrbuch der Arithmetik, Berlin 1861, p. i). Questa definizione per la grandezza matematica, accettata anche da Stolz (1. e. p. 5) a me pare troppo ristretta nel senso in cui è intesa da Grassmann nel libro suddetto il concetto dell'uguale; mentre in generale è invece indeterminata, se non si dice rispetto a quali contrassegni sono uguali o disuguali e se non si aggiunge anche che deb- bano potersi determinare nei loro stati onde si rendano suscettibili di confronto le loro modificazioni. Per noi questi contrassegni sono tutto e parte ordine e modo di posizione. Secondo Stolz (1. e. pag. 2) tutte le cose che sono confrontate (verglichen) con una cosa si dicono omogenee (glejchartige) e for-

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16 Def. IL Se ad un concreto (oggetto reale esistente fuori del pensiero) cor- risponde una forma matematica astratta, l'oggetto dato si chiama forma ma- tematica concreta 1). 2. Serie limitate o illimitate Serie limitate o illimitate di prima specie. 39. Def. I. Le forme di un gruppo o di una serie, se teniamo conto del solo fatto che esse appartengono al gruppo o alla serie (def. IV, 13, o def. I, 27 e def. I, 29, 7) le chiameremo elementi del gruppo o della serie. Def. IL Diremo che una serie segue tiri altra serie quando ogni elemento della prima segue ogni elemento della seconda (21), e diremo che la seconda serie precede la prima. a. Una serie limitata jS che segue una serie limitata a da colla prima una serie limitata 7. Difatti nell'ordine della serie risultante (aj8) = y gli elementi di a pre- cedono quelli di ]3, e gli elementi di ]3 seguono quelli di a (21). Poiché gli ele- menti di a e j3, eccetto l'ultimo di /5, precedono questo elemento in 7 (21), e in 7 non vi sono altri elementi oltre a quelli di a e jS (II, 29; def. 26 e oss. 28), l'ultimo elemento di ]3 non ha in 7 elementi che lo Seguono; e perciò è l'ul- timo elemento di 7 (def. 22 e def. I, 32). a'. Una serie illimitata ]3 che segue una serie limitata o illimitata a da colla prima una serie illimitata 7. Difatti l'ordine di a e jS ci da l'ordine della serie 7 (def. II, 16 e 19), e poiché ]5 segue a, e jS non ha un ultimo elemento (def. II, 32), non lo ha nep- pure 7. Se lo avesse, esso sarebbe un elemento di /5 ; ma in jS vi è un elemento che lo segue che appartiene pure nello stesso ordine a 7 (def. II, 32), dunque è assurdo che 7 abbia un ultimo elemento (IV, 8). a". In una serie limitata la serie che segue una serie limitata, parte della serie data, è pure limitata. Difatti se fosse illimitata la serie data sarebbe illimitata (a'). mano un sistema di grandezze. Ma tutte le cose possono essere confrontate con una cosa data, per- ché appunto dal confronto risulta che sono o non sono la cosa data (IV, 8} e il sistema di grandezze omogenee matematiche non ci pare cosi ben definito (Vedi def. Ili, n. ili). Stolz aggiunge che due cose siccome non possono essere uguali in ogni loro contrassegno è troppo dire, secondo Grassmann, che due cose sono uguali quando in ogni giudizio si può porre runa al posto dell'altra, e che nel suo libro ciò avviene soltanto nelle formule (1. e. p. 2). Cioè giusto, ma bisogna osservare che due cose si possono dire identiche od uguali quando il concetto dell'una è il concetto dell'altra considerata cia- scuna in sé e non in relazione di posizione con altre cose (def. IH, oss. II, HI, 91, oss. Ili, 58). Grass- mann però nella sua Ausdehnungslehre (Leipzig 1844) da, appoggiandosi sul criterio del discreto e del continuo, un concetto più determinato delle grandezze matematiche, ed osserva che per le forme bi- sogna stabilire diverse relazioni di uguaglianza e di diversità. DU Bois Reymond nel libro Die Allg. Functionentheorie (Tiibingen 1882), si occupa dei concetti fondamentali matematici : Grandezza, limite, argomento e funzione; ma non definisce astrattamente il concetto di grandezza (1. e. 14). studia una grandezza fondamentale che riferisce alla rappresentazione della retta e che non definisce astratta- mente in tutte le sue parti. Su ciò avremo occasione di ritornare quando tratteremo della nostra for- ma fondamentale (vedi 2a nota, 71). 1) Da ciò o chiaro che per studiare con rigore logico le forme matematiche concrete bisogna per lo meno stabilire i principi fondamentali delle forme astratte che corrispondono alle prime,in quanto che noi ragioniamo non già sugli oggetti reali ma sulle corrispondenti rappresentazioni mentali (4).

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17 a'". La serie che segue una serie limitata in una serie illimitata a è pure illimitata. Difatti se fosse limitata darebbe colla prima una serie limitata ( ). Def. IH. Divo che una serie illimitata che ha un primo elemento è illi- mitata di la specie se le sue parti limitate aventi per primo elemento quello della serie data SODO di prima specie (def. 1, 32; def. II, 25 e 35). b. Ogni serie limitata di una serie illimiltata di la specie è di la specie. Se la serie limitata /? ha il primo elemento nel primo elemento della se- rie illimitata essa deve soddisfare a questa proprietà (def. HI). Se non ha lo stesso primo elemento significa che nella serie illimitata esiste una serie x che la precede (def. IL), Se 0 non è limitata di la specie (35) significa che deve contenere come parte una serie illimitata (35), ma la serie afi è limitata (a) collo stesso primo elemento della serie illimitata di 1* specie, dunque essa conterrebbe come parte una serie illimitata (e, 26; oss. 28), il che è assurdo (def. Ili e 35). e. La serie immersa di una serie limitata di la specie è pure limitata di la specie. Difatti sia ABCD....LM la serie data che ha A come primo ed M come ultimo elemento (10, 16 e def. I, 32). La serie inversa ML....DCBA è limitata perché M è il primo ed A è 1' ultimo elemento di essa (a, 33), Ora se la se- conda serie contenesse una serie illimitata ad es. ML.....X..... precedente la serie DCBA (def. II), nella serie ML.....X.... non vi sarebbe un ultimo elemento (def. II, 32) e perciò nella serie data D non avrebbe un elemento consecutivo seguente (24), perché se lo avesse esso sarebbe l'ultimo elemento della serie ML....X che precede DCBA nella serie inversa ( ', 33), e quindi la serie data non sarebbe limitata di prima specie (35). d. La serie che segue una serie limitata in una serie illimitata di la spe- cie a è pure illimitata di la specie. Difatti è illimitata ( "); se non fosse illimitata di la specie dovrebbe contenere almeno una serie illimitata e degli elementi fuori di questa serie (35 e def. III). Ma siccome gli elementi di essa sono per dato elementi di a, a non sarebbe illimitata di la specie (def. I, li 25 e def. III). e. Una serie illimitata contenuta in una serie illimitata di I* specie è pure di la specie. Dim. analoga alla precedente (def. I, 25). f. Ogni sottogruppo di un gruppo ordinato naturale è pure un gruppo or- dinato naturale. Difatti se non fosse tale la serie dei suoi elementi sarebbe per lo meno illimitata di la specie (25; oss. 28; 35, def. III.), e quindi la serie del gruppo dato conterrebbe una serie ilimitata contro l'ipotesi (35 e oss. 28; def. II, 25) g. Ogni gruppo naturale (A) che contiene come parte un gruppo (B) col primo elemento nel primo elemento di (A), si ottiene da (B) colla semplice unione successiva di altri elementi. O in altre parole la serie degli elementi di (A) che segue (B) è limitata di la specie (def. II; 35; def. I, 26; oss. 28; def. Il, 25). Se non lo fosse do-

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18 vrebbe contenere almeno una serie illimitata, e quindi (A) non potrebbe es- sere un gruppo naturale (e, 26; 35). h. Se (A), (B) sono sottogruppi qualunque di un gruppo ordinato (C) aventi per primo elemento quello di (O, e non tutti gli elementi di (B) sono elementi di (A\ (A) é^ottogruppo di (B). Significacene (B) ha elementi che seguono quelli di (A) perché ogni ele- mento che precede in (C) un elemento qualunque di (A] appartiene ad (A) (def. 21, def. II, 27 e oss. 28); dunque ogni elemento di (A) precede ogni ele- mento di (B) (def. 21 e oss. 28), dunque A) è parte di ( )(def. II, 27). i. I sottogruppi di un gruppo ordinato (A) illimitato di la specie die si ottengono dal primo elemento unendo successivamente gli elemeuti del gruppo al precedente sottogruppo, formane una serie illimitata di 1* specie. Tutti questi sottogruppi per dato hanno lo stesso primo elemento (16, def. II, 27). Ciascuno di essi deve essere un gruppo ordinato naturale, (def. Ili; 26 e 35). Se tutti i sottogruppi suddetti formassero una serie limitata vi sarebbe un ultimo sottogruppo (B) di (A), il cui ultimo elemento X sarebbe anche ulti- mo elemento di (A), perché se vi fosse in (A) un elemento Y consecutivo seguente di -X, il sottogruppo (B) non sarebbe I1 ultimo ma bensì (B) Y (22) ; dunque il gruppo (A) sarebbe limitato contro I1 ipotesi. La serie deve essere il- limitata di la specie, che altrimenti conterrebbe un sottogruppo limitato che non sarebbe di la specie e per dato parte di (A), il che è assurdo (6). I. Data una serie limitata o illimitata di la specie ABCD....LM.... per di- mostrare che una proprietà P vale per tutte le forme della serie basta dimostrare: 1. Che P vale per la prima forma A della serie. 2. Che supposto valga per una forma X scelta ad arbitrio nella serie vale anche per la consecutiva seguente. Supponiamo che le forme della serie data che hanno la proprietà P diano una serie $*, la quale per (1) e (2) sarà parte della serie data da (def. II, 25). La $' non può essere limitata perché per ogni forma data di essa valendo la pro- prietà P vale anche per la consecutiva seguente di d che appartiene perciò alla 8* (2). Ma se in vi fossero altre forme non contenute in ff, non sarebbe il- limitata di la specie perché conterrebbe almeno un sottogruppo limitato che non sarebbe di la specie (def. Ili); quello cioè dato da ^ e dall'elemento di $ fuori di $; dunque ecc. T. Se ima proprietà P vale per ogni forma data di una serie illimitata di la specie vale per tutte le forme della serie. Difatti se vale per ogni forma data X vale anche per la consecutiva se- guente, che è la prima forma dopo X, e quindi il teor. è dimostrato (O 'X i) 11 sig. B. Efdmann già conosciuto dal pubblico matematico pel suo lavoro Die Axlome der Geo- metrie (1887), nella sua Memoria Zur Theoriedes Syllogismus u. der Induktion. Phti. Aufsàtze-Eduard Zeller 1887. pag. 197-238 osserva che è inesatto chiamare la dimostrazione secondo le due regole di I dimostrazione per induzione completa, perché l'induzione contiene sempre un' ipotesi e cioè che una verità che ha luogo in alcuni casi di una serie valga anche negli altri casi della serie ; la dimostra- zione egli dice o perfettamente deduttiva sebbene il criterio direttivo sia induttivo. Bisogna però di- mostrare come abbiamo fatto noi che la serie $ è contenuta nella serie 5\ come ^ o contenuta in . Come si vede però I è una conseguenza immediata delle def. della serie limitata e illimitata di 1 spe- cie. Nel nostro ordine di idee, che ci pare il più naturale nella costruzione delle prime serie, limi- tate e illimitate, '3, 14, 15, 16, oss. 35, def. Ili), il principio suddetto deriva da questa costruzione come proprietà speciale di queste serie.

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19 4- Legge associala di un gruppo ordinato Come V operazione dell'unire possa, non essere un'operazione a senso unico. 40. a. Dati più sottogruppi di un gruppo ordinato che non hanno alcun elemento comune ma che contengono tutti gli elementi del gruppo ì il gruppo può ritenersi dato dall'unione successiva dei sottogruppi nell'ordine in cui si se- guono nel gruppo dato. (Legge associativa dell1 unire). Si ha infatti: (ABC) D = ((AB) C)D== (AB) CD = (A (BC)) DE=A(BC)D==A ((BC) D) = ==A(B (CD)) == (AB) (CD) = ABCD (a, 29). Supponiamo che ripetendo successivamente questa dimostrazione la pro- prietà suddetta valga per il gruppo ordinato naturale dato dalla serie ABCD.... A^. Si avrà perciò : (ABCD....AJ BI == ABCD.^A^ intendendo col simbolo (ABCD.. ..A^) B^ che Bl è unito al tutto (ABCD....A,) avente per ipotesi la suddetta proprietà, mentre col simbolo ABCD....A1B1 s'in- tende che Bl è unito ad Au già unito a ecc., già unito a D, già unito a C, già unito a B già unito ad A. Si avrà perciò: ((ABCD....AJ B,) C, = (ABCD....AJ B (a, 29). ~ ABCD....AÌB ( , 9; i, 29). E siccome per ipotesi si ha ad es.: ABCD....MN....A ==(ABCD....M) (N....A ) si ha pure : ABCD^A^^ = (ABCD^.M^N.^.A^) C, = (ABCD....M)(N....A,B1C1). Vale a dire si possono togliere le parentesi del gruppo naturale dato dalla serie ordinata ABCD^.^B^ se si possono togliere nel gruppo dato dalla serie ABCD^^A^. Ma questo gruppo si ottiene dal gruppo consecutivo pre- cedente coli' unione di un altro elemento (def. I, 26; oss. 28), e siccome per il gruppo dato dalla serie ABC vale questa proprietà (IIlt 29), così vale anche per ogni gruppo limitato di un gruppo illimitato di la specie (def III, i, I 39). Si vede facilmente che la proprietà vale per tutto il gruppo (Z*, 39). 11 teorema vale anche nel caso che la serie delle forme che compongono il gruppo ordinato non sia di la specie. Difatti il tutto che deriva da una serie illimitata di 1* specie (oss. 28), e che indicheremo con Ted ha la proprietà sud- detta, va consideralo come una sola forma alla quale vengono unite altre forme. Se si unisce a T un1 altra forma A' si ha il tutto TA'. Ma T è anche TT'\ ove T è un sottogruppo limitato di Te la cui serie di elementi ha lo stesso primo elemento, e T" è il sottogruppo rimanente; quindi avremo: In altre parole un gruppo illimitato in unione con altre forme viene scom- posto in una serie limitata di sottogruppi che contengono tutti gli elementi

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20 del gruppo dato e senza aver alcun elemento comune, e a questa serie in unione colla prima delle forme date è applicabile il principio di associazione. Se la serie delle altre forme date non avesse una prima forma si lascia scom- porre anch'essa in una serie limitata di sottogruppi, di cui essa rappresenta l'unione successiva (26), II teor. è così in ogni caso dimostrato. Oss. S'intende che T unire si riferisce qui a cose già date in posizione, e nel senso del semplice considerare insieme. 40. Oss. Se nell'operazione dell'unire considerando come condizioni di essa (def. I, 10) il modo di posizione delle parti fra loro e l'ordine di esse (oss, e def. I, 38). allora evidentemente il tutto dipenderà dal modo e dall'ordine con cui sono unite le sue parti e l'unione non sarà più a senso unico, potendo essere diversi gli ordini e i modi di unione delle parti. Da ciò si deduce che se le parti A, JB, C, D di un tutto sono ordinatamente uguali alle parti di un altro tutto (def. 37), non risulta perciò che il primo tutto sia uguale al secondo ; bisogna che siano anche gli stessi T ordine e il modo di posizione delle parti nel tutto (def. Ili, 9). Può anche darai che il tutto ABCD sia identico al tutto A'ITC'D'* ma non sia identico al tutto D* C1 A' inverso al prece- dente. E perciò quando diciamo forme uguali le dobbiamo intendere tali nell'ordine in cui sono uguali, dato, come dobbiamo suppore da principio e in generale, che in un altro ordine non siano uguali. Es. 1. Colle stesse pietre di mosaico di colore diverso e supposte uguali ri- spetto agli altri loro contrassegni si possono formare diversi mosaici. Possono es- sere poste nello stesso ordine rispetto alla loro successione e in modo differente, (formando disegni diversi) ; o nello stesso modo (formando lo stesso disegno.) e in or- dine differente. La differenza di ordine è data in tal caso dalla differenza di colore. Es. 2. Coi pezzi di un bicchiere rotto unendoli insieme in un dato ordine e in un dato modo si ottiene il bicchiere primitivo (fatta astrazione dalie leggi fisiche), ma unendoli altrimenti si ottiene in generale un altro tutto non identico al bicchiere dato. 5. Corrispondenza univoca, e nel medesimo ordine fra più gruppi. 40. Def. I. Quando tra gli elementi A e X, B e 7, C e Z ecc., che appar- tengono rispettivamente ai gruppi (A) e (^4') esiste o si stabilisce una rela- zione qualsiasi comune (def. IV, 8) e tale che dato un elemento del primo gruppo qualunque (def. Vili, 13) sussista qnesta relazione rispetto ad uno o più elementi del secondo gruppo, si dirà che i gruppi si corrispondono secondo la relazione suddetta. Gii elementi A e X, B e Y, C e Z ecc. si dicono elementi corrispondenti dei gruppi dati. Def. IL Se ad ogni elemento A del primo gruppo corrisponde un solo elemento A' del secondo, e ad ogni elemento A' di questo corrisponde lo stesso elemento A del primo e questo solo, si dice che gli elementi dei gruppi dati si corrispondono univocamente, e la corrispondenza si chiama univoca e re- ciproca o soltanto univoca 1). 1) Noi non ci occupiamo che di queste corrispondenze univoche, e quindi quando parleremo di corrispondenze univoctie intenderemo anche reciproche. La reiasione di corrispondenza è qualunque

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2t Oss. ì. Nessun elemento di un gruppo significa che si fa astrazione da ogni ele- mento del gruppo (7 e 29), quindi nessun eleménto non è elemento del gruppo (IV. 8;; dunque non può essere che ad un elemento del gruppo nella corrispondenza univoca corrisponda nessun elemento dell' altro gruppo. Es. 1. Così fra le forme e i loro segni vi è una corrispondenza univoca se ad ogni segno corrisponde una cosa e ad una cosa un segno (5). Oss. IL Se i grappi (A) e (#) sono ordinati e si corrispondono univocamente in modo 1 che gli elementi corrispondenti siano compresi fra elementi corrispondenti, e quando essendo limitati il primo elemento s'intenda compreso fra l'ultimo e il se- condo, e l'ultimo fra il primo e il consecutivo antecedente (24) dell1 ultimo (penultimo), 2 che agli elementi che precedono un dato elemento corrispondono elementi che precedono l'elemento corsispondente al dato, è giustificato dire che i gruppi (A) e (/?) si corrispondono nel medesimo ordine. Difatti la posizione relativa degli elementi corrispondenti nei gruppi rispetto alla definizione 21 (14, 16 def. VII, 8) è la stessa ') Def. Ilf. Circa i gruppi (A) e (B) che soddisfano alle condizioni dell' oss. precedente, si dice che si corrispondono univocamente e nel medesimo ordine. Se è soddisfatta soltanto la prima condizione dell'osservazione II diremo che (A) e (5) si corrispondono univocamente in ordine inverso. Es. 2* Una serie di cose e la serie dei concetti corrispondenti (4), si corrispon- dono univocamente e nel medesimo ordine. Es. 3. Se dati i gruppi ABCDE, A'B CD'E1 si fa corrispondere C' ad A, D' a J5, E1 a C, A ad D, ad E, e inversamente; i gruppi si corrispondono univocamente e nel medesimo ordine. Es. 4. Se invece nel caso precedente si corrispondono A e J5', B e D', C e -4% D e E', E e ', i gruppi si corrispondono univocamente ma non nello stesso ordine. a. In grappi (A) e (B) ordinati che si corrispondono univocamente e nel medesimo ordine o in ordine inverso ad elementi consecutivi nell'imo corri- spondono elementi consecutivi nell'altro. E inversamente; Se si corrispondono a uno a uno gli elementi consecutivi i gruppi si cor- rispondono univocamente e nello stesso ordine o in ordine inverso. Difatti se agli elementi consecutivi AB qualunque dell' uno (def. Vili, 13)2) corrispondessero elementi non consecutivi dell'altro, l'elemento X corri- spondente ad un clemente X1 compreso fra gli elementi A' e B' (def' I, 23, 24) per ipotesi non sarebbe compreso fra A e 2? e i gruppi non si corrisponde- rebbero nel medesimo ordine o in ordine inverso (def. Ili e oss. II). Se pòi si corrispondono ad uno ad uno gli elementi consecutivi, ad ogni elemento X compreso fra gli elementi qualunque A e B nel primo corrisponde un elemento JT compreso fra gli elementi corrispondenti A' e I? ; e perciò anche la proprietà inversa è dimostrata (def. HI e oss. II). b. Se i gruppi ordinatilo serie limitate) di prima specie ABCD....LM, A'B'C jy..t.L'M' si corrispondono univocamente, nel medesimo ordine o in ordine in- verso, in modo che di primo e secondo elemento del primo gruppo corrispon- dono ordinatamente il primo e il secondo elemento del secondo gruppo, gli ul- timi elementi si corrispondono fra loro. 1) vedi npta, 9 e 4, cap. IV. 2) Questa def. vale sia per la serie come per il gruppo ordinato.

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Difatti ali1 ultimo elemento M delia serie del primo gruppo per la corri- spondenza univoca deve corrispondere un solo elemento della serie del secondo gruppo. Se ad M corrisponde un elemento X' precedente di 3f, ultimo elemento del secondo gruppo (21 e 22), l'elemento consecutivo seguente di M, ossia A (oss. II. ) deve corrispondere a un elemento consecutivo di X (a). Ma l'elemento corrispondente ad A è A'. Ora se A' è consecutivo seguente di X*, X è M' stesso (oss. II), e il teor. è dimostrato. Se invece A' è il consecutivo antecedente di X* (24), X' è il secondo elemento del gruppo A'#C*Z)'....M.' Ma M non è il se- condo elemento B del primo gruppo che corrisponde al secondo elemento B' del secondo per i dati stessi del teorema; dunque se X* fosse #, all'elemento B' corrisponderebbero gli elementi distinti B ed M del primo gruppo, ciò che con- traddice alla corrispondenza univoca (def. II). e. In gruppi (A), (A') corrispondentisi univocamente i sottogruppi delV uno corrispondono univocamente ai sottogruppi dell' altro. Sia (T) una parte del gruppo (A). Ad ogni elemento di (T) come elemento di (A) (def. V, 13) corrisponde un elemento di (A'), e tutti gli elementi in (A') che corrispondono a quelli di (T) formano un gruppo (T) che è parte di (A'} (def. V, 13). Difatti ad un elemento Xdi (A) che non appartiene a (T) non può corrispondere in (A') un elemento di (T) perché a questo corrisponderebbe in (T) un altro elemento diverso da X, perché X è fuori di (T) (def. VI, 13) con- tro Tipotesi della corrispondenza univoca (def. II). Supponiamo ora che a (T) corrispondano i gruppi diversi (7*), (7") di (A). Perché siano diversi bisogna che l'uno contenga almeno un elemento X' fuori dell'altro, altrimenti (Tf) è (T") sarebbero lo stesso gruppo (#, 29). Sia X' contenuto in (2*) e fuori di (T"). All'elemento X corrispondente di -XMn (T) corrisponderebbero e l'elemento X in (T') e un altro elemento diverso da X9 in (Z7"), il che è pure contro l'ipotesi. d. In gruppi ordinati (A) e (A') corrispondentisi univocannente, nello stesso ordine o in ordine inverso, ad un sottogruppo dell'uno corrisponde un solo sot- togruppo deW altro. In gruppi che si corrispondono univocamente, ad un sottogruppo (I7) di (A) corrisponde un solo sottogruppo (T') di (A1) (e). Ma i gruppi (A) e (A') si corrispondono anche nel medesimo ordine o in ordine inverso, e quindi a ele- menti consecutivi dell' uno corrispondono elementi consecutivi dell' altro (a). Se A e B sono elementi consecutivi di (I7) e quindi di (A) (def. II, 27), gli elementi corrispondenti A'e in (A') appartengono a (T) (e). Dunque (T) è formato da elementi consecutivi di (A') epperciò è un sottogruppo di (A) (def II, 27). e. Gruppi corrispondenti univocamente ad un altro gruppo si corrispon- dono univocamente fra loro. Siano (A), (A') i gruppi corrispondenti univocamente al gruppo (A"). Ad ogni elemento X del primo corrisponde un elemento ^X" del terzo, e a que- sto elemento X" corrisponde un elemento X* del secondo. In questo modo si fa corrispondere l'elemento X all'elemento X', e inversamente all'elemento X P elemento X per mezzo del terzo gruppo (A"). Difatti rispetto al solo concetto di corrispondenza univoca X e X" si possono ritenere uguali fra loro, poiché non viene considerata la loro diversità, così X' e X", e quindi anche X e X' (e, 8): mentre altri elementi YJ F, Y", corrispondenti possono riguardarsi di-

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23 versi da X, X', X" essendo rispettivamente distìnti da essi (def. I, 13; def. V, 8; oss. Ili, 9). f. Gruppi ordinati corrispondenti univocamente e nello stesso ordine ad un altro gruppo si corrispondono univocamente e nello stesso ordine fra loro. La dina, è analoga alla precedente tenendo conto della def. III. Oss. Nella corrispondenza univoca e del medesimo ordine o di órdine inverso al grappo ordinato possiamo sostituire la serie di esso e inversamente, perché in questa corrispondenza non si tien conto di ciò che distingue il gruppo dalla serie (oss. 28). 43, a. Ogni gruppo ordinato naturale si può far corrispondere univoca- mente e nel medesimo ordine ad un solo sottogruppo di un gruppo ordinato qualunque illimitato di la specie facendo corrispondere al primo elemento del primo un elemento dqto qualunque del secondo. Difatti siano (A) ABCD....M il gruppo ordinato naturale (35) e (A') = A'B'CD'^M'NN'.,., il gruppo ordinato illimitato di la specie. Posso far corri- spondere al primo, secondo, terzo.... elemento di (A) il primo, secondo, ter^ zo.... elemento di (A1) ; vale a dire ali' elemento consecutivo seguente di un elemento qualunque X di (A) posso far corrispondere l'elemento consecu- tivo seguente dell'elemento corrispondente X'. Se in questa corrispondenza al- l'ultimo elemento M di (A) corrisponde un determinato elemento M' di (4*), il teorema è dimostrato perché essendo M' dato, il gruppo A'BC'D'....M' è un gruppo limitato e perciò di prima specie (def. Ili, 39). Se invece ad M non cor- risponde alcun elemento dato di (Af), vi deve essere però un ultimo ele- mento X di (A) cui corrisponde un elemento determinato X* di (A); perché per lo meno X è A, cui corrisponde A'. Ma in (.A1) l'elemento X'ha un elemento consecutivo seguente (24) essendo il gruppo (A') illimitato di la specie (def. Ili, 39), e a questo elemento corrisponde il consecutivo seguente di X in (A), che è compreso per ipotesi fra X e M. Dunque X non può essere l'ultimo elemento di (A) cui corrisponde un elemento determinato di (A'), eccetto che X non sia I1 ultimo elemento stesso di (A). Non può essere che ad (4) corrispondano sotto- gruppi diversi (B) e (B') di (A'), uno dei quali dovrebbe contenere un elemento almeno fuori dell'altro (b, 29), e quindi ad un elemento di (A) non corrispon- derebbe un solo elemento di (B) e (ff) ossia di (A). Il teorema è dunque di- mostrato. È chiaro che la dimostrazione vale ugualmente se invece di far corri- spondere l'elemento A all'elemento A' di (A) si fa corrispondere ad un altro elemento qualunque dato X1 di (A). b. Un gruppo ordinato illimitato di la specie si può far corrispondere uni- vocamente e nel medesimo ordine ad un altro gruppo ordinato illimitato di la specie. Siano ABCD....N...., A' CD'....N'.... le serie dei gruppi dati coi primi ele- menti A e A'. Ad ogni serie limitata ABC....N della prima si può far corrispon- dere univocamente e nello stesso ordine una serie limitata ABC*..N della se- conda ed una sola facendo corrispondere i primi elementi e gli elementi con- secutivi fra loro (a)., Dunque ad ogni elemento dato N del primo gruppo cor- risponde in tal modo un solo elemento N' del secondo, e inversamente, perché

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24 ogni elemento # (JV*) determina un solo gruppo formato dagli elementi che lo precedono e da N (JV) (def., 6, 21). Ciò vale per tutti gli elementi dei gruppi dati (i, I, 39); e per la corrispondenza delle serie di essi, ad elementi consecu- tivi dell'uno corrispondono elementi consecutivi dello stesso nome dell'altro (24) e quindi i gruppi dati si corrispondono univocamente e nel medesimo ordine (a, 42). b*. Un gruppo ordinato illimitato di la specie si può far corrispondere uni" vocamente e nello stesso ordine ad ogni gruppo ordinato illimitato contenute nel primo. Pechè ogni gruppo ordinato illimitato contenuto in un gruppo illimitato di la specie è pure di la specie (e, 39), e quindi il teor. è dimostrato (b). e. Se i gruppi ordinati (A) e (A') si corrispondono univocamente, nel me- desimo ordine o in ordine inverso, (A') è limitato o illimitato secondo che (A) è limitato o illimitato. Sia (A)^ABCD....M, (A') = A'#C7)'...jr..... Al primo elemento A di (A) (16) corrisponde uno ed un solo elemento ad es. A' dì (A) (def. Ili, 42), e al consecutivo seguente B di A in (A) corrisponde un elemento consecutivo di A1 in (A) (a. 42), ad es. il consecutivo seguente B'. Se X e X* sono ele- menti COITI spendenti qualunque (def. Vili, 13 e def. I, 26), al consecutivo se- guente Y di X, se esiste, deve corrispondere il consecutivo seguente Y' di X\ perché non gli può corrispondere il consecutivo antecedente essendo X com- preso fra A e Y (def. Ili, 42). All'ultimo elemento M di (A) corrisponde un elemento M' di (A'); e poiché M ha per consecutivo seguente A (oss. n, 42). ad A deve corrispondere il consecutivo seguente di M'. Ma se (A') non ha ul- timo elemento (22) il consecutivo seguente di M* non è A', e quindi ad A non corrisponderebbe un solo elemento di (A'), contro il dato (def. Ili, 42). Lo stesso accadrebbe se (A1) non avesse il primo elemento ed avesse l'ultimo ad es. M'; agli elementi che precedono A' in (A') (21) non corrisponderebbero elementi di (A), e a maggior ragione se (A') non avesse né primo né ultimo elemento, il che è contro l'ipotesi (def. Ili, 42). Dunque quando all'elemento B di (A) corrisponde il consecutivo seguente B di A' in (A'), il gruppo (A'), è limitato (def. I, 32 ; oss. 23). Se invece all'elemento B corrisponde l'elemento consecutivo antecedente di A' in (A') (24) basta considerare il gruppo inverso (def. 1,33; def. I, 26). Si dimostra nello stesso modo che esso è limitato, e quindi anche (A) (b, 33). Se (A) è illimitato, (Af) non può essere limitato perché lo sarebbe anche (A). Il teorema è così in ogni caso dimostrato. e. Ogni gruppo ordinato (A) che corrispoude univocamente, nel medesimo ordine o in ordine inverso, ad un gruppo naturale (A), è un gruppo naturale. Perché ogni sottogruppo di (A) corrisponde ad un sottogruppo di (A') (d, 42), il quale è limitato e non contiene alcun sottogruppo illimitato fdef. 35 e oss. 42), dunque ogni sottogruppo di (A) è limitato e non contiene alcun sot- togruppo illimitato (e), dunque e' (def. 35 e oss. 42). e". Ogni gruppo ordinato (A) che ha un primo elemento e corrisponde uni" vocamente e nello stesso ordine ad un gruppo illimitato (A') di la specie^ è il- limitato di la specie. '

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Dìfatti ogni sottogruppo limitato di (A) è un gruppo limitato di la spe- cie (d, 42; e e e'), dunque og|i Sottogruppo limitato di (A) col primo elemento nel primo elemento di (A) è limitato di la specie, e quindi il teorema è dimo- strato (def. WJ, e 0 S^4?X; si , ^ v ^ ?; ;: i 44. De/1. I. Quando gli elementi di un gruppo corrispondono agli elementi del gruppo stesso si dice cile1 il'g^upVio fef trasforma in sé medesimo, e si dice che la trasformazione è univoca quando ad ogni elemento del gruppo corri- sponde uno ed un solo elemento dello stesso gruppo e a questo corrisponde il primo elemento e questo solo. Si dice che la trasformazione è univoca e dello stesso ordine se il gruppo è ordinato e gli elementi corrispondenti sono compresi fra elementi corri- spondenti e ad ogni elemento X che precede un elemento qualunque Y corri- sponde un elemento X' che precede l'elemento corrispondente Y'. Def. IL II caso più setfcpliee di una tràsfortilàzìone univoca è quello in cui ogni elemento del gruppo corrisponde a sé stesso. In tal caso la trasfor- mazione si chiama corrispondenza o trasformazione di coincidenza. Oss. Nelle corrispondenze qui stabilite non si tien conto evidentemente del modo con cui sono posti gli elementi dei gruppi corrispondenti (oss. I, 38).

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CAPITOLO III. Il numero nella sua prima formazione. Numeri naturali. 1. Primo concetto di numero. 45. Def. /. Unità si chiama una cosa qualunque X data (6) considerando che è una anziché più cose (2, oss. 8), facendo astrazione dagli altri suoi con- trassegni (9, 7). a. Cose distinte considerate come unità sono uguali. Invero si considerano rispetto al solo contrassegno uno (def. I; oss. III. 9); quindi il concetto uno dell'una è il concetto uno dell'altra, dunque a. (def. VI, 8). Def. IL Dato un gruppo ordinato di oggetti ...ABCDE... qualunque (26; 6,37), e se si considera ciascuno di questi oggetti come unità (def. I) e facendo astrazione dal modo con cui sono posti, non però dal loro ordine (7 ; def. I, 38), in modo che oggetti distinti danno unità distinte, il gruppo ordinato di unità che così risulta si chiama numero del gruppo dato 1). b. Gli elementi del gruppo ordinato (A) e le unità del numero cui da ori- gine sì corrispondono univocamente e nel medesimo ordine. Difatti gli elementi del gruppo e le unità del numero si corrispondono univocamente perché ad ogni elemento A del gruppo corrisponde una sola unità del numero, e a questa unità corrisponde così il solo elemento A, poi- ché è data da questo solo elemento del gruppo (def. II), inoltre a un elemento C che segue A e precede B corrisponde un1 unità che segue I1 unità corrispon- dente ad A e precede quella corrispondente a B (def. li; def. Ili, 42). ti. Ai sottogruppi di un gruppo ordinato corrispondono i numeri che sono partì del numero corrispondente al gruppo (def. II ; d, 42 e def. II, 25). Oss. II. L'unità è parte di tutti i numeri ( ', def. I), ed è il numero corrispon- dente ad un gruppo di un solo elemento (def. Ili, 13; 19; 26). 1) Ciò non significa che ogni forma che chiameremo numero debba dedursi in questo modo (Vedi notan. 4), come non significa che ci riferiamo soltanto al numero intero finito (Vedi 2 e 3 Gap. vi). Scegliendo come def. del numero la seguente: Si dice che i gruppi ordinati qualunque (A) e (B) han- no lo stesso numero quando si possono far corrispondere univocamente e nel medesimo ordine (def. ir, 42) si incontrerebbe il difetto già notato altrove che si introdurrebbe il concetto d'identità (def. VI,8), senza sapere se è in questo caso applicabile. Ciò potrebbe però essere giustificato facilmente. Ma cosi il numero verrebbe introdotto come un modo di dire per esprimere il concetto della corrispondenza univoca e del medesimo ordine, che non è ancora quello di numero da noi definito (def. llt 42, def. Il e oss. I). È chiaro poi che nella nostra genesi il numero intero in generale e in particolare quello naturale (46) deriva dalle operazioni e dai concetti determinati e comuni del cap. i.

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2 o. tfumerì le unità dei quali si corrispondono univocamente e nel medesimo ordine, e di cui l'uno non è parte o uguale ad una parte dell'altro, sono uguali. Se (A) e (B) sono gruppi ordinati dati di elementi, (A') e ( ) le loro rap- presentazioni mentali (4), (A) e (A'), (B) e (#) si corrispondono univocamente e nel medesimo ordine (es. 2, 42). Se si tien conto di questa sola corrispon- denza come contrassegno di confronto fra i gruppi (A) e (B) (def. I, 9) e se i gruppi (A) e (B) si corrispondono univocamente e nel medesimo ordine se corri- spondono univocamente e nel medesimo ordine ad (A'), e quindi rispetto al suddetto contrassegno sono uguali (def. I, 9). Ma se si tien conto altresì, come si deve fare in generale (def. I, 88) della diversità degli elementi, e della diversità del modo di posizione fra gli elementi e da quella che risulta dall'essere un gruppo parte o uguale ad una parte del- l'altro (def. II, 27), allora i gruppi (A) e (B) non sono più in generale uguali colla sola corrispondenza univoca e del medesimo ordine. Nei numeri di (A) e di (B) considerati come gruppi dati di unità (def. I e def. II), gli elementi sono uguali (a), ed è escluso il modo di posizione fra gli elementi (def. II) mentre non è escluso il terzo contrassegno di confronto. Se questa diversità non esiste e vi è la corrispondenza univoca e nel medesimo ordine come ammette la tesi, i numeri di (A) e (B) sono uguali (def. Ili, 9). Oss I. Se il numero si fa dipendere invece dalla sola corrispondenza univoca e del medesimo ordine, o anche dalla sola corrispondenza univoca i numeri di (A) e di (B) sono ugnali se vi è nel primo caso la corrispondenza univoca del medesimo ordine, e la sola corrispondenza univoca nel secondo caso. 2. Operazione del numerare. Gruppi e numeri naturali. Addizione. 46. Def. I. L'operazione colla quale si determina il numero di un gruppo ordinato (def. II, 45), si chiama operazione del numerare o del contare. Def. II. Ai gruppi ordinati naturali (35, oss. 28) corrispondono numeri che chiameremo numeri naturali (def. II, 45). Oss. I. Il numero nella 8ua 'prima costruzione, o il numero naturale, è runione successiva di più unità ottenute colla semplice ripetizione limitata dell'unità (def. I, oss. 35 e def. 15). a. Ogni parte di un numero naturale è pure un numero naturale (/. 39 e def. I). b. I numeri naturali si possono far corrispondere univocamente e nel me- desimo ordine ai sottogruppi di un gruppo ordinato illimitato di 1* specie ed aventi con questo lo stesso primo elemento. Sia (A) il gruppo naturale corrispondente ad un numero dato, (B) il gruppo ordinato illimitato di la specie. Il gruppo (A) si può far corrispondere univocamente e nello stesso ordine ad un sottogruppo (A') di (B) collo stesso

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28 primo elemento { , 43), e quindi le unità del numero si possono far corrispon- dere univocamente e nello stesso ordine al gruppo (-4) (f. 42). e. Tutti i numeri naturali nel modo indicato dal teor. b formano una serie illinntata di 1* specie. Segue immediatamente dalla def. I e da i. 39. Def. III. Chiameremo questa serie, per seguire i1 uso comune, serie natu- rale dei numeri naturali e la indicheremo col segno (I). e'. Ogni numero naturale si ottiene colla semplice unione successiva limitala dell'unità ad un numerò precedente nella serie (I) *) (C; def. II, ht g, 39). 47. a. L'operazione dell'unire l'unità (e quindi successivamente delle unità di un numero') o un numero all'unità o ad un numero, è a senso unico. L'unione semplice è un'operagione a senso unico (I, 29; def. II, 11); il gruppo ordinato di unità che ne deriva può dipendere dall'ordine e dal modo con cui sono posti i suoi elementi (def I, 38). Ma l'ordine è in tal caso già stabilito, poiché ad es. al tutto (ABCD) si unisce l'elemento E. Il numero non dipende dal modo con cui sono posti gli elementi del gruppo corrispon- dente (def. II, 45), quindi il teor. è dimostrato. Def. I. L'unione di un numero ad un altro numero (def. Il, 45 e def. I, 26) si chiama addizione, e il risultato si chiama somma del secondo numero al primo. I numeri dati si chiamano sommandi o addendi. Ind. I. Useremo il segnò H- per questa operazione. Oss. 1. 11 gruppo ordinato (k)) (B)] se (A), (B) rappresentano i numeri e o rappresenta la somma a-f Mind. 27). lud. IL Indicheremo l'unità col segno 1. Ind. IH. Il primo numero dopo l'unità si ottiene dall'unione dell'unità ripetuta all'unità cioè; * + l che indicheremo col segno 2 (due), e quindi: 1*1-2 (b, 9), il primo numero dopo 2 è 2 + 1 che indicheremo col segno 3 (tre), e quindi : 2+1=3 Così il primo numero dopo il tre è 3 -f 1, che indicheremo col segno 4 (quat- tro), ed avremo: 3+1=4 e cosi via. In generale dato un numero indicato con m il numero successivo della serie (I) sì indica con m 4-1. I numeri dedotti dalla ripetizione limitata dell'unità e che si seguono secondo l'ordine della serie (I) sono indicati come segue: (1) 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11... 20, 21... 100. 101... 200... i) il nostro gruppo ordinato illimitato qualslasi che ha un primo elemento (26) e nel quale ogni elemento dato ha un solo elemento consecutivo seguente e uno antecedente (24) soddisfa alle prime 8 delle 9 proprietà che il sig. Peano da come assiomi nei suoi Arith. Principia (1889) per il segno N (numero), alcuni dei quali sono però proprietà logiche generali come ocra/ se a=b si deduce b=a; se a b, 6=c si deduce a=c, che corrispondono alle proprietà I, def. Vi ; d. e del n 8. La proprietà 5 1 del sig. Peanò esprime che l'uguaglianza ha luogo relativamente al solo concetto dì numero, (vedi l'oss. IV, del nura. 47). La proprietà 9 ( i) esprime appunto la nostra proprietà I. del n. 39. Come ulteriore pro- prietà caratteristica del gruppo ordinato illimitato che ha un primo elemento noi abbiamo invece la def. di serie e quindi di gruppo illimitato di i. specie (Vedi nota n. 39 e 50/.

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29 e si chiamano successivamente uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci, undici.,, venti, ventuno... cento, cento e uno... duecento... l) Def. IL I segni (cifre) che servono ad indicare i numeri si chiamano pure numeri 2). Oss. IL I punti in (I) occupano il posto degli altri numeri della serie. Oss. III. Si usano pure delle lettere ad es. a, 6, ecc. per indicare i numeri della serie (i; ; ma mentre ad es. 9 indica un numero di posto determinato della serie (I), a indica invece un numero qualunque di essa (def. VII!, 13, 19), ed a si chiama pure un numero. Quando però si dice che è dato un numero a di (I) s' intende in generale un numero qualunque di (I) (def, Vili, 13 e 19), ma che rappresenta in ogni operazione lo stesso numero di (I). b. Se a e b rappresentano lo stesso numero di (I), a e b, considerati come dite numeri, sono uguali. Difatti possono sostituirsi uno all'altro, epperò scriveremo a = b da cui b = a (b, 9 ; d, 8). Oss. IV. Ci basta pei soli numeri il segno = non considerando tra essi altra uguaglianza (oss. I, 9) 3). _ , e. Due numeri uguali ad un terzo sono uguali fra loro* Cioè se az= , = c si ha azsc. Se a, b, e sono segni di uno stesso gruppo di unitala proprietà è conse- guenza di , 9. Se invece a, b e e sono gruppi di unità distinti allora la pro- prietà è conseguenza del teor. e, 8. Oss. V. Se bastasse la sola corrispondensa univoca o del medesimo ordine per l'uguaglianza dei numeri (oss. I, 45) a e b; beo sì corrisponderebbero nel secondo caso univocamente e nel medesimo ordine, e quindi anche a e e (f, 42) e quindi a~ e. Così se bastasse la sola corrispondenza univoca (oss. I, 45). d. Se az=a',b=sb' si ha Ossia: Se a numeri ugnali si sommano numeri uguali si ottengono nu- meri uguali. Difatti siano (A) e (A'), (B) e (S) i gruppi corrispondenti ai numeri a a \ b e b'. Il gruppo che si ottiene dall'unione del gruppo (B) al gruppo (A)/ cioè [(A) ( )], rappresenta il numero a + b (oss. I); il gruppo [(A') (#)] rappresenta il numero a' + b'. Ma siccome a = a\b=:b' si ha a -f- b = a' -f- b' perché l'addi- zione è a senso unico (a) e non si tien conto d'altra parte della diversità di posizione fra le unità dei numeri e quindi dei gruppi (def. II, 45 e 41). 1) Qui, se io non avessi bisogno dei concetti due, tre, ecc. e se non fosse poi opportuno adope- rarli nel discorso, mentre li abbiamo esclusi fino ad ora, avrei potuto lasciare impregiudicata la questione del sistema di numerazione. Trattando completamente la teoria dei numeri interi, que- sto punto dovrebbe essere trattato con maggiore diffusione mentre altre considerazioni precedenti trattando esclusivamente questa teoria potrebbero essere tralasciate o semplificate. 2) i tedeschi hanno due vocaboli distinti pei numeri. Per quelli che si ottengono contando gli oggetti di un gruppo usano la parola Anzahl per i segni che li indicano il vocabolo zahl , e i due concetti sono ben distinti. 3) Questa Indicazione diversa di uno stesso numero occorre spesso nelle operazioni numeriche quando prima o durante un'operazione si considera un numero che pure appartenendo alla serie (i) ed essendo sempre lo stesso, è indeterminato. E se vi e ancora un altro numero indeterminato, può darsi che eseguite le operazioni si trovi per l'imo e per l'altro lo stesso numero di (I). Ciò avviene anche per es. nelle dimostrazioni per assurdo quando i risultati di due operazioni numeriche si vo- gliono dimostrare uguali, ammettendo che non rappresentino lo stessa numero di ([) ed indicandoli perciò nella dimostrazione con segni diversi.

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30 Oss. VI. Se bastasse la sola corrispondenza univoca e ne! medesimo ordine per l'uguaglianza dei numeri (oss. 1,45) i gruppi a e a' ; b e V si corrisponderebbero uni- vocamente e nel medesimo ordine, e quindi anche i gruppi a + a', b + V perche questi non contengono altri elementi che non siano in a e a', o e b' (II, 29), e perciò anche in tal caso a-f- af = -f '. Slmilmente se bastasse la sola corrispondenza univoca (ose. I, 45;. Def. IIL Gli elementi di un gruppo ordinato naturale che corrisponde al numero n corrispondono successivamente ai numeri 1, 2.., n l,n delle serie, (I) (a, 43; i 39; e, 46; 6, 43). L'ultimo elemento lo diremo perciò l'elemento nno (ennesimo) del gruppo. Def. IV. Ripetere un'operazione b (o un numero b di) volte significa che considerata ogni ripetizione (15) come un oggetto rappresentante l'unità, il numero che si ottiene da queste ripetizioni è b l). e. La somma a -f- b è un numero che si ottiene sommando successivamente le unità di b ad a e ai numeri che cosi si ottengono. Siano (A) e (B) i gruppi corrispondenti ai numeri a e b\ [(A)(B)} rap- presenta il numero a -f- b (oss. I). Il numero a-f-1 si ottiene unendo ad (4) il primo elemento di (B) (def. II, 45 e ind. Ili); il numero (a -4-1)4-1 unendo al gruppo così ottenuto il se- condo elemento di (B). Ripetendo l'operazione b volte, useremo tutti gli ele- menti di (B). Ma il gruppo cosi ottenuto è [(A) (B)] (a. 40), dunque e (def. II, 45). Oss. VII. Bisogna tener presente che: (A)(B) EE^A! A2...Aa ) (#1 B2..Bb ) = (Al A2...A BJ (52 B3 B4... Bb ) ecc. ==Al A2 A3..Ba Bl B2..Bi (a, 40 e def. li, 45). f. Dati tre numeri a, by e si ha: (a -f- ) -f e iz: a -J- (6 -f- c) = -f -f e (legge associativa). Essa vale anche per un numero qualunque di sommandi (def. II. 45 e a. 40; e, 46)2). Ose. Vili. D'ora innanzi in questo capitolo e nei seguenti finché non diremo diversamente considereremo soltanto i numeri naturali e li chiameremo perciò anche nunreri soltanto. 48. a. In un gruppo ordinato naturale dato, ogni elemento può essere con- siderato al posto di ogni altro mediante lo scambio di posto di elementi con- secutivi. 1) Ciò dimostra che per lo meno non è chiara l'osservazione di G. cantar (Zeitschrift far Philo- sophie v. Pielite, voi. 91 pag. 252) ove dice : l'addizione di uni (Einsen) non può servire alla definizione del numero, perché non si può dire quante volte devono essere sommati senza il numero stesso che si vuoi definire. Il numero in generale secondo la nostra def. II, n. 45, o ottenuto come gruppo ordi- nato dalP operazione dell'unire successivamente un oggetto ad un altro, senza che vi sia bisogno di dire quante volte noi ripetiamo questa operazione. Se si tratta poi di un numero particolare si può ottenere col l'addizione di unità. H numero 2 si ottiene ripetendo una volta Punita, il numero 3 ri- petendo due volte Punita, e cosi via. E supposto determinato cosi un numero qualunque che indico con n \, il numero n si ottiene da l ripetendo n l volte Punita. 2) H. Grassmann ammette la legge associativa dei numeri, come segni pel seguente caso : a+6) .4- i = a -r- + l come anchefa + b) -4- e = a-4-ft-t-c (Lehr. d. Arith. 1861, p. 2e 4). vedi anche ad es. HanKel 1 e.e %el- (Das zfihlens und. Messen. Phil. Auf. Eduard Zeller), Pcano (1. e.), ecc.

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31 La proprietà è chiara per il gruppo ordinato AB, che corrisponde al nu- mero 2 (def. I, 46; ind. Ili, 47), basta considerare prima B e poi A (3 e 20), ossia scambiare nella nostra mente il posto di B con quello di A (def. I, 33). Supponiamo che ciò valga per il gruppo di elementi ordinato ABCD...MN (1) che corrisponde ad un numero n, e consideriamo il gruppo ABCD... MNNT = (ABCD...M) (NN1) (2) (a, 40), cui corrisponde il numero n -f- 1 (ind. Ili, 47). Lasciando al medesimo posto in questo gruppo gli elementi ehe prece- dono NN*, per quanto si è detto sopra, si possono scambiare fra loro N e N', e si ha il gruppo: (ABCD... M)(NN*) = (ABCD... MN1} N= ABCD... MN'N (a, 40). E siccome per ipotesi il posto di N si può scambiare nel gruppo (1) col posto di qualunque elemento che lo precede, così potremo scambiare N1 in ABCD... MN1 col posto di qualunque altro elemento del gruppo ABCD... M; e poi considerato un elemento al posto di JV* in ABCD... MN'N lo potremo scambiare con N, che è il posto di N* nel gruppo dato (2). Ma la proprietà è vera per AB, è vera dunque per ogni gruppo naturale (a, 43; i e 19 39). b. Cambiando l'ordine degli elementi di un gruppo ordinato J) si ottiene un gruppo che corrisponde univocamente al primo facendo corrispondere ogni ele- mento a sé stesso. Perché ogni elemento dell' uno è elemento dell' altro (II, 29), ossia non vi è alcun elemento dell'uno che non sia elemento dell'altro; e quindi ad ogni elemento dell'uno, corrispondendo a sé stesso, corrisponde un elemento del- l'altro, vale a dire si ha fra 5 due gruppi una corrispondenza univoca (def. II, 42). e. Dato un gruppo ordinato naturale scambiando di posto degli elementi consecutivi si ottengono tutti i gruppi ordinati formati cogli elementi del primo. Sia dapprima dato il gruppo ordinato AB =(A), che contiene i soli ele- menti A e B. Sia (A') un altro gruppo ordinato con questi stessi elementi. Se il primo elemento A1 di (Ar) è A, siccome (A') deve avere anche l'elemento B, si ha (A') = (A) (II, 6, 29). Se invece Af è B, allora # secondo elemento di (A') è A, perché non contiene altri elementi oltre A e B (II, 29). Un terzo gruppo è escluso perché supposto che esista non può essere che (A) o (A')5 dovendo essere A o B il primo elemento di un terzo gruppo cogli elementi A, B, e quindi -B o A il secondo elemento, non potendo averne altri (IL 29). Supponiamo ora che il teorema sia vero per un gruppo naturale: (A) = ABCD...X e sia dato un gruppo indipendentemente dal numero che rappresenta (B)=ABCD...NP = (A)P (a, 40) e consideriamo un altro gruppo ordinato formato cogli elementi di (B), cioè : j) Cambiando l'ordine ecc. significa considerare gli elementi dati in qn ordine diverso-

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In (#) l'elemento P occupa un dato posto, e si può scambiare con P me- diante scambi di elementi consecutivi (a\ e si abbia così il gruppo ordinato: ( *)== A* BTC'...N"P ove A"B"C"...N" sono gli elementi di (A) indipendentemente dal loro ordine (II, 29) Facendo gli scambi inversi da (#') si ottiene ( ') (def. I, 33), Basta osservare che consideriamo P successivamente nei posti ad es. degli elementi che lo seguono in (#) (24, , 35); che quando P occupa il posto del suo conse- cutivo antecedente, ogni elemento che seguiva P è pensato nel posto del suo consecutivo antecedente ; e che poi si considera P successivamente nel posto degli elementi precedenti (21) finché occupa il posto di P, e che dopo questi scambi ogni elemento che seguiva dapprima P occupa il posto del consecutivo seguente nell'ordine dato; vale a dire dopo l'operazione ogni altro elemento che non sia P o P1 occupa lo stesso posto (a. 33). L'operazione inversa ci da perciò il gruppo primitivo (JBJ. Dunque (#) si ottiene da (B") con uno scambio di elementi consecutivi, ma (#') si ottiene per ipotesi colla stessa operazione da (B), dunque (#) si ottiene da (J5) con scambi di elementi consecutivi. Dunque se il teorema vale per il gruppo (A) vale per il gruppo (A) P; ma esso vale per il gruppo AB, dunque vale per tutti i gruppi ordinati naturali (a, 43, i e I, 39). d. Se due gruppi ordinati si corrispondono unìvocamente, ad ogni elemento dell'uno sì può far corrispondere un elemento dell'altro scelto ad arbitrio, mantenendo la corrispondenza univoca fra gli altri elementi. Supponiamo che X e Y siano elementi qualunque del primo gruppo (def. Vili, 13) (che sono sempre distinti quando non si dice diversamente (oss. I, 8)); e ad essi corrispondono gli elemenli X' e T del secondo gruppo. Siccome pos- siamo scambiare di posto Y con X (a) ali' elemento Y corrisponderà con questo scambio l'elemento X' nel secondo gruppo, perché gli elementi X e Y, X*e Y sono considerati separatamente dagli altri (7), i quali si corrispondono come prima. Facendo dunque corrispondere ad X l'elemento Y, i rimanenti elementi (7) si corrispondono univocamente. Il teor. è dunqu$ dimostrato. d'. Se in due gruppi ordinati naturqli che si corrispondono univocamente a b elementi qualunque dell'uno si fanno corrispondere b elementi dell'altro, i rimanenti elementi si corrispondouo univocamente. Siano Al Ay.. Ab ... Am, A\ A'2... A'*... Am i due gruppi dati. Ad un elemento del primo ad es. Ax si può far corrispondere un ele- mento qualunque dato X del secondo, i rimanenti elementi si corrispondono univocamente (d). Facendo astrazione dagli elementi Aì e X, e ripetendo l'o- perazione b volte pei gruppi dati dai rimanenti elementi (def. IV, 47), i gruppi di elementi rimanenti dopo ciascuna di queste ripetizioni si corrispondono uni- vocamente (d)9 e quindi anche dopo la b* ripetizione (def. Ili, 47; ?, 39). e. Se gli elementi di due gruppi ordinati naturali si corrispondono univo - camente e nel medesimo ordine, cambiando l'ordine di uno qualunque di essi, si corrispondono univocamente. Siano ABC... M, ABC...M' i gruppi dati, e sia A' 'C'M" un altro gruppo ordinato ottenuto cogli elementi del primo. Siccome il gruppo A"ff' ? .] " i

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può far corrispondere univocamente al gruppo ABC... M (6), e A'ffC...M' per dato corrisponde univocamente al gruppo ABC..M, i gruppi A"ff'C?'.. M", A'B'C..M' si corrispondono univocamente (e, 42). f. Un gruppo naturale non può corrispondere univocamente ad un suo sottogruppo. Ciò è evidente per il gruppo AB perché non può corrispondere univo- camente ad un solo elemento A o B, altrimenti A o B non avrebbe elemento corrispondente nel sottogruppo dato, che in questo caso sarebbe di un solo elemento (def. Ili, 13 e oss. I, 42). Se tale proprietà ha anche un gruppo (4) si dimostra facilmente che l'ha anche il gruppo (A) B, cioè il gruppo dato, dal- l'unione di un altro elemento B al gruppo (A). Supponiamo il contrario, e sia (A') una parte di (A) B, tale che si possano far corrispondere univocamente gli elementi di (A') con quelli di (A) B. Si presentano due casi: o B non è compreso in (A9) o lo è. Nel primo caso all'elemento B si può far corrispon- dere un elemento qualunque ad es. l'ultimo di (Af) (d), supposto che (A') sia ordinato. Indicando questo elemento con B' e con (A") la parte rimanente di (A'), (A") corrisponderebbe univocamente ad (A) (d) contro l'ipotesi. Se invece B fosse compreso in (A'), stabilita la corrispondenza fra (A1) e (A) B, si po- trebbe far corrispondere B a sé stesso (d); e quindi di (A') rimarrebbe una parte (A") che corrisponderebbe anche in questo caso ad (A) (d) contro l'ipotesi. 11 teorema se vale per (A) vale anche per (A) B ; ma vale pel gruppo di elementi AB, dunque vale per tutti i gruppi naturali ( , 43; e e I, 39). g. Se due gruppi naturali si corrispondono univocamente e nello stesso or- dine essi rappresentano numeri uguali. Non può darsi che due gruppi naturali e quindi anche due numeri (def. II, 45) si corrispondano univocamente e nel medesimo ordine e l'uno sia parte od uguale ad una parte dell'altro, perché questo corrisponderebbe univoca- mente e nel medesimo ordine quindi anche univocamente ad una sua parte, contro f; dunque g (e, 45) h. Qualunque sia r ordine in cui si considerano gli elementi di un gruppo ordinato naturale esso rappresenta lo stessq numero. Siano A e B gli elementi del gruppo (A), la, 16 le unità del numero corrispondente la-M (def. I, 46; ind. Ili, 47). Agli elementi , A possiamo far corrispondere univocamente le stesse unità 10, 1 perché fatto corrispon- dere B a \a 9 l'elemento A non può corrispondere che a 1 (d). La corrispon- denza univoca può ritenersi in tal caso anche dello stesso ordine (oss. II, def. Ili, 42). Supponiamo ora che la proprietà sia vera per un gruppo naturale qua- lunque dato (M) = ABCD...M e fjt = la U lc ld... \m sia la serie delle unità corrispondenti agli elementi di (M); il numero corri- spondente sia: m== la 4- U + le + ld 4-... 4- lm (def. II, 45; ind. I, oss. Ili, 47) Sia dato il gruppo: (M) N = ABCD.., MN (a, 40) 3

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34 cui corrisponde la serie di unità (A \n = la 1 lc la ... 1 m In e il numero m + ln = la -f 1 + 1* 4- ld +..- + lm + In Se inverto l'ordine di M ed JV, vale a dire il posto di M con quello di JV, il che è possibile (a), ho il gruppo: ABCD... NM (1) e quindi facendo corrispondere agli elementi che precedono N le stesse unità la 1 le !* che precedono lm come pel gruppo ABCD... MN e ad JV l'unità lm, all'elemento M dovrà corrispondere l'unità ln (d); e quindi al gruppo ABCD... NM corrisponderà lo stesso numero m+ln (def. IL 45, f. 42 e #). Ma nel gruppo ABCD... N si può scambiare il posto di N mediante scambi di elementi consecutivi con quello di qualunque altro elemento precedente ( ) senza che per ipotesi cambi il numero corrispondente. Così scambiando poi di posto ognuno di questi elementi quando occupa il posto di N con M in (1), per ciò che. si è detto testé al gruppo corrisponderà lo stesso numero. Ma in questo modo si ottengono tutti i gruppi ordinati dati dagli elementi del gruppo (M) N (e), dunque se il teorema è vero per il gruppo (M) vale anche pel gruppo (M) N; ma vale pel gruppo AB dunque vale per tutti i gruppi ordinati natu- rali (a, 43; i e ?, 39). l). I) in generale nel numero degli oggetti di un gruppo non si tien conto dell'ordine di questi og- getti, e non si segue il metodo di derivare le proprietà del numero dalla corrispondenza coi gruppi ordinati, mentre se il numero deriva nella sua più semplice costruzione dalla funzione logica del nu- merare (45 e def. I, 46), esso dipende dall'ordine nel quale si contano gli oggetti del gruppo dato. I nu- meri interi finiti (che corrispondono come vedremo ai nostri gruppi naturali) sono indipendenti dall'ordine degli elementi dei gruppi corrispondenti (Ti), ma ciò deve essere dimostrato, perché vi sono gruppi di elementi cui corrispondono i numeri transfiniti di a. Cantar, pel quali non ha più luogo questa proprietà (Acta Math. voi 2 pag. 385,1883. Grundlagen einer Mannigfaltigkeitsiehre, Leipzig 1883 pag. 32 e seg. Zeitschrift fttr phil. v. Fichte Voi. 91 fase- I e 2 1887, ecc.). Quanto dice clifford del teor. h. (Il senso comune nelle scienze esatte, Milano 1888) è una spiegazione empirica ma matematicamente suppone la proprietà medesima. Cosi ha ragione G. Cantar quando rileva l'a- nalogo difetto nello scritto di Kronecker (Phil. Aufs. Ed. zeller-Ueber den zahlbegriff, p. 268). peano (1. e.) non se ne occupa. Per quanto so è lo Schrdder che ha il merito di aver trattata per primo una tale questione (Lehrbuch der Arith. u. Algebra. Leipz ig 1873). Da quanto egli dice nell' enunciato a pag. 8 pare che basti che siano le stesse cose che vengono contate in diversi ordini affinchè i numeri risul- tanti siano uguali; ma ciò ammette già il teor. suddetto perché anche nelle due serie 1 2 3...n... 23..-H... i si hanno le stesse cose, ma i numeri sono diversi. Cosi il teor. di pag. 20 è enunciato in gene- rale, ma nella dimostrazione non completa comunicatagli dal prof. LùrotJt egli dichiara di avere am- messo tacitamente che si tratta di una molteplicità finita limitata (endlich begrenzte Menge) che non ci pare ben definita. Secondo noi la proprietà che ad un elemento non può corrispondere univocamente nessun elemento, analoga a quella che sckroder assume come assioma, o compresa nella corrispon- denza univoca stessa (oss. I. 48). a. cantar distingue due specie di numeri : il Cardinalzahl o Màchtigkeit (potenza) e l'Idealzahl. il Cardinalzahl secondo Cantar si ottiene da una molteplicità di cose facendo astrazione e dalle proprietà di queste cose e dair ordine di esse, e chiama uguali due molteplicità quando si corrispon- dono univocamente, e quindi ad esse corrisponde lo stesso Cardinalzahl ; L1 Idealzahl i* ottiene invece facendo astrazione dalle proprietà delle cose ma non dall'ordine in cui sono date o si consi- derano. Il Cardinalzahl cosi definito non deriva certo dalla funzione logica del numerare poiché quando si conta si conta in un dato ordine salvo poi a vedere se cambiando V ordine del conteggio si ottiene lo stesso numero. Anziché dire che due molteplicità fatta astrazione dal le proprietà delle cose che le compongono e dell'ordine di esso si chiamano uguali quando si corrispondono univocamente, nello stesso ordine o no, si può dimostrare che se due molteplicità sono identiche (def. VI, 8 e def. Ili, 9) esse si corrispon- dono univocamente e nello stesso ordine, e se una è contenuta nell' altra questa è contenuta nella prima; e se si tien conto soltanto della sola corrispondonza univoca fra una molteplicità e la sua rappresentazione mentale (4), sì dimostra pure che se due molteplicità si corrispondono univocamente senza tener conto che r una sia o no parte dell'altra, le due melteplicità sona uguali-

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35 Oss. I. D'ora innanzi possiamo dunque non tener conto dell' ordine dei gruppi che corrispondono ai numeri naturali. i. Due gruppi naturali cìie rappresentano lo stesso numero si possono far corrispondere univocamente. Siano A, B, C, D... M; A, B', C, Z)r,... M1 i gruppi dati. Le unità del numero di un gruppo corrispondono univocamente e nello stesso ordine agli elementi del gruppo (b, 45). Gli elementi del primo gruppo ordinato siano: " J A% - 3" An ( " ) e le unità del numero corrispondente al #2 3... an (a) perché le unità possiamo indicarle in tal caso anche con segni diversi da L La unità di (a) per dato corrispondono univocamente e nello stesso ordine agli elementi del secondo gruppo A\ A\ A'3... A'n = (A'). Siccome i gruppi (A) e (A) corrispondono univocamente e nel medesimo ordine al gruppo (a), così si corrispondono univocamente e nel medesimo ordine fra loro (/; 42). Ma il nu- mero del primo gruppo non cambia se si cambia l'ordine dei suoi elementi (h), e cambiando quest'ordine i due gruppi si corrispondono univocamente (e). Dunque ecc. i'. Se due numeri naturali sono uguali le unità di essi si corrispondono univocamente (i e def. II, 46). I. Due gruppi naturali die si corrispondono univocamente rappresentano lo stesso numero (g e h). I'. Se le unità di due numeri a e b si corrispondono univocamente, i due numeri sono uguali. m. La somma del numero b al numero a non cambia se si cambia l'ordine dei due numeri (legge commutativa). Dim. 1. Il numero a sia rappresentato dal gruppo (A) = ABC... M ed il numero b dal gruppo (A') = A'# 7... N' ; la somma a -f- b viene rappresentata dal gruppo [(A)(AJ] = ABCD...M A C N' (oss. I, 47). Si abbia un altro gruppo (B) che corrisponda univocamente al gruppo [(A) (A)]. Se ai primi b elementi del secondo si fanno corrispondere gli ultimi b elementi del primo i rimanenti elementi si corrispondono univocamente ( ), e perciò devono essere a in am- bidue i gruppi (I). Ma i due gruppi (B) e [(A) (A')~\ rappresentano lo stesso nu- mero (I) dunque: a -f b = b + a Dim. 2. Il gruppo [(A')(A)] ha tutti gli elementi del gruppo [(^1)(A')] come questo ha tutti gli elementi del primo, perché ogni elemento del primo o del secondo appartiene ad (A) o (A) (li, 29); e quindi i due gruppi differi- scono solo per l'ordine e perciò si corrispondono univocamente (b) e rappre- sentano lo stesso numoro (I). Dim. 3. Supponiamo dapprima che ad un elemento A sia unito un gruppo AI A2 A3... AW+I di m -f- 1 elementi. Facciamo corrispondere l'elemento A all'elemento Al,Al all'elemento A2ì ecc. l'elemento Am-i all'elemento Am Am ad ^4m-Hi, vale a dire ogni elemento al suo consecutivo seguente nella serie A Al Ay.. Am-M. I gruppi A Aì A^... Am^ A, A2... Am+\ si corrispondono così uni-

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36 vocamente e nel medesimo ordine (a, 42), e quindi corrispondono allo stesso numero (J), cioè: 1 + m = m + I (1) Ammettiamo che il teorema sia vero per m ed n, m + n = n + m (2) Si ha (d, f, 47): w+ (n+1) = O+n) +1= (n+w*) +1= + (m+1) = (n+1) + w. Ma il teorema è vero per w + 1 (1), dunque il teorema vale in generale (e', 46; d. 39 Z, 39)1). 3 Concetto di un numero maggiore o minore di un altro. Altre proprietà, dei numeri. 49. Def. I. Se due gruppi naturali ABCD... N, A' CD'...N' non hanno lo stesso numero, nella corrispondenza univoca dei loro elementi consecutivi a cominciare dai primi cioè A e A, B e B', C e (7 ecc. vi sono elementi del- Tuno ad es. del primo a cui non corrispondono elementi del secondo, perché altrimenti rappresenterebbero lo stesso numero (h, 48). Si dice perciò che il pri- mo contiene più elementi del secondo, ed il secondo meno elementi del primo; oppure che il primo è maggiore del secondo e il secondo è minore del primo. Def. IL I numeri a e b che corrispondono ai due gruppi non essendo uguali si chiamano disuguali, e quello che corrisponde al primo dicesi mag- giore di quello che corrisponde al secondo, e questo minore del primo. Si scrive: a. Ogni gruppo ed ogni numero naturale è m iggiore di ogni sua parte (def. I, II; fé h, 48). 50. a. Se a numeri dati sommando numeri uguali si ottengono numeri uguali^ i numeri dati sono uguali. Siano (A) e (B) i gruppi corrispondenti ai numeri dati a e b, e si uni- scano rispettivameate ad essi i gruppi (A) e (J?% che rappresentano i due nu- meri a' e ì) uguali, che vengono sommati ad a e b. Si hanno i gruppi [(A) (A')] [(B) (#)] che rappresentando per ipotesi numeri uguali si corrispondono uni- vocamente (i, 48). Ma si corrispondono univocamente per la stessa ragione i gruppi (Ar) e (#), dunque si corrispondono anche univocamente i rimanenti gruppi (A) e (B} (d, 48); e quindi i loro numeri corrispondenti a e b sono uguali (/i, 48, e 6, 47). a. Se a numeri uguali sommando numeri dati si ottengono numeri uguali , i numeri dati sono uguali. Se a e a' sono numeri uguali e b e b' i numeri aggiunti, e e e' i risul- tati, si ha: ma si ha pure: (m, 48) i) La legge commutativa come si vede facilmente vale aqcbe per un numero qualunque flato U som m and i (2, 39).

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37 e quindi si ricade nel teorema et. b. Se #= , 6 c si ha a c a=b, b c a c. e. Se , b c o c Se a 0; ' si ha : e se ' ; b JJ + d -f 6' O'-f b Per dimostrare che se a a', ' si ha -4- b ' -4- ' si procede nel seguente modo. Siano (A) = A! -42...^o , (B)= Bl B2...B6 i gruppi che rappresentano i numeri a e ; il numero a-\-b è rappresentato dal gruppo [(A) ( )] = Aj 42...Aa Bl B2...Bb (oss. I, V, e, 47). Siano (A')= A'T A '2...A'a , (5')= ^ B'y..Btj) i gruppi rappresentanti i numeri a' e 6' ; il numero a' -{- 6' è rappre- sentato dal gruppo [(A') (JB')] = A'1 A'2...A'a B\ 2... B'i, . Ma per ipotesi a a', 6 '; e se consideriamo i primi a' elementi del gruppo (A) e i primi b' ele- menti del gruppo (5), sia nell'uno che nell'altro rimangono altri elementi (def. I e II, 49) che non hanno in corrispondenza univoca elementi corrispon- denti in (A' , (#), e perciò nel gruppo [(A) (B)] vi sono elementi che in corri- spondenza univoca con [(A')(#)] non hanno in questo gruppo elementi corri- spondenti (II, 29); e perciò + ' 4- b' (def. I e II, 49). Analogamente si dimostrano le altre relazioni b, e, d. e. Se a=a'9 b b' si ha a -f b a -h b' Ossia: Se a numeri uguali (disuguali) si sommano numeri disuguali (uguali) si ottengono numeri disuguali. Questo teorema si dimostra in modo analogo al precederne. f. I numeri della serie (/) sono tutti disuguali. Nessuno di essi è maggiore degli altri. Considerando difatti un numero a determinato della serie dei numeri na- turali (e, def. HI, 46} i numeri che precedono a sono minori di a, perché i gruppi corrispondenti a questi numeri contengono meno elementi di quello corri- spondenti ad a (e, 46, def. I, e II, 49), sono invece maggiori quelli che seguono a. I numeri di (I) costituiscono così due classi di numeri rispetto ad , quelli mi- nori e quelli maggiori eccettuato a. L'ultima proprietà deriva dall'essere la serie (/) illimitata (def. II, 32 e def. I, II; e, 46). g. Se a a' vi è un solo numero x tale che a' 4- oc = a 1). I numeri a e a' devono occupare in (I) due posti determinati (def. I, 20), 1) I teoremi di questo numero specialmente e, g come o, ci, 47 non è necessario darli con as- siomi speciali o con definizioni dei segni stessi. Essi derivano dal principio di corrispondenza univoca dei gruppi rapp rasentativi.

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38 e a' deve precedere a (/*; e, 46). Il numero a sì ottiene da d unendo a questo numero altre unità, cioè le unità di un altro numero (cr, 46 e g, 39). Non vi possono essere due numeri x e x (oc'^ cc) che godano questa proprietà. Difatti si deve avere od anche co + d = , a? + #' = a (w, 48) e quindi x = od (a) Oss. Se indichiamo la somma a + b con e si ha : a + = c (1) ove e è uà numero dato della serie (I). L'uguaglianza (1) va considerata sotto due aspetti: o e è usato per indicare il nuovo numero a + b non avendolo fatto prima, come ad es. col segno 2 abbiamo indicato la somma 1 + 1, con 3 la somma I + 1 + 1 ecc. ; oppure e è un numero già noto adoperato quale simbolo di un* altra operazione, per es. di un'altra somma ' + ', ed allora bisogna provare l'esattezza dell'ugua- glianza (I). Es. Nell' uguaglianza: ll+l=i:12 il 12 indica il numero risultante da ir addizione di 1 al numero lì, e nulla vi è da dimostrare; bisogna invece dimostrare che 7+5-12 la quale ci da una proprietà fra i numeri 7, 5 e 12. E perciò basta scomporre i tre numeri nelle loro unità, e riflettere che le unità del numero 11 + 1 corrispondono ad una ad una a quelle del numero 7 + 5 (i9 48). Difatti sia (A) ABCDEFG il -gruppo corrispondente al numero 7 e (A')~A'BCD'E quello che corrisponde al numero 5. Il primo elemento di (A1) unito con (^4) da il gruppo corrispondente al numero 7 + 1 = 8 Rimane di (A') un gruppo (A")=.B'C'D'ff formato cogli elementi rimanenti di (-4'). Il primo elemento di (.4'') unito al gruppo (-4) ci da il numero 8+1 9. Del gruppo (A") gli elementi rimanenti formano un gruppo (A')^C'D E' il cui primo elemento (7 unito al gruppo ((A) A') B' = (A) (AB') (a, 40) da il numero 9 + 1 = 10. E così unito il penultimo elemento D' di (A1) al gruppo (-4) (A'ffC')si ha il nu- mero 10+1 = 11. E finalmente unendo l'ultimo elemento E' di (A') al gruppo (4) (ABffD') si ha il numero 11 + 1 = 12 che corrisponde al gruppo [(A) (A'ì\=ABCI EFGA'B'(fffE il quale rappresenta an- che il numero 7+5 (oss. I, e, 47), dunque 12=7+5. La dimostrazione del teorema pei numeri dati qualunque di (I) si fonda eviden- temente sulla regola di segnatura dei numeri o numerazione* la più comune delle quali è quella decimale. Ad es. si pone in questo sistema: dove x prende successivamente i segni 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 9. Il numero succes- sivo al 19 si indica con 20 che si ottiene dall' unione di due gruppi di dieci elementi (decine) Così: 2# =20+cc (a?,=l, 2, 3, ____ 9).

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39 Analogamente un numero compreso fra quello corrispondente al gruppo compo- sto di dieci gruppi di 10 elementi (centinajo) e quello composto di due decine si in- dica con dove xy è un numero che precede il 100 nella serie (I). Per dimostrare che 41+53=94 si osservi che 41 40+1, 53=50 + 3 e quindi 41 + 53=140 + 50+4 90+4=94 1). 4. Sottrazione Moltiplicazione Divisione. Numero zero. 51. Sottrazione. Def. I. Se si ha a + == e (I) il primo numero a si dice differenza del se- condo b dal terzo e, e l'operazione colla quale si determina il numero a dai numeri e e si chiama sottrazione. Oss. I. Il numero a si ottiene evidentemente togliendo il numero b dal numero e (def. I. 7; def. Ili, oss. I e II, 31). Def. IL II numero e, si chiama minuendo, b sottraendo, e a si chiama anche resto della sottrazione. Possiamo anche dire: Def. /. La sottrazione di un numero b da un altro numero e maggiore di b significa trovare un numero a tale che sommato a b dia e. a. La sottrazione è V operazione inversa dell'addizione (12, def; I). Jnd. I. La sottrazione di b da e da per risultato e si indica nel se- guente modo: a^c b (2) essendo il segno di questa operazione. 1) m questa genesi del numero ci stacchiamo ad es. dai sig. Helmoltz, KronecKer e nedekind i quali (1. e), trattano prima del numero come puro segno (Zahl), e poi del numero come Anzahl cioè del numero degli oggetti di un gruppo. Essi lavorano con questi segni stabilendo con annotazioni spe- ciali le loro leggi. Pur riconoscendo l'acutezza e l'importanza dei lavori dei tre valentissimi mate- matici, mi permetto di osservare che prima ancora di parlare di Anzahl essi usano continuamente nel discorso la parola uno (ad es. un oggetto A) la quale corrisponde ad un concetto fondamentale determinato e che da precisamenter Anzahl dell'oggetto A (def. 1,11,45)- L'Anzahl dell'oggetto A non è secondo me un segno o nome arbitrario scelto a caso per indicare il primo posto od oggetto di una serie (16, 20), ma è uno intendendo con questa parola il concetto che vi è legato. E in questo concetto non vi è l'indicazione dell'oggetto ad es. Paolo, albero ecc. ina il giudizio che esprime la nostra mente, che è cioè uno anziché più oggetti (2). L'addizione in Dedekind perde il suo significato del- l'unione successiva dell'unità ripetuta all'unità data (1. e, 44); o un'annotazione colla quale dal segno di un elemento di una serie (secondo noi illimitata dì i. specie) si ottengono per mezzo di ele- ganti teoremi i segni degli altri elementi seguenti, ci stacchiamo poi maggiormente dal sig. Peano (Arithmetices principia, nova methodo exposita. Torino 1889). Fatta astrazione dal sistema di segni in- trodotto per meglio scindere e indagare le parti semplici di un gruppo di proprietà o di dimostrazioni matematiche quando però è possibile ridurle nel segni finora conosciuti nell'ordine che si crede mi- gliore, ma senza che sìa necessario, egli considera più che gli altri l'aritmetica come un sistema di segni assoggettati a certe definizioni, che per chi non conosce l'aritmetica sono scelte ad arbitrio (vedi pref. e appendice).

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40 b. Il sottraendo è il resto della sottrazione del resto primitivo dal minuendo* Si ha infatti da (2) la (1), e la (1) ci da b+a=*c (m, 48) da cui 6= e a (3;. Dalla definizione stessa si ha: e. Per la sottrazione non vale la legge commutativa* Non si ha cioè b c=# perché è c e non si può togliere pel concetto di numero fin qui considerato un numero maggiore da un numero minore. d. La sottrazione è un'operaziene a senso unico. Vale a dire la sottrazione di un numero b da un numero e si eseguisce in un solo modo e da un solo risultato (def. II, 11). Si abbia infatti e b ss a e b = a' si avrà per la definizione stessa vale a dire a' è uguale ad a (a, 50). e. Se da numeri uguali si sottraggono numeri uguali si ottengono numeri uguali. Se 6=6', c=c', c si ha: e b=3c' b' Difatti ponendo c b=sa, c' b' =a' si ricava #4- =c, a'4-6'=c (def. I e ind.; ma b = b', c=ic' dunque a=#' (a, 50). f. Se d a vi è un solo numero x tale che a oc = d. Vale a dire #'-{-#=# Per un altro numero a/ tale che a x' = a', sa- rebbe a' -f oc =2 a, e perciò a?' = x (a1, 50). g. Se da due numeri uguali si sottraggono numeri disuguali si hanno nu- meri disuguali. Sia a a? == 6, a oc == 6', af ^ x si ha b 4- x = a, b' -f x = a (def. I e ind.). Non può essere = ' altrimenti a? sarebbe uguale a x' contro l'ipotesi (a1, 50), dunque ecc. h. Togliendo da un gruppo di a elementi prima b elementi e poi e dal gruppo rimanente (b a, e ^ a b) è lo stesso che togliere (e -f b) elementi dal gruppo a. Siano C C'... B'ff... gli ultimi c + elementi del gruppo (X), e A' A"... gli elementi che li precedono in questo gruppo. Indicando con (A), (B), (C) i tre gruppi di (X), si ha: [(A)(C)1(B)=(A)[(C)(B)] = (X) (a, 40) dunque togliere gli ultimi b elementi (B), e dal gruppo rimanente [(^)(C)] gli ultimi e elementi (C), equivale a togliere gli ultimi e -f- b elementi [(C) (B)} dal gruppo (X), poiché il risultato in ambedue le operazioni è il gruppo (A)(d.) ti* 0 (c-|-6) = (a è) ?=( e) b (I; m, 48). Ind. IL II numero ( ) e lo indicheremo anche col simbolo a 6 ?.

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41 h". a b cesa e è (o, d; ìnd.). Oss. II. La proprietà (a b) . e = a (b -f- e) si può chiamare legge associati va dalla sottrazione. i. (a 6)-r-(a' 6') = (a + a') (6 + 6') (a 6, a' ') Se si ha infatti un gruppo di elementi composto di due sottogruppi a e a'9 togliere da essi rispettivamente i sottogruppi 6 e b' è lo stesso che togliere il sottogruppo 6-f-6' dal gruppo dato -}- ' poiché i due gruppi risultanti si corrispondono univocamente (cT, ?, 48). 52. Moltiplicazione. Oss. L Dato un gruppo di a elementi, come nuovo elemento possiamo conside- rare il gruppo stesso, e quindi la nuova unità sarà il numero corrispondente al gruppo (def. I, 45). E come ripetendo Punita e unendo questa air unità già data abbiamo ot- tenuto i numeri della serie (I), così ripetendo la nuova unità si ottiene un'altra serie di numeri. Ma evidentemente ciascuno di questi numeri è un numero della serie (I), Invero consideriamo il numero b rispetto alla nuova unità a ; esso non è che la somma del numero a ripeluto b volte o come si dice anche tante volte quante sono le unità di b. Def. I. L'operazione colla quale il numero a viene sommato tante volte quante sono le unità di un altro numero 6 si chiama moltiplicazione. Oss. IL La moltiplicazione non è dunque che un'addizione abbreviata. Def. II. Il risultato della moltiplicazione si chiama prodotto, e si indica con a X ; # e 6 i fattori, a moltiplicando, 6 moltiplicatore, essendo X il segno di questa operazione. Il prodotto si indica anche con a.b o con ab. a. La moltiplicazione del numero a pel numero 6 è uri operazione a senso unico. 6. Il prodotto non cambia mutando l'ordine dei fattori. e. Se a X = e non vi è un altro numero b'^b tale che a X ' = e. e'. Se i prodotti di due numeri a e b per un terzo o per numeri uguali sono uguali, a e b sono uguali. d. Per la moltiplicazione vale la legge associativaf cioè Ind. I. Il prodotto (a X 6) X c si indica perciò anche col simbolo a X X c Queste proprietà, come altre, della moltiplicazione derivano dai teoremi analoghi dell1 addizione. e. (a'" a") b = a' b + a* b (legge distributiva). Se a1 + a"=za si ha evidentemente (m, e nota 3*, 48). e perciò Pel segno basta applicare la formula i, 51 tenendo conto dei teoremi d, f, 47.

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42 Def. III. Il numero a.b sì chiama multiplo di a secondo il numero è, e ò è multiplo di 6 secondo il numero a; a e 6 si chiamano multipli di 6 o ba. Ind. IL II prodotto di a per si scrive anche col simbolo a2, il prodotto di az per a con a3; e in generale il prodotto di an~l per a si indica con an. Def. IV. Il numero an si chiama potenza nma di a, w I1 esponente della potenza, e a la base. 53. Divisione. Def. I. L1 operazione inversa della formazione di un gruppo con più gruppi uguali, equivale a quella di scomporre un gruppo in sottogruppi uguali, cioè di ugual numero di elementi quando ciò sia possibile. (12, 31). Essa ci conduce all'operazione inversa della moltiplicazione che si chiama divisione. Vale a dire dato il prodotto a X b = o e il fattore , la divisione è queir operazione colla quale si determina l'altro fattore a. Def. IL II risultato dicesi quoziente, e dividendo, b divisore, e si scrive c:be=*a essendo: il segno della divisione. Def. I'. Si può anche dire: Dividere un numero e per un altro b significa trovare un n amere a tale che il prodotto di esso col numero b sia uguale a ?, o il numero delle volte che b è contenuto in e. Da ciò risulta che e deve essere multiplo di b secondo il numero a. a. La divisione è un'operazione a senso unico. Supponiamo si abbia: as=c: , a' = c:b si deve avere aXb = c, a'X = c (def. I), oppure X = e, bXa'~c (b, 52). da cui a=a' (e, 52). b. Numeri uguali divisi per numeri uguali danno numeri uguali. Difatti se a: = c, a':b' = cf, a = a', = ' si ha c.b = c'.b' da cui e = e' (e', 52). e. Per la divisione non vale la legge commutativa (def. I). d. Se due numeri divisi per numeri uguali danno quozienti uguali i due numeri sono uguali. Cioè se a:b =a' : b' e = ' si ha: a = a\ Difatti si ponga a: = c, ':#' = e (def. I) da cui a = .c, a' = '.e. Ma essendo b = b' si ha a~a' (d, 47 e def. II 52). e. a.b : b = a. Difatli ponendo a.b:b=c si ha a.b=c.b (def. I), da cui a e (c\ 52). f. (a.c):(b.c)=:a:b. Difatti si ponga (a.c):(b.c) = d, si ha a.c = d. (b.c) = (b.d).c (6, d, 52). da cui a = d.b ( , e', 52), e quindi a:b = d (def. I) e perciò anche a : b = (a.c) : (b.c) (d, 47 e def. II, 52) g. (a:c):(b:c) = a:b.

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43 Sì ponga d.c , e.c *= è (def. I), si ha (d.c) t (e.c) = a:b (b) ed anche (d.c) : (e.c) d: e (p. Ma d = : e, e= :c (def. I) dunque (a: e): ( :e) = a: 6 (6) Ti. Per la divisione non vale la legge associativa. Non è cioè a:(b:c) = (a: b):c perché si ha a: (b : e) *= (a.c) : b e (a:b):c a:(c.b) (f), mentre in generale non è (a.c)ib = a:(c.b). i. Per la divisione vale la legge distributiva. Difatti si ha (a : e db 6 : e) e = a ifc 6 (e, 52; def. I), e quindi dividendo per e i membri dell'uguaglianza si ha: (a3=b):c=a:c- b:c (Ti; 2, 8). Oss, Qui si suppóne che a e b siano divisibili per e (def. I). 54. Numero zero. a. I numeri della serie (2) si possono ottenere colla sottrazione di un nu- mero da un altro. Difatti se a è un numero qualunque di (I) e si unisce ad a un altro nu- mero -b si ha : a -f- b = e, da cui a = e b. Oss. I. Qui si presenta un caso particolare degno di nota che ci induce a intro- durre un nuovo numero. Se si toglie un numero da un altro numero ad esso uguale vale a dire se facciamo astrazione da esso (7), non si ottiene alcuno dei numeri della serie (I) ; si ha cioè che il gruppo corrispondente è un gruppo nullo o di nessun ele- mento (def. I, 31). Ma siccome ogni sottrazione da un numero di (1), non volendo fare rispetto a questa operazione, oppure rispetto alla corrispondenza coi gruppi, al- cuna eccezione conveniamo di dire che la sottrazione a a ci da un nuovo numero. Def. I. Il numero a a (oss. I) si chiama numero zero, e lo si indica col segno o, vale a dire a a=o (b, 9). b. a a = b b = o9 dove a e b sono numeri qualunque di (/). Difatti se al gruppo nullo che si ottiene togliendo b elementi da un gruppo di b elementi si aggiungono a elementi si ottiene un gruppo di a elementi, che altrimenti il gruppo nullo dovrebbe contenere esso stesso degli elementi contro l'ipotesi (II, 29). Dunque si ha pei numeri corrispondenti b b-\~a=a. Ma togliendo dal gruppo risultante il gruppo di a elementi si ottiene il gruppo primitivo, essendo l'operazione del togliere a senso unico (a, 11), quindi si ha b b -=.a a. Oss. IL Osserviamo che il segno o ha un significato ben diverso da quello che ha quando entra nel simbolo di un numero, come ad es. nel numero i 0, perché in tal caso viene posto di seguito ali9 unità per comodità di segnatura o di numerazione. e. Il numero zero è minore di tutti i numeri della seme (I). Perché è rappresentato da un gruppo che non ha elementi (def. I, e II, 49). 055, IH. Volendo ordinare tutti i numeri in una nuova serie mantenendo in essa la proprietà della (I), che i numeri precedenti un numero a sono minori di a, e quelli che lo seguono sono maggiori di a (cf, 46; f, 50), il numero o dovrà occupare il primo posto, e si avrà la serie

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44 a') o, i, 2, 3 ..... io, .... 20 .... 100 .... m ..., d. adzos=a, o-\-a = a Di fatti le due relazionisi possono scrivere così: a (a à)=a,(a #) Il primo membro della prima uguaglianza riferendoci ai gruppi ci dice che al gruppo a non si è aggiunto alcun elemento; o dal gruppo di a elementi non si è tolto alcun elemento; nell'uno e nell'altro caso si ha dunque per ri- sultato il gruppo di a elementi. Il primo membro della seconda uguaglianza ci dice invece che dal gruppo a fu tolto lo stesso gruppo, il che ci da per risultato nessun elemento (def. I, 31), e che a questo risultato fu aggiunto un gruppo di a elementi. Anche in questo caso il risultato finale è un gruppo di a elementi (li, 29). e. oX#=0X =0. Perché ripetendo un gruppo che non ha elementi tante volte quante sono le unità contenute nel numero #, si ha sempre un gruppo senza elementi (15; oss. I, 52; 11,29). Perché ripetere un gruppo a nessuna volta significa che non si considera affatto (7, e 31). Oss. IV. Se un gruppo nullo si considera nessuna volta, il che vuoi dire che non si considera, in questo senso non si ha alcun risultato (def. I, 31), e si ha: 0X0=0, f. o : a = o : b = o Ciò risulta dalla definizione della divisione (53) e da e. g. 0:0 = a, o : os=6; o : 0 = o, o in parole: La divisione di o per o non è un'operazione a senso unico *). Ciò risulta analogamente da e' e dall'oss. IV. Il teor. e1 basta a dimostrare il seguente principio: h. Se con forme date eseguendo una data operazione si ottengono risultati uguali non deriva da ciò solo che le due fórme siano uguali se si fa astrazione nei risultati dalle forme date. Oss. IV. Non ci diffondiamo ulteriormente nelle operazioni dei numeri della se- rie (I) perché ne faremo pochissimo uso nei fondamenti della geometria, nostro scopo principale, e d'altronde le proprietà qui svolte sono le proprietà fondamentali di questi numeri. Così faremo pei numeri che introdurremo in seguito. 1) Si badi che g non è in contraddizione colia proprietà 6 e e del n. 8, perché qui o ; o è un se- gno che non rappresenta una sola cova, ma da e risulta invece che rappresenta numeri, e quindi anche concetti (4), diversi.

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CAPITOLO IV. Dei sistemi di elementi e in particolare di quelli ad una dimensione. 1. Considerazioni empiricbe sul continuo intuitivo rettilineo *). 55. Che cosa è il continuo? Ecco una parola il cui significato senza biso- gno di alcuna definizione matematica tutti intendiamo, perché intuiamo il con- tinuo nella sua forma più semplice come contrassegno comune a più cose con- crete, quali sono, per dar esempio di talune fra le più semplici, il tempo e il luogo occupato nell'ambiente esterno dall'oggetto qui tracciato, od a quello di un filo a piombo, di cui non si tenga conto delle sue qualità fisiche e della sua grossezza (in senso empirico 2)). Rilevando le partico- flg. i,0- aic- M c x **y larità di questo continuo intuitivo dobbiamo cercare una definizione astratta del continuo, nella quale non entri più come elemento necessario l'intuizione _________ o la rappresentazione sensibile, in modo che inver- flg. 3, e 3. X a1 samente questa definizione possa servire astratta- X' mente con pieno rigore logico alla deduzione di al- tre proprietà delio stesso continuo intuitivo. Che que- ta definizione matematicamente astratta si possa dare, vedremo in seguito. D'altra parte se la definizione del continuo non è puramente nominale e vo- gliamo invece corrisponda a quello intuitivo suddetto, deve evidentemente sca- turire dall'esame di questo, anche se poi la definizione astratta in conformità a principii matematicamente possibili comprenderà questo continuo come caso particolare. L'oggetto della fig. 1, a si chiama rettilineo. Esaminando dunque il con- tinuo (fig. 1, a) vediamo che si può ritenere composto di una serie di parti consecutive identiche , , c, d ecc. disposte da sinistra verso destra, e che ciò vale entro certi limiti dell' osservazione. Le parti sono separate dalle croci segnate sull'oggetto stesso, e sono pure continue. Inoltre scorrendo coll'occhio da sinistra verso destra osserviamo che le parti a, b, c, d come pure ab, bc, ed, ecc. ; abc, bcd ecc. ecc. sono identiche da sinistra verso destra, e che que- ste particolarità hanno pure luogo da destra verso sinistra. Si ha ancora che fra due parti consecutive a e b e c della serie abcd ecc. non vi è altra parte, mentre ad es. fra le parti a e c vi è la parte b\ 1} Per stabilire i concetti matematici possiamo benissimo ricorrere a nozioni acquistate empi- ricamente, senza poi che nelle definizioni stesse e nelle dimostrazioni dobbiamo farne alcun uso. 2) Vedi oss. emp. n. 1, parte I

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46 e se si fa astrazione dalla parte b, l'oggetto rettilineo non è più continuo. Ciò che vale per le parti a e b 1' osservazione ci assicura che vale fra due parti consecutive qualunque di una qualunque di esse, o in altre parole non vi è altro tutto colle stesse proprietà deJP oggetto rettilineo le cui parti separino due parti consecutive dell'oggetto stessono meglio del luogo da esso occupato (23 e def. II, 25). Oltre a ciò vediamo che tanto sperimentalmente (cioè con una serie limi- tata naturale (35) di scomposizioni), come anche astrattamente (vale a dire secondo ogni ipotesi od ogni operazione matematicamente possibile che non contraddica ai risultati dell'esperienza), noi possiamo arrivare ad una parte non ulteriormente scomponibile in parti (indivisibile), colla quale è composto il continuo (come è per il tempo un istante). È poi la esperienza stessa che ci spinge a cercare l'indivisibile in modo da non poterlo ottenere praticamente, perché essa ci dimostra come una parte considerata indivisibile rispetto ad un'osservazione non lo sia più rispetto ad altre osservazioni eseguite con istrumenti più esatti o in condizioni diverse. E ammessa la parte indivisibile noi vediamo che anche sperimentalmente pos- siamo ritenerla indeterminata, e perciò più piccola di qualsiasi parte data del- l'oggetto rettilineo. Occorre inoltre distinguere una parte data a del continuo dalle altre per poterla considerare indipendentemente da queste ; e se facciamo astrazione da essa, la parte rimanente bea ecc. nell'ordine bcd ecc., che indichiamo pel mo- mento con a, non possiamo considerarla come avente una parte comune con a. Rimanendo la parte a al suo posto nel continuo per distinguerla dalla parte a dobbiamo immaginare qualche cosa, un segno (punto), che serva a indicare il posto di unione delle due parti, pur rimanendo inalterata la proprietà già so- pra osservata che cioè fra a e a non vi è alcuna parte di altro tutto nel senso indicato. Il segno che separa la parte a dalla parte a è dunque un prodotto della funzione di astrazione della nostra mente e di scomposizione del conti- nuo in parti, e non è parte dell'oggetto rettilineo; se fosse una parte a* di a consecutiva ad a, da sinistra verso destra potremmo ripetere fra a e a la stessa considerazione. Da questo punto di vista noi siamo dunque costretti ad ammettere che il segno di separazione o di unione fra a e a, anche come ap- partenente al continuo non sia parte di esso. E si può ritenere come appar- tenente ad entrambe, considerate indipendentemente l'una dall'altra. Indicando con A, B, C ecc. i segni di separazione delle parti a e b; b e e; e e d ecc. (fig. 1, a), la parte b potremo indicarla col simbolo (AB), la parte e col sim- bolo (BC) ecc. Tutto ciò è suffragato dalla stessa osservazione. Supponiamo ad es. che la parte a dell'oggetto rettilineo sia dipinta in rosso, la parte rimanente a in bianco, supponendo inoltre che fra il bianco e il rosso non vi sia altro colore. Ciò che separa il bianco dal rosso non può avere colore né bianco né rosso, e quindi non può essere parte dell'oggetto perché ogni sua parte è-per Ipotesi bianca o rossa. E questo segno di separazione o di unione del bianco e del rosso si può anche considerare appartenente o alla parte bianca o alla rossa considerandole indipendentemente l'una dall'altra. Se ora. si fa astrazione dal

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47 colore il segno di separazione delle parti a e a possiamo supporlo apparte- nente all'oggetto stesso. Un altro esempio. Tagliamo un filo finissimo nel posto indicato da X con la lama sottilissima di un coltello e stacchiamo le due parti a e a' (fìg. 1, a\ e supponiamo che si possa poi ricomporre il filo senza che si osservi il posto ove avvenne il taglio (fig. 1, e), in altre parole come se nessuna particella del filo andasse perduta; il che si ottiene apparentemente guardando il filo così ricomposto in certa lontananza da esso. Osservando ora la parte a da destra verso sinistra come indica la freccia della fig. 1, sopra a ; ciò che si vede della parte tagliata non è certamente parte del filo, come ciò che si vede di un corpo non è parte del corpo stesso. Analogamente succede se si guarda la parte a1 da sinistra verso destra. Se il segno X di separazione della parte a da a' supposto appartenente al filo stesso fosse parte di esso, guardando a da destra verso sinistra non si vedrebbe tutta questa parte, mentre ciò che se- para la parte a da a1 è soltanto ciò che si vede nel modo suindicato, quando si suppone poi ricomposto il filo l). L'ipotesi che il punto non è parte del continuo rettilineo (e nemmeno ha parti in sé 2) vuoi dire che tutti i punti che possiamo immaginare in esso, per quanti siano, non costituiscono uniti insieme il continuo, e scelta una parte (XX') piccola quanto si vuole dell'oggetto (fig. la a) (per il tempo un istante) e per quanto indeterminata vale a dire senza che X e X' siano fissi nel nostro pensiero l'intuizione ci dice che essa è sempre continua. Scorrendo poi coll'occhio da destra verso sinistra, o viceversa, vediamo che ogni punto occupa una posizione determinata sull'oggetto rettilineo, e a co- minciare da un dato punto non lo incontriamo più né da destra verso sini- stra né da sinistra verso destra, vale a dire l'oggetto rettilineo non ha nodi. Vediamo inoltre che una parte per quanto piccola ad es. quella indicata da un trattino X apparentemente indivisibile (fig. 1, e) è limitata alla destra e alla sinistra da parti del continuo, e quindi da due punti. E siccome una parte costante limitata da due punti e indivisibile rispetto ad un'osservazione, può non esserlo rispetto ad altra osservazione, così siamo indotti anche sperimen- talmente ad ammettere che ogni parte limitata da due punti che rimangono sempre gli stessi nelle nostre considerazioni, sia pure divisibile in parti. Di più se consideriamo l'oggetto rettilineo da A verso destra possiamo ammettere che la serie di parti àbcd ecc. in questo ordine sia illimitata (def. II, 32), perché dall'esperienza ripetuta siamo indotti a ritenere che, se non l'og- getto rettilineo il luogo però da esso occupato nell'ambiente esterno sia parte di un tutto illimitato. Così da destra verso sinistra. Inoltre tra due punti anche indeterminati di posizione X e X' ma che non coincidono (def. V, 8) vi è sempre una parte continua. E poiché il continuo è 1} Vediamo dunque che l'idea del punto che non è parte del continuo o tutt'altro che una pura astraz:one, che non trovi giustificazione nell'esperienza stessa. Certo che facciamo uso della nostra facoltà di astrarre, ma o impossibile specialmente in matematica di non farne uso. È quindi per lo meno inutile anche regolandosi secondo l'osservazione di ammettere che il punto sia il minimo sen- sibile dell1 empirista come fa il sig. Pasch (Vedi pref. e appendice). 2) Noi non avremo però bisogno per lo svolgimento teorico della geometria di stabilire che il punto non ha in sé parti. Dicendo in sé non intendiamo dire ciò che è una cosa indipendentemente da noi, ma ciò che è nella sua rappresentazione mentale (4).

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48 determinato matematicamente dai suoi punti, siamo indotti ad ammettere che fra due punti anche indeterminati, per quanto vicini essi siano, esista sempre almeno un altro punto distinto dagli estremi (def. V, 8). A questa ipotesi siamo condotti inoltre dall'osservazióne che dato un punto X sull'o'ggetto rettilineo si guò immaginare una parte di esso (AB) che contenga X e tale che A e B si avvicinino sempre più a X senza mai coincidere con X, e che quindi si possono immaginare delle parti cogli estremi indeterminati quanto piccole si crede che contengano almeno un altro punto X oltre agli estremi. Finalmente riceviamo l'impressione che neiroggetto rettilineo (flg. 1, a) intorno ad un suo punto B vi sono due parti (BA) e (BC) tali che considerata la prima da B verso A e la seconda da B verso C esse sono identiche, e che la parte (AB) percorsa de B verso A è identica alla stessa parte percorsa da A verso B (def. Ili, 9). Tutti questi contrassegni dell'oggetto rettilineo si possono essi stabilire astrattamente senza bisogno di ricorrere alla intuizione? Se sì, sono essi suf- ficienti per distinguere il continuo come forma astratta da altre forme possi- bili? Oppure alcuni di essi non sono conseguenza necessaria degli altri seb- bene evidenti? Ecco le questioni che dobbiamo risolvere in questa introduzione ; e noi vedremo che i contrassegni suindicati sono sovrabbondanti J). i) Ad es. G. cantar, DedeKind nei loro pregevolissimi lavori dicono che è arbitrarla la corri- spondenza univoca a partire da un punto delia retta fra i punti delia retta stessa e i numeri reali che costituiscono il continuo numerico ottenuto mediante una serie di definizioni astratte di segni, per quanto possibili arbitrarie sempre. A Dedekind sembra anche (1, e. pag. XII-XIII) che. dati tre punti A, B, C non in linea retta in modo che i rapporti delle loro distanze siano numeri algebrici, i rap- porti delle loro distanze dai punti dello spazio dai tre punti alla distanza AB possano essere soltanto numeri algebrici di modo che lo spazio a tre dimensioni e quindi anche la retta sarebbero discon- tinui. Secondo Dedekind per chiarire anzi la rappresentazione dei continuo dello spazio occorre il continuo numerico (1. e.) Secondo me invece o il continuo intuitivo rettilineo mediante l'idea di punto senza parti rispetto al continuo stesso che serve a darci le definizioni astratte del continuo, di cui quello numerico non è che un caso particolare. In questo modo le definizioni non appariscono come uno sforzo della mente nostra, ma trovano la loro piena giustificazione nella rappresentazione sen- sibile dei continuo; del che bisogna certo tener conto nella discussione dei concetti fondamentali, senza uscire s'intende dal campo puramente matematico (vedi pref.). E d'altronde sarebbe veramente meraviglioso che una forma astratta cosi complessa qual' è il continuo numerico ottenuto non solo senza la guida di quello intuitivo, ma come si fa oggi da alcuni autori. da pure definizioni di segni si trovasse poi T accordo con una rappresentaaione cosi semplice e primitiva qual1 o quella del con- tinuo rettilineo. 11 continuo intuitivo rettilineo è indipendente dal sistema di punti che noi vi possiamo immagi- nare, un sistema di punti considerato il punto come segno di separazione di due parti consecutive della retta o come estremo di una di queste parti, non può mai dare in senso assoluto tutto il conti- nuo intuitivo perché il punto non ha partì; soltanto, troviamo che un sistema di punti può rappre- sentare sufficientemente il continuo nelle ricerche geometriche. Il continuo rettilineo non è mai com- posto dai suoi punti ma dai tratti che li congiungono due a due e che sono pur essi continui. In questo modo il mistero della continuità viene ricacciato da una parte data e costante della retta ad una parte indeterminata quanto piccola si vuole, che è pur sempre continua, e dentro alla quale non ciò permesso di entrare più oltre colla nostra rappresentazione. Ed è in questo mistero che si ravvolge in fondo il concetto fondamentale di limite. Ma matematicamente, è bene rilevarlo, questo mistero non ha alcuna influenza, poiché ci basta la determinazione del continuo mediante un sistema ordinato ben definito di punti; però o altresì da osservare che la determinazione per punti o casuale perché l'in- tuizione del continuo l'abbiamo ugual mente senza di essa. Se si considera infatti il punto senza parti allora come si è detto facendo anche corrispondere a tutti i numeri reali conosciuti i punti del la retta a partire da un* origine, non otteniamo tutto il continuo. Se si considera il punto come parte quanto piccola si vuole ma costante, allora nemmeno tutti -numeri razionali sono rappresentabili sul seg- mento rettilineo a cominciare da uno dei suoi punti come orìgine ; eppure esso rimane continuo nel-

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49 2. Elemento fondamentale Elementi e forme differenti di posizione e coincidenti in senso assolato o relativo, Leggi di determinazione oppure di esistenza o di costruzione delle forme. 56. Ripigliamo le nostre considerazioni sulle forme astratte. Conv. I. Il gruppo ordinato abc=a(bc)~(ab)c (III, e a, 29) ha per parti , b, e; ab, bc (def. II, 27). Siccome è contrassegno di questo gruppo il modo con cui è posto a rispetto a bc e perciò anche la parte ab rispetto alla parte bc (def. I, 38), così conveniamo di dire che il gruppo abc si ottiene anche unendo la parte bc alla ab anziché dire che esso si ottiene dall'unione di bc ad a (III, 29). Con questa operazione b deve essere considerato però una sola volta. Diremo che b serve di separazione o di unione della parte ab dalla o colla parte bc nel tutto. Così se si ha una serie di forme ....abcd....mn.... z\... illimitata conveniamo di dire che il gruppo ordinato che ne risulta (def. I, 26 e oss. 28) si ottiene an- che dall'unione della parte illimitata o limitata (mn. .x....) alla parte limitata o illimitata (....abcd....m) (a, 40) in modo però che la forma comune alle due parti deve essere considerata una volta sola. Se finalmente sì considera il punto come parte indefinitamente piccola nello stato cioè di indeter- minata piccolezza, allora ad ogni numero reale corrisponde un punto senza assioma speciale. L' intui- zione spaziale ci dice in fondo che se (A) è la forma astratta corrispondente al luogo occupato dal- l'oggetto rettilineo non vi è nessun'altra forma astratta (B) della stessa natura di (A) di cui una parte separi due parti consecutive di (A) (22, 24). Dire che la retta potrebbe essere discontinua e data da tutti i punti considerati senza parti, che rappresentano ad es. a cominciare da una data origine tutti i numeri algebrici, è ammettere per so un fatto che ripugna all'intuizione, e cioè che la forma astratta corrispondente alla retta appartenga ad un altra forma astratta possibile che com- prende in sé tutti i numeri reali, i cui elementi (che in essa sono parti, a, 27) separino quelli della prima. E non solo in conformità a questo principio siamo costretti ad ammettere che a cominciare da un punto della retta tutti gli altri punti rappresentino i numeri reali, ma ad ammettere altresì vi siano in essa punti che corrispondano eventualmente ad altri possibili numeri compresi fra i nu- meri reali, rimanendo intatte le altre proprietà caratteristiche della retta. Osservo ancora che noi consideriamo la parte indefinitamente piccola indipendentemente dalla distinzione di numeri razio- nali e irrazionali, e che sarebbe per noi molto più arbitraria e incerta l'ipotesi che non tutte que- ste parti contengano almeno un punto oltre gli estremi. Di più. se si ha un proiettile che dal punto A vada a colpire il punto B in linea retta, dividendo il cammino di esso nella serie di parti JL _L+ _L JL + JL +JL 2' 2 ^ 22' 2 "^ 22 ^ 23' e se noi l'accompagniamo nella serie di queste parti non vediamo col pensiero uscire mai la punta del proiettile dalla serie stessa. Ma abbiamo però d'altra parte la rappresentazione del fatto che il proiettile colpisce il punto B, il quale è il limite a cui giunge la punta del proiettile, e (AB) è il limile della serie suddetta, nel senso cioè che finché la punta X del proiettile rimane nella serie si avvi- cina indefinitamente al punto B, ossia (XB) diventa piccola quanto si vuole. Cosi se si ha una serie di parti consecutive sempre crescenti sulla retta stessa, senza che essa a partire da un punto A oltre- passi un dato punto B nel campo della nostra osservazione, per rappresentarci tutta questa serie ab- biamo bisogno di uscire colla rappresentazione dalla serie e di rappresentarcela limitata ad un altro punto e compreso fra A e B ma fuori della serie, se (AB) stesso non è il limite della serie. E anche in questo caso ripugnerebbe all'intuizione l'ipotesi contraria. Si noti inoltre che l'intuizione è certo essenziale per la geometria, sebbene essa non debba entrare come elemento necessario sia nell'enun- ciato delle proprietà o delle definizioni sia nelie dimostrazioni (vedi pref.). Che vi siano sistemi discontinui di punti i quali soddisfino a tutte le proprietà dello spazio date dall'esperienza a quanto sappiamo non è stato ancora dimostrato; ma in ogni caso ciò non direbbe ancora nulla contro la continuità delle spazio. Per quali ragioni poi non si abbia a porre a base dei fondamenti della geometria il continuo nu- merico veggasi la prefazione e l'appendice e il n. Ii3 di questa introduzione. (Vjdi anche 2 nota nf 97 e 2 nota n. 96). 4

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50 57. Def. I. Per elemento fondamentale o per elemento intendiamo una prima forma qualunque data, e chiameremo elementi fondamentali tutte le forme ad essa identiche (def. Ili, 9) *). Def. IL Considerando più elementi dati distinti (def. V, 8) diremo anche che hanno una posizione diversa (oss. Ili e def. VI, 9). Oss. I. In generale dunqne dovremo tener conto del modo con cui sono posti gli elementi (oss. I e def. I, 38). Def. IIL Anziché dire un elemento diremo anche due o più elementi coin- cidenti 2). Due elementi invece che non sono lo stesso elemento ma potranno essere considerati in qualche modo come un solo elemento, si diranno coinci- denti rispetto al modo anzidetto. Se dovremo distinguere l'un caso dall'altro, di- remo che nel primo caso coincidono in senso assoluto o assolutamente, mentre nel secondo caso diremo che coincidono in senso relativo o relativamente. E se coincidono in senso relativo in diversi modi bisogna dire rispetto a quale di questi modi coincidono. Oss. II. In generale però quando parleremo di due o più elementi intenderemo che non siano lo stesso elemento e quindi siano distinti. E se diremo due o più ele- menti qualunque intenderemo elementi distinti, qualunque siano le loro relazioni di posizione (def. Vili, 13), eccetto che non si dica diversamente. Def. IV. In generale per foivna intenderemo in seguito un sistema deter- minato da elementi (def. 1, 11), sehbene anche l'elemento sia una forma (def. I). Def. V. Forme determinate da elementi differenti saranno dette forme di diversa posizione anche se identiche (oss. Ili e def. VI, 9); e coincidenti se i loro elementi coincidono (def. IH). Ind. Indicheremo generalmente gli elementi con lettere maiuscole e le for- me con lettere minuscole. 58. Def. I. L'insieme dei contrassegni comuni di una forma che sono suffi- cienti a distinguerla dalle altre forme (def. I, 9 ed es. 10) e sono indipendenti fra loro, dicesi legge di determinazione della forma. Def. IL Se la forma si considera come data, la legge di determinazione si chiama legge di esistenza, se si considera invece come costruita (def. II, 10) dicesi legge di costruzione o di generazione della forma. Oss. I. Se gli elementi di una forma sono costruiti prima colla legge di costru- zione possiamo supporli poi dati (I, 18), e la legge di costruzione diventa legge di esistenza; se invece sono dati e si vuole costruirli, la legge di esistenza diventa legge di generazione. Def. III. La rappresentazione in parole della legge di determinazione di una forma dicesi definizione della forma. Oss. IL Possono forme diverse avere una comune proprietà, ma allora questa proprietà se serve a definire il loro tutto o insieme, non serve a determinare nes- suna di esse singolarmente, e oltre alla comune proprietà occorreranno altre pro- prietà speciali per determinare ciascuna di esse. Def. IV. Riferire una forma ad altre forme significa considerare il gruppo dato dalla prima colle forme date. Queste si chiamano forme di riferimento. 1) Qui non intendiamo dunque che l'elemento non abbia in sé parte alcuna. 2) Vedi anche def. V, 8.

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Oss. III. Siccome nelle forme identiche non possiamo tener conto della loro di- versità di posizione rispetto ad altre forme, non già però nei gruppi di forme iden- tiche (def. Ili, oss. Ili, 9 e oss. e def. I, 38; 41) ne consegue che, considerate in sé, la loro legge di determinazione è la medesima, ma non è generalmente più la medesima se si riferiscono ad altre forme, perché indicate le due forme identiche con a e b e con e una forma di riferimento può essere che la forma ac non sia identica alla forma bc. Def. V. Invece di dire che gli elementi di una forma sono dati o costruiti con una data legge diremo anche che in virtù di questa legge, da uno o più elementi della forma 'nascono o si ottengono gli altri elementi. Def. VI. Dicesi anche di ogni forma che è la rappresentazione della sua legge di determinazione. 3. Determinazione delle forme Corrispondenza, d'identità, delle forme Concetto di maggiore e di minore. 59. a. Si possono immaginare delle forme indipendenti che contengano un elemento dato qualunque e soltanto questo elemento. Dato un elemento A si possono immaginare più forme che abbiano in comune il solo elemento A (def. VII, 13) perché data una forma f che contiene A, si possono immaginare altri elementi fuori di f e indipendenti da f (a, 37), i quali con A danno un' altra forma f indipendente da f (def. IV, 57 e def. II, 10). Si può supporre che A non determini da solo altri elementi distinti da A in modo che ogni forma che contiene A contenga anche gli altri, perché in tal caso come elemento si potrebbe considerare il gruppo di questi elementi (defì- niz. I, 57). a'. Gli elementi di una forma, e quindi la forma sfessa sono detemiùuiti dalle forme indipendenti die li contengono. Ho detto anche la forma, perché essa è determinata dai suoi elementi ( lef. IV, 57). Oss. Le forme si possono ritenere dunque determinate da altre forme (def. I, 11). 60. a. Forme date, determinate da forme identiche, sono identiche. Oss. I. L'ordine e il modo con cui sono poste alcune delle forme determinatrici Cdef. I, 38) si possono ritenere determinati dalle altre forme determinatrici (a', 59,). ci. Se forme identiche determinano altre forme, queste forme sono identiche. Difatti le due forme risultanti sono determinate da forme identiche ( ). a". Se forme determinate da altre forme non sono identiche, le seconde forme non sono identiche. Se lo fossero, determinerebbero forme identiche (a). a'". Forme costruite colla stessa operazione mediante forme identiche sono identiche. Oss IL Neir operazione riteniamo compreso anche l'ordine delle forine genera- trici e il modo con cui sono poste (def. 1, 38) se ad essi non si accenna esplicita- mente. È inutile anche dire che l'operazione è a senso unico (def. Il, 11) perché se desse i risultati Y} Y1, Y' ecc. sarebbe a senso unico rispetto a tutto il risultato Y, Y,Y" ecc.

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52 Se non lo fossero non lo sarebbero neppure le forme risultanti (alv). I principi a e a'" sono conseguenza immediata della definizione d'iden- tità (def. VI, 8; def. Ili e oss. Ili, 9) perché da a o da a'" segue che le condi- zioni di determinazione delle forme sono tutte uguali (def. I, 11) e quindi an- che tutti i contrassegni che servono a distinguere le due forme dalle altre (def. I, 9); e perciò queste forme sono identiche (def. Ili, 9). Oss. III. Nel principio a le forme si considerano come date, in a"r si considerano come costruite. I principii a e a* sono in fondo un solo principio riguardato sotto aspetti diversi, in quanto che anche l'operazione con cui si ottiene un dato risultato si può ritenere data dalle forme (condizioni, 10) che determinano le forme costruite (a, 59 e I, 18). 7IV. Forme non identiche colla stessa operazione danno forme non identiche. Perché le condizioni di determinazione delle forme risultanti non sono tutte identiche (def. Vili, 8; def. I, 11). #v. Se da forme date colla stessa operazione si ottengono forme identiche, le forme date sono identiche. avl. Se da forme date colla stessa operazione si ottengono forme non iden- tiche, le forme dette non sono identiche. Difatti se lo fossero lo sarebbero anche le forme risultanti ( '"). flvi1. Se da forme identiche con date operazioni si ottengono forme identi- ci le, le operazioni sono identiche. Difatti se non lo fossero le condizioni di determinazione non sarebbero le stesse (def. II, 10), e le forme risultanti non sarebbero identiche (def. Vili, 8). Oss. IV. È da osservare come abbiamo fatto altrove (0, 54) che non risulta da v che due forme non identiche non possano determinare colla stessa operazione forme identiche quando però queste si considerino indipendentemente dalle forme generatrici; né in ciò vi è alcuna contraddizione con aiv. (oss. V, 9). b. Alle forme di ima forma data si possono far corrispondere univocamente e nello stesso ordine forme identiche di un' altra forma identica alla data. Difatti se due forme a e b sono identiche esse corrispondono allo stesso concetto e rispetto a tutti i loro contrassegni, considerate ciascuna in sé (def. VI, 8; 4; oss. Ili, 9; oss. II, 58). Ad ogni elemento A di a corrisponde una rappre- sentazione Cin e, o un elemento di e, e a questo I1 elemento A come anche un elemento B di b (es. 2,42). Le forme a e b, che sono date da gruppi di elementi (def. IV, 57) corrispondono cosi univocamente a e, e quindi anche fra loro (e, 42). Di più se è data una serie di elementi di a ad essa corrisponde una serie di elementi di e che corrispondono ai primi univocamente e nello stesso ordine (es. 2, 42). Alla serie di e corrisponde nello stesso modo una serie di elementi di b; dunque gli elementi delle due serie a e b si corrispondono univocamente e nello stesso ordine (/", 42). È in questo senso che alle forme di a corrispondono univocamente e nello stesso ordine le forme di b. Si può dire anche cosi: siccome fra le forme a e b non si tien conto della diversità di posizione rispetto ad altre forme (oss. Ili, 9; oss. Ili, 58), nella relazione di identità possiamo considerare, fatta astrazione da questa diversità, che ogni elemento dell'una coincida con un elemento dell'altra, e viceversa ; vale a dire che sia un elemento dell'altra (def. Ili, 57). Def. L Fra gli elementi e le forme di due forme identiche si stabilisce

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53 così una corrispondenza unìvoca e dello stesso ordine mediante il concetto e, che si chiama corrispondenza d'identità o di uguaglianza. Oss. V. Non è escluso che una tale corrispondenza fra due forme si possa sta- bilire in più modi. Oss VI. Le forme corrispondenti di due forme identiche sono identiche, come deriva da e dalla def. I. b'. Se in forme identiche con forme corrispondenti si eseguisce la stessa ope- razione le forme risultanti sono identiche. Se da forme corrispondenti di due forme identiche con la stessa opera- zione si ottengono altre forme queste sono identiche (o e a'"). b". Se le parti di una forma disposte in una serie illimitata corrispondono univocamente e nello stesso ordine a parti di un'altra forma ordinatamente identiche alle prime, le due forme sono uguali relativamente alle serie di parti date. Invero se si considerano due serie di parti identiche corrispondenti delle due forme: ....ABCDEF.... in modo che A=A', B=B', AB=A'B', AC A'C,.... ecc. ABC^A' C', ....ABCD=A'B'C'D'..., le due serie determinano due forme uguali perché queste vengono determinate nello stesso modo da forme ordinatamente identiche, o meglio dalle due se- rie (a). Abbiamo detto uguali relativamente alla serie di parti (def. IV, 9) perché date le forme indipendentemente dalle serie, esse possono essere non identi- che nel senso che una di esse sia parte dell'altra senza essere cioè tutta que- st'altra, vale a dire senza che ogni elemento della seconda sia anche elemento della prima (def. II, 27, oss. II, 9). 05 . VII Se una o ciascuna delle forme è composta di una serie limitata di parti contenente come parte una serie illimitata di parti ( , 37; def. II, 27 e def. I. 38,) nelle condizioni del teor ", allora l'uguaglianza ha luogo soltanto rispetto alle serie di parti uguali (def. Ili, IV, 9). e. Forme identiche ad una terza sono identiche fra loro (e, 8; def. Ili, 9; def. I, 38). Oss. V. Questi principi valgono evidentemente anche nel caso dell' uguaglianza in senso relativo, quando essa riguarda i soli contrassegni comuni delle forme che sì confrontano (def. II, 9), poiché in questo caso sono sostituibili rispetto a questi contrassegni nella relazione di uguaglianza (def. IV, 9). Oss. VL È chiaro che i principi suddetti danno l'identità di due forme mediante l'identità di altre forme, e quindi se dovessero servire per stabilire Videntilà di tutte le forme conterrebbero una petizione di principio. Vedremo al n. 71 come possano servire colla considerazione della forma fondamentale. Veggasi le parti I, II; ad es.: cap. I, 14.

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54 61. Def. I. Se sì ha una forma e ottenuta coli* unione di una forma b ad una forma a (def. I, 26), la forma e (tutto) si dice maggiore di e (parti), e che a e b sono minori di e ; e si scrive : c ossia a c ; c ossia c (1) i). De/". IL Così se e' si ottiene da d unendo ad essa V nello stesso modo che b è unito ad #, essendo a=#, = ' (2) si ha CEEC' (aiv 60) . (3). Diremo che e è maggiore di ' e di b'; e ft', ' minorici e; e scriveremo: c a' ossia ' e ; c ' ossia ' c (4). Oss. 7. Per la stessa ragione a e b sono minori di e' e quindi c' a, ossia a cf, ; cr ossia b c' (5). . IZ concetto di maggiore e di minore fra le forme è indipendente dalla relativa posizione delle forme fra loro. Difatti secondo (1), (2), (3), (4) nella relazione c ossia a c possiamo sostituire a e o ad a una forma identica qualunque (oss, III, 58) e' o d (def. Vili, 13). u. Se o a b non è a = b (j\ 8). b'. Se a=b non è a^b 2) perché se fosse a^b non potrebbe essere a=b (b). e. Se a^b non è a^b. Difatti a si ottiene nel primo caso dall' unione di una forma y alla forma b o ad una forma identica a b (def. I o II), e se fosse , b si otterrebbe dal- l'unione di una forma x alla forma a o ad una forma identica ad a, dunque b si otterrebbe dall' unione della forma x alla forma (by), e quindi si avrebbe ( /#)= ( , 40) ciò che è assurdo (def. Ili, 8; def. I e 6). Se non è , perché se ciò fosse per quanto si è detto testé non sarebbe # . d. Se è a c, e si ha # c. Difatti in a vi è una parte d identica a b senza che a' sia tutto a, al- trimenti sarebbe = (def. I e o). In b vi è una parte b' identica a e che non è b, epperciò in a vi è una parte identica a e e quindi anche in a (b, 60). Dun- que ft C. d'. Se è rt , c si lui a c (d). 1) Non occorre dunque dare un assioma come fa Euclide per dire che il tutto è maggiore della sua parte e la parte è minore del tutto. Ciò è una definizione, e la (1) si basa sull'operazione dell'u- nire nella sua più semplice espressione (I, 29), e della quale fa uso anche Euclide negli altri suoi as- siomi o nozioni comuni senza alcuna spiegazione. 2) Con questo doppio segno intendiamo che ha luogo runa oppure P altra disuguaglianza.

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55 Ò3s. ti. Se a b e b c risulta soltanto che in e in e vi sono parti identiche a 6, ma non risulta punto che in e vi sia una parte identica ad a, o in a una parte identica a e ]). e. Se a~b e b^c si ha a'Sc. Ciò deriva con un analogo ragionamento del precedente dalle def. I e IL 4. Sistema ad una, dimensione Segmenti del sistema, loro estremi Segmento indivisibile Versi del sistema Sistema semplice ad una dimensione chiuso od aperto Prolungamenti di un seg- mento nel sistema. 62. Def. I. La forma data da una serie qualunque di elementi che ha o non ha un primo ed ultimo elemento e il cui ordine a cominciare da un suo ele- mento qualunque (def. 21) è contrassegno dato della forma (def. I, 38), e dalla serie inversa, chiamasi sistema ad ima dimensione 2). Oss. I. Elementi consecutivi della forma sono quelli consecutivi nell'ordine dato o nell' ordine inverso (24 ; def. I, 33), in modo che considerati gli elementi in un altro ordine quelli consecutivi in questo nuovo ordine non sono più tali per la forma data, poiché l'ordine delle serie di elementi della forma a cominciare da un suo elemento-è già stabilito (def. I, 26). Oss. IL Le parti della forma oltre gli elementi .. .A, B, C, D...., sono anche AB, BC, CD ecc. ABC, BCD..... ecc. (def. I, 38; def. II, 27). Oss. III. L'ordine degli elementi della forma determina l'ordine in cui si se- guono tutte le sue parti AB, BC, CD ecc., ABC, BCD ecc., e l'ordine di ciascuna di queste parti, poiché in quello della forma C segue B, D segue C ecc. CI* 18 ; def. I, 21; def. II, 39). Def. IL L'ordine dato e l'ordine inverso rispetto ad un elemento qualun- que del sistema si chiamano versi del sistema, e uno qualunque di essi si dice opposto all'altro. Def. III. Ogni parte del sistema che contiene almeno due elementi di- stinti si chiama segmento del sistema 3). Def. IV. Se gli elementi A e E limitano un segmento essi si chiamano estremi, termini o limiti del segmento. Indicheremo il segmento con (AB). Quando non si dirà diversamente intenderemo sempre che un segmento Sia limitato da due elementi determinati. 1) Da quanto abbiamo detto ai n. 3e9 e sull'operazione dell'unire (29e 38 e 41) nei numeri di que- sto paragrafo risulta chiara la indeterminatezza dei cosldetti assiomi di Euclide sulle grandezze (vedi trad. di setti e Brioscfrì libro I) che nel testo greco tradotto da Heìberg sono però chiamati nozioni comuni (vedi pref.). 2) Si badi che qui il concetto di dimensione non contiene quello di misura, che verrà spiegato più tardi. Sarà opportuno che nel corso del lavoro il lettore rammenti che il vocabolo forma indica gli oggetti matematici in generale fdef. i. 38), mentre il gruppo (13), la serie (19), il gruppo ordinato (26), il sistema ad una dimensione, sono in fondo oggetti diversi che possono essere indicati col vocabolo forma. Cosi ad es. : il sistema ad una dimensione può essere chiamato anche gruppo ordinato se lo si considera soltanto in un solo verso (veggasi anche nota n. 4). 3) Questo vocabolo geometrico non significa già che qui intendiamo un segmento rettilineo o cur- vilineo, e nemmeno un segmento continuo, perché gli elementi ABCD.... sono distinti e qualunque.

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56 Def. V. Se nella forma data fra due elementi A e B nell* ordine di essa non vi sono altri elementi della forma stessa (23), il segmento (AB) lo chia- meremo segmento indivisibile. Def. VI. Se di un sistema ad una dimensione dato l'elemento A co- struiamo l'elemento consecutivo B, poi l'elemento consecutivo C ecc., nel verso ABC ecc., diremo anche che applichiamo la legge di costruzione del sistema a cominciare dall'elemento A nel verso dato (def. II, 58). Def. VII. Per segmenti consecutivi in un dato verso del sistema inten- deremo due segmenti dei quali il secondo estremo del primo è primo estremo del secondo nel verso dato. Oss. IV. Come ogni forma dipende dalla sua legge di determinazione (58), così da questa dipendono anche le relazioni di posizione tra gli elementi di essa. E quindi in generale se due sistemi ad una dimensione hanno due elementi A e B comuni non significa per questo che i segmenti determinati da A e B nei due sistemi debbano essere identici, poiché si può supporre a priori senza contraddizione, che le leggi di determinazione siano diverse. Avremo fra poco una conferma a posteriori della no- stra osservazione, (Vedi nota n. 64). Del resto abbiamo frequenti esempi nel mondo esterno di tale diversità. 63. Def. I. Se applicando la legge di costruzione a cominciare da un ele- mento A di un sistema ad una dimensione dopo avere ottenuti tutti gli altri ele- menti si ottiene di nuovo (o si riproduce) quell'elemento ; il sistema si dice chiuso; al contrario dicesi aperto. et. Il sistema ad una dimensione chiuso si può considerare come un seg- mento cogli estremi coincidenti in un elemento qualunque di esso. Tale proprietà è una conseguenza immediata della def. I, delle def. Ili, IV, n. 62 e delle def. Ili, 57, def. Vili, 13. ci. Un sistema ad una dimensione che ha un primo elemento ed è illimitato è sempre aperto. Difatti se fosse chiuso si potrebbe considerare come un segmento coi due estremi coincidenti nel primo elemento del sistema ed avrebbe un ultimo ele- mento e non sarebbe quindi illimitato (def. II, 32 e oss. 28). Def. IL Se in un sistema ad una dimensione chiuso od aperto nessun ele- mento è ripetuto (nel primo caso prima che si ottengano tutti gli altri ele- menti) il sistema dicesi semplice, oppure semplicemente chiuso o semplicemente aperto. E nel caso sia aperto quando non si dirà diversamente intenderemo che il sistema non abbia un primo e un ultimo' elemento, ossia non abbia ele- menti che lo limitino. Otts. 7. Considerando il sistema chiuso come tutto dato esso non ha elementi che lo limitano, come lo è un segmento (AB) (def. IV, 62). Appare subito come talo quando lo consideriamo da un elemento dato di esso. Possiamo dire nel primo caso che esso è illimitato, ma bisogna osservare che non lo è nel senso che le sue serie (def. I, 62) illimitate abbiano un primo od ultimo elemento oppure che a cominciare da un loro elemento siano illimitate nel senso suddetto (def. II, 32 e 33). Sotto questo aspetto il sistema chiuso è invece limitato da due elementi coincidenti in uno qua- lunque dei suoi elementi dati (a). 6. Il sistema chiuso si può considerare come un sistema illimitato a co- minciare da un suo elemento qualunque dato.

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5? Difatti dopo aver ottenuto a cominciare dall'elemento dato A in un verso stabilito tutti gli altri elementi e quindi di nuovo l'elemento A (def. I), basta con- siderare A dopo questa operazione come un elemento A' diverso da A (oss. Ili, 9), e così per tutti gli altri elementi che si ottengono colla ripetizione del- l'operazione suddetta. E ottenuto A' lo si indica con A", e così via illimi- tatamente (def. II, 32). e. In un sistema ad una dimensione semplicemente aperto un elemento lo scompone (divìde) in due parti illimitate, runa in un verso V altra nel verso opposto a cominciare dall'elemento dato. Ciò risulta immediatamente dalla definizione stessa del sistema, che esso non ha cioè elementi che lo limitano nei due versi (def. II, 63). d. In un sistema semplice ad mia dimensione i cui elementi sono: ....AH-D.... AH).... Af- .... A'-1).... AAW.... A 2 .... A(*).... 1) scelto un primo elemento A ed uno dei suoi consecutivi, se esiste, ad es.: A*1), come secondo elemento, il verso del sistema è determinato. Il sistema ha due versi rispetto ad ogni suo elemento (def. II, 6?). Se è dato il consecutivo AW di A che deve seguire A , uno dei due versi del sistema è pienamente determinato. Perché se il sistema è chiuso ogni altro suo ele- mento X può considerarsi dopo di A e Al1), e precederà un altro elemento qualunque Y del sistema se sarà compreso fra A e Y, A 1) e Y (23), il che è dato (def. I, 62). Se il sistema è aperto A Io divide in due parti, che non hanno alcun elemento comune trattandosi di un sistema semplice (e). Considerando quindi A come primo elemento della parte ove si trova A(l\ ogni altro elemento X di essa è dopo di A e .AW e precede ogni altro elemento Yse è compreso fra A e Y. Gli elementi dell'altra parte precedono A e A*1), e uno qualunque X di essi segue ogni altro elemento Y se X è compreso fra Y e A. In questo modo si determina dunque il verso Gli elementi ....A...^-1).... A(-2L.. AH).... determinano il verso opposto. e. Un verso del sistema a cominciare da un elemento A determina un verso a cominciare da ogni altro elemento B del sistema. Difatti sia A...^1).... A s).... A(S-H).... il verso a cominciare da A. Se B è ad es. : dopo di A, supponiamo sia A s), è determinato il verso AK... A(S+A) ..... Se non è dopo di A ed è ad es.: AH), e se il sistema è chiuso si cade nel caso prece- dente, perché si può considerare che sia anche dopo di A nel verso dato (def. II), e si ha pel casoprecedente il verso AH).... A -s+i).... A.... Se il sistema è aperto è determinato il sistema ....A.-.-AH).... AM.... inverso al precedente (def. I, 33), e quindi il suo verso A....AH).... AH)...., e perciò anche pel caso precedente il verso AH).... AH*1)...., dunque anche il verso opposto AH)....AH)....A (def. 11,62). f. Se un sistema semplice ad una dimensione jS è contenuto in un altro sistema analogo a, un verso del primo determina un verso qualunque del se- condo. 1) i segai ...,{-s).....(-2) (-1) (i) (2).... (s) non hanno per ora alcun significato numerico.

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58 Siano A e B due elementi consecutivi del sistema jS nel suo verso dato (def. I, 25 e def. II, 62). Se fra A e B in a (23) non sono contenuti altri ele- menti, A e B sono pure consecutivi di a (24), e quindi l'ordine in cui si seguono AB in j5 da anche l'ordine in cui si seguono gli stessi elementi in a (d). Se invece fra A e B in a sono compresi altri elementi (23), per es. : A'A"....#, al- lora l'ordine AB del sistema j3 determina l'ordine in cui si seguono gli ele- menti AAA'....B'B di a. Dato invece l'ordine degli elementi AA'A'...B?B di a è evidentemente determinato l'ordine in cui si seguono gli elementi AB di jS. f. Si può dire che i sistemi ]3 e a hanno nel caso precedente lo stesso verso o versi uguali. Indichiamo con ....A^.A',....^'!.. i posti occupati dagli elementi di a (20). Un verso di a determina un verso del sistema ....AiA'iA'V..., e questo stesso verso è determinato dal verso corrispondente del sistema 0 a cominciare da un suo elemento qualunque, che è elemento di a. Possiamo dunque dire che i versi considerati di a e /3 sono uguali, perché corrispondono al medesimo verso del sistema ....A|....AV...A"i.... ossia perché possono sostituirsi l'uno ali'altro nella determinazione del verso di ....A'i....A"t.... (def. VII, 8; nota n. 9). f\ I versi di un sistema semplice sono indipendenti doli' elemento dato dal quale si considerano. Difatti considerando il sistema a da due elementi qualunque B e C, un verso a cominciare da B determina un verso a cominciare da C (e), e si ot- tengono così due sistemi f e y a cominciare da B e C che appartengono al sistema a e che determinano un verso di esso (def. I, 62, def. II, 27 e f). I due sistemi a cominciare da A e da B hanno lo stesso verso (/"), dunque ciò si- gnifica che è indifferente cominciare da B o da C per determinare i versi di a. f" Ogni segmento del sistema semplice ad una dimensione ha due versi che sono i versi del sistema. Perché ogni segmento del sistema è un sistema che appartiene al dato (def. Ili, I, 62 e 27). 64. a. Dato un segmento limitato a due estremi A e B di un sistema sem- plice ad una dimensione, uno d?i versi di esso si può ritenere determinato da uno dei suoi estremi, e Valtro verso dall'estremo rimanente. Il segmento non può contenere alcuna parte chiusa altrimenti un ele- mento del segmento e quindi del sistema sarehhe ripetuto, mentre il sistema contiene altri elementi fuori del segmento suddetto, e quindi esso non sarebbe semplice (def. Ili, 62 e def. II 63). Uno dei versi del segmento (AB) può ritenersi determinato evidentemente dall'elemento A e il verso opposto dall'altro estremo, perché considerando come primo elemento A, gli altri elementi del segmento seguono A, ed un elemento X precede un altro elemento Y se X è compreso fra A e Y (def. I, III, 62). Ind. I. Quando non si dirà diversamente intenderemo che il simbolo (AB) determini anche un verso di questo segmento, quello cioè che si ottiene co- minciando da A. Si otterrà il verso opposto cominciando dall'elemento B. b. Nel sistema semplicemente aperto bastano due elementi per determinare un segmento limitato da essi.

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59 Dìfattì dato il sistemai .... ....A....B....C....É'.... (1) Se si considerano due elementi A e C, essi determinano nel sistema le tre parti: A....B....C, A...JS1...., C....#'.... di cui una soltanto ha per estremi A e C; le altre due hanno un solo estremo e sono illimitate (e, 63). b'. Un verso del sistema semplicemente aperto è determinato doli* ordine di due elementi. Siano A e C' i due elementi nell'ordine in cui si seguono i loro segni; essi determinano il segmento (AC) e il verso da A a C, e quindi anche un verso del sistema (a, ind. I; f" 63). e. bue elementi di un sistema ad una dimensione semplicemente chiuso determinano due segmenti che insieme uniti in un dato verso costituiscono l'in- tero sistema. Ciò risulta dal ragionamento del teor. b quando B e B" in (1) coinci- dono (def. II, 57). Si hanno cioè i due segmenti: A....B....C, C.... ....A i). e'. Per determinare un segmento del sistema semplicemente chiuso basta dare oltre gli estremi un altro elemento di esso. Perché per individuare il segmento A....B....C dando oltre gli estremi A e C l'elemento B,questo elemento non può essere compreso nell'altro segmento ?....#....A determinato da A e C, essendo il sistema semplice (def. II, 63). Ind. II. Un segmento di questo sistema determinato da tre elementi ABC essendo A e C gli estremi lo indicheremo col simbolo (AJ5C). Oss. I. Quando dunque si considera il segmento isolatamente dal sistema come ente a sé basta il simbolo (AC); se invece lo si considera unitamente al sistema a cui appartiene bisogna indicarlo col simbolo (ABC). Si può indicarlo anche in que- sto caso col primo simbolo, ma allpra bisogna dire espressamente in quale dei due versi del sistema si deve considerarlo a cominciare da A per togliere ogni indeter- minatezza. d. Un verso di un sistema semplicemente chiuso viene determinato da tre elementi ABC; il verso opposto viene determinato dagli elementi GB A neir or- dine in cui si seguono i loro segni. Essendo infatti il segmento (ABC) pienamente determinato (e') è determi- nato anche uno dei suoi versi se si comincia da A (a), e il suo verso opposto se si comincia da C; e quindi vengono così determinati anche i versi del si- stema mediante i tre elementi ordinati ABC e CBA (f, 63). d'. Se ABC sono tre elementi ordinati di un sistema semplicemente chiuso 1) Qui abbiamo una conferma di quanto abbiamo osservato al n. 62 (oss. IV):, e cioè che i due segmenti A....B.. .C, C....Br....A determinati da due elementi A e e nella forma semplicemente chiusa possono non essere uguali, perché se lo fossero basterebbe prendere in uno di essi ad es. : A....B....C un elemento A' distinto da A e C e si avrebbe : (Ar.....B....e?) (A....B....C) (def. I,6i) ed anche ed essendo per ipotesi (A....B....c)=f C....B'....A) sì ha: (A'..,.B.. .c) (C....B'....A) e quindi (A'....B...,C) (C. ..B-....A') (d',62).

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i gruppi ordinati BOA, CAB determinano lo stesso verso di ABC\ mentre i gruppi CBA, BAC, ACB determinano il verso opposto. Invero, gli elementi B e C del segmento (ABC) sono estremi di un solo segmento (BC) che appartiene al segmento dato (27), e il verso di (AC) a co- minciare da B è lo stesso verso del segmento (ABC) a cominciare da A ( ; f e f\ 63). Così è del segmento (AB) di (ABC). La seconda parte del teo- rema deriva dalla dimostrazione precedente e da d. 65. a. Dato un segmento (AC) in un sistema semplice ad una dimensione gli altri segmenti a cominciare da A nel verso di (AC) sono minori o maggiori di (AC). Se il sistema è illimitato da A9 vi è sempre nel verso dato un segmento (AC) che contiene (AC) senza che C e C coincidano. La prima proprietà deriva immediatamente dalla definizione del sistema ad una dimensione semplice (def. II, 63 e def. I, 62) o dalle proprietà della se- rie di elementi (def. I e , 36) e dalla def. I, 61. L'ultima parte del teorema è pure evidente, perché se C" e C fossero un solo elemento il sistema non sa- rebbe più illimitato, in quanto che abbiamo sempre supposto che si tratti di elementi distinti (def. I, 62, def. II, 32; def. V e oss. I, 8 o oss. II, 57). Oss. I. L'ultima proprietà ha pure luogo per il sistema chiuso se a cominciare da un elemento A lo si considera come illimitato nel senso del teor. , 63. b. Dato il verso in cui si seguono gli elementi di un sistema qualunque ad una dimensione esso si può sempre considerare come un sistema semplice (def. II, 63, def. I, 62 e a, 36). 66. Def. Si abbia la parte (AB) del segmento (A-^Bi) di un sistema ad una dimensione semplice nel verso (AtABBi); se A{ e A, B e Bl non sono il me- desimo elemento le parti (AAt), (,BBt) si chiamano prolungamenti del segmento (AB) nei due versi del sistema; cioè la parte (BB,) nel verso AiABB^ la parte (AAi) nel verso opposto. 5. Applicazione del linguaggio del movimento ai sistemi ad una dimensione 67. Def. I. Invece di dire che dall'elemento A applicando la legge di costru- zione di un sistema ad una dimensione (A) ....A -5 ....A(-2)....AH)....4.... A(i)....A(2L,.A(-s).... si ottengono in un dato verso gli elementi Af1), A(2) ecc. del sistema (def. VI, 62) diremo che A....AW....AW.... sono posizioni differenti di uno stesso elemento X che si muove secondo la legge del sistema, come un corpo cambia la sua po- sizione nel mondo esterno, senza però intendere che effettivamente l'elemento goda questa proprietà, imperocché l'elemento è una forma astratta e senza al- cun significato o contenuto speciale (def. I, 57). Def. IL Siccoma nel sistema ad una dimensione semplice abbiamo due versi che sono determinati a cominciare da un elemento qualunque di esso, noi diremo anche; un elemento può generare un sistema dato ad una dimen-

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61 sione nei due versi opposti movendosi da un elemento di esso secondo la legge di generazione del sistema (def. II, 58). Def. III. La prop. : il sistema ad una dimensione ]S che appartiene al si- stema analogo a è diretto nello stesso verso o ha la stessa direzione di a si- gnifica che j3 e a hanno lo stesso verso (/*, 63). Def. IV. La prop.: I prolungamenti di un segmento (AB) di un sistema ad una dimensione vengono generati da un elemento che si muove secondo la legge del sistema nell'uno o nell'altro verso partendoci due estremi di esso, significa che i prolungamenti (BBi), (AAt) (66) si ottengono in uno e nell'al- tro verso applicando la legge di costruzione del sistema (def. II, 58 e def. VI, 62J a cominciare dagli elementi estremi di (AB) (def. IV, 62). Def. V. La prop. : nel sistema semplicemente chiuso a partire da un ele- mento A dopo aver percorso l'intero sistema in una data direzione o nella di- rezione opposta si ritorna all'elemento di partenza senza essere passati più d'una volta per un altro elemento del sistema; oppure anche la prop.: se un elemento parte dall'elemento A in un verso o nel verso opposto e dopo aver percorso l'intero sistema ritorna nella posizione primitiva o iniziale o di par- tenza, senza essere passato più d'una volta per un altro elemento, esprimono in altre parole la definizione del sistema semplicemente chiuso (def. II, 63). Def. VI. Se in un sistema ad una dimensione si considerano in uri dato verso i segmenti: (AAW) (AAfm-D) .... (AAO) e riguardando successivamente A(m\ A^m~l\ ....A*1) come posizioni di uno stesso elemento X (def. I) diremo che X si avvicina ad A. Se invece le posizioni di X sono successivamente A MA (*).... Alw) diremo che X si allontana da A. Def. VII. Così se consideriamo i segmenti (AAW), (A(l)AW) ecc. consecu- tivi nel medesimo verso potremo dire che sono posizioni differenti di un seg- mento (XY) nel verso dato che si muove o varia nel sistema. Il segmento (XY) si chiama in tal caso segmento variabile per distinguerlo da un segmento (AAM) dato che è sempre lo stesso nelle nostre considerazioni e si chiama costante. I segmenti (AAO)), (AAW), (AA(3 ) ecc. si chiamano stati del segmento va- riabile (AX). Oss. Ciò non significa però che i segmenti (AA(i}\ (A(l)A(ty) ecc. debbano es- sere identici. Noi non intendiamo d'introdurre in questo paragrafo nuovi principi, ma di espri- mere con altre parole quelli già spiegati o definiti, tanto è vero elio di questo pa- ragrafo potremmo, volendo, far di meno '). i) Una delle forme concrete più semplici ad una dimensione è il tempo. Una successione di cose, come già ho detto (nota n. 19) non è il tempo, ma il tempo è necessario per potere pensare successi- vamente a queste cose diverse o perché possano aver luogo successivamente gli avvenimenti nel mondo esterno ed interno. Essendo dato un sistema ad una dimensione possiamo, se vogliamo, sup- porre che gli elementi considerati siano ottenuti nella medesima parte di tempo applicando la legge di costruzione del sistema in modo che da A nasca A' (def. v, 58), e nella stessa parte di tempo da A' nasca A", e cosi via. In tale ipotesi i segmenti (AA'), (A')(A") ecc. sono dedotti nella mede- sima parte di tempo, ma non per questo deriva da ciò che essi debbano essere uguali, mentre potreb- bero essere generati in parti non uguali di tempo ed essere identici. La nostra mente può considerare gli elementi consecutivi o i segmenti di un sistema ad una dimensione nella medesima parte di tempo

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62 CAPITOLO V. Della forma fondamentale. I- Definizione del sistema, ad una, dimensione omogeneo in un dato verso, e sue prime proprietà. 68. Def. I. Se in un verso di un sistema ad una dimensione esistono due segmenti identici ad ogni segmento dato nello stesso verso, aventi l'uno per primo l'altro per secondo estremo un elemento qualunque dato A, il sistema si dirà omogeneo nel verso dato 1). a. Il sistema omogeneo in un dato verso, se è aperto, è illimitato in am- bedue i versi a partire da un suo elemento qualunque. Difatti da un suo elemento A nel verso dato non vi può essere un ultimo elemento X (22) perché dato un tale elemento X, esiste nel verso dato un segmento (XY) identico a qualunque altro segmento del sistema nel verso dato, ad es. ad (AX) (def. I). Né può essere limitato nel verso opposto perché ogni elemento X del sistema è anche secondo estremo di un segmento identico ad (AX) nel verso stabilito. Osa. L Anche se è chiuso lo possiamo considerare come aperto (6, 63). b. Scelto un elemento X qualunque del sistema omogeneo in un dato verso e dato un segmento (AB) diretto in questo verso9 vi è un solo segmento uguale ad (AB) nello stesso verso di cui X è il primo o il secondo estremo. Difatti essendo dato il verso del sistema omogeneo ad una dimensione si può sempre ritenere come un sistema semplice (6, 65). Ora a partire da X nel verso considerato come primo elemento vi è un segmento (XY) identico ad (AB) (def. I), e poiché ogni altro segmento nel medesimo verso a partire da X è maggiore o minore di (XY) (a, 65) si ha che (XY) è il solo segmento iden- tico ad (AB) nel verso del sistema, perché le relazioni A oppure A B escludono la relazione A = B (6, 61). e. Se nel sistema omogeneo si hanno due segmenti (AC), (A'C') nel verso o successivamente in parti di tempo diverse. Noi veniamo col linguaggio del movimento a dotare l'elemento di questa facoltà del pensiero, e supponiamo perciò che sia l'elemento stesso o il seg- mento che acquista successivamente le posizioni degli altri elementi o degli altri segmenti, anche se il sistema non o continuo (I. 18). Il risultato è il medesimo, soltanto la dicitura ne guadagna in chiarezza e comodità, ma per la precisione o bene usare questo linguaggio nella geometria coi dovuti riguardi per non confondere questo movimento nominale con quello reale dei corpi (vedi prefaz. e parte I). i) Esamineremo in seguito se le parti di questa definizione sono indipendenti, osserviamo in- tanto che il concetto del sistema ad una dimensione o più generale di quello omogeneo, perché non mancano sistemi ad una dimensione, come ad es: la maggior parte delle curve geometriche, i quali non godono la proprietà del sistema omogeneo. Che non basti poi un solo segmento dato si vede subito supponendo il sistema composto di una serie limitata o illimitata che contenga come parte una serie illimitata (vedi oss. il, 81).

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63 dato scomposti nelle parti consecutive (AB) (BC), (A'J5r) (#C") e (AB) = (A'#) (BC) = (B'C), è (AC) = (A'C1) Difatti a partire da A' nel verso dato vi è un segmento ed uno solo uguale ad (AC) (b) il quale, per la corrispondenza d'identità con questo segmento, deve scomporsi in due segmenti (A'B*), (B'C") rispettivamente identici ad (AB) e (BC) (b, 60). Ma si ha pure (A'B") = (A' ), (B"C") = (B'C') (e, 60); dunque B" deve coincidere con B e C" con C' ( ), e perciò (A'C") con (A'C') (def. V, 57; , a, 65; def. I, 61). e. Il sistema omogeneo è un sistema semplicemente chiuso od aperto. Supponiamo che A sia un elemento ripetuto nel sistema, e siano (BA) e (AC) due segmenti nel verso di esso che abbiano l'elemento A comune, il che è possibile immaginare essendo il sistema illimitato nei suoi due versi (a). Ogni altro elemento A' si può considerare come elemento comune di due altri segmenti (B A') e (A' C} dello stesso verso e rispettivamente identici a (BA) (AC) (def. I); e siccome (BC) = (HO) (e) l'elemento A' ha in (B'C') la stessa proprietà che ha A in (BC) (b, 60). Dunque se A è ripetuto lo è anche A' e perciò o il sistema si riduce a un solo elemento, ciò che è escluso, nel concetto stesso del sistema ad una dimensione che si compone di elementi distinti, salvi casi eccezionali (def. I, 62 e oss. I, 57); oppure il sistema è considerato più volte; ed in questo caso il sitema considerato una sola volta è semplice (def. I, 62); e siccome il sistema non è limitato da d uè elementi (a) ne consegue che è semplicemente chiuso od aperto (def. I e II, 63). e" Gli elementi del sistema a partire da due elementi dati A e A si cor~ rispondano univocam,ente e nel medesimo ordine nel verso dato. Basta far corrispondere A ad A', e A' ad A, e ad ogni elemento X a par- tire da A nel verso dato si faccia corrispondere l'elemento X1 a partire da A' nel medesimo verso in modo che (AX) = (A'X') (def. I). Se X precede A nel verso dato, basterà considerare X' tale che in questo verso sia (XA) = (X'A) (def. I). In tal modo la corrispondenza univoca è pienamente stabilita la quale è anche dello stesso ordine (def. Ili, 42). Difatti se si ha: (AB) (AX) (AC) si deve avere pure: (A' ) (A'X') (A'C') (a, 61) e'" I segmenti indivisibili, se esistono, sono uguali. Siano (AB) e (XY) i segmenti indivisibili (def. V, 62). Nel verso di (XY) possiamo considerare a partire da X un segmento (XY^^(AB) (def. II, 61, def. I). Se (AB), e perciò (XYi), non è uguale a (XY) (h, (8, è (XYfì maggiore o minore di (XY) (e, a, 65). Se (XYl) (XY), l'elemento Yl appartiene al segmento (XY) (def. I, 61, def. I, 62 e def. II, 27), e perciò (XY) non sarebbe indivisibile contro l'ipotesi. Così se fosse (XY) ^(AB). Def. IL D'ora innanzi per elementi consecutivi di un sistema omogeneo inten- deremo anche quelli di un altro sistema omogeneo nello stesso verso che appar- tiene al primo (def. I, 27; def. I, 62 e def. I), i cui elementi consecutivi sono se- parati da elementi del primo sistema (23). Oss. I. Risulta immediatamente dalla definizione stessa che gli estremi dei

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64 segmenti consecutivi uguali nel verso del sistema omogeneo si possono pure consi- derare come elementi consecutivi. 69. a. Se dite segmenti (AJ5), (CA) di uno o due sistemi qualunque ad una dimensione sono identici considerati in un dato verso, sono identici anche nel verso opposto. Difatti stabilita la corrispondenza d'identità fra i due segmenti (b e def. I, 60) a C corrisponde A, a D corrisponde J5, e (BA) e (DO) si ottengono dai segmenti (AB) e (CD) colla stessa operazione a senso unico, considerandoli cioè nel verso opposto a partire dagli elementi corrispondenti B e D ( ', 60). b. Il sistema ad una dimensione omogeneo in un dato verso è omogeneo anche nel verso opposto. Difatti dato un segmento qualunque (BA) diretto nel verso opposto del si- stema, a partire da un elemento X qualunque si possono considerare due seg- menti (ZX) e (XY) identici ad (AB) nel verso dato del sistema (def. I, 68), e quindi (XZ). (YX) che sono diretti nel verso opposto sono identici a (BA) (a). Il teor. è dunque dimostrato (def. I, 68). b'. Dato un elemento X qualunque del sistema omogeneo e dato un segmento (AB) in un dato verso, in questo verso vi sono due soli segmenti identici ad (AB) di cui X è estremo comune. A partire da X nel dato verso (def. I, 68) il teorema è niente altro che b, 68. Ma esistono pure due e due soli segmenti (Y*X) e (XY) nel verso op- posto identici a (BA) coli'estremo comune X (b; b', 68). e. Il sistema omogeneo aperto a partire da un suo elemento A in un dato verso è identico a partire da \m altro elemento qualunque A' nel medesimo verso rispetto alla disposizione in serie delle sue parti limitate. Invero, fatti corrispondere gli elementi A e A' fra di loro e ai segmenti consecutivi a partire da A i segmenti consecutivi uguali a partire da A' nel medesimo verso, che si limitano fra loro (def. VII, 62), le due serie di segmenti si trovano nelle condizioni del principio b" del n. 60. Oss. I. Si badi bene che le parti del sistema a partire da A e A nel verso dato non si possono dire identiche (def. Ili, 9) senz'altro, cioè senza una convenzione spe- ciale, perché si verrebbe alla contraddizione che il tutto A è identico alla sua parte J3, e cioè che A è e non è A (def. I, 62, def. II, 27 e def. VI, 8), in quanto che le re- lazioni A B, A B escludono la relazione A = B ( , 61). d. Ss il sistema omoge neo è chiuso il teorema (e) sussiste in senso assoluto. Difatti due elementi A e B dividono il sistema in due parti (e, 64), e scelto un elemento C tale che in un dato verso sia (AB) = (BC) e potendo considerare da C nel verso ABC un segmento (CJ5f) identico all'altro segmento determinato dagli elementi A e J5, cioè (BA), (def. I, 68; b, 69) i risultati sono identici (e, 63). Ma gli estremi del segmento risultante nel primo caso coin- cidono in A, dunque dovono coincidere anche nel secondo, vale a dire l'ele- mento B'f deve coincidere con B. Conv. I. Siccome trattiamo il sistema omogeneo nella ricerca delle sue pro- prietà fondamentali come sistema aperto o chiuso, così senza far distinzioni tra il sistema aperto e il sistema chiuso rispetto alle proprietà (e) e (d) con- veniamo di dire che anche la parte del sistema omogeneo aperto a partire da

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65 un suo elemento in un dato verso è uguale alla parte dello stesso sistema a partire da un altro elemento A' nel verso considerato, purché però, quando fa bisogno, l'uguaglianza delle due parti si debba interpretare nel senso del teo- rema e l). 2. Prime proprietà del sistema identico nella posizione delle sue parti. 70. Oss. I Da quanto precede non risulta che 36 si ha in un verso dato (A('S)....A)~(A. sia pure (1) e tanto meno (A....A(*))=(A *)....A) (2} La seconda relazione implicherebbe evidentemente la prima. Ora l'essere un tutto, ad es. ABCDE identico ad un tutto A'B C' D'E", non significa che lo stesso tutto ABGDE sia identico al tutto E'D'C'BA (oss. 41;. E se il segmento (AB) del sistema omogeneo non è uguale allo stesso segmento considerato nel verso opposto cioè (BA), le proprietà del sistema omogeneo (def. I, 68) rimangono inalterate. Frequenti esempi si hanno in geometria di segmenti di curve che non sono uguali agli stessi segmenti considerati nel verso opposto 2). Dunque: Anche se il sistema è omogeneo in un dato verso e nel verso opposto (6, 69) ciò non significa che il sistema in un verso a partire da un suo elemento qualunque sia identico al sistema nel verso opposto. Ora vogliamo che il nostro sistema sia assoggettato anche a questa proprietà. Def. /. Se un sistema omogeneo ad una dimensione a partire da un suo punto dato A in un verso è identico al sistema considerato dallo stesso punto nel verso opposto, lo chiameremo sistema identico nella posizione delle sue parti. 3) 1) Nei trattati di,gf ometria elementare cogli assiomi esprimenti che una figura può muoversi rima- nendo invariabile, rimanendo quindi conservate tutte le relazioni di tutto e di parte, e che la retta (che si considera aperta) può ruotare intorno ad un suo punto fino a passare per un punto qualunque dello spazio, non si evita la contraddizione dell'oss I. la quaie però non ha alcuna influenza finché si ri- mane nel campo finito di un1 unità, come meglio si vedrà in seguito. (Vedi anche pref.). 2) Si immaginino ad es. secondo uaa legge determinata degli archi identici consecutivi di curva, ad es. di ellisse. Considerando soltanto gli estremi, le cui relazioni di posizione sono date appunto dagli archi di ellisse di cui sono estremi, essi costituiscono un sistema ad una dimensione omogeneo in un verso, senza che in generale da un elemento A esso sia identico allo stesso sistema nel verso op- posto. Daremo in seguito il principio del continuo (ip. VI, Vili) per il sistema omogeneo, ma mentre potremo dimostrare la divisibilità in parti uguali di un segmento dato (AB) e la legge com- mutativa della somma di segmenti, per la dimostrazione della proprietà (AB)=(BA) ci occorrerà ap- punto la definizione del sistema identico nella posizione delle sue parti (Vedi oss. li, 81). 3) La proprietà che distingue il sistema omogeneo in uà dato verso e quella che distingue il si- stema identico nella posizione delle sue parti dagli altri sistemi ad una dimensione le abbiamo ri- scontrate sull'oggetto rettilineo limitatamente all'osservazione. Soltanto che qui è da osservare che il nostro sistema identico della posizione delle sue parti non è necessariamente continuo come si con- sidera la retta, e che le nostre definizioni sono indipendenti dail' osservazione. È inoltre da aggiun- gere che mentre l'oggetto rettilineo è un oggetto limitato di prima specie rispetto alle sue parti con- secutive, non è necessario di supporre questa proprietà per il nostro sistema. Le proprietà date dalle definizioni I, 68 e I, 70 si ammettono pure sotto altra forma nei trattati di geometria elementare per la retta, facendo uso dell'assioma del movimento delle figure senza deformazione, anzi si va più in là perché si ammette la seconda proprietà per ogni punto della retta, mentre basta ammetterla per un punto solo, e rimanendo nel campo finito di un'unità, come avviene nei trattati suddetti., basta ammet- terla per un solo segmento limitato, come pure basta ammettere là def. i, 68 per un solo [segmento dato {Vedi oss. II, 81). Noi dimostreremo iu seguito che (AB) r rffiA), che pure si da come assioma (Vedi n. 99 e 104). 5

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66 a. La parte del sistema identico nella posizione delle sue parti a comin- ciare da un suo elemento dato A in un verso qualunque è uguale alla parte dello stesso sistema considerata da un altro elemento dato qualunque A' nel- runo come nell'altro verso. Sia A T elemento rispetto al quale il sistema in un verso è identico al si- stema nel verso opposto (def. I). Il sistema essendo omogeneo in uno e neir al- tro verso (def. I, e , 69) la parte di esso in uno o nel!1 altro verso a partire da A' è uguale alla parte del sistema considerata da A nello stesso verso (e, d, conv. I. 69), ina anche da A nel verso opposto (def. I, e, 60); e quindi per la stessa ragione la parte del sistema a partire da A in un verso è uguale alla parte del sistema da A nel verso opposto. a'. Dato un elemento qualunque X del sistema identico nella posizione delle sue parti, in uno e nell'altro verso esiste un segmento identico ad un segmento dato (AB) (a; b, 60). a". Un elemento qualunque di un sistema aperto identico nella posizione delle sue parti lo divide in due parti che a partire da esso sono identiche (e, 63; a; conv. I, 69). Def. II. Nel sistema ad una dimensione identico nella posizione delle sue parti possiamo considerare a cominciare da un elemento dato quale primo estremo, in uno e nell'altro verso, una serie di segmenti limitati identici con- secutivi. Applicando quindi il linguaggio del movimento (def. VII, 67) possiamo dire: In un sistema ad una dimensione identico nella posizione delle sue parti una sua parte può muoversi o scorrere mantenendosi identica a sé stessa ossia mantenendosi invariabile. Oss. II. Da quanto precede non risulta ancora che abbia luogo la proprietà (2) dell'osservazione I qualunque sia il segmento (A.... A(s)). Se (A... AW) è un segmento indivisibile di un sistema ad una dimensione identico nella posizione delle sue parti (def. V, 62), nel verso opposto a partire da A(s) possiamo considerare un segmento (A(s)A') identico ad (AA(sì). Se A' non coincidesse con A significherebbe che o r ele- mento A' sarebbe contenuto 'm(Ais) A) o ciò che è lo stesso in (AAW, oppure l'elemento A sarebbe contenuto in (A($) A), essendo il sistema semplicemente chiuso od aperto (def. I; e', 68; def. II, 63; , 36 e b\ 33). E ciò non può essere perché (AAW) e (A(s)A') sono per ipotesi indivisibili (def. V, 62). Quindi la proprietà (2) resta dimo- strata per il segmento indivisibile. Facilmente la si dimostra poi per ogni seg- mento composto di un numero n qualunque dato della serie (I) di segmenti indivi- sibili consecutivi (def. VII, 62); ma perora non possiamo dimostrarla per un segmento qualunque senza premettere molte altre considerazioni l). 3. Ancora della identità di due forme. Forma, fondamentale. Necessità, di essa. Ipotesi I e IL 71. Oss. L I principi a e a" del n. 60 sulle forme identiche, dai quali abbiamo derivato sotto forma diversa o per dimostrazione gli altri principi dello stesso nu- mero, essendo derivati essi stessi dal principio d* identità A =5 A applicato a forme di- 1) Vedi u. 99 e 104.

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67 stinte (def. V, e VI. 8; def. Ili, oss. Ili e IV, 9; def. I, 38; oss. Ili, 58; oss. I, , 59), si appoggiano sull'identità di altre forme, come già osservammo al n. 60 (oss. VI). Per non cadere quindi in un circolo vizioso e rendere possibile T applicazione di quei principi nella costruzione delle forme dobbiamo ammettere che per una forma almeno sia stabilita l'identità fra le sue parti in base alla def. VI del n. 8 senz'altro, o in altre parole dobbiamo ammettere che le forme da noi considerate siano determinate, costruite o costruibili per mezzo di una forma almeno. Ip. I. Vi è una forma che serve a determinare tutte le altre. Chiameremo questa forma forma fondamenlale. Le forme fondamentali sono identiehe i). Oss. II. Gli elementi di una forma qualunque, e perciò la forma stessa, sono deter- minati in posizione da altre forme (oss. I, 59 e oss. Ili 60). Anche sotto questo rispetto il caso più semplice è quello in cui siano determinati da tutte le forme identiehe ad una data, che li contengono, o, come diremo anche in questo caso o in casi simili, da una sola forma, considerando un individuo per la classe. Oss. III. Per le altre forme l'identità deve risultare dalla loro costruzione per mezzo della forma fondamentale, o in altre parole: Le relazioni fra le diverse forme e fra le parti di una forma stessa (def. I, 38) si riducono a relazioni fra le parti di una o più forme fondamentali date. La forma fondamentale non può essere determinata da altre forme. Questo in fondo significa l'ipotesi I. Infatti per la ip. I stessa essa può essere determinata soltanto da altre forme ad essa identiehe o dalle forme che essa stessa determina o serve a costruire, o in altre parole da sé stessa; altrimenti si cadrebbe in un circolo vizioso. E quindi le sue proprietà non possono dipendere dalia sua costruzione per mezzo di altre forme perché la sua costruzione dipende dalle sue proprietà (def. II, 10). Ip. IL La forma fondamentale è un sistema ad una dimen- sione identico nella posizione delle sue parti. Oss. IV. Spiegheremo alla fine le ragioni di questa scelta. La forma fondamen- tale non è però ancora determinata pienamente fra le altre forme; sappiamo soltanto che è un sistema ad una dimensione indentico nella posizione delle sue parti (def. I, 70) chiuso od aperto (e', 68). Finché non sarà determinata fra questi sistemi, tutte le sue proprietà, che svolgeremo nei numeri seguenti, valgono tacitamente anche per tutti i sistemi ad una dimensione identici nella posizione delle loro parti e non identici ad essa 2). 1) Questa ipotesi rappresenta un certo grado di necessità per la trattazione matematica della forme astratte (38) più delle altre che riguardano le proprietà particolari della forma fondamentale, e per stabilire le quali ci serve sempre di guida il continuo rettilineo intuitivo senza |per questo porci restrizioni non consentite dalla libertà del pensiero matematico (Vedi pref.). 2) DW Bois Reymond (I. e. pag. 15) ricorre anche lui ad una forma fondamentale (Grundform ) che chiama grandezza lineare. Egli ha però soltanto in vista l'analisi, e perciò la sola grandezza nume- rica, mentre noi consideriamo come contrassegno essenziale delle nostre forme la diversità di posizione di esse (def. i, 38 e ad es. def. Il, 45). Di più per stabire i suoi principi l-Vl della grandezza lineare (pag. 44-48) egli non solo ricorre alla rappresentazione sensibile delia retta, come facciamo noi e abbiamo fatto per stabilire le proprietà del sistema identico nella posizione delle sue parti, ma l'enunciato di questi principi non è sempre reso indipendente dalla rappresentazione (come il principio IJ in modo che o necessario ricorrere all'osservazione per costruire coi principi dati il concetto della sua grandezza lineare. E questo è ciò che non facciamo e non dobbiamo fare. D.B.R. a pag. 47 dichiara però che non ha inteso di ridurre per via logica i suoi principi al minor numero possibile, sebbene anche questo sia uno dei problemi fondamentali della matematica. D'altra parte egli non si occupa di definire e di spiegare astrattamente i concetti dei quali in questi principi fa uso (Vedi nota n. 85). Osservo inoltre che finché trattiamo la forma fondamentale come sistema identico nella posizione delle sue parti essa corrisponde in sé non solo alla retta, ma anche, ad es. al cerchio.

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68 4. Operazioni dell'unire e del togliere sulla, forma, fondamentale e loro nuovo significato. Segmento nullo. Altra, indicazione di un segmento percorso nei suoi due versi, Relazioni fra tre elementi qualunque della forma. 72. Oss. I. Per il senso in cui abbiamo usato fin qui l'operazione dell'unire (def. I e oss. 13; def. I, 26 e I, II, 29) la forma risultante dall'unione sulla forma fondamentale di un segmento (BC) ad un segmento (AB) aventi un solo elemento comune #,deve avere per elementi tutti gli elementi delle forme unite. Per ora dunque non è possibile che in questa operazione (BA) e (BC) siano di verso opposto, perché essendo la forma fondamentale un sistema semplice, in questo caso dovendo essere C prima di B nel verso di (AB) (ind. I, 61, f"? 63), o C coinciderebbe con A^ o C sarebbe conte- nuto in (BA), vale a dire in (AB), oppure A sarebbe contenuto in (BC) (def. I, 70; e, 68; def. Il, 63 ; 6, 36 e ', 33): in ogni caso avrebbero dunque i segmenti (AB) e (BC) più di un elemento comune. Il risultato inoltre dell'unione snlla forma fondamentale del segmento (BC) al segmento (AB) dello stesso verso è il segmento (AG) che ha per parti consecutive (AB) e (BG) (def, VII, 62;. Def. I. Addizionare o sommare (BC) ad (AB) significa unire il segmento (BC) al segmento (AB). Questa operazione (addizione del segmento (BC) al seg- mento consecutivo (AB) (def. VII, 62) la indicheremo così: (AB)-\-(BC)^(AC), usando per essa il segno + come per l'addizione dei numeri (ind. I, 47). Def. IL 11 segmento (AG) si chiama somma del segmento (BC) al seg- mento (AB). a. L'addizione di due segmenti nella forma fondamentale è un'opera- zione a senso unico. La posizione e l'ordine dei segmenti sono stabiliti (def. I), e quindi a (def. I; 29 e 41). b. Somme di segmenti rispettivamente uguali sono uguali (def. I ; e, 68). 055. //. Per ottenere dunque il segmento (AG) basta dato (AB) percorrere il segmento (BG) nel verso di (AB) a partire da B. 73. a. Se è (AC) = (AB)+(BC) e nel verso di (AC) si sceglie il segmento (AC)=(BC),è(AC') i(ACYì e se si sceglie il segmento (A'C)=(AB), è (A'C) (AC). Perché è (BC) (AC) (def. I, 61) ed essendo (AG*) = (BC) (def. I, 68 e 6, 69; def. I, 70) si ha (ACr) (AC) (def. II, 61). Per la stessa ragione (A'C) (AC) *). b. Dati due segmenti (AB), (A'B) della forma fondamentale, non identici, runo è maggiore o minore dell'altro. Difatti nel verso di (A'#) si può considerare a partire da A un segmento (A'B") identico al segmento (AB) (def. I, e a', 70). Siccome B" non può coincidere con B', perché (A' ') non è identico ad (A'tf) (h, 8) esso deve es- sere contenuto nel segmento (AB'), oppure # deve essere contenuto nel segmento (A'B") (def. I, 70; e', 68; def. 11,63 e b, 36). Nel primo caso è 1) Ciò non significa ancora che (C C) sia identico nel 1. caso ad (AB). (Vedi n. 99 e 104).

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e nel secondo (ASf)^(AB") (def. 1,61), e perciò anche nel primo caso (A'B') (AB) e nel secondo (A'#) (AB) (def. li, 61). e. Per vedere se un segmento (A'B') è maggiore, uguale o minore di un segmento (AB) è indifferente considerare un segmento uguale ad (AB') nel verso di (AB) a partire da A come primo estremo o da B come secondo estremo. Questo teorema risulta dal teorema b combinato col teorema a e dalla def. II, 61. d. Dato un segmento (AB) e una sita parte (CD) di citi nessun estremo coin- cide in A o in B, si ha (AB) (CD). Difatti nel verso di (AB) a pai-tire da A gli elementi A, C, D, B si se- guono nell'ordine ACDB (def. Ilf, II, I, e oss. Ili, 62; /"", 63) si ha: (A ) (AD), (AD) (CD) (23, def. I, 61), e quindi (AB) (CD) (d,61). e. Se un segmento (AB) è maggiore di un altro segmento (CD), (BA) è mag- giore di (DC). (CD) è uguale ad una parte di (AB), (def. II, 61), e a questa possiamo sostituire nel verso di (AB) il segmento (AB) = (CD) di (AB) (e). Ora si ha (BA) (BA) (def. I, 61) dunque (BA) (DC), essendo (DC)~(BA) (a, 69 e def. II, 61). f. Se a segmenti (AB), (A'B') uguali si addizionano i segmenti (BC) = (B'C1) dello stesso verso, si ha: (AC) EE (A'C) II teorema è evidente se (BC)~(B'C') (e, 68; def. I). Se (Bty ( (?) e si considera (BC')^(BC) nel medesimo verso, l'elemento C" deve cadere fra B e C perché (BC) (BC') (def. II, 61), e quindi (AC")~(A'r) (AC) (e. 68; def. I, 61). Analogamente se è (BC) (B'C). g. Dati due segmenti (AB) e (A'B'), se il primo è maggiore, uguale o mi- nore del secondo, sommando ad ambedue rispettivamente i segmenti (BC) e (BC) uguali e dello stesso verso di (AB) e (A11?), la prima somma è maggiore, uguale o minore della seconda. Se (AB) = (AB') il teorema è dimostrato (e, 68). Se (AB)XA'B') si con- sideri a partire da A nel verso di (AB) (ind. I, 64; /"", 63) un segmento (AB') uguale ad (A'B?) (#', 70); l'elemento B" sarà contenuto fra A e B senza coin- cidere con B (def. II, I, 61). Da ciò si deduce che B è fra B" e C, perché non appartenendo ad (AB") (def. I, 70; e 68; def. II, 63 e b, 36) ed essendo elemento di (AC) deve appartenere a( 'T) (def. I, 70; def. I, 27 e li, 29), senza essere B". Aggiungendo ad (AB) e ad (AB?') i segmenti (BC) e (B"C") uguali dico che: (AB) + (BC) (AB')+(B"C') ossia (AC) (AC") Difatti l'elemento C" deve essere compreso in (B"C) senza essere C, perché B è in (B"C), altrimenti il segmento (B"C") sarebbe maggiore di (BC) (def. I, 61 e d). Essendo C" compreso in (B"C)9 che è parte di (AC), C" è compreso in (AC),

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70 (e, 27; def. I, 62 e def. I, ?0), e quindi (AC) (AC") (def. I, 61). Ma (ÀC") == (A' ?), dunque (AC) (A' T) (e, 68; def. II. 61). Così resta dimostrata anche la terza parte del teorema. g\ Se nel primo caso di g si ha : la prima somma è maggiore della seconda. Se è (BC,) == (B'C) nel verso di (AB) (ind. I, 64 e f", 63) si ha : (AB)+(BCi) (f), dunque: (d, 61). g". Secondo i tre casi (AB) = (A'B') si ha (AB)+(AB) = (A'B')+(A'B') (g, g'). g'". Se a segmenti uguali (AB), (A' I?) sommando altri segmenti (BC), (B'C) si ottengono segmenti uguali, (BC) e (B'C) sono uguali. Difatti si ha: (AB)+(BC) ~ (AC), (A'ff) + (ffC) = (AC) Se fosse (BC) (ffC) non si potrebbe avere (AC)^(A'C') (fi b, 61). glv. Se ai segmenti (AB), (A'B') sommando segmenti uguali si ottengono ri- sultati uguali, si ha (AB) = (A'B'). Difatti se fosse (AB) (A'B') essendo (BC) = (ffC), sarebbe: (g) il che in ogni caso è assurdo (b', 61). gv . Se ai segmenti (AB), (A'B'), essendo (AB) (A'B'), sommando i segmenti (BC) e (B'C) si ottengono risultati uguali, deve essere (BC) ^(B'Cf). Non può essere (BC)=(B'C) (g e b', 61), né può essere (BC) (B'C) (g ; b', 61), dunque (BC) (B'C') (b). 74. Oss. I. Togliere nella forma fondamentale un segmento (BC) da un seg- mento (A C) significa nel senso fili qui usato, scomporre (AG) in due parti consecu- tive di cui l'ultima sia (BC) e far poi astrazione da (BC) ; e togliere un segmento (AG) dal segmento (A C) significa fare astrazione dal segmento stesso (7, def. I, conv. 31). Possiamo anche dire: Togliere nella forma fondamentale un segmento (BC) da un segmento maggiore (AG) significa determinare un segmento (AB) di (AG) al quale sommato (BC) si otten- ga (AG). Def. I. Questa operazione la chiameremo in tal caso sottrazione del seg- mento (BC) dal segmento (A C), e la indicheremo così: (AB)~(AC)-(BC) (1) usando per essa il segno come per la sottrazione dei numeri (ind. II, 51). Il segmento (AB) si chiama differenza o resto. a. L'operazione del togliere un segmento (BC) da un segmento (AC) è a senso unico. Difatti supponiamo si possano ottenere due segmenti (AB), (AB') diversi, sarebbe : (AB) + (BC) ~ (AC) (AB') + ( C) = (AC) essendo (B'C) per ipotesi identico a (BC). Vale a dire l'addizione alle forme

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71 (AB), (AB') di (BC), (B'C) (che è a senso unico (a. ?2)) darebbe forme identiche, ciò che è assurdo (#, 73; b', 61). Oss. I. Per togliere il segmento (BC) dai segmento (AG) basta dunque percor- rere il segmento (GB) nel verso opposto di (AG). b. Dati due segmenti (AB) e (AB1), se il primo è maggiore, uguale o mi- nore del secondo, sottraendo rispettivamente da essi i segmenti (CB) e ((? ) uguali e diretti nello stesso verso di (AB) e (AB1), la prima differenza è mag- giore, uguale o minore della seconda. Siccome si ha: (AB) = (AC) -f (CB), (A'ff) = (A'C') + (C'B) se nel primo caso non fosse (AC) (A'C), il segmento (AB) non potrebbe esse- re maggiore di (A'B) (g, 73; b, e, 61). Così negli altri due casi. 75. a. (AB) = (AB) + (BC) (BC) = (BC) (BC) -f (AB). Difatti togliere una cosa già posta da un risultato nullo (7 e 31) e quindi rimane (AB), aggiungendo ad essa e togliendo poi la parte (BC). Così aggiun- gendo a nessun segmento il segmento (AB), si ha (AB). . In un verso dato si ha (AA) = (AC) (AC). Difatti basta supporre che A e B coincidano in (1) del n. 74 (def. Ili, 57). e. Il risultato dell'operazione (AC) (AC) è indipendente dal verso in cui è percorsa la parte (AC) da A. Difatti dato (AC), nel verso opposto nel sistema a partire da A si può considerare un segmento (AC") identico ad (AC), (a', 7Q), e poiché l'operazione (AC) (AC) è a senso unico, (a, 74, o a, 11,), ossia si percorre tutto (AC) nel verso opposto a partire da C, ne viene che i risultati di questa operazione in (AC*) e (AC) sono identici (a'", 60 o b, 74). 76. Def. I. Siccome (A C) (BC) da in generale un segmento della forma fondamentale se è (AC) (BC), onde non fare alcuna eccezione (come pel nu- mero zero), anziché dire che (AC) (AC) non da un segmento della forma (def. Ili, 62) diremo che da un segmento nullo o zero. E scriveremo come pei numeri (AA) = (AC) (AC)EEO (1) a. (AC) (AC)=(A'C) (A'Cf) essendo (AC) e (AC?) due segmenti qualun- que dello stesso verso o di verso opposto. Difatti (AC) - (A'C') + (AC) = (AC) ( , 75) da cui (A1 C) (A' C) = (A C) - (A C). (b, 74) Oss. L Poiché tutti gli elementi sono identici (def. I, 57) e i segmenti finora con- siderati contengono almeno due elementi distinti (def. Ili, 62), mentre il segmento nullo non ha elementi, si ha: L'elemento rappresenta il segmento nullo ( , 75 e (I)). 77. Def. I. Non tenendo conto della relazione di tutto e di parte (def. I, 61) possiamo riguardare l'operazione del togliere il segmento (BC) dal segmento (AC) come un'unione del segmento (CB) al segmento (AC) conservando per questa nuova unione lo stesso segno, percorrendo (AC) e (CB) nel loro verso, anche essendo (CB) di verso opposto ad (AC) (pss. I, 72). A___B____C

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Oss. I. Questa definizione si può anche giustificare considerando che (CÈ) sia diretto nello stesso verso di (AG), e quindi gli elementi di (BC) ripetuti due volte; e anziché considerare come risultato dell'unione (AC)-\-(CB) (GB) considerato delio stesso verso di (AC)^ si consideri come risultato soltanto il segmento (AB). Natural- mente in questo caso l'unione non ci da il tutto dalle parti, poiché (AB) non è il tutto (AC) + (CB) trascurando in esso la parte (BC) + (C#), considerata quest'ultima nello stesso verso nel senso suindicato. # a. (AC)+(CB) = (AC)-(BC) (i) essendo (CB) di verso opposto ad (AC) (def. I; def. I, 74). a'. (BC) + (CB) = (BC) (BC) = o (2) Basta far coincidere in (1) A con C a. o + (CB) = o (BC) (3) Basta far coincidere in (1) A con C ((1), 76). Oss. IL La relazione (2) non significa però che (BC)e (GB) siano identici, perché (BC)+(CB) significa che da (BC) si toglie il segmento (BC) o si fa astrazione da (BC), il che da (BC) = (BC) ma non già (BC) = (CB). E se ciò s'intende tacitamente, si ammette una proprietà che noi dimostreremo in seguito. Def. IL Ma siccome ad un segmento (AC) si può addizionare un segmento qualunque (CB) per l'estensione data a questa operazione, ciò vale anche se (CB) è diretto in verso opposto ad (AC), e quindi estendiamo l'operazione del togliere supponendo che (BC) sia maggiore di (AC), e per risultato della sot- trazione si ha il segmento (AB) percorso in tal caso nel verso (CB). b. Addizionare il segmento (BC) ad un segmento (AC) o togliere il segmen- to (CB) da un segmento (A C) sono operazioni identiche. Ciò risulta immediatamente dall'estensione data alle operazioni dell'u- nire e del togliere (def. I e II). V. L'operazione d'ir unir j nel nuovo senso è pure a senso unico. Ciò deriva immediatamente da, b e dalle proprietà a, 72 e a, 74 e e', 68 e , 65). e. +(CB) = (BC) (4) Deriva dalla (3) e dal principio a'" del n. 60 e da #. Oss. IIL II segno -f- significa che (CB) deve essere percorso nel verso da C a B; il segno noi secondo membro dell'identità significa che (BC) deve essere percorso nel verso opposto da C a B. Imi. I. Per indicare che un segmento (CB) isolato dal sistema deve es- sere percorso nel suo verso a cominciare quindi da C non occorrono segni spe- ciali (imi. I, 64) e quindi possiamo porre senza ambiguità + (CB) = (CB) (5) Ma se vogliamo indicare il segmento (CB) nel suo verso collo stesso sim- bolo (BC) bisognerà premettere il segno , affinchè sia determinato che bisogna percorrere il segmento (BC) da C verso B, ossia nel verso opposto. Abbia- mo dunque: e'. (CB) = -(BC) (4') la quale deriva anche da (4) mediante la (5) (b, 9). e". (AC) -f (CB) = (AC) + (- (BC)) = (AC) - (BC)

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Èasta sostituire in (1) in luogo dì (CB), (BC) chiudendolo in parentesi. Def. ITI. Finora abbiamo considerato segmenti consecutivi della forma di- retti nel medesimo verso (def. VII, 62). Per la estensione data all'operazione dell'unire chiameremo consecutivi anche quei segmenti che hanno un estremo comune e sono di verso opposto. d. Per l'addizione e la sottrazione dei segmenti consecutivi nella forma fondamentale vale la legge associaiiva. Si ha cioè: [(AB) + (BC)] + (CZ ) ==(AB)+ [(BC) + (CD)] (6) In questa formola è compreso anche il caso della sottrazione quando l'ad- dizione si considera nel senso della def. I. Difatti si ha: (BC)-\-(CD) = (AC) + (CD) ~ (AD) = (AB) -f (BD) (V ; e, 8 o e, 60) e. (AB) + (BC) + (CB) = o qualunque siano i tre elementi A, B, C. Difatti dalle relazioni (AB) 4- (BC)~(AC), (AC)- (AC) = o (def. I, e def. I, 76) si ha: (AB) + (BC) (AC) = o (b, 74) Ma togliere il segmento (AC) equivale a sommare il segmento (C A) ( ), dunque: (AB) + (BC) -f (C A ) = o (def. I) 78. a. Se si addiziona il segmento (BC) al segmento (AB) a partire da un ele- mento qualunque della forma fondamentale si ha V identico risultato qualun- que sia il verso in cui si eseguisce l' operazion0. Supponiamo che (AB) e (BC) siano diretti nel medesimo verso (def. Ili, 67). L'elemento da cui si parte sia dapprima A stesso, e supponiamo che l'addi- zione del segmento (BC) al segmento (AB) a partire da A sia eseguita in uno dei versi della forma. Si ha (AC)^(AB) + (BC), e vi è un solo segmento (4 C) che gode tale proprietà nel verso dato (o, 68 ; , 69 e def. I, 70). A partire da A nel verso opposto vi è un solo segmento (ABi) = (AB) ( lef. I, 70, d 70), così pure un solo segmento (l?|Ci)) = (l?0), e infine un solo segmento (AC)~(AC). Dico che (AC) = (ACi). Difatti (AC) deve essere come (AC) somma di due segmenti consecutivi dello stesso verso di (AC') (6, 60), il primo dei quali è uguale ad (A ), ossia (ABi) e il secondo uguale a (B^), ossia (^Q) (b, 69 e def. I, 70). Se il segmento (BC) è diretto in verso opposto ad (AB) vale un analogo ragionamento (#IV, 73 opp. , 69 e #IV, 73). Finalmente è indifferente eseguire l'operazione da qualunque elemento dato X della forma come elemento A, poiché il sistema a partire da A in uno o nell'altro verso è identico allo stesso sistema a partire da X nello stesso verso o nel verso opposto (a, o ', 70). Il teorema è dunque pienamente dimostrato.

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74 a\ Se ai membri di una identità fra segmenti consecutivi si addiziona o da essi si sottrae un medesimo segmento i risultati sono identici. Cioè se : (AB) + (BC) = (AB') -f- (ffC) si ha: (AB) + (BC) + (CD) = (A'B') + (B'C) + (C'D')9 essendo (CD) = (C' ). Di fatti si ha (AC) + (CD) = (A'C) 4- (OD') (a ; def. I e II, 77). . Si può sempre addizionare ad un segmentò (AB) uno ed un solo seg- mento (BC) per ottenere un segmento dato maggiore o minore di (AB) dello stesso verso o di verso opposto. Sia (AC) il segmento uguale al dato, dello stesso verso o di verso op- posto di (AB) (a', 70; f", 63). Dati gli elementi A, B, C il segmento (BC) è pienamente determinato ed è uno solo sulla forma fondamentale (ip. II, def. I, 70; cr, 68 e a, 65), in modo che ogni altro segmento (BC1) dello stesso verso di (BC) sommato ad (AB) da un segmento diverso da (AC), se C e C non coin- cidono (def. Ili, 57 ; a, 65 e f, 73). 5. Segmenti multipli e summultìpli di un segmento dato della forma fondamentale, e loro simboli Scala, unità, origine e campo di essa Condizioni per V uguaglianza delle scale Uguaglianza relativa di due segmenti rispetto ad un' unita Segmenti tra- scurabili rispetto ad un altro segmento. 79. Oss. I. Supponiamo per maggiore semplicità che la forma fondamentale sia aperta; passeremo poi facilmente al caso della forma chiusa. Def. I. Se nella forma fondamentale aperta da un dato elemento A si considera un numero n (oss. V, 47) di segmenti consecutivi nel medesimo verso ed uguali ad un segmento dato (AB) dello stesso verso, il segmento risultante (AD) dall'addizione successiva degli n segmenti si chiama segmento multiplo del segmento dato (AB) secondo il numero n; e diremo che (AD) contiene n volte il segmento (AB). E diremo anche che un segmento (AC) è multiplo secondo il numero n di un altro segmento (A'B') della stessa o di un'altra forma fondamentale (ip. I) se è somma di n segmenti consecutivi ad (A'B'). Def. IL II segmento (AB) o (AB1) si chiama invece summultiplo di (AC) secondo il numero n. Se (AC) contiene, due, tre, quattro ecc. n volte (AB), dicesi doppio, triplo, quadruplo ecc. ennuplo di (AB) o di (A'B') ; e (AB), o (A'B1), metà, terzo, quarto ecc., parte ennesima di (AC). Ind. I. Un segmento (AC) multiplo secondo il numero n di un segmento (AB) lo indicheremo col simbolo (AB)n. Una parte ennesima di un segmento (AC), cioè (AB), la indicheremo col simbolo----- od anche (AC). , oppure (AC) .

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75 a. n n Difatti ^ -, (AC). , (A C) indicando la stessa parte (AB) possono so- stituirsi ad essa, cioè sono uguali fra loro ( , 9). a\ (AB) m ~ ^2 m = (A C). -7- m = (A C) i (m = n) ( ; e 6, 9). % % / ^ * (^4 C) Oss. I. - m significa che il segmento risultante da questa operazione con- tiene m parti ennesime di (AG) Ind. II. Useremo anche il simbolo (AC) ~ per indicare questo risultato. n b. (AB) m = m = (AC) m = (AC) = (A C) (A O , (, ? = ' n n ^ J n v y n v ' n v m' m*). Difatti - - m, (AC) - , (AC) - i(AC) - , rappresentano lo stesso segmento, e quindi possono sostituirsi l'uno all'altro (b, 9). m V. Se m ~ n si ha (AC) = (AC) - . w Difatti se m=zn si ottiene da (AC) lo stesso segmento (A C) (def. II e I). "Ì7? "W ¥* Se m n si ha m = w 4- r (#, 50) e quindi (A C) = (A C) - -}- ( AC) (6), 9 i? dunque (AC) (AC) (def. I, 72 e def. I, 61). Analogamente se m n (def. I, % 74 e def. I, 61). b". (AC) ==o. v n (AC} Perché ciò significa che non si considera affatto il segmento v - (oss. I, 54). e. n n v nn Supponiamo dapprima che la parte ennesima (AB) di (AC) sia multipla secondo il numero n di un segmento (AB1). Si ha: e poiché si ha: = (b, 9). n n ^ E siccome (AJ5') è multiplo di (AB) secondo il numero ri si ha che (AC) è multiplo di (AB') secondo il numero nri (def. I, II, 52), ossia n n nn nn

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e quindi (AC) 1 (AÒ) ,,^x 1 ^ , T rt v i r m = v ^ r i = (AC) r m ond. I ; , 9;. n n nn nn ossia __sws 0 ^ n^ JL= (AC) -i- (ind. II, 52). v Ite/*. ///. Il segmento (AC) si chiama anche frazione di (AC) l). % d. Se un segmento della forma fondamentale è maggiore, uguale o minore di un altro segmento della stessa forma o di forme fondamentali diverse, un segmento multiplo del primo è maggiore, uguale o minore di un segmento multiplo dell'altro secondo lo stesso numero. Sia (A5) = (A'#), dico che qualunque sia n, essendo n un numero dato dalla seria (I) (46), si ha : Sappiamo intanto che (AB) 4- (AB) = (A'tf ) + (AB') ( /', 73) ossia (AB)2 = (A'B')2 (ind. I). Ora, se la proprietà ha luogo per un numero dato m si dimostra facil- mente pel numero m + l. Difatti sia: (AB) m ~ (AB') m si ha: (AB) m + (AB) = (AB') m + (A'B') (g e /, 73) ossia (AB) (m + l) = (A' ) (m + 1). (ind. I). Ma il teorema vale per m = 2, dunque vale in generale per un numero n qualunque dato (e, 46 e I, 39). d'. Se (A C), (A1 C) sono multipli secondo il numero n dei segmenti (AB), (A'B'), e (AC) = (AC) si ha: (AB) = (A'ff). 1) Qui si potrebbe definire il numero frazionario come supporremo fatto nei nostri fondamenti della geometria, senza occuparci però delle operazioni di essi.

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77 Se è (AC) = (A'C*), deve essere anche (AB) = (A'B'), perché altrimenti non potrebbe essere (AC) = (A'C") (d; ', 61). Se invece è (AC) (A'C') non può essere (AB) =(A'#), altrimenti sarebbe (AC)EE(A'C') (d, ; 61). Se fosse (AB) (A'B') sarebbe (ACJXA'C*) contro l'ipotesi (d; e, 61), dunque (AB) (A'B'). Da ciò risulta nel terzo caso (AB) (AB1). d". Se si hanno n segmenti consecutivi nel medesimo verso (AAj), (AjA*) .... (AAi) (A!A,) .......... (An-iAn ) si ha: (AA!)^ (AAn) ; (An-iAn )n (AAn ). È chiaro che (AA!)2 (AA2) (/; 73; ind. I). Supposto vero il teorema per n 1 lo è per n (y\ 73) ma esso è vero per -n = 2 dunque lo è per n qualunque (e, 46; Z, 39). Analogamente si dimo- stra che (An-iAn)w (AAn) ( / e /; 73; e, 46; Z, 39). e. Se(AB) = (AC) ed è (AB) = (AC) si ìia m = n, e reciprocamente, n ^^^ * ^ Difatti se (AB)~(AC) si ha m = n, perché se m = w r si ha: e quindi anche (AB) (def. I, II, 61) ciò che è assurdo ( ', 61). Analogamente se si suppone m ^; dunque m=zn (def. II, 49). Se è (A (A C), non può essere m=^n altrimenti sarebbe (AB) = (AC) ( ', 79 e , 61). Né può essere m ^ perché essendo m z=zn-\-r si dimostra come precedentemente Yìl che (AC} (AC), e quindi anche (AB) (Aty (def. I, II, 61), il che è assurdo n (e, 61). Analogamente si dimostra che se è (AC)XAB) deve essere m n. Inversamente, se m = n si ha (A^) = (AC) (Jb', 79 e V, 61). Se m^n, (AC) ^ AC per le dimostrazioni precedenti, dunque ecc. ^* n ^^** 80. Def. I. A cominciare da un elemento A nella forma fondamentale in un dato verso si consideri una serie illimitata di la specie di segmenti consecu- tivi eguali ad un segmento dato (AB) (ip. II; , 68; def. Ili, 39). Questa serie si chiama scala, della quale (AB) si chiama unità di misura o unità, e l'elemento A, origine. Oss. I. Noi non facciamo per ora alcuna ipotesi sul segmento (AB) stosso, tranne quella dunque che è un segmento dato limitato da due estremi A e B (def, III e IV, 62). Osserviamo pure che nelle citazioni dei teoremi in appoggio alle dimostrazioni ci riferiamo al solo sistema ad una dimensione omogeneo, o identico nella posizione delle sue parti, e tralascieremo di rammentare che per l'ipotesi II la forma fonda-

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78 mentale è pure un sistema ad una dimensione identico nella posizione delle sue parti, e che questo è un sistema omogeneo (def. I, 70; def. I, 68). Def. II. I secondi estremi dei segmenti della scala uguali all'unità li chia- meremo elementi di divisione della scala. Def. HI. Per campo della scala intendiamo il segmento illimitato della forma fondamentale determinato da tutti i segmenti consecutivi della scala nel verso di essa. Oss. IL La scala è una serie e il campo di essa è il tutto ordinato che da essa deriva (oss. 28). Quando non vi sarà luogo ad equivoci potremo sostituire Tuna pa- rola all'altra '). Def. IV. Questo segmento, essendo la scala illimitata di la specie (def. I), non ha un ultimo elemento (def. Ili 39). a. Il campo della scala è maggiore di ogni segmento limitato (BC) i cui estremi sono dati e appartengono ad esso, e di ogni suo segmento illimitato il cui primo estremo non conincide coir origine. Supponiamo che B coincida dapprima con A. È chiaro che (AC) non è tutto il campo della scala, perché la serie che lo determina è illimitata (def. I, e def. Ili), e quindi se (C....X....) è la parte rimanente, si ha che il campo della scala è (AC)-\- (C....X....), e quindi è maggiore di (AC) e anche di (C....X....) (def. I, 61). Se B non fosse A, il campo della scala sarebbe invece: e poiché è maggiore di (AC] ed (AC) è maggiore di (BC), il campo della scala è anche maggiore di (BC) (d, 61). b. I segmenti determinati dall'origine successivamente cogli elementi di di- visione della scala o i segmenti consecutivi stessi uguali all'unità (AB) corri- spondono ai numeri della serie (I) (def. I; b, def. Ili, 46; i, 39; a e , 43). b'. Gli elementi di divisione della scala a partire dall' origine corrispondono univocamente e nel medesimo ordine ai numeri della serie (I). Difatti essi corrispondono univocamente e nello stesso ordine ai segmenti consecutivi della scala uguali ad (AB) (c\ 68; b e oss. I, 64) i quali corrispon- dono univocamente e nello stesso ordine ai numeri della serie (I) (b), dunque il teorema è dimostrato (/", 42). Ind. I. Possiamo dunque indicare gli elementi di divisione della scala a partire dall'origine coi numeri della serie (/), e quindi gli elementi di divi- sione della scala rappresentano sulla forma fondamentale i numeri della serie (/). e. L'origine rappresenta il numero zero. Difatti si ha (AB (AB) = o, e se (AB) rappresenta l'unità del numero (def. I, 45) si ha 1 1 = o (6, 54). D'altra parte si ha che l'elemento rappre- senta il segmento nullo (oss. I, 76), dunque l'elemento A rappresenta il nu- mero o. Oss. III. La rappresentazione degli elementi di una serie mediante i numeri di (I) non significa già che i segmenti consecutivi siano uguali, come succede nella scala della forma fondamentale. Rappresentando (AB) Punita 1 del numero, ogni multiplo di (AB) secondo il numero n, cioè (AB)n viene rappresentato sulla scala i) Vedi nota 2, 62,

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79 dal numero n (def. I, ind. I, 79). E quindi in siffatta corrispondenza i segmenti corri- spondenti ai numeri godono le stesse proprietà dei numeri di (t) rispetto ali' addi- zione e sottrazione (considerate queste nel senso dei numeri 72-73). In tal caso la legge commutativa dell'addizione dei numeri vale senz'altro per l'addizione dei seg- menti consecutivi della scala (i, 48). Ciò non significa però che tale proprietà abbia luogo anche per l'addizione di due segmenti consecutivi qualunque nel caso che la forma oltre ai segmenti uguali all'unità (AB), o multipli di (AB), ne contenga anche altri. Ind. IL Se esiste un segmento ennesimo (AB') di (AB), ogni segmento della scala uguale ad (AB) è composto di n parti uguali ad (AB') (def. le II, 79 e b, 60), e potremo indicare queste parti successivamente coi segni : 1 2 n 1 n _ n' m Q - . , - i* ~~~ . j \QI /yi n n n n n n v ? / d. Se (CD) è uguale ad un segmento limitato da due elementi dati del campo della scala di unità (AB) ed è (AB) (CD), vi è sempre un numero n della serie (I) tale che: (AB) n ^ (CD) ( AB) (n + l) È da osservare intanto che gli estremi del segmento a cui è uguale (CD) sono per dato elementi dati del campo della scala; e poiché questo è determi- nato da tutti i segmenti consecutivi della scala stessa (def. Ili), i suoi elementi dati o sono elementi di divisione (def. II) o appartengono a due segmenti con- secutivi (def. I, 62 e II, 29 e def. I, 27); imperocché se appartenessero ad un solo segmento uguale ad (AB) non sarebbe (AB) .(CD) (d, 73 e def. I, II, 61). Sia (AA') un segmento della scala uguale al segmento dato (CD) (def. I, 68 e e, 60); l'estremo A' essendo un elemento dato della scala apparterrà ad un segmento dato di essa, e quindi o sarà un elemento di divisione oppure sarà compreso fra due estremi di un tale segmento. Questi estremi corrispon- deranno a due numeri successivi n e n -f- 1 determinati della serie (I) (b1), e quindi si avrà: oppure (AB)w (CD) (A )(n + l) (def. II, 61). 81. a, I campi di due scale rispetto a due unità uguali sono uguali rela- tivamente alla serie dei segmenti delle due scale. Difatti si può stabilire una corrispondenza d' identità fra i segmenti con- secutivi uguali all'unità nell'una e i segmenti consecutivi uguali nell'altra scala, facendo corrispondere le origini fra loro (def. I, 60; d, 79), e quindi rispetto alla disposizione dei segmenti delle scale in serie, i campi di esse sono uguali ( ' e oss. IV, 61). b. Date due scale colle unità (AB) e (A'B*) tali che (A' ) (AB) (A' )n (AB) essendo n un numero qualunque della serie dei numeri naturali, i campi delle due scale sono uguali in generale rispetto alla serie dei segmenti delle due scale,

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80 Siano A e A le origini delle due scale. Nella prima si può considerare a partire da A nel verso della scala un segmento (AC) identico ad(A'tf) (a, 70), e quindi per le condizioni del teorema si ha: (1) (AC) (AB) (2) (AC) n (AB) (def. II, 61). Dalla (1) si ha qualunque sia m (AC) m (AB) m (d, 79) dunque ogni segmento del campo della scala di (AC), a partire dair origine, è un segmento del campo della scala di unità (AB) (def. Ili, 80). Ma si ha dalla (2) (AC)n.m (AB)m (d, 79). dunque ogni segmento del campo della scala di (AB) è segmento della scala di (AC). Ogni elemento dell'una è un elemento dell'altra e quindi i campi delle due scale di unità (AB), (AC) coincidono (def. Ili, 80; def. Ili e I, 62; b, 29), e la loro uguaglianza è assoluta (def. Ili, 9). Ma pel teorema (a) relativamente alla disposizione in serie, la scala di unità (AC) è identica alla scala di unità (A'B') sulla stessa forma o in forme fondamentali diverse (ip, I; e, oss. V, 60 e conv. 69), dunque il teorema è di- mostrato. Dalla dimostrazione si ottiene dunque anche: b'. Date due scale colle unità (AB) e (A'B') tali che siano soddisfatte le re- lazioni (i.) e (2) sulla medesima forma fondamentale colla stessa origine e nel medesimo verso, esse coincidono (6; def. V, 57). b". Date due scale, se l'unità dell'una è multipla dell'altra, o se runa con- tiene un numero m di summultipli dell'altra, i campi delle due scale sono in generale uguali rispetto alle serie dei loro segmenti. Perché le loro unità (def. I, 80) soddisfano alle condizioni del teor. b. Di- fatti se Punita (AB) dell'una è identica all'unità (AB') dell'altra, b" è il teor. a. Se (AB) = -------m (A#) (def. I, II, 79), scegliendo m in modo che sia mm n n (e a tale scopo basta prendere almeno m' = n -f- 1 (def. 1,52)), si ha (AB)m = 21 mm' = (Aff) ^- (AB), (6, ti, 79). lt IV Se invece è------- m (A#'), è pure m n (e, 79) e prendendo il multi- n pio di (AB') almeno secondo il numero m, si ha (A#)ra -------m= (AB). n e. Data una scala di imita uguale ad (AD) sulla forma fondamentale ed un altra di unità (A'B) e di origine A', se non vi è un numero n tale che (AD) n (A'B) se è (AD) (AB) oppure che (A'B) n (AD) se è (AD) (A'B) il campo della scala di unità (AD) non è uguale a quello di unità (A'B). Possiamo supporre che le scale di unità (AD) e (AB) abbiano la stessa ori- gine nella stessa forma fondamentale e nel medesimo verso (b, 70;ip. I e b, 60). Nel primo caso nel campo della scala di (AD) non vi è nessun segmento (AD)n che sia maggiore di (AB) qualunque sia il numero n della serie (/), e

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81 quindi anche di qualunque segmento (AC) che soddisfa alle condizioni del teorema b rispetto ad (AB), ed è minore di (AB). Difatti se essendo (AC)m^(AB) fosse (AD) n (AC) si avrebbe (AD)nm^(AB) (d,79e d, 61) ciò che per dato non è. E chiaro dunque che la serie illimitata di la specie di segmenti consecutivi uguali ad (AD) e che costituiscono il campo della scala di unità (AD) (def. Ili, 80) non ha elementi nel campo della scala di origine A e di unità (AB). Il teorema è dunque in questo caso dimostrato ( ; e e oss. V, 60). Nel secondo caso si scorge invece che (AD) non è interamente nel campo della scala di unità (AB\ e quindi anche in quello di un segmento (AC) mag- giore di (AB) dello stesso verso di (AB), che soddisfa alle condizioni del teor. b rispetto ad (AB) (b'). Il teorema vale anche in questo caso per (AD) e per ogni segmento ad esso uguale (a; e e oss. V, 60). e'. Se il campo della scala di unità (A'B') è uguale a quello di (AB) vi è sempre un numero n tale che Il segmento (AB) è uguale ad un segmento che soddisfa alle condizioni del teor. b' rispetto ad (A'#), altrimenti il campo della scala di unità (AB) non sa- rebbe uguale a quello di unità (A'B') né in senso assoluto né relativamente alla serie dei segmenti delle due scale (e), dunque il teorema è dimostrato (d, 80). Def. I. Diremo che un segmento genera il campo di una scala di unità (BC) quando preso un segmento (BD) identico al dato e nello stesso verso di questa scala (b'9 69), il campo di essa coincide col campo della scala di unità (BD) (def. V, 57). d. Un segmento che genera il campo di una scala di un'unità qualunque (BC) soddisfa alla condizione del teor. b rispetto a (BC); e inversamente. Difatti possiamo considerare da B nel verso della scala un segmento (BD) uguale al dato (b'. 69). Il campo della scala di unità (BD) coincide per dato con quello di unità (BC) (def. I), e quindi (BD) non può soddisfare alle condizioni del teor. e, dunque soddisferà a quelle del teor. b (IV, 8). Inversamente, se il segmento dato soddisfa alla condizione del teor. b, (BD) genera il campo della scala di unità (BC) (b1 e def. I). ti. Ogni segmento che non genera il campo di una scala di uri unità qua- lunque (BC) soddisfa all'una o all'altra condizione del teor. e rispetto a (BC), e reciprocamente. Difatti il segmento dato non soddisfa alla condizione del teor. b rispetto a (BC), e quindi esso, od un segmento ad esso uguale, deve soddisfare ad una di quelle del teor. e (d, 79; IV, 8). e. Se (AD) soddisfa alla condizione : (AAO (n-ì) (AD) (AAì)n si ha pure :

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82 Sia costruita la scala di origine A e di unità (AAI). Si ha: (DA) ^(A,A) (n - 1} = (An-iA) ed anche (DA) ^(AlA)n = (AnA) (e, 73 e def. I, 61). f. Se A e B sono due elementi dati nel campo di una scala, il campo della scala a cominciare da A nel vzrsi di (AB) è uguale alla parte dello stesso campo a partire da B rispetto ad una serie di segmenti consecutivi di esso. Difatti considerando A e B come origini di due scale nello stesso verso e colla stessa unità (AB), i campi di queste due scale sono uguali rispetto alla disposizione in serie (a). Ma ogni elemento X del campo della scala di ori- gine B è un elemento del campo della scala di origine A, perché se non esistesse un numero n tale che fosse (AB)n^ (AX) non sarebbe neppure (BC)n (BX)9 essendo (BC) = (AB), perciò X non potrebbe nemmeno appartenere al campo della scala di origine B (d, 80). La uguaglianza ha luogo relativamente alla disposizione in serie ( ", oss.IV, 60). Il campo della scala di origine A contiene come parte quello di origine B (def. Ili, 80; def. II, 27) il che esclude l'uguaglianza assoluta A = J2, altri- menti vi sarebbe la contraddizione A è e non è A (III, 8 e oss. Ili, 9). Def. IL Essendo (AB) + (B....X....) = (B....X....) rispetto alla disposizione in serie dei segmenti dei campi delle scale di origine A e B e di unità (AB), si- gnifica che si può far astrazione da (AB) (7). Diremo perciò che (AB) è nulla o trascuràbile rispetto a (B.... X). f. Un segmento limitato (AB) qualunque del campo di una scala, o un segmento ad esso uguale, è trascurabile rispetto al segmento rimanente a co- minciare da B nel verso della scala stessa. Difatti se anche l'unità è (A' ), si può considerare come unità della scala rispetto al campo di essa il segmento (AB* stesso se soddisfa alla condizione del teor. b, e quindi è trascurabile rispetto alla parte rimanente (/*, def. II). Se invece non soddisfa a quella condizione, esso non può essere maggiore di ogni segmento limitato della scala e quindi anche del campo di essa, perché i suoi elementi appartengono per dato a questo campo (def. I, 61); dunque deve es- sere minore di ogni segmento (AB') che genera la scala (a*). Ma poiché (AB?) è trascurabile, a maggior ragione sono trascurabili le sue parti, perché se (AB) = (AJ3") -t-(5"#) (def. I, 72) si ha (A ') (A ") e (B"B') (def. I, 61), e se B' coin- cidesse con A e B" fosse distinto da A, sarebbe (AA) = o (def. I, 76) (AB"), il che è assurdo (def. I, e e, 61). Oss, I. Osserviamo che i teoremi 6, ', 6", e, c\ c , d ed e valgono subordinatamente all'esistenza sulla forma fondamentale di segmenti surnraultipli di un segmento dato (AB) o di segmenti minori o maggiori di (AB) che non siano né summultipli né mul- tipli di esso. Oss. II Osserviamo ancora che siccome finora abbiamo considerata la scala in un verso determinato a partire da un elemento dato (def. I, 80), così valgono gli stessi teoremi nel solo sistema omogeneo (def. I, 68j. Da ciò si vede che nella defi- nizione di questo sistema, se esso è dato da una sola scala di segmenti uguali a un dato segmento (AB), e che se (AD) (AB), (AD) non soddisfa al teorema e, basta considerare il solo segmento (AB). Colla definizione così ridotta si dimostrano il teor. a e i teor, b, e, (dapprima pei soli segmenti uguali ad (AB) o minori di (AB)) e e? del

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83 n. 68. Si danno poi le definizioni del n. 79 sui multipli e summultipli dei segmenti coi teor a, a', 6, ft", e e e' dello stesso numero, e si assoggettano i segmenti del si- stema alla condizione del teor. b di questo numero, la quale esprime precisamente l'assioma cTArchimede. Dopo di che per l'applicazione ripetuta del teor. e, 68 (colla restrizione suindicata) si dimostra il teor. b per ogni segmento limitato del sistema Si dimostrano nello stesso modo i teor. e", e*" del n. 68; a, o, ', e, d del n. 69. Così basta limitare la definizione del sistema identico nella posizione delle sue parti (def. I, 70) non soltanto ad un solo elemento A, ma eziandio ad un solo segmento {AB) con un estremo in -4, in modo cioè che nel sistema vi sia un altro segmento (AB1) nel verso opposto identico ad (AB) ; dimostrando poi il teor. a' e quindi i teor. a1' e a del n. 70. Si dimostrano nello stesso modo i teor. dei n. 72, 73, 74, 75, 76, 77, 78; i teor. b', d* ef, dv ed e del n, 79, e quelli del n. 80., tralasciando i teor. e, e, d d' di questo numero che sono in tal caso inutili, dando i teor. 6, b' per due segmenti (-41?), (A'B') qualunque che per l'assioma d'Archimede soddisfano già alla condizione del teor. b l). Si potrebbe limitarsi al solo sistema omogeneo ad una dimensione dando la de- finizione del sistema ad una dimensione identico nella posizione delle sue parti dopo aver dedotto le proprietà del sistema omogeneo continuo (vedi nota n. 99) trala- sciando frattanto le parti di quei teoremi, ad es. dei precedenti, che riguardano il sistema identico nella posizione delle sue parti. Limitandosi al solo campo di una scala, la via scientificamente migliore è quella qui indicata per non introdurre nelle definizioni proprietà sovrabbondanti, che si possono e quindi si devono dimostrare mediante le premesse. i) Mantenendosi nel campo di una scala (come si deve fare per ragioni didattiche in un trattato di geometria elementare per uso delle scuole liceali, almeno nella planimetria) la definizione del sistema identico nella posizione delle sue parti e quindi anche del sistema omogeneo bisogna modificarla in questo senso aggiungendo che non vi sono altri segmenti fuori del campo della scala, o in altre parole aggiungendo l'assioma che se (AB) e (CD) sono due segmenti rettilinei, e (AB) (CD) si ha sempre un numero n tale che (AC) n (CD). (Vedi pref.). il sig. Stolz, per quanto sappiamo, è stato il primo a richiamare l'attenzione dei matematici sopra questo assioma che ha chiamato giustamente assioma d'Archimede che il grande siracusano diede nel suo celebre trattato : De Sphaera et cylindro (O. Stolz zur Geometrie der Alten,insbesonders ueber ein Axiom des Archimedes. Math. Annalen Voi. XXII). (vedi nota n. 90 e nota 2 n. 97),

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CAPITOLO VI. Segmenti finiti, infiniti, infinitesimi, indefinitamente piccoli e indefinitamente grandi. Numeri infiniti. 1. Ipotesi CITII) suir esistenza, di elementi fuori del campo di una, scala Segmenti finiti, infiniti e infinitesimi Segmenti finiti va- riabili Campo finito di una, scala Ipotesi (IV) sulla, determi- nazione dei segmenti infiniti Infiniti e infinitesimi di diversi ordini Loro proprietà, Campi infiniti Elementi limiti al- r infinito di diversi ordini. 82. Oss. I. Non abbiamo fatto alcuna ipotesi pel segmento (AB), unità della scaia (def. I, 80J. Per le ipotesi I e II consideriamo la forma fondamentale come già data e assoggettata alla definizione del sistema identico nella posizione delle sue pani ; la quale definizione è indipendente dalle proprietà della serie che sono nel sistema stesso. La serie che determina la scala (def. I, 80) è illimitata di I* specie; d'altra parte possiamo immaginare che esistano delle serie limitate e illimitate che conten- gano come parte nna serie illimitata di 1* specie fdef. Ili, 39, e def. I, 27, a, , 37), dunque siamo condotti spontaneamente da questa considerazione ad assoggettare la forma fondamentale alla seguente condizione: Ip. III. In un verso della forma fondamentale esiste almeno un elemento fuori del campo della scala rispetto ad ogni seg- mento limitato come unità. a. Vi sono più elementi distinti fuori del campo di una scala. Perché dato uno di questi elementi per l'ipotesi II esso è estremo di due segmenti uguali ad un segmento dato e qualunque della scala stessa (def. I, 68). b. L'ipotesi III non contraddice alla definizione e alle proprietà del siste- ma identico nella posizione delle sue parti, e non deriva da esse. Siccome intanto l'ipotesi riguarda la forma in un solo verso dato indi- pendentemente dal verso opposto, così basta che non contraddica alla definizione del sistema omogeneo per non contraddire a quella del sistema identico nella posizione delle sue parti (def. I, 70). Ora, come ho osservato più su, la definizione del sistema omogeneo è indipendente dalla costruzione della scala, vale a dire non è detto che il sistema sia dato a partire da un dato elemento di esso da una sola serie illimitata di 1* specie di segmenti uguali, e che non possa es- sere composto da una serie di serie che a partire da ogni loro elemento siano illimitate di la specie (def. Ili, 39; #, 37). Il teor. a del n. 68 ci dice appunto che il sistema omogeneo è illimitato nei suoi due versi, ma non dice che il

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85 sistema sia dato da una sola serie illimitata di là specie, come non stabilisce il contrario. Rimane a far vedere che si può applicare la def. I, 68, che riguarda i soli segmenti limitati (def. IV, 6^), anche quando il si?tema omogeneo si compone di più serie illimitate. Dato un gruppo ordinato AT, che a partire da un suo elemento qualunque dato è illimitato di la specie (def. Ili, 39 e oss. 28), e che è dato da segmenti consecutivi uguali nell'ordine di esso, possiamo considerare N come un nuovo elemento dato (18), e poi un altro di questi elementi N' identico a JV, fuori di esso e indipendente da esso e non avente col primo alcun elemento fonda- mentale comune (def. I, 57 e a', 37). Possiamo inoltre considerare le forme N e N' nell'ordine NN' (14). Nella serie NN* (19), N1 segue la serie N (14), e quindi ogni elemento di N precede N\ che è quanto dire che ogni elemento di N precede ogni elemento di 2V, od ogni elemento.di N1 segue N e quindi ogni elemento di N (def. II, 39 e 21). Relativamente ai segmenti limitati di N o JV' la def. I, 68 è soddisfatta. Poiché scelti gli elementi A e B fondamentali si può immaginare senza contraddirsi la serie di tre elementi ABC tali che (AB) = (BC\ così possiamo immaginare una serie di gruppi identici N, JV, N" non aventi alcun elemento comune tale che (NNI)^(NIN"). Ad ogni segmento limitato (AA) avente i suoi estremi A e A' rispettivamente in N e N* sarà uguale un segmento (ArA") col secondo estremo in A" (#, 60), imperocché in una corrispondenza d'identità fra (AW), (N'N"), N corrisponde ad N' e all'elemento A si può far corrispon- dere all'elemento A' e A' all'elemento A". Nel sistema a partire da un suo elemento vi è un solo segmento uguale ad un segmento dato nel verso di esso ( , 68); questa proprietà ha ancora vigore nel sistema (NN1). In questo modo sono soddisfatti il teor. b del n. 60 e quelli del n. 61 pei segmenti limitati. Non ci occupiamo dei segmenti illimitati di N e N' nel confronto fra i segmenti limitati, poiché i primi sono determinati da segmenti limitati e la loro uguaglianza relativa, come ad es. : dei segmenti illimitati (AB....X..,.), (B....X....) di N è data dall'uguaglianza dei segmenti limitati che li determi- nano ( ", 60). Se in due segmenti (AA'), (BB') ai segmenti limitati uguali nel- l'ordine dato dell'uno corrispondono univocamente enei medesimo ordine segmenti uguali dell'altro siamo giustificati di dire che i due segmenti sono identici, perché se non fossero tali non avrebbe luogo la suddetta proprietà, come abbiamo sopra osservato. Essendo N', indipendente da N la serie NN* è indipendente da N, cioè non è data da N senza l'atto che pone JV, dunque la proprietà dell'ip. Ili non deriva dalla sola N 1). 1) Abbiamo una prima rappresentazione della serie (NN1) considerando la retta percorsa in un dato verso, ad es. da sinistra verso destra, e poi considerando la stessa retta percorsa nello stesso verso, ma distinguendola in questa seconda operazione con iV, supponendo perciò che i punti di N' siano distinti da quelli di ir. Si possono considerare NN* anche come due rette parallele nel senso Euclideo, in modo che dopo aver percorsa una retta in un dato verso si percorra JVf nello stesso verso, e la distanza di due punti delle due rette si misuri nel verso dato percorrendo le due rette stesse. Vedi anche la rappresentazione geometrica alla nota n. 105. La serie di segmenti limitati delle serie NN'N"...., soddisfa alle prime 7 proprietà che il sig. Pea- no da come assiomi per la serie dei numeri naturali (1. e., 1 vedi la nostra nota n. 45). Se si li- mita N ad un primo elemento, la serie NN'N" .. soddisfa anche alla proprietà 8.a

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86 Def. I. Diremo che la forma fondamentale sì estende al di là dì ogni campo di scala esistente in essa. Ind. I. Per indicare un elemento dato fuori del campo di una scala use- remo spesso il segno oo unito a qualche lettera. e. Dato un segmento con un estremo nel campo di una scala, se ha V altro estremo fuori di questo campo e nel verso di essa, esso è maggiore di ogni seg- mento limitato a due elementi dati del campo della scala; e reciprocamente. Sia A l'origine, (AAT) Punita, A^ un elemento fuori del campo della scala nel verso di essa. Non vi può essere un numero n tale che sia (AAt) n (AAJ, altrimenti A^ apparterrebbe al campo della scala stessa ( ', 81). E se (AD) è un segmento qualunque limitato del campo della scala di unità (AAt), il campo della scala di unità (AD) coincide con quello di unità (AAT) (#, 81), e non vi è alcun numero n tale che (AD) n sia maggiore di (AA^). Se il primo elemento del segmento dato non è A ma un altro elemento D qualunque del campo della scala, considerando a partire da D nel verso di essa un segmento qualunque (DD') limitato da un altro elemento U della scala di unità (AAT), il campo della scala di unità (DDf) e di origine D è uguale al campo della scala di unità (AAT) di origine A, rispetto alla corrispondenza univoca e nel medesimo ordine dei loro segmenti (d, 80; b, f, ti, 81); e poiché (DA^) è mag- giore di (DD') (def. I, 61) la prima parte del il teorema è dimostrata. Inversamente se (AB) è maggiore di ogni segmento limitato del campo della scala, B non può essere nel campo di essa (d^ 80). e1. Ogni segmento che serve a generare il campo di una scala è minore di ogni segmento avente un estremo nel campo della scala e I9 altro estremo fuori di esso e nel verso della scala. Perché il primo segmento è uguale ad un segmento del campo della scala col primo estremo nel!1 origine di essa (def. I, 81), e quindi il secondo segmento è maggiore del primo (e; def. I, 61). Def. IL Per distinguere i segmenti limitati a due estremi dati che generano il campo di una scala di unità qualunque (AAT) (def. 81) da quelli che non lo ge- nerano e sono maggiori di essi, chiameremo finiti i primi e infiniti attuali o infiniti i secondi rispetto all'unità data. Se i secondi sono invece minori dei primi si chiamano infinitesimi o infinitamente piccoli attuali, o infinitesimi soltanto, rispetto alla stessa unità. Ad es. l'unità (AAT) o un segmento qua- lunque limitato di una scala data è infinitesimo rispetto ad un segmento in- finito (AAJ (d, 81). Def. III. L'ipotesi III la chiameremo ipotesi di esistenza dei segmenti infiniti limitati *). i) Questa ipotesi soddisfa a tutte le condizioni di una ipotesi matematicamente possibile, che si riducono in fondo non a considerazioni d'ordine fllosofico snll'origine delie idee matematiche, ma ali' assenza ai ogni contraddizione. (Vedi pref.). Rispetto poi alla rappresentazione di un segmento infinito, non l'abbiamo certamente se ci te- niamo nel campo della rappresentazione dei segmenti finiti successivamente uguali; ma se usciamo da questa serie possiamo rappresentarci, come vedremo, il segmento infinito limitato tale e quale come un segmento finito. Succede qui una cosa analoga a quella che succede per la serie di segmenti sem- pre crescenti percorsa dalla punta del proiettile che da un punto A va a colpire un punto B. (vedi 6 nota n* 55).

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d. Ifn segmento infinito (o infinitesimo) rispetto ad un segmento dato (AAt) è maggiore (minore} di qualunque altro segmento (BC) che soddisfa alla con- dizione del teor. , 81 rispetto ad (AAT). Perché il segmento infinito (o infinitesimo) rispetto ad (AA^ soddisfa an- che ali' una o ali' altra condizione del teor. e, 81 (d, 81 e def. II) dunque an- che rispetto a (BC) (d o rf, 61). d'. Un segmento infinito (o infinitesimo) rispetto ad un segmento dato è in- finito (o infinitesimo) rispetto a qualunque altro segmento finito col dato. Perché un segmento finito col dato (AAJ genera il campo della scala di unità (AAt) (def. II) ed è uguale ad un segmento di questo campo (def. I, 81), che soddisfa alla condizione del teor. è, 81 rispetto al segmento (AAt); dunque d(d). e. Ogni segmento maggiore di un segmento infinito è pure infinito, ed ogni segmento minore di un infinitesimo è pure infinitesimo (def. II; d1 e e, 81; d, o d', 61 e def. I, 81). f. Un segmento è finito, o infinito o infinitesimo rispetto ad un altro, e ognuno di questi tre casi esclude gli altri due. Siano (AB), (A'B') i due segmenti. Se sono uguali essi sono finiti (def. II; def. 81). Se è ad es. (AB) (A' ), o (AB) soddisfa alla condizione del teor. , 81, o non vi soddisfa (IV, 8). Nei primo caso (AB) e (A'#) sono finiti (d, 81 e def. II); nel secondo caso (A ) è infinito rispetto ad (AB), e (AB) infinitesimo rispetto ad (A'ff) (^, 81 e def. II). Se sono finiti, l'uno di essi non può essere né infinito né infinitesimo ri- Anche l'osservazione ci conduce del resto ad ammettere il segmento infinito limitato (che bi- sogna distingu ere dall'infinito comunemente usato.e in fondo a torto cosi chiamato, per indicare una grandezza finita variabile che diventa maggiore di ogni grandezza finita data). Osservo che se a è un oggetto rettilineo reale, peres. lo spigolo superiore dell'architrave di un lungo porticato ed in e vi è il. nostro òcchio, la scala di a, segnata per esempio dagli assi delle colonne, apparentemente non è una scala di segmenti uguali; e se d A AI A2 A3 O a è ad es. P intersezione del piano visuale ca con una lastra di vetro Oj /' . ' '^' ' verticale, la scala in a' e quella in a producono geometricamente la 123 stessa immagine sulla retina, cioè a e a1 sono apparentemente coincidenti. Ma li scala in a converge verso il punto o', punto d'intersezione del* raggio parallelo condotto da C allo spigolo a. Se Tizio si muove misurando la scala in a, la sua imma- gine f va sempre impiccolendosi. Mano mano che Tizio si allontana, se si muove in un mezzo per- fettamente omogeneo, è convinto che il suo corpo rimane sempre lo stesso anche se ciò in realtà non succedesse. Però noi apprezziamo la sua grandezza dalle successive immagini sulla lastra di vetro. Ora, se Tizio può immaginarsi che per noi la scala a ha apparentemente un punto 0' fuori di essa, egli sarà condotto evidentemente ad ammettere geometricamente che anche la scala a abbia un punto reale fuori di essa. Ma aggiungiamo subito, come abbiamo avvertito nella prefazione, che l'infinito attuale, e quindi anche l'infinitesimo attuale, hanno per noi un' esistenza puramente astratta, e reale in quanto sono un prodotto della nostra mente e derivano da un'ipotesi logicamente possibile: che perciò non vogliamo con questo sostenere l'ipotesi dell'esistenza materiale dell'infinito nell'ambiente esterno, come non sosteniamo la realtà materiale del nostro spazio generale. Ma se esistessero per un altro essere colla stessa logica nostra, le sue considerazioni sull' infinito non sarebbero diverse dalle no- stre. È da osservare poi ancora nel caso precedente, che r oggetto rettilineo è un sistema identico nella posizione delle sue parti, e che quindi rendendo le proprietà della retta come per la forma fou- damentale indipendenti dal concetto di scala, non solo vi è alcuna contraddizione a supporre che essa sia sempre un sistema identico nella posizione delle sue parti, ma sarebbe già un'ipotesi meno giustificata quella opposta. Le dimostrazioni di alcuni matematici contro i segmenti infiniti limitati a due estremi non reg- gono alla critica. (Vedi pref. ). Dedehind (Was sollen und sind die Zahlen ? pag. 17} stabilisce che un sistema S di elementi si chiama infinito quando si può stabilire una corrispondenza univoca (def. H,4?J fra S e una sua parte nel senso di parte usato da noi; in caso contrario, chiama S un sistema finito. Ma questa è una definizione comune a tutti i sistemi infiniti, perché l'infinito, come vedremo, am- mette forme diverse. La definizione nostra che si fonda sul concetto di scala, di maggiore e di mi- nore, è ugualmente inattaccabile e di più si presta meglio per le nostre ricerche. Quella di Dedehind non basterebbe poi da sola per la determinazicne dei nostri segmenti e anche pei numeri infiniti di G. Cantor. (Vedi pref.).

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spetto all'altro, perché in tal caso non soddisferebbero alla condizione del teor. b. 81 (IV, 8); così se l'uno è infinito o infinitesimo rispetto ali'altro non possono essere finiti; e finalmente se uno è infinito rispetto all'altro esso è maggiore di questo, mentre se fosse anche infinitesimo dovrebbe essere minore, ciò che è assurdo (e, 61). g. Due segmenti finiti con un terzo sono finiti tra loro. Difatti se uno di essi fosse infinito rispetto all'altro sarebbe infinito an- che rispetto al terzo (d'}. Se uno fosse invece infinitesimo rispetto all'altro questo sarebbe infinitesimo rispetto al terzo, contro il dato (e) dunque ecc. h. Se un segmento è finito rispetto ad un altro, questo è finito rispetto al primo. Difatti il secondo fosse infinito (infinitesimo) rispetto al primo, il pri- mo sarebbe infinitesimo (infinito) rispetto al secondo (def. II), non finito /). i. L'addizione di due segmenti finiti (infinitesimi, o di cui uno è infinito^ del medesimo verso da un segmento finito (infinitesimo o infinito}. Siano (AB), (BC) i due segmenti finiti del medesimo verso che danno il segmento (AC). Esso è un segmento della scala di origine A e di unità (AB) (def. II; def. I 81, d, 80; d, 81). Se (AB) e (BC) sono infiniti, o anche un solo di essi è infinito, la pro- prietà è conseguenza di e (def. I, 72 e def. I, 61). Se sono infinitesimi e se non sono uguali, supponiamo (AB) (BC); allora (AB)2 (AB) + (BC) (f, 73). Ma (AB) 2 è minore di qualunque segmento finito (def. II; e', 81) e a mag- gior ragione (AB) -{- (BC) (d', 61). Dunque ecc. Def. IV. Poiché il campo della scala è a partire dall'origine maggiore di qualsiasi segmento finito dato di essa (a, 80) lo chiameremo pure infinito. Oss. HI. Il campo della scala è illimitato (def. Ili, 80) perché non ha un ultimo elemento che lo limiti nel verso della scala (def. II, 32), ed è infinito perché mag- giore di ogni segmento dato di essa (def. IV). I. Il campo di una scala è contenuto in un segmento infinito limitato con uno degli estremi nell'origine della scala senza poi essere questo stesso segmento. Difatti il campo della scala (AAJ è contenuto in un segmento limitato infinito (AA^), (def. II, ip. Ili) ma non coincide con tutto questo, perché per lo meno il segmento (AAM) contiene in più l'elemento Aw e perciò anche al- tri elementi distinti da A^ ( ). 83. Def. I. Se si ha una serie illimitata di segmenti limitati (A3T), (AX"),..... ed è (AX'X(AX"X...., potremo dire col linguaggio del movimento (def. VII, 67) che il segmento generatore o variabile (AX) diventa sempre maggiore, e chiameremo (AX) segmento variabile sempre crescente ; e che quindi X si al- lontana da A (def. VI, 67). Se invece si ha un ultimo stato, vale a dire se la serie dei segmenti data è limitata, il segmento (AX) si chiama variabile limitatamente crescente. Def. IL Se si ha invece una serie illimitata di segmenti limitati (AX') (AX") ...., diremo che il segmento generatore (AX) è variabile sempre decrescente o diventa sempre minore, e che l'elemento X si avvicina quindi all'elemento A

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(def. VI, 6?). Se la serie è limitata il segmento (AX.) si chiama limitatamente decrescente. Def. III. Se le serie sono illimitate di la specie a partire da un loro seg- mento (def. Ili, 39), le variabili corrispondenti le diremo illimitate di la specie. Def. IV. La legge di costruzione della serie nei casi precedenti (def. II, 58) si chiama legge di variabilità del segmento (AX). Def. V. Il campo della scala è per noi un tutto costante dato (def. Ili, 80). Immaginiamo di costruire questo campo colla sola operazione di ripetere i seg- menti consecutivi uguali della scala e di unirli successivamente in un tutto con quelli già posti (def. I, 26); come si è fatto pei numeri (def. II, 45) con questa differenza: che qui teniamo conto anche della diversità di posizione dei diversi segmenti e delle loro parti (38). Con questa semplice operazione del ri- petere e dell'unire non solo non possiamo mai uscire dalla scala, ma ci riman- gono sempre altri segmenti finiti da considerare. Il segmento che si ottiene dunque a partire dall'origine con questa operazione è un segmento variabile sempre crescente (def. I) che chiameremo campo finito della scala. Oss. I. Il campo finito della scala non è dunque come il campo della scala un tutto dato e costante, ma è un ente che quando lo si considera è variabile (defi- niz. VII, 67) Def. VI. Di ogni segmento finito (AX) variabile sempre crescente e che di- venta maggiore di ogni segmento dato finito, diremo che cresce indefinita- mente o tende a diventare infinitamente grande o ha per limite il campo C della scala. E scriveremo lim (AX) = C. a. Il campo finito della scala ha per limite il campo della scala. Perché non è che un segmento che soddisfa alla def. VI (def. V). Def. VII. Diremo anche che il campo finito della scala è indefinitamente grande, intendendo però sempre, usando il verbo essere anziché il verbo di- ventare, che non è un tutto dato e costante. Oss. II. Abbiamo dunque segmenti illimitati, come il campo C della scala che è dato e costante, e questo è infinito (def. IV, 82) e abbiamo segmenti illimitati non costanti e che tendono a diventare infiniti. Non bisogna confondere dunque le due forme se non si vuoi cadere in contrad- dizioni. b. Il campo finito della scala è identico a quello determinato da qualunque segmento finito di esso come unità [f, 81 e def. V). Def. Vili. Tutta la parte della forma fondamentale che contiene gli ele- menti all'infinito si chiama campo all'infinito rispetto all'unità data o alla scala di questa unità. b'. Il campo all'infinito di una scala è pure il campo all'infinito di un'al- tra scala la cui unità è un segmento finito della prima e la cui origine giace nel campo della prima. Difatti i campi delle scale generate dai segmenti del campo dato coin- cidono a partire dall'origine ( ', 81), e quindi anche il campo all'infinito (def. Vili). E poiché se l'origine è un altro elemento dato, il campo della scala

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90 così ottenuto è contenuto nel primo e differisce dal primo soltanto pel segmentò che ha per estremi le due origini (a, 80), il teorema è dimostrato. 84. #. Se (AD) è finito rispetto ad un' unità (A AI), (2) A) è finito rispetto al- l'unità (AAj) (def. II, 82; e e b, d, 81). a'. Se un segmento (AB) è infinito (o infinitesimo) rispetto ad un segmento (OD), il segmento (BA) è infinito (infinitesimo) rispetto a (DC). Difatti (BA) non può essere finito rispetto a (DC), perché (AB) sarebbe finito rispetto a (CD) (a; f, 82); né (BA) può essere nel primo caso infinitesimo rispetto a (DC) perché scelto in (DC) un segmento (DDr) identico a (BA), (D'D) sarebbe contenuto in (CD) ( ', 69; e, 68; def. I, 61) e perciò (CD) sarebbe mag- giore di (D'D) cioè di (AB) (def. I, 61 e a, 69; def. II, 61) contro l'ipotesi. Dun- que (BA) deve essere infinito rispetto a (DC) (/*, 82). Se invece (AB) è infinite- simo rispetto a (CD), (BA) non può essere né finito, né infinito rispetto a (DC) (a e dim. preced.), dunque deve essere infinitesimo (/", 82). b. Dato un segmento (AA( )) rispetto all'unità (AA^), e costituita in esso la scala di origine A e di unità (AA\), e la scala di origine A( ) e di unità si ha sempre: essendo n un numero qualunque della serie dei numeri naturali e corrispon- dente agli elementi estremi dei multipli delle unità date secondo il numero n. 2) Se X' è un elemento del campo della scala di origine A{00 compreso fra gli elementi An-\(y ] An ), e se (AX) = (X'A^), ^elemento X è compreso fra gli elementi A^-i, An della scala di origine A. I) Intanto si ha che (A ) A) è infinito rispetto ad (At A) (a) e quindi anche ri- spetto ad (A A^00)) (def. II, 82). Dalla relazione (AO Aì(^) = (Al A) (1) si ha W A( ) = (AAJ (l')(a, 69). La esistenza del segmento (ALC*) A )) risulta dalla definizione stessa del sistema omogeneo (def. 1, 68; a, 82). Costruiamo la scala di origine A eoll'u- nità (AAj) nel verso (AA*00*), e la scala di origine A(M) nel verso opposto col- l' unità (A( ) A,) ( ', 69) cioè: A A^ A2 ..... An^1 ..... essendo (A(^Al(^) = (Al(MìA2(^)~.t..^(An.l(^An^)~ ..... e analogamente (AAJ = (A,A2) = .... = (A^A^) = . . . . (2) dico che si ha : (A( )A2(00)) = (A2A) (3) Difatti la (3) si può scrivere anche così: (A( -U^)) + (AjC-JV ) = (AgAJ + (A^) (def. I, 72) (3') Ma per le relazioni (1), (!'), (2) si ha: (^A,) = (A,A) = (A( )A1(-)) = (^(-U2 -)) (e, 60) e valendo dunque la (3') vale anche la (3) (e, 68).

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91 Dalla (3) si ha poi i (AAj = (AJ*)A(**) (a, 69) (3") Se la relazione (3) è vera per n 1, cioè (A( An-i ) = (^ -i^) (4) è vera anche per n, cioè (A An);EE(AnA) (5) Difatti si ha: (AAn-^EECA^n) (d, 79) (6) e quindi (An-iA^UnA^ (a, 69) (6) e perciò la (4) ci da mediante la (6') (A^An^) = (AnAl) (e, 60) (4) Ora la (5) si può scrivere così: (A^Aw-il*)) + (A^it" A ) ~ (AnAJ + (A^) (def. I 72) e siccome (An.l(^An(^^iA(^Al^) = (AlA) ((1) e (2) e e, 60) per la (4') la (5) è dimostrata (e, 68). La (5) poi ci da: (AnC A( )) = (AAn) ( , 69) (5') 2) Si ha infatti da (5') (A. . . .An~iAn) = (An e per dato è 00)A(^) (def. I, 61) e perciò (AX) (AAn) ((5') e def. II, 61) (8) Dunque X è compreso nel segmento ( A An ) (e', 68; , 36 e def. I 61). Ma si ha: (AA -,) = (An-i aoU "')) ((4'), a, 69 e (6)) e siccome per dato è (AA^X^AO) (def. II, 61) ossia (AAn-i) (AX) ((7) e def. II, 61) dunque X è situato nel segmento (A^-i An), come volevasi dimostrare. e. Non può essere che un elemento dato X' del campo della scala di ori- gine A(0 ) di b' qualunque esso sìa, appartenga al campo della scala di origine A. Difatti essendo (A^)X') finito rispetto all'unità (A ") A^00)) ossia (Al A), (X' A( ) è finito rispetto all'unità (AA^ (a e (1)). Ma lo sarebbe pure (AJT) se X' appartenesse al campo della scala di origine A, e quindi il segmento (AX1) -f (XrA(Mì) = (AA(^) sarebbe finito rispetto all'unità (AAt) (t, 82) contro l'ipo- tesi del teorema.

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92 85. Oss. I. Il teorema precedente dimostra che senza venir meno alla definizione del sistema semplicemente omogeneo (def. I, 68) e ali' ipotesi sull'esistenza dei seg- menti infiniti (ip. ITI, 82), il segmento (AA( )) può non contenere alcun altro elemento fuori dei campi delle due scale di origine A e A( ) che abbiamo testé considerate. Ora, in base a principi possibili noi dobbiamo costruire o porre la forma fondamen- tale od ogni sua parte a partire da una data unità, altrimenti non possiamo deter- minare tutte le sue proprietà o per meglio dire resterebbe indeterminato il passag- gio da un'unità data ad un segmento infinito, di cui l'ipotesi III ci da solo resistenza. Anche ammesso che nel segmento (AA( ) vi siano elementi della forma fonda- mentale fuori dei campi delle due scale costruite nel teor, b non basta; perché po- sono esistere in (AA( )) altri segmenti infiniti rispetto ad (AAJ e infinitesimi ri- spetto ad (AA( )). Né ammesso questo principio deriva in quali relazioni stiano fra loro. Siamo dunque condotti a questa ipotesi : Ip. IV. Nel campo all'infinito rispetto ad un'unità (AAi) qua- lunque, scelto un elemento arbitrario A , nel segmento (AAf*1) 1 : esiste un elemento X tale che (AX) e (XA )) sono pure infiniti ri- spetto ad (AA,); 2 : esiste un elemento A'00) tale che qualunque sia X il segmento (AX) è finito rispetto ad (AA ). a. L'ipotesi IV non deriva dalle precedenti proprietà della forma fonda- mentale, e non contraddice ad esse. Dato X vi sono due possibilità non contraddienti alle ipotesi 'che pre- cedono, e cioè che (AA( * ) sia finito o infinito rispetto ad (AX), come ad es. nella serie NN* della dimostrazione del teor. b, 82, un segmento limitato cogli estremi A e A' rispettivamente in N e N* è infinito rispetto ad un segmento (AB) cogli estremi in N* mentre un altro segmento (CD) di N è finito rispetto ad (AB). Nella seconda parte dell1 ipotesi si suppone dunque che vi sia un elemento A^00* tale che per ogni elemento X che soddisfa alla prima condizione, (AX) sia finito rispetto ad (AA*00)). Che per un elemento X ciò possa essere non v'è dubbio, basta prendere (AA 0 = (AX) 2. Per ogni altro elemento Xl compreso fraX e A( ), se (AA( ) fosse infinito rispetto ad (AX3) lo sarebbe a maggior ragione rispetto ad (AX) (def II, 82), né può essere infinitesimo essendo maggiore di AX^ (def. I, 61 e def. li, 82), dunque deve essere finito rispetto ad (AXL) (f, 82). Per ogni elemento X2 compreso fra A e X, che non è situato nei campi delle scale di unità (AA,) o (AjA) di origine A e X nel segmento (AX), resta l'arbitrarietà che (AX2) sia finito o infinitesimo rispetto ad (AX) (def. II, 82). L'ipotesi sceglie il primo caso, e cioè che (AX2) sia finito rispetto ad (AX), e quindi anche rispetto ad (AA*00*) (g, 82). Le serie N corrispondenti agli elementi X, compresi nel segmento (A Al80)) (vedi dim. del teor. b, 82), formano un segmento di gruppi N identici i cui segmenti formati coi nuovi elementi ad es. (2Va N), (Na Nac )) sono finiti l'uno rispetto all'altro *). Def. I. Questa ipotesi la chiameremo anche prima ipotesi di costruzione o di determinazione dei segmenti infiniti della forma fondamentale. Oss. IL Questa ipotesi include necessariamente in sé l'ipotesi III sull'esistenza dei segmenti infiniti data che sia la def. II, 82. i) Una rappresentazione di questa ipotesi si ha ad es. : quando si suppone che ogni punto di un segmento rettilineo intuitivo rappresenti uua serie N di punti.

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93 b. Il segmento (XA( )) è pure finito rispetto ad (AA**)). Difatti non può essere infinito rispetto ad (A 4^)) perché è contenuto in (AA 0 (def. II, 82 e def. 1, 61). Quindi se non è finito deve esser infinitesimo rispetto ad (AA( ) (f, 82) essendo infinito rispetto ad (AA,) (ip. IV). Dunque (X A^00)) deve essere anche infinitesimo rispetto ad (AX), che è finito rispetto ad (AAf00* (ip. IV; e?, 82). Consideriamo in (AX) un segmento (AX') = (XAC")) (def. I, 68). Il segmento (A X) è infinito rispetto all'unità, (A*00^00)) == (A,A) ( ', 84), dunque anche (A^X1) rispetto ad (A^JA^00)), perché (A( X) è per ipo- tesi parte del segmento (A^X?) (def. I, 61, e def. II, 82). Per conseguenza (XM( ) è infinito rispetto ad (AAJ (a'9 84); ma (AX*) è pure infinito rispetto ad (AAt) perché lo è (XAf ) ad esso uguale, e perciò l'elemento X' non può appartenere al campo della scala di origine A e di unità (AAT). Ma per l'ipo- tesi IV (AX), e quindi anche (XA ), deve essere finito rispetto ad (AA )) (def. II, 82) ne consegue dunque che è assurdo ammettere che (XA )) = (AX*) sia in- finitesimo rispetto ad (AAf00)), dunque b (/", 82). e. I segmenti (AX) e (XA^) della seconda parte dell'ip. IV soddisfano alla stessa proprietà dell'ipotesi IV. Difatti essendo X un elemento ali'infinito rispetto all'unità (AAT) vi deve essere in (AX) un elemento X1 tale che (A3?) e (X'X) sono infiniti e (AX') e (X'Af*)) devono essere finiti rispetto ad (AA*00)) (ip. IV, ); (AX*) è dunque finito rispetto ad (AX) (g, 82). Con un ragionamento identico a quello della dimostrazione del teor. b si prova che (X'X) deve essere finito rispetto ad (AX). Ciò vale altresì pel segmento (XA( ). Difatti è infinito rispetto ad (AAT) (ip. IV) e vi deve essere in esso un elemento X" tale che (XX") (X"Af00)) sono infiniti rispetto ad (AAT) (ip. IV, 1 ). I segmenti (AX") e (X"A )) sono finiti ri- spetto ad (AA *)) (ip. IV, 2 e ), e quindi anche rispetto ad (XA ; (g, 82). Si immagini ora dato un segmento (AY) = (XX"); essendo (XX') infinito rispetto ad (AA^) lo sarà pure (AY) (def. II, 61; def. II, 82). Ma l'elemento X" deve essere compreso fra Ye A( , essendo (XX") (AX") (def. I, II, 61), e perciò (YA( )) (X"Af00)) (def* I, 61) è infinito rispetto ad (AA{). Dunque (AY) sarà finito rispetto ad (AA )) e a(X"A( ) (ip. IV e g. 82), e quindi anche (XX"). d. Ogni segmento (AA/* ) di (AA( ) coli'elemento A^00) nel campo della scala di origine A( e di unità (ATA) è finito rispetto ad(AA(("])9 e l'elemento A/*) soddisfa come A all'ipòtesi IV. Difatti (AAJ**) è infinito rispetto ad (AAX) (e, ,84). Il segmento (AA/00)) non può essere infinito rispetto ad (AA ) che lo contiene (def. II, 82 e def. I, 61), né può essere infinitesimo perché (AX) che è parte di (AA^ *)) (def. II, 27 e def. I, 62) è finito rispetto ad (AA ")) (ip. IV, def. II, 82) dunque (AA/00)) è finito rispetto ad (AA'**) (f, 82). Ora per ogni elemento X tale che (AX) e (XA/00)) sono infiniti (ip. IV) si ha anche che (AX) e (XA f00)) sono infiniti (def. II, ed e, 82); e che (AX) e (XA )) sono finiti rispetto ad (AA )) (ip. IV, 2 e b) e perciò anche rispetto ad (AA^00)) (g, 82). Dunque (XA^00)) essendo infinito rispetto ad (AA1) è finito rispetto ad (AAj***) (b). Il teorema è perciò dimostrato.

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94 e. Ogni segmento (AAI C*))XAA W) e che soddisfa alla condizione dove n è un numero dato qualunque della serie (/), soddisfa alla proprietà dell'ipotesi IV. (AAjt00)) è finito rispetto ad (AA( ) .( ', 81 e def. II, 82), e (AA^) è finito rispetto ad (AAt (*)) (h , 82). Dato un elemento qualunque X tale che (AX) e (XA * ) siano infiniti essendo (AZ) e (ZA *)) finiti rispetto ad (AAt00)) (ip. IV, ), lo sono anche rispetto ad (AA^) (g, 82). E poiché (AWAJ**) è al più finito rispetto al segmento (AA^ )), altrimenti (AAj (*)) sarebbe in- finito rispetto ad (AAW) (i, 82), se l'elemento X è contenuto in (A A/00)) il segmento (A X) è al più finito rispetto al segmento (A( AI (" ) (def. II, 82), e quindi anche rispetto al segmento (AA*00)), perché se fosse infinito lo sarebbe anche rispetto al primo (d'9 82). Dunque (AX) è anche in tal caso fi- nito rispetto ad (AAj (*)) e perciò anche (ZA! ( 0. se (XAfifi infinito ri- spetto ad (AAj) ( ,); ed il teorema è pienamente dimostrato. f. Tutti i segmenti infiniti rispetto all'unità (AAj) che soddisfano airip. IV sono fra loro finiti. Siano (AA^)), (AA2(^) due di questi segmenti, e sia (AA2 ) (AA.C**). Se non sono finiti significa che A2( ) non appartiene al campo della scala di unità (AA^00)) fip. Ili e def. II, 82), e perciò (AA/00)) sarebbe infinitesimo rispetto ad(AA2( )) (def. II, 82). Ma in tal caso A2 non soddisferebbe all'ultima pro- prietà dell'ip. IV, dunque (AA2( )) deve essere finito .rispetto ad (AA/00)). La proprietà vale anche per segmenti che non hanno lo stesso estremo A, per- ché si possono considerare segmenti uguali ai dati e dello stesso verso coli' e- stremo A (def. I, 68). Il teorema è dimostrato. g. Un segmento finito è nullo rispetto ad un segmento infinito. Sia dapprima (AA t00*) il segmento infinito e (AD) il segmento finito ap- partenente alla medesima scala e col primo estremo nell'origine della scala. Si vuoi dimostrare che (A A (")) rispetto al segmento (DA ( ). Il segmento (DA( ) contiene il campo della scala di unità (AD) e di origine D (I, 82), per il quale vale la stessa proprietà (/", 81). Unire ad un segmento a-f limitato o non un segmento limitato o illi- mitato e, e se a è nullo rispetto a b (def. II, 81), è lo stesso che unire e a 6, ossia in a+(b+c) a è nullo rispetto a (5-fc), dunque (AD) è nullo rispetto a(DA )- Si consideri ora in (AA ) un segmento (A ) A^00)) uguale ad (AjA), essendo (AAT) l'unità, e sia: (A D )EE(DA (tf, 69) e quindi D ") A )EE(AD) (a, 69). Il segmento (DA) è finito rispetto ad (ATA) (a, 84), e quindi anche rispetto al segmento (A*00) A^ 0 (def. H, 82). E pel caso precedendo, siccome (A**) A) è infinito rispetto ad (AjA) ossia ad (A( A/00)) (a, 84), si ha: A)

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95 ossia (A*00) Df-O+CflO ) A)EE(D A) oppure anche (ADW) + ( ~)AW) = (AD( ) ( , 69) Vale adire unitx) ad UQ segmento infinito (AZM ) un segmento finito (JD(00) A'00)) il segmento finito è trascurabile rispetto al segmento infinito. Così se togliamo il segmento (IX00) A } da (AA )) infinito rispetto al- l'unità (AAj), la parte rimanente (AD*00)) è uguale al segmento stesso. Anche qui osserviamo che l'uguaglianza ha luogo in senso relativo e non in senso assoluto (oss. IV, 60). Finalmente consideriamo il caso in cui nessuno degli estremi del segmento finito (XY) coincida con un estremo di (AA( ) e in modo che né (AY) né (ZA( ) siano finiti rispetto ad AAV che altrimenti si avrebbe uno o l'altro dei casi precedenti (/i, 82). Dunque (AY) e (XAf J) sono infiniti rispetto ad ). Ma pel secondo caso si ha: e quindi (AA( ) == (AX) + (XY) 4- = [(AX) + (Xjyi + (YA *)) (d, 77) essendo . Oss. III. Osserviamo che non abbiamo fatto uso in questa dimostrazione della seconda parte deirip. IV, e che quindi (AA( )) è un segmento infinito qualunque dato. Def. IL Dire che i segmenti (A A * ), (A' AC0 ) sono uguali rispetto ali9 unità significa che essi sono uguali rispetto alla corrispondenza d'identità fra le parti finite nel campo della scala di questa unità (oss. IV, 60). /. Se ad un segmento (A A) finito si aggiunge un segmento infinito (A'A( ) dello stesso verso si ha lo stesso segmento infinito rispetto all'unità a partire dall'uno o dall'altro estremo A e A' (g e def. II). g". Se viene aggiunto o sottratto ad un segmento infinito (AAC*)) un seg- mento finito (A^AJ1*)) dello stesso verso f il segmento infinito rimane lo stesso rispetto all'unità (AAT) o ad un segmento qualunque finito dato. Cioè (AA(^) = (AAl(00)) Ciò risulta dalla dimostrazione del secondo caso del teor. g (def. II). Che valga poi per ogni segmento finito dato deriva dal fatto che i campi della scala aventi per unità segmenti fra loro finiti sono uguali (def. II, 82, b, 81 e def. II). Oss. IV. Ho detto che i segmenti (AA**)), (A( J A') vanno considerati nel me- desimo verso, perché per il concetto di scala fin qui stabilito ed esteso colle ip. Ili e IV i segmenti vanno considerati nel medesimo verso, i) L'idealista di DU Bois-Reymond (i. e. pag. 73-74} ammette la proprietà g come postulato. Ma evidentemente essa deve essere dimostrata dalla generazione stessa della grandezza lineare, perché nulla in senso assoluto è trascurabile, per non cadere nella contraddizione notata più volte A è e non è A. Egli l'enuncia in questo modo Due grandenze finite la cui differenza è infinitesima sono uguali . Cosi introduce gli infinitesimi senz' altra definizione. Su ciò ritorneremo in seguito (Vedi la nota n. 93 e U nota n. 96),

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96 h. La differenza dì un segmento finito da un altro pure finito se non è nulla è finita rispetto all'unità. Se la differenza (def. I, 74) fosse infinitesima, sarebbe nulla rispetto al- l'unità (g). Non può essere infinita, perché scelto nel maggiore a un segmento a' uguale al minore, a dovrebbe essere infinito rispetto ad a1 (def. II, 82), e quindi deve essere finita (f, 82). Oss. V. Distingueremo dunque fin d'ora i segmenti limitati identici in senso assoluto da quelli uguali rispetto ad un' unità di misura. Il confondere un' identità coli' altra conduce a contraddizioni. i. Due segmenti infiniti limitati sono uguali rispetto ad un segmento finito dato qualunque. Difatti siano a e b i due segmenti dati, se sono uguali in senso assoluto a maggior ragione sono uguali in senso relativo (9). Sia dunqne a b (lo stesso sarebbe se fosse ) e e un segmento finito. Colla costruzione della scala di unità e non possiamo confrontare a e b perché non sono nel campo della scala stessa, né sono questo campo essendo limitati (def. Ili, 80 e I, 82) e quindi rispetto alla sola unità possiamo dire soltanto che sono infiniti, che corrispondono cioè allo stesso concetto, e quindi sono uguali (def. VI, 8). D'altra parte si ha che aggiungendo ad uno di esso, per es. 6, successi- vamente parti consecutive uguali a e nel verso della scala, queste sono sem- pre nulle rispetto all'unità e (#"), e quindi i segmenti risultanti rispetto a e sono ancora uguali. E anche se si considera più volte il nulla, in base a qual- siasi principio possibile, si ha sempre per risultato il nulla perché dal nulla, cioè dall' assenza di ogni elemento, anche ripetuto più volte, non nasce alcun elemento, sempre s'intende in senso relativo all'unità. Siccome poi i segmenti infiniti rispetto a e sono infiniti rispetto ad ogni altro segmento finito (a1, 82) il teorema è dimostrato. i. Gli elementi all'infinito coincidono in un solo elemento rispetto ad un segmento qualunque finito come unità. J). Def. III. L'elemento che rappresenta tutti gli elementi all'infinito rispetto ad un'unità data nel verso della sua scala a partire da una data origine lo chiameremo elemento limite all'infinito. $' Rispetto all'unità si può sostituire al campo della scala a partire dal- l'origine A il segmento (AA )), essendo A*00) il suo elemento limite all'infinito. Difatti tutti gli altri elementi X dati oltre A( * in (AA * ) sono rispetto all'unità data nel campo della scala, che come sappiamo è illimitato verso A . Il segmento (XA^*)) col crescere di (AX) diminuisce in senso assoluto e tende a diventare finito e quindi nullo rispetto ali' unità (g). E perciò possiamo scrivere anche in questo caso lim. (AX)=(AAW), come è lim. (AX)=C (def. VI, 83), perché (AA( ) e C si comportano ugualmente rispetto al segmento va- ii Non ammettendo l'ipotesi Hi, naturalmente gli elementi ali1 infinito e quindi i segmenti infi- niti non esisterebbero. Ma ammessa quella ipotesi, il campo della scala di un* unità qualunque (AA'}, ad es. di origine A, determina da solo il campo ali1 infinito cui tende il campo finito della scala. Vale adire gli elementi al l'infinito esistono anche rispetto alP unità (AAr) e ali1 origine A. Rimanendo dunque nel campo di una sola unità possiamo considerare gli elementi ali1 infinito nel verso dato come esistenti, e quindi rispetto ad essa coincidenti (i1)

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97 riabile finito (AX), e non considerando fra C e (AAW) alcun'altra differenza si ha C=(AA ) (e, 60, oss. I, 9 e def. VII, 8). 86. Def. I. Tutti i segmenti tìniti con un segmento dato sono finiti fra loro (g, 82). Li chiameremo segmenti della sfessa specie. Def. II. Tutti i segmenti (AAi ) che soddisfano alla seconda parte ìel- l'ipot. IV li chiameremo segmenti infiniti di 1 ordine rispetto ali'unità (AAJ. I segmenti infiniti di 1 ordine rispetto ad un segmento infinito di 1 or- dine li chiameremo segmenti infiniti di 2 ordine. E in generale un segmento infinito di 1 ordine rispetto ad un segmento infinito di (m l)mo ordine lo chiameremo segmento infinito di ordine m rispetto all'unità (AAI). Oss. I. Per ora m è un numero delle serie (I) (def. II, 46). Def. IH. Se un segmento è infinito di ordine m rispetto ad un altro, questo si chiama infinitesimo d'ordine m rispetto al primo. a. ì) I segmenti detta stessa specie di un segmento infinito di dato ordine sono infiniti del medesimo ordine. 2). Segmenti infiniti del medesimo ordine sono fìttila medesima specie. Se si tratta di un segmento infinito di 1 ordine rispetto ad (AA^ la prima parte del teorema è un'espressione diversa dei teoremi e, e?, e del n. 85. Ma gli infiniti di m ordine sono per la stessa definizione infiniti di 1 ordine rispetto a un infinito di ordine m 1, dunque vale per essi il teor , 1) e quindi poiché i segmenti della stessa specie di un segmento infinito di m ordine sono di 1 ordine rispetto ai segmenti infiniti d'ordine m 1, essi sono infiniti di m ordine rispetto all'unità (AAj) (def. II). Per la 2a parte basta osservare che se uno dei segmenti fosse infinito rispetto ad un altro fra essi, esso non potrebbe soddisfare all'ip. IV cogli altri rispetto ad un infinito d'ordine immediatamente inferiore. (Vedi anche /*, 85). b. Un segmento a infinito di dato ordine rispetto ad un segmento dato o è infinito dello stesso ordine rispetto a tutti i segmenti della specie del seg- mentQ b. Se si tratta di un segmento a infinito di 1 ordine, ciò è chiaro per il fatto che il segmento infinito di 1 ordine dipende soltanto dal campo della scala di unità b e non dal segmento stesso (ip. Ili) perché i campi delle scale che hanno per unità due segmenti tìniti sono uguali (def. II, 82; d, b, 81). Ora ciò avviene anche pei segmenti infiniti di ordine m, perché il campo infinito d'ordine m è determinato dal campo finito di unità b mediante le ip. Ili e IV (def. II). b'. Tutti i segmenti della stessa specie di UM segmento b infinitesimo di or- dine dato rispetto ad un segmento a, sono infinitesimi dello stesso ordine. Ciò deriva dal teor. b colla def. 111. e. Se b è un segmento infinitesimo di ordine dato rispetto ad un segmento a, è infinitesimo dello stesso ordine rispetto a tutti i segmenti della specie dì a. Perché tutti questi segmenti sono infiniti dello stesso ordine m rispetto al segmento b (a) e quindi b è infinitesimo dello stesso ordine m rispetto ad essi (def. III). d. I segmenti rispetto ai quali un segmento a è infinito di un ordine dato sono della stessa specie, 7

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98 Difatti se uno di essi e fosse infinito rispetto ad un altro di essi , il segmento a non sarebbe infinito dello stesso ordine rispetto ad essi (def. II, e ip. IV). d'. Segmenti infinitesimi dello stesso ordine rispetto ad un segmento a sono della stessa specie. DifattLa è infinito dello stesso ordine rispetto ai segmenti dati (def. Ili, d) Def. IV. Il campo della scala che ha per unità un segmento infinito (in- finitesimo) d'ordine m rispetto ali1 unità (AA^ lo diremo campo all'infinito (in* finite-nino) d'ordine m rispetto ad (AAJ. Def. V. Il campo della scala di unità (AAj è contenuto in ogni segmento (A AW) di 1 ordine (Z, 82), e quindi lo chiameremo pure infinito di 1 ordine. Così il campo della scala ali'infinito d'ordine m è contenuto in ogni segmento in- finito d'ordine m-f 1, e lo chiameremo campo infinito d'ordine m~\-1 ; e quando parleremo d'ora innanzi di segmenti infiniti, se non diremo il contrario, inten- deremo sempre segmenti limitati, come del resto si è già stabilito per gli altri sementi (def. IV, 62). Def. VI. Il campo finito che ha per unità un segmento infinito (infinitesimo) d'ordine m (def. V, 83) lo chiameremo campo infinito (infinitesimo) d'ordine m. Il campo finito rispetto all'unità primitiva (AAJ lo chiameremo anche campo infinito d'ordine zero. Oss. II Anche qui è da osservare, come pel campo finito rispetto ad un'unità (oss. I, 83) che mentre il campo all'infinito d'ordine m è un ente dato che rimane costante nelle nostre considerazioni, il campo infinito d'ordine m è variabile ed è rappresentato da un segmento infinito d'ordine m che diventa più grande di ogni segmento infinito dato dello stesso ordine, e che cresce indefinitamente nel campo all'infinito d'ordine m. Lo diremo indefinitamente grande d'ordine w-f-1, senza confonderlo coli'infinitamente grande d'ordine w + 1. e. Il campo infinito o infinitesimo di un dato ordine rispetto ad un seg- mento a è infinito o infinitesimo dello stesso ordine rispetto ad ogni segmento della, stessa specie di a (6, e e def. VI). Def. VII. Per distinguere l'elemento limite all'infinito rispetto ad un segmento infinito di 1 ordine come unità, da quello rispetto all'unità primi- tiva (AAj) (def. Ili, 85) chiameremo il secondo, elemento limite all'infinito di 1 ordine; e il primo, elemento limite all'infinito di 2 ordine. E in generale chiameremo l'elemento limite rispetto ad un segmento in- finito di (m l)wo ordine come unità, elemento limite all'infinito di m ordine rispetto all'unità primitiva. f. L'elemento limite di m ordine rappresenta tutto il campo ali' infinito di m ordine rispetto ad un segmento infinito d'or dine (m 1) come unità (i, , 85). Oss. III. Questa distinzione degli elementi limiti rispetto ali' unità primitiva non significa altro che essi si riferiscono successivamente a segmenti infiniti di ordine diverso considerati come unità, poiché sappiamo già che limitandoci alla sola unità (A AI) abbiamo un solo elemento limite (i' 85). Così è spiegata l'apparente contraddi- zione che mentre al n. 85 abbiamo detto che rispetto all'unità (AAJ vi è un solo elemento limite, qui invece ne abbiamo altri. Così quando diciamo campi infiniti d'ordine dato rispetto ali' unità (AA^ non intendiamo già che questi campi siano distinti rispetto alla sola unità (Ad.!,), perché

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99 cadremmo evidentemente in contraddizione (A è e non è -4), ma intendiamo che sono distinti rispetto al principio deli'ip. IV applicato più volte. Possiamo anzi dire: Rispetto all'unità (AA\) non esistendo che un solo elemento limite, per essa sola non esistono i campi infiniti di 2 , 3 ....n ... ordine, che si riferiscono ad altre unità ottenute coll'ip. IV. Oss. IV. Quando dunque parleremo del campo all'infinito rispetto ad un'unità soltanto, dovremo intendere quello di 1 ordine in senso assoluto. 2. 'Sumeri infiniti e infinitesimi di diversi ordini, loro proprietà e simboli. 87. Oss. I. Come ogni elemento di divisione della scala a partire dairorigine rap- presenta un numero della serie (I) 1,2 .... n (o, 6' e ind. 1,80), così il segno ooche serve ad indicare il posto di un elemento nel campo all'infinito (ind. I, 82) rappresenta un nuovo numero dato dall'insieme delle unità corrispondenti ai secondi estremi dei segmenti 1, 2, .,.. n .... oo (def. 1,11,45). Le proprietà e relazioni dei numeri definiti in questo modo sono date da quelle dei segmenti che li rappresentano, le quali a loro volta esprimono le proprietà e le relazioni dei segmenti che questi numeri servono a determinare come vedremo in seguito. Def. I. Questo nuovo numero lo chiamiamo infinito per distinguerlo dai numeri che rappresentano o possono rappresentare gli elementi del campo della scala, e che si chiamano finiti. Per distinguere poi fin d'ora i numeri di (/) dagli altri numeri possibili finiti li chiameremo numeri interi e finiti. Oss. II. Per indicare che un numero è infinito soltanto, adopereremo come ab- biam fatto il segno oo ; se si tratterà poi di distinguere questi numeri fra di loro come gli elementi che rappresentano, accompagneremo, come si vedrà, il segno oo con altri segni speciali. Siccome sono possibili altri numeri infiniti (vedi ad es. 3), finché non diremo diversamente intènderemo i nostri numeri infiniti, che sono sempre rappresentati da segmenti limitati da due estremi, e quindi i nostri teoremi sono dati per questi nu- meri soltanto. Dall'oss. I si ha intanto: a. Un numero infinito è maggiore di qualunque numero finito (e, e de- tìn. II, 82). b. Fra un numero finito e uno dei nostri numeri infiniti vi sono in senso assoluto altri numeri infiniti (a, 82). e. Dato un numero qualunque infinito determinato, fra esso e i numeri fi- niti vi è un altro numero infinito tale che il numero che va ad esso sommato per ottenere il dato è pure un numero infinito. E inoltre esiste sempre un nu- mero infinito tale che tutti gli altri numeri infiniti compresi fra esso e lo zero sono finiti rispetto al numero dato come unità (oss. II). In altre parole se il primo numero dell1 ultima parte del teorema è /3, e y il secondo, e si ha:

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100 vi è sempre un numero n tale che Tn ]3 (ip. IV e , 85). d. Un numero finito è nullo rispetto ad un numero infinito, non però in senso assoluto (def. I e oss. II; #, 85). d1. Se ad un numero a finito si somma un numero infinito jS si ha lo stesso numero j3 rispetto alla imita data ( /, 85). Cioè d". Se si somma (o si sottrae} un numero finito a ad un numero infinito jS (o da un numero infinito^ il numero risultante è jS rispetto ali' unità data (g" , 85). Vale a dire Oss III L'operazione del sommare s'intende qui nel senso primitivo (def. 1, 72) non già nel senso della def. 1, 77. Non possiamo nemmeno qui parlare di togliere da un nu- mero finito un numero infinito, poiché non abbiamo ancora spiegato il senso di sot- trarre un numero maggiore da un numero minore, come invece lo abbiamo fatto pei segmenti (def. II, 77), il che faremo più tardi. (Vedi n. 113 e 114). e. La differenza di due numeri finiti è un numero finito *se non è nulla rispetto all'unità. In senso assoluto può essere infinitesima (oss. I, def. I, oss. II ; h, 85). f. Due numeri infiniti sono uguali rispetto ad un numero finito (i, 85). Def. II. Il numero oo si chiama numero infinito limile rispetto all'unità 1 (def. Ili, 85). f. Se oc è un numero finito sempre crescente si ha rispetto all'unità. lim#= = oo (f'9 85). se S rappresenta il numero corrispondente a tutta la serie dei numeri naturali (def. II, 46 e def. II, 45). 88. Def. I. I numeri finiti fra loro si chiamano numeri della stessa specie (oss. I, def. I, oss. II, 87 e def. I, 86). Def. IL I numeri corrispondenti ai segmenti infiniti di un dato ordine m si chiamano numeri infiniti di ordine m rispetto ali' unità numerica primitiva (oss. I, def. I, oss. II, 87 e def. II, 86). Def. III. Se un numero è infinito d'ordine m rispetto ad un altro nu- mero, questo si chiama infinitesimo d'ordine m rispetto al primo (def. Ili, 86). a. 1) Numeri della stessa specie di un numero infinito di dato ordine sono infiniti del medesimo ordine. 2) Numeri infiniti dello stesso ordine sono della stessa specie (oss. I, def. I, oss. II, 87 e , 86). b. Un numero a infinito di un dato ordine rispetto ad un numero b è infi- nito dello stesso ordine rispetto a tutti i numeri della specie di b (oss. I, def. I, oss. II, 87 e b, 86). b'. Tutti i numeri della stessa specie di un numero b infinitesimo di ordine dato rispetto ad un numero a, sono infinitesimi dello stesso ordine (b', 86). e. Se b è un numero infinitesimo di ordine dato rispetto ad un numero dato a, è infinitesimo dello stesso ordine rispetto a tutti i numeri della stessa specie di a (oss. I, def. I, oss. II, 87 e e, 86).

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101 d. 1 numeri rispetto ai quali un numero a è infinito di un dato ordine sono detta stessa specie (oss. I, def. I, oss. II, 87 e d, 86). Oss. I. Abbiamo anche pel numeri da distinguere i campi delle scale dei nu- meri infiniti dal campo della scala dell'unità primitiva (def. IV, V, VI e oss. II, 86). e. Il campo infinito o infinitesimo di dato ordine rispetto ad un numero a è infinito o infinitesimo rispetto a tutti i numeri della specie di a (oss. I, def. I, oss. II, 87 e e, 86). f. Un gruppo illimitato di la specie è infinito. Difatti esso si può far corrispondere univocamente e nello stesso ordine alla serie dei segmenti consecutivi di una scala (def. I, 80), il cui campo è pure infinito (def. IV, 82 e 6, 43). 89. Ind. L Per distinguere gli elementi dei campi ali' infinito di ordine di- verso useremo segni diversi. Indicheremo col simbolo comune oo1 o anche oo quelli all'infinito di Por- dine. Dato uno di questi elementi A i); gli elementi che si ottengono unendo o togliendo a cominciare da A( i) l'unità primitiva (AAJ li indicheremo coi simboli oo, -f 1, oo, -f 2 .... oo! -f n .... oo, 1, oo, 2 .... ooj n .... Prendendo come unità (AA i)) e costruendo la scala di origine A, indi- cheremo gli elementi di divisione coi segni: ooj . 2, ooj . 3 .... oo1 . ^ n2. Def. L Diremo che (AA( i)) contiene oo, volte l'unità (AAJ. a. n^ -t- oot n% = ool . n2 ib n^ = ooj . n2 rispetto al numero oo come unità, ove n^ e n2 sono numeri della serie (I) (d, 87). Ind. IL Gli elementi invece del campo all'infinito di 2 ordine li indi- cheremo col simbolo oo2, indicando con oo,2 il prodotto oo^ . oo1 che è rappre- sentato dal secondo estremo del segmento (AA^tì), il quale contiene ao1 volte il segmento (AA t)) (def. I). Avremo i numeri : ooj2 ib 1, ooj2 rb 2 .... ooj2 ib n .... oo^ -f- oo13 oo^ ooj dr 1 .... ooj2 db ooj n} ib n2 ..., ooj2 . 2, .... ooj2 . 3, .... oo^ n^ rb ooj n2 dt %, .... ove nv n2, n% sono numeri della serie (/). b. mx -}- ooj m2 -f- oo,2 m^ = ao^ m% itr oo, n% it n-^ = oo^2 m% rispetto al numero oo^ come imita ; ove wv1? m2, w/3, wlf u2 sono numeri della serie (I) (d, SI). Ind. HI. In generale indicheremo gli elementi del campo all'infinito di ordine m (def. IV, 86) col simbolo oow, e ponendo oo^^.oojzzzooj , avremo in questo campo gli elementi indicati dai numeri: j nì rb n oo, ove n, 1? w2, ....,,nm sono numeri della serie (I) e n^ n2, ...., nm possono es- sere zero. e. Si ha : 2 -f- ..... -I- QOjW-i W

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102 rispetto al numero oo,m come imita; dove m^ w2, *.,., mn, nl9 n21 ..è., mm numeri della serie (1) (d, 87). 055. /. Il numero infinito limite rispetto ai numeri infiniti di (m l)wo or- dine, ossia il numero infinito limite di m ordine (def. li, 87) è rappresen- tato dal simbolo oo * il quale rispetto a un numero infinito d'ordine (m 1) rappresenta tutti i numeri infiniti d'ordine m (def. II, 87 e /*, 86). 3 '). Numeri transfiniti di Cantor Perché non possono applicarsi al confronto dei segmenti limitati della forma fondamentale. 90. Ip. I. Esiste un sistema 2 ad una dimensione nel quale vi è sempre un segmento identico ad un segmento qualunque (AB) in un dato verso, il cui primo estremo è un elemento X qualunque del sistema 2. Oss. I. Non risulta da questa ipotesi che vi sia sempre un altro segmento uguale ad (AB) nel verso del sistema 2 il cui secondo estremo sia X, come ammette la ip. II, (def. I, 68). Colla ipotesi precedente possiamo costruire una scala (def. I, 80) e possiamo quindi stabilire la seguente ipotesi ; Ip. IL II campo di una scala nel sistema 2 (def. Ili, 80) determina un primo elemento fuori di esso nel Terso della scala* Oss. II. Per dimostrare la possibilità di questa ipotesi, in luogo delle due scale complete N e N' della dimostrazione del teor. 6, 82 senza cioè un primo segmento uguale alP unità primitiva, basta considerare invece che le due scale N e N' siano limitate dalle loro origini, e che r origine di N' sìa pienamente determinata da JV, e sia il solo primo elemento che segue quelli di N. Il segmento (AA^) essendo A l'origine fondamentale e A^ l'elemento dell'ipo- tesi rappresenta appunto il campo della scala data. Oss. III. Il segno co che indica questo nuovo elemento si chiama pure numero, e come ogni numero n è il numero degli elementi di divisione AlA i....An della scala (def. II, 80), così w è il numero di tutti gli elementi del gruppo A^.... An .... A^ (def. I, II, 45). a. Il numero eo è maggiore di tutti i numeri interi finiti, ed ogni numero intero minore di w è finito. Perché il gruppo Alm... A^ contiene tutti i gruppi naturali limitati dai quali derivano i numeri naturali (def. II, 46), e perché un gruppo naturale non può corrispondere univocamente e nel medesimo ordine al gruppo Aì.... A che non è naturale (e", 43; def. 35 e oss. 28). La seconda parte deriva dall'ip. II stessa. Def. IL II numero co si chiama infinito o transfinito di Cantor. 2). 1) Segniamo questo paragrafo con un asterisco perché dei numeri di G. Cantor non facciamo alcun uso nei fondamenti della geometria, né altrove in questa introduzione salvo il confronto coi nostri numeri infiniti, quindi noi abbandoneremo Tip. li; la ip. I è già contenuta nella ip. II, 71. 2) Vedi ad es. Acta Mathematica Voi. 2 pag. 381 e seg. Grundlagen einer allg. Mannigfaltigkeits- lehre, zeits. f. Ph. v. Pichte 1. e., ecc. Cantor definisce però il suo nnmero tì come Segno che rappresenta tutta la serie (I) nella sua

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103 Oss. IV. La distinzione che vi è tra il nostro numero infinito e il numero w di Cantor è che non vi è nessun primo nostro numero infinito (b. e oss, II, 87), mentre nei numeri infiniti di Cantor co è il primo in senso assoluto; cioè dato uno dei no- stri numeri infiniti determinati, ad es. : 001, vi sono ad es.: i uumeri OOT n distinti da e !, e compresi fra i numeri finiti e il numero o^ (23 . b. Non si può rappresentare in senso assoluto col numero w un elemento all'infinito del sistema omogeneo. Perché scelto un elemento A^ nel segmento (AA^ ) intinito vi sono sem- pre altri elementi all'infinito che non coincidono con ^tó ad es. tutti gli ele- menti della scala d' origine (A^ e di unità (AA}) del teor. 6, 84. e. Rispetto ad un numero finito come unità il numero oo è il numero w. Difatti rispetto ad un numero finito il numero oo rappresenta tutti i nu- meri all'infinito (#, 87), ed è quindi il primo e anche l'ultimo numero infinito. e'. Il numero co si può chiamare il numero di tutti i numeri interi finiti. Difatti si ha indicando questo numero con S S w ( /', 87 e e). Def. IL II numero di un gruppo ordinato ottenuto coir applicazione delle ipotesi precedenti dipende soltanto dalla corrispondenza univoca e del mede- simo ordine fra gli elementi del gruppo e le unità del numero corrispondente (def. II, 45). {Vedi oss. I, 93). d. Si ha: Difatti i gruppi ^1A2....An...., AnAn+i.... (1) si corrispondono univocamente e nel medesimo ordine, essendo illimitati di la specie (e, 46; 6?, 39; 6', 43) e quindi si corrispondono anche nello stesso modo A,A2.... An .-A, A successione naturale (Acta Math. p. 385) oppure come il risultato dell'astrazione dell1 insieme dei nu- meri di essa nel loro ordine considerati come elementi (Zeis. f. Phil. Voi. 91, pag. 84). Aggiungendo altre unità collo stesso principio ottiene i suoi numeri eo-hl, con-2........2 td... eco. B col terzo princìpio di formazione separa i suoi numeri transfiniti in classi. La prima classe è data dai numeri della serie (I). La seconda classe è data da quei numeri infiniti tali che il sistema di numeri che precedono nelle serie dei numeri ottenuti uno qualunque della classe a partire da 1, corrisponde univocamente alla serie (i), o, come dice cantar^ che è della stessa potenza di fi). Dimo- stra che la classe (II) non ha la stessa potenza della fi) ed ha la potenza Immediatamenle superiore. Il sistema dei numeri che precedono un numero della terza classe a partire da i è d'ugual potenza della seconda classe, e cosi via. Ma l'ipotesi da noi qui data è data pure da cantar, laddove dice (Zeits. f. Phil. v. Pichte, 91 fase. 1, pag. 97) : Denken wir uns aber statt der endlichen Linien AB in derselben Richtung und mit demselben Anfangspunkte eine act. unendliche Linie AO, die ihren ziehl- punkt O in Unendiichen hat, ecc. ; e poi : Da die gedachte act. unendl. Gerade AO, ihrer Gròsse nach, der von m ir mit to bezeichneten kleinsten transfinite!! Ordnungszahl entspricht, ecc. Gli elementi della serie NN\ essendo N e tf limitate dalle loro origini, come quelli di tutta la se- rie dei numeri transfiniti di Cantor, soddisfano anche essi ai primi otto assiomi del sig. Peano (vedi nota 1, 82) ; per la serie suddetta non vale però il principio della dimostrazione da n a nH-l. Per esclu- dere la possibilità della serie suddetta o della serie dei numeri di Cantor basterebbe aggiungere alle otto proprietà suddette un' altra proprietà, e cioè che se a è un numero qualunque della serie,o 1 è pure un numero diverso da a. Da ciò è chiaro che colle otto proprietà date da Peano, vi sono diverse possibilità : la serie Ntf in cui N e N* sono limitate da un elemento, ed N' è la prima serie dopo 2VT; senza cioè che fra N e tf vi siano altre serie identiche a IV e N1, come pure vi è la possibilità che fra N e s* vi siano invece al- tre serie identiche a N1 ; poi ta nostra che N' non abbia un primo elemento e fratf e N* vi siano altre serie N' assoggettate all'ipotesi IV come in lo....1) vi sono infiniti altri numeri. Scelto uno di questi sistemi naturalmente non sono possibili con esso gli altri. Ma ciò non significa che se uno è possibile, gli altri siano in sé falsi.

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104 rappresentando il numero tà con un grappo illimitato dì là specie avente per primo elemento limite un altro elemento A w, come abbiamo supposto (ip. II). Ai due di gruppi di (1) corrisponde dunque lo stesso numero co (def. II). Ma in senso assoluto il primo si ottiene dal secondo coll'aggiunta degli elementi A^.... An , dunque si ha : n -f- = co. Invece i due gruppi Aj^lg.... An ....,, A2A3.... A} oppure secondo la nostra ipotesi A,A2.... AW, A2A3....AfdAl non possono corrispondersi univocamente e nel medesimo ordine, perché fatto corrispondere ad Aì nel secondo gruppo l'elemento A2, ad A2, A3, e cosi via; ad Al nel secondo gruppo non corrisponde alcun elemento nel primo, e quindi si ha: Oss. V. In senso assoluto i nostri numeri w-f o^ e oo^hw sono distinti dal nu- mero e ! ma sono gli stessi rispetto all'unità 1 (o ad un numero finito come ujaità), come rispetto all'unità corrispondente al gruppo rappresentante il numero QO (d e rf, 87). Oss. VI. Un' operazione eseguita col numero co equivale ad un' operazione ese- guita successivamente con tutti i numeri delia serie (I) nel suo ordine naturale (ind. Ili, 47). e. Non m è un primo segmento infinito di ordine co ; né vi è un campo di segmenti limitati, ad es.: (AA^i10)), di ordine co, se deve esistere un elemento X tale che (AX) e (XA( iw)) siano finiti rispetto ad (AA^i^)\ma si può applicare ripot. IV dì determinazione dei segmenti infiniti nella forma fondamentale un numero infinito della nostra serie. Se fosse (AA( W) ) il primo segmento d'ordine co rispetto all'unità (AAT),ogni segmento (AX) di (AA( *(d ) sarebbe infinito d'ordine finito, perché (AA***0) ) è determinato dalla serie dei campi infiniti d'ordine finito, e quindi ogni ele- mento X determinato di (AAf00^ ) cadrebbe in uno di questi campi, essendo A( w) il primo elemento in senso assoluto all'infinito di ordine co. Ma nel segmento (AA(oottì ) possiamo considerare un segmento (A*0010 ) Aì ( W)) = (A1A) (def. I, 68 e 6, 69) in modo che A^00 * è un elemento distinto da A^ w in senso assoluto; e per la proprietà dell'elemento X, (AA^^Jdeve essere infinito d'ordine finito rispetto all'unità (AAj). Siccome (AA( W ) è contenuto, ad es. nel segmento (AA/00*^). 2 il quale è finito rispetto ad (AA/00*0)) (def. II, i, 82) e quindi è infinito dello stesso ordine rispetto ad (AAj) (def. IV, a, 86), così (AA W) è pure infinito dello stesso ordine, non po- tendo essere né di ordine superiore né inferiore (def. II, 82), contro l'ipotesi. Supposto ora che vi sia un campo di elementi tali che preso uno di essi ad es. A^i10), (AA{ iw)) sia infinito d'ordine , e costruiti i campi infiniti d'or- dine finito intorno a questo elemento i cui elementi saranno espressi dai mi- meri Gol ^ ìmnl- m~ìn2- ....' :nm+i, l'elemento X dovrebbe essere com-

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105 preso fra i campi d* ordine finito e i campi oo^ x f* n^ oo^-1^ .... nm+\, qualunque sia m, e quindi (AX) e (XA^i ) dovrebbero essere di un ordine infinito che non può essere per ipotesi w, né w n essendo w n = , per- ché X non appartiene al suddetto campo intorno ad A^i10); né può essere di un ordine inferiore a o perché sarebbe di ordine finito contro il dato. Il teo- rema è dunque dimostrato nelle sue due prime parti. Per dimostrarlo nella 3a parte si osservi che in un segmento (AA*00'001) ) si può sempre scegliere un elemento X tale che (AX) e (XA(c"lt*1) ) siano finiti rispetto ad (AA( i 1}) per la proprietà stessa del numero oo1? perché il segmento (AA^i*1) ) è infinito di 1 ordine rispetto al segmento (AA*00!001" J ) e i segmenti infiniti di 1 ordine rispetto ad un dato soddisfano ali' ipotesi IV (def. II, 86). Osa. VII. Applicare l'ipotesiIV annumero o^ di volte è l'operazione che si e- seguisce per ottenere da (AA{) l'unità (AAC*1 )). Essa ha dunque un senso deter- minato 1). l) G. Cantar (Zeit. fiir. Ph.9l fas. I p. 112,od anche zur Lehre vou Transflniten. Halle 1890) da un teo- rema sull1 impossibilità della grandezza lineare infinitesima attuale che ha per immagine un segmento rettilineo continuo limitato, basando la dimostrazione sui suoi numeri transfiniti; e ritenendo vero in generale il suo teorema dimostra l'assioma V d'Archimede per i segmenti rettilinei (nota n. Si), il quale significa secondo la nostra def. 11,82 e il teor. ,8l che sono finiti o della stessa specie (def. 1,86). Sebbene non dia la dimostrazione completa egli parte, pare, dal concetto che ogni grandezza lineare che è infinita debba essere rappresentata da uno dei suoi numeri transfiniti, e quindi dice che per certi teoremi su questi numeri sì può dimostrare che se esistesse una grandezza infinitesima la grandezza ?v qualunque sia y fra i suoi numeri transfiniti, rimarrebbe sempre più piccola di ogni grandezza finita, e che perciò non può diventare finita qualunque sìa v; e applica questa dimostrazione alla retta, ora, la retta, ha tutte le proprietà del sistema omogeneo nel campo dell'unità lineare sensibile, anzi fu il continuo intuitivo rettilineo (55) che ci guidò a stabilire la definizione del sistema omogeneo (68) e del sistema identico nella posizione delle sue parti (70) indipendentemente però dal concetto di sca- la (def. I, 80). Ora ammettendo 1' infinito attuale sulla retta la prima ipotesi che si presenta è quella che essa conservi la sua omogeneità anche all'infinito, e che quindi i suoi punti ali'infinito siano assoggettati alla definizione del .sistema omogeneo, indipendentemente, come dissi, dal concetto di finito e di infinito che deriva da quello di scala. In questo caso abbiamo sopra dimostrato ( e f) che i suoi punti all'infinito non si lasciano rappresentare dai numeri transfiniti di cantar e si devono rappre- sentare invece coi nostri numeri infiniti. Coir ipotesi invece di cantar che i punti all'infinito della retta siano rappresentati dai numeri o , * -f-1 ecc., che perle considerazioni sopra svoite ritiene ne- cessaria quando si ammette l'infinito attuale (vedi anche Zeits. ftìr Phis. 1. e. fase. 1, ove confuta le ragioni del prof. Guteberlet contro l'infinito limitato, e la nostra nota 2 n. 82 e pref.) la retta non mantiene nei punti ali' infinito la sua omogeneità e intorno ai punti all'infinito non possono essere quindi conservate le proprietà che derivano dall'esperienza. Il sig. cantar (1. e.) dice: Nun ist der Gedankengang jener Autoren (O Stolz e DU Bois-Beymond) dass weun man dieses vermeinitliche Axiom (quello di Archimede) fallen liesse, daraus eia Recht auf actual unendlichkleine Gròssen, welche dort Momento genannt werden, hervorgehen wtlrde. Aber aus dem oben von mir angefuhrten Satze folgt, wenri er auf geradlinige stetìge strecKen an- genwandt wird unmittelbar die Nothwendgkeit der Euclidischen Annahme (Euclide lib. V, def. 4). Il signor o. Stolz ha invece dimostrato che per le sue grandezze infinitesime o quelle infinite e infi- nitesime del DU Bois-Reymond non vale il suddetto teorema di Cantar (Matti. Annalen XXXI). Ma lo Stolz soggiunge aver dimostrato con la definizione del continuo analoga a quella di Dedettnd che tutti! segmenti rettilinei soddisfano alla proprietà suddetta di Archimede (i. e. p. 608. Math. Annalen voi. XXII e Vorles. u. Allg. Arith. voi. I pag. 69-83). Se come pare poi il sig. Cantar intende che le grandezze lineari che considera siano continue e unter dem Bilde begrenzter geradliniger stetiger Stre- ken sich vorstellen lassen ripetiamo l'osservazione fatta in una recente nostra Memoria (II conti- nuo rettilineo e l'assioma V d' Archimede Atti della R. Acc. dei Lincei 1890) che nelle definizioni date da altri del continuo ordinario, è contenuto implicitamente l'assioma suddetto, del che è pure conve- nuto il sig. Stolz, In tal caso non occorre dunque ricorrere ai numeri transfiniti per dimostrare la impossibilità della grandezza infinitesima, perché essa è esclusa a priori come avviene ad es. colla definizione del continuo data dal sig. cantar stesso. (Vedi anche Stolz Math. Ann. XXII, nota pag. 508). (Vedi 3 nota n. 96).

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106 4. Altra ipotesi(7) di costruzione dei segmenti della forma, fondamen- tale - Segmenti e numeri infiniti d'ordine infinito Segmenti multipli e summultipli secondo un numero infinito Infinito, finito e unita assoluti Unità fondamentale. 91. Oss. I. Al n. precedente abbiamo visto che si può applicare l'ipotesi IV un numero di volte infinito appartenente alla serie già considerata dei numeri infiniti di ordine ra, essendo n un numero qualunque della serie (I) (e, 90, ind. Ili 89). Ma non possiamo escludere che vi siano altri mezzi di determinazione di un segmento infi- nito senza venir meno alla definizione del sistema omogeneo, dell'ip. IV e delle proprietà che da esse derivano. La prima parte dell'ipotesi IV ci dice soltanto che dato un segmento infinito qualunque (AA( *)) vi deve essere un elemento X (e quindi anche infiniti altri), tale che (AX) e (XA( *)) sono pure infiniti, ma non quale sia il modo di determinazione del segmento (XAW) rispetto al segmento (AAJ. Noi sta- biliamo quindi l'ipotesi seguente: Ip. V. Ogni segmento infinito che non sia già d'ordine fi- nito m si ottiene applicando il principio dell' ip. IV un numero di Tolte infinito già ottenuto o un numero di Tolte infinito che si deduce dai nuoTi segmenti cosi costruiti. a. V ipotesi V è indipendente dalle precedenti. Che sia indipendente è chiaro perché da esse non deriva che esistano segmenti (AAC*)) che soddisfano all'ipotesi V, né deriva che non possano esi- stere tali segmenti (oss. I). L'ipotesi V esclude l'esistenza di segmenti (AA(* ) che non si ottengano mediante l'applicazione ripetuta dell'ip. IV stessa sia pei segmenti sia pei numeri infiniti che risultano deducendo successivamente gli uni dagli altri. Def. I. Chiameremo l'ip. V ipotesi di costruzione dei segmenti infiniti della forma fondamentale. Def. IL I segmenti infiniti di ordine ootw a partire dall'origine A costi- tuiscono un campo che chiameremo campo all'infinito di ordine oo,m rispetto all'unità (AAJ. L'unità (AAX) è infinitesima d'ordine oo/ rispetto ad un seg- mento infinito d'ordine cc^. E il campo finito che ha per unità un segmento infinito d'ordine OD, lo chiameremo campo infinito d'ordine oo, . b. I segmenti infiniti di un dato ordine sono nulli rispetto ai segmenti in- finiti d'ordine superiore. Difatti essi sono trascurabili rispetto ai segmenti di ordine immediata- mente superiore (g, 85). Anche Cantar ha considerato dei numeri infiniti tali che se a è uno di questi numeri a +1= a e che chiama Cardinalzahlen (vedi la nostra 2 nota n. 48). Egli però li definisce indipendentemente dall'ordine in cui si contano gli elementi, mentre per noi questa proprietà è conseguenza della pro- prietà dei segmenti stessi o dei gruppi dai quali i nostri numeri derivano, i quali sono differenti, come meglio si vedrà in seguito, dai Cardinalzahlen o potenze (Màchtigkeiten) di cantar.

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107 6*. / segmenti infinitesimi sono trascurabili rispettò ai segmenti infinite- simi d'ordine inferiore, finiti e infiniti (6, def. Ili, 86; g, 85). Def. III. Così l'elemento limite del campo infinito d'ordine oo^ lo chia- meremo elemento limite all'infinito d'ordine oo^^B rispetto all'unità (AAJ. Def. IV. I numeri corrispondenti agli elementi del campo infinito d'or- dine oo^ li chiamiamo infiniti d'ordine oo,* , e li indichiamo col simbolo oo001 ; di modo che abbiamo in questo campo i numeri: oot*im rfc 1, oo "i t 2 .... ooj00! d: n .... Oss. li. L'infinito i i . o^ ! è di ordineaojW-4-oojtn-i. Oss. III. Così otteniamo in base all'ipotesi IV i segmenti infiniti di ordine o !06! , un campo all'infinito e infinito dello stesso ordine e un elemento limite ci' ordine * i im +1. Per conseguenza anche dei numeri infiniti dello stesso ordine, il cui campo sarà indicato coi simbolo oo !001 . E così via illimitatamente (def. II, 32). Ind. L Indicheremo con lettere greche TJ, pi, v ecc. i numeri infiniti e fi- niti, con lettere latine i numeri finiti. Un numero infinito d'ordine 13 lo indi- cheremo col simbolo oo^ , e in tal caso afl non rappresenta un solo numero ma definisce un campo determinato di numeri. Quando parleremo però di un numero 17 determinato intenderemo un nu- mero determinato in senso assoluto della classe dei numeri O, 1, 2, .... n, .... oo, 1, ooI? oot-r- 1 .... oo^ 1, OOT , oo^-f 1 .... (II) ....00I001W - 1, c^-r , 00^ 4- 1 .... OD "I OO ^ OD "^ ....00^1 1 1, 00^! 1 , 00t*l 1 -f .... 1 Ind. II. Ogni numero di questa classe si può esprimere col simbolo n, ... . dr ove % w2, ...., nfJL+l sono numeri qualunque dati della classe (/) (46), che pos- sono essere tutti o in parte =o; p è un numero di (I) o uno dei numeri in- finiti di (II) ottenuti precedentemente dallo stesso simbolo Z. Def. V. Per distinguere questi numeri da altri, tranne lo zero, li chiame- remo numeri interi. Oss. IV. Osserviamo che come nella scala dei numeri finiti è scelta l'origine A come rappresentante del numero o, così deve essere scelto un elemento determinato -4( i) come rappresentante il numero ^ nel campo all'infinito di 1 ordine, e così per ogni campo all'infinito, di modo che abbiamo si può dire tante origini quanti sono i campi airinflnito. È da osservare che quale origine nel campo ad es. all'infinito di 1 ordine può essere scelto ogni elemento di questo campo, e quindi come rap- presentante il numero 00^ non però un altro elemento di un altro campo all'infinito, ma fissato che sia rimane sempre lo stesso. È inoltre necessario osservare, come noi supporremo, che date le origini agli altri elementi corrispondono numeri determinati della classe (li) o altri numeri da determinarsi, e che quindi nel confronto dei seg- menti bisogna supporre già date le scale e le origini. (Vedi n. 103).

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108 L' operazione o^ per la definizione stessa del numero * i è così a senso unico poi- ché ogni altro segmento ottenuto differente dai segmento (AAi*1) viene indicato con un simbolo diverso 1). Ai segmenti maggiori uguali o minori corrispondono numeri maggiori uguali o minori, e viceversa (oss. I, 87 e ip. V). Conv. L Noi diremo anche che il segmento ( AA ), essendo un numero ^ determinato della classe (II) in modo che ( A A ) rappresenta il numero 17 rispetto all'unità (AA}) e all'origine A, contiene ij segmenti consecutivi nel medesimo verso uguali ad (AA^, senza che perciò ce li possiamo rappresentare come aventi successivamente un estremo comune, cioè senza salti nella rappresen- tazione, come avviene ad es. dai segmenti (AA}) (A}A2), (AZA3) ...., (An A^i) al segmento (^a 1-nAot l.n^i). e. Pei nuovi segmenti e numeri infiniti e infinitesimi valgono gli stessi teo- remi dei n. 86 e 88. Questi teoremi si dimostrano nello stesso modo mediante Tip. V. 92. a. Dati gli elementi A9 A A ,A di divisione della scala si ha : Difatti ciò significa che dall1 elemento A M considera un segmento uguale a (A Ai)) (def. I, 68). a. Vi è un solo numero o o un solo numero p, che soddisfa V uguaglianza f* -f-a = i? (f, e g, 73). Def. L Se ^ è un numero determinato della classe (//) ed è dato un seg- mento (AB), il segmento (AC) che contiene 13 segmenti consecutivi nel mede- simo verso uguali ad (AB) (conv. I, 91) si chiama multiplo di (AB) secondo il numero 77, ed (AB) summultiplo di (AC) secondo lo stesso numero ij. E indicando (AC) con (AB) 13 e (AB) con (AC) o ' - si ha per Tindi- TÌ ij cazione stessa: e. (AC) = (AB)r , (AB)=(AC)-=( (6,9). Oss. I. Quando parliamo di multipli o su m m ulti pii di un segmento dato secondo i numeri della classe (II) noi supponiamo che essi siano determinati in modo unico. Riserviamo a più tardi la determinazione dei segmenti multipli e summultipli di un segmento dato quando saranno fissatele scale, come dobbiamo supporre (oss. IV, 91 ; vedi n. 103). Ind. L Se si ha un segmento multiplo (AH) di (AB) secondo il numero finito o infinito f* anziché col simbolo - ' ^ lo indicheremo anche col simbolo (A C) , e quindi : 1) Se nel campo considerato della nostra forma fondamentale, o meglio del nostro sistema orno - geneo non sono applicabili i numeri di G. Cantar rispetto alla classe (II), si può far quello che Cantar ha fatto rispetto alla classe (I), e quindi stabilire un nuovo numero 12 come un primo numero mag- giore di tutti i numeri di (II), e cosi via.

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109 O. (Aff) = fi ={AC) - = (AC) JL (AC) fe = f! M") (6, 9). Oss. IL II simbolo-^ significa adunque che il segmento (AC) fu diviso in TJ parti uguali, e si è formato un segmento che contiene f* tjme parti di (AC). Ad es. ( AAy ) contiene T2 unità (AAì) (conv. I, 91). ti. Se f* = u si ha (AC)=(AC)J^. * Ciò risulta dal significato stesso del simbolo -^ (oss. II e oss. I), e con ^ una dimostrazione analoga a quella di 6', 79. La dimostrazione è la stessa del teor. 6", 79. Oss. III. La moltiplicazione di un numero -^ per un numero ij di (II) si defini- sce nello stesso modo dei numeri della classe (I) (52) Supponiamo dapprima che la parte tjma (AB) di (AC) sia multiplo secondo il numero V di un segmento (Aff), si avrà: r (C) IJ i) e poiché si ha: E siccome (AB) è multiplo di (AB1) secondo il numero ti ne segue che (AC) è multiplo di (AB') secondo il numero m, (def, I, oss. Ili), ossia: r (e e d). n *j *i*è 'M e quindi dunque che è precisamente la e. 4. 13

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110 Def. IL n segmento (AB) = (A C) - - si chiama anche frazione del seg- fl mento (AC). f. Ogni segmento multiplo di (AB) secondo un numero infinito di ordine j* è un segmento infinito d' ordine p rispetto ad (AB). E ogni segmento multiplo di un -segmento infinito d' ordine p secondo un numero infinito df ordine i\ è un segmento d'ordine /*-f-U Difatti nel 1 caso il numero è della forma oof* che si ottiene da o mol- Implicandolo /a volte per sé stesso (ind. I, 82 e def. IV, oss. II, III e ind. I, 91), che ci da appunto da (AB)'\ segmenti infiniti d'ordine p rispetto ad (AB) (ip. V). La seconda proprietà è evidente essendo oof* xV = oo'*"^15 (oss. II, e os- serv. HI, 91). f. Se (AB) è un segmento infinitesimo d'ordine ti rispetto ad (AC) i multi" pii di (AB) secondo i numeri infiniti dello stesso ordine TQ sono finiti con (AC). Difatti i multipli di (AB) secondo i numeri infiniti dello stesso ordine YJ sono infiniti dello stesso ordine rispetto ad (AB), e quindi sono fra loro finiti (A- e, 91; a, 86). Ma (A C) è infinito d'ordine y rispetto ad (AB) (oss. Ili, 91 e def/ III, 86), dunque ecc. f". Dato un segmento (AAt) infinitesimo d'ordine 13 rispetto ad (AC). ogni segmento infinito d' ordine p (tj * = f* -f- a) rispetto ad (AAJ è infinitesimo d' or- dine a rispetto ad (AC). Difatti se (A C1) è infinito d'ordine JA, e (A C) d'ordine I) = JA-}-(J rispetto ad (AA^, (AC) è infinito d'ordine o rispetto ad (A C") (def. II, 86 e oss. IH, 91), perciò (AC1) è infinitesimo d'ordine o (def. Ili, 86 e oss. Ili, 91) rispetto ad (A C). g. Se un segmento della forma fondamentale è maggiore uguale o minore di un altro segmento della stessa forma o di forme fondamentali diverse, un segmento multiplo del primo secondo il numero r) è maggiore, uguale o minore del multiplo dell'altro secondo lo stesso numero. La dimostrazione di questo teor. è analoga a quello del teor. d, 79. Sup- posto il teor. vero per ij 1 lo si dimostra per ij in base ai teor. g e g' del n. 73, che valgono indipendentemente dal concetto di scala e quindi dalla di- stinzione di finito, infinito e infinitesimo. Ma il teor. vale per t\ finito (d, 79) e l'operazione ooj è assoggettata a questa proprietà (oss. IV, 91), e poiché ti 1 è ottenuto coli' addizione semplice combinata coli' operazione x l9 il teor. è di- mostrato (oss. I). g'. Se (A C), (A' C*) sono multipli secondo il numero ^ dei segmenti (AB) e (A'B'} e (AC)EEE(A'C') si ha (AB) = (A'B" . Dim. analoga a quella di d', 79. h. Se (AB) = (AC) **- ed è (AB)=(AC) si ha f*= ij, e reciprocamente. Dim, analoga a quella del teor, e, 79,

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Ili i. Dato un segmento (AB) infinito d' ordine t\ esistono infiniti elementi X tali che (AX)9 (XB) sono finiti rispetto al segmento (AB). Se 17 è un numero finito il teor. è conseguenza immediata dell'ip. IV e del teor. 6, 85, essendo (AB) infinito di 1 ordine rispetto al segmento infinito di ordine (u 1) (def. II, 86). I segmenti ottenuti applicando P ipotesi IV un numero infinito di volte d'ordine finito hanno pure quésta proprietà, perché se il numero è ad es. oojm i segmenti ottenuti sono infiniti di 1 ordine rispetto al segmento ottenuto ap- plicando Tip. IV un numero ao^ l di volte. Dunque l'hanno anche i nu- meri d'ordine infinito e poi i segmenti infiniti d' ordine oo^i*1.... oo,001"1 .... OD W e così i numeri infiniti 00^1 * ecc. Vale anche la proprietà per i segmenti infiniti d'ordine oc^-fn essendo n un numero finito, perché sono segmenti infiniti di 1 ordine rispetto ad un segmento d'ordine cx)1 + (n 1). Cosi vale la stessa proprietà pei segmenti in- finiti di ordine oof rto^Wj db w2. E in generale se il teorema vale pel segmento infinito d'ordine oo^ vale anche pei segmenti d'ordine oo^ it oo^-1 nx 00^-2 n.2 dr .... db riQ+\. Vale dunque anche pel numero oo^i17 e quindi anche pel segmento infi- nito d'ordine oo^i12 ecc. Ma ogni segmento (AB) infinito della forma fondamentale è ottenuto in questo modo (ip. V) dunque il teor. è dimostrato. Del resto basta anche applicare semplicemente per la dimostrazione il teor. C} 91 e Tip, V secondo la quale un segmento è infinito di 1 ordine ri- spetto ad un altro segmento. ^^ Dato un segmento (AB) vi è sempre un segmento (AX) minore di esso pel quale vi è un numero finito m tale che (AX)m (AB) (def. II, 82; d, 81). i". Dato un numero a infinito d'ordine qualunque dato ^ vi sono sempre dei numeri o minori di a tali che essendo m un numero finito. I. Dati due segmenti (AB) (CD) qiialunque, vi è sempre un numero fi- nito o infinito determinato 13 tale die: in modo che (AB) TI è finito rispetto a (CD). E se rj è di ordine \L, indicando con I l'unità (AA*^) si ha tm numero ^ dello stesso ordine tale:

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112 (AB) ti,. m^ (CD) (AB) yj, (m+l) essendo m un numero finito. Se (AB) e (CD) sono infiniti dello stesso ordine allora sono fra loro fi- niti, e quindi u è finito (a, 86 e e, 91). Se (AB) è infinito d'ordine f*, (CD) di ordine p e p = f* -f- /*", preudendo di (AB) un multiplo secondo un numero in- finito d'ordine //' si ha un segmento dello stesso ordine di (CD) (f), e quindi finito con (CD) (a, 86 e e, 91). Se il è un numero infinito d'ordine JA" si avrà uno dei tre casi * Nel 1 e 2 caso si può sempre dare un numero ij dello stesso ordine di f/' tale che (AD) YJ (CD), e in ogni caso un numero ^ tale: È chiaro poi che essendo (AB) ^ e (CD) finiti fra loro vi deve essere un numero m finito (che può essere anche 1) tale che: (AB) ylm (CD) (AB) ^ (m 4- 1). m. Ogni segmento dato (AB) è infinitesimo d'ordine determinato i) rispetto ad un altro segmento maggiore (AG), se (AB) non è finito rispetto ad (AC). Difatti vi deve essere un numero infinito determinato ti tale che (AB) ti ^ (AC), essendo (AB) 13 finito con (AC) (I), e quindi (AB) è infinitesimo d'ordine 13 rispetto ad (AC), perché (AB) 73 è infinito dello stesso ordine di (AC) (def. Ili, 86 e oss. Ili, 91). n. La forma fondamentale a partire da un suo elemento qualunque dato in un dato verso è maggiore di ogni segmento dato (AB) nel medesimo verso o nel verso opposto. Sia A l'origine, (AB) il segmento dato. Poiché vi è sulla forma un seg- mento maggiore nel verso di (AB) stesso ( , 68), il ter. è dimostrato (def. I, 61). Se invece (AB) si considera nel verso opposto, la forma a partire da A in un verso è identica alla forma a partire da A nel verso opposto (def. 1, 6, 70, ip. II). Dunque ecc. Def. III. Chiameremo perciò la forma fondamentale in uno o nell'altro verso infinita assoluta o infinita d'ordine indeterminato per distinguerla dai campi della scala che sono infiniti di ordine dato. La indicheremo col se- gno Q. Oss. IV. Evidentemente questo assoluto è anche esso in un certo senso relativo, poiché data tutta la forma fondamentale a partire dall'origine A, possiamo assog- gettarla nuovamente ali' ip. IV, e in tal caso i numeri anziché del tipo ooj sarebbero di un altro tipo, ad es. : 1^, e così via 1). Def. IV. Chiameremo invece campo finito assoluto in un dato verso a partire da un elemento dato il campo dei segmenti limitati a due estremi nel i) come si hanno diverse classi di numeri transfiniti di G. Cantor. (vedi nota 2, 9Q),

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113 verso dato, nello stesso modo che abbiamo il campo relativo ad una data unità GLij) (def. V, 83). S'intende che due segmenti di questo campo possono essere infiniti Fano rispetto all'altro. Def. V. Ed è perciò che un segmento dato (AB) qualunque lo chiameremo anche finito assoluto, e per unità assoluta intenderemo un segmento dato qua- lunque (AB). Def. VI. Un segmento che diventa maggiore di ogni segmento dato (e quindi anche infinito) diremo che cresce indefinitamente od è indefinitamente grande od ha per limite tutta la forma fondamentale a partire dall' origine A nel verso della scala assoluta, vale a dire l'infinito assoluto, e scriveremo: Def. VII. Il segmento che corrisponde all'unità 1 della classe dei numeri (II) lo chiameremo anche unità fondamentale. E la prima origine la chiame- remo origine fondamentale o più semplicemente origine. 5. Legge associativa, commutativa della somma; legge distributiva, e commutativa della moltiplicazione dei numeri della classe (II). 93. #. Nella somma di tre o più numeri di (II) vale la legge associativa. Di fatti vale per i segmenti che li rappresentano (d, 77). Ind. I. Il segmento (A^A^) i cui estremi rappresentano i numeri ft e ij di (II) rispetto all'unità fondamentale (AA^) e all'origine fondamentale A (def. VII, 92) (ti p) lo indicheremo col segno p -f- ^ che chiameremo pure numero. Il numero f*-f-ij ha dutìque così un significato determinato. Vedremo fra poco che è pure un numero della classe (II). b. Se /* è un numero qualunque di (II) si ha /* + {*= o. Difatti se Afi conincide con A^ è (-4^ A^ ) = o (def. I, 76) e perciò p -f JA = O (ind. I). Oss. I. I numeri sono gruppi ordinati di elementi considerati come unità (def. II, 45). Se due numeri sono uguali essi si corrispondono univocamente e nel medesimo ordine ( , 60), ma dalla proprietà inversa non possiamo dire se siano uguali perché potrebbe essere l'uno parte o uguale ad una parte dell'altro (def. II, 27), mentre la def. II, 45 non esclude mai questa diversità (e, 45). Pei numeri naturali invece basta che si corrispondano univocamente e nel medesimo ordine (#, 48), anzi che si corri- spondano univocamente (A, 48) affinchè siano uguali anche secondo la def. II, 45, per- ché in tal caso l'uno non può essere parte o uguale ad una parte dell'altro. Certo è che se due gruppi ordinati non si corrispondono univocamente e nel medesimo ordine, essi non possono avere numeri uguali, perché quando questi sono uguali i due gruppi si corrispondono univocamente e nel medesimo ordine (6, 60; 6, 45 e f, 42). Se il numero di un gruppo si fa dipendere soltanto dalla corrispondenza uni- voca e de) medesimo ordine o soltanto dalla corrispondenza univoca fra gli elementi

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114 del gruppo e le unità del numero, allora l'uguaglianza dei numeri nel primo caso è data dalla corrispondenza univoca e del medesimo ordine, e nel secondo caso dalla sola corrispondenza univoca (oss. I, 45) l). Ma noi tenendo anche conto della diver- sità che proviene tra un sottogruppo e il gruppo (def. II, 27) non basta in gene- rale la corrispondenza univoca e del medesimo ordine. Né in ciò vi è contraddizione di sorta. Per l'uguaglianza dei nostri numeri come dei nostri segmenti della forma fon- damentale (71) occorre dunque aver riguardo al teor, e, 45 e al teor. 6, 60 e ai teor. del n. 61. E poiché i numeri finiti e i nostri numeri infiniti formano una sola classe bisogna che le condizioni di uguaglianza di due numeri valgano in generale per due numeri qualunque di questa classe, vale a dire che i contrassegni di confronto siano i medesimi. e. / numeri dei gruppi AA^Ap^Ap, A^^.A^ -A^-M, essendo p, un numero qualunque dalla classe (II) sono uguali. Difatti al numero del gruppo AA^.^Ap deve essere uguale il numero di un gruppo di elementi a partire da Al nel medesimo verso, perché tale è an- che la proprietà dei segmenti che i nostri numeri rappresentano (oss. I, def. I, 87 e 6, 68), e quindi coir ultimo elemento non compreso nel gruppo A^.^Ap (e, 45). Dunque almeno dovrà essere un gruppo diverso, ma, non potrà es- sere ad es. AìAv^ApAp+iAp+t perché una tal legge di uguaglianza non' vale quando p è finito (#, 48); dunque per l'ultima parte dell1 oss. I si ha e. C'. Perché i due gruppi AA^...^, A|A2....iip-M rappresentano i due numeri + 1 (oss. II, 87; oss. Ili e ind. I, 91) 2). d. Per ' T addizione di un numero finito di numeri di (II) vale la legge com- mutativa. Se si ha: n 4- p =? [t, -r- n si ha pure: + l (a o /; 47 e d, 47). Ma la proprietà vale per n = l, dunqne vale per tutti i numeri di(I)(c', 46 e l, 39). i; È ciò che fa il sig. cantar nella definizione di uguaglianza dei suoi Idealzahlen e quindi an- che dei suoi Ordnungszahlen o dei cardinalzahlen. (Vedi nota 48 e def. II, 90). l 2) Se si considera ad es. la retta nel campo finito Euclideo per- ff A B corsa in un dato verso a partire da A come zero e rispetto ad (AB) come --------------------------- unità rappresentando tutta la retta percorsa nel verso dato col simbolo i, ooj-1 ooj dopo aver percorsa l'intera retta a partire da A, questo punto viene in- dicato col simbolo i, e quindi 8', essendo (B'A)^(AB) col sìmbolo i-i e B coi simboli l e i-H ecc. Se partiamo da B e percorriamo la resta fino ad A nel medesimo verso non otteniamo tutta la retta perchò manca il tratto (AB), e quindi (l.... i) i e (i.... !) 4" l ss i Ma i 1 + 1 = 00! dunque (i....oo1)= 1 i essendo r addizione sulla retta a senso unico. Ma d1 altra parte i+ {!.... 001) = ! dunque oo1_i^-i=:n-ooT i che è la legge commutativa, veggasi l'ultima nota del n. H$-

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115 Da ciò risulta anche: a-!-/* n = a n + p (2) Difatti o -}- jfc ^ s= a n + n + p n = a n -f- f* + ^ n = a ^ -f f*. E perciò anche: Essendo m un numero qualunque di (I) si ha oojw nx dr oo2 ng s= ooj ( ooj* -5 nx rt n^ ia ( oo!0' nj ib oo^" n2 it ..... ) significando appunto che si moltiplica prima ooja per oojff'^ poi per itoo^"^ ecc.(oss.IIe III, 91) e perché s-f-m st=m (m, 48 e 54 opp. def. I, 76) e quindi: ooj nT it oots ^ = OOT (dt n% -f- oo^-s MI) (2') da cui Se si ha quindi un numero infinito d'ordine finito m di (II) cioè: oo nj : oot -i n2 .... it oo1 n i : ^n+i (ind II, 91) nel simbolo di questo numero per la (3) possiamo scambiare di posto i numeri che lo compongono mediante scambi di elementi consecutivi (e, 48). Supponiamo che seguitando, questa proprietà sia dimostrata per il numero infinito p e pei numeri minori di p, e considerando un numero ft infinito d'or- dine p (oss. Ili, 91) abbiamo: p = oo T P n^ =b oo T P-iflg i: .... =fc oo T np dt ^p + 1 (ind I, 91) ma per ipotesi * 00^*! =b oo/ n2 = ooTP'( oot P"P' ^t r n2) o^-p'^) (2f) e quindi in p possiamo scambiai^ di posto, i numeri che lo compongono con scambi di numeri consecutivi. Ora, per l'ipotesi V ogni numero di (II) si mette sotto la forma precedente (ind I, 91) e si ottiene ripetutamele da p quando è finito, poi infinito d'or- dine finito, e così via, di guisa che in ogni ripetizione vale la suddetta pro- prietà; dunque essa vale per ogni numero di (II). Si consideri ora un altro numero 73 di (II) che si pone sotto una forma analoga, e potendo scambiare di posto i numeri che compongono la somma si avrà: f* 4- il = V + 1* (4)

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116 La legge commutativa vale per un numero finito di numeri, perché am- messa per m si dimostra per m + 1, (#, (4) e d, 47); ma vale per m= 2, dunque vale per ogni numero finito m (c\ 46; I 39). e. I segmenti compresi fra due segmenti indicati da numeri qualunque di (II) si esprimono con numeri di (II)- Difatti siano p e 13 due numeri di (/I), n p. Essi sono rappresentati da due segmenti della forma fondamentale a partire 'dall'origine fondamentale.il segmento differenza viene rappresentato dal segno pi -f 15 = 0. (ind. I) Vogliamo dimostrare- che a è pure un numero di (II). Difatti si ha: i) p = p 4- p 4- 19 p = p4- p + 13) P = P + n 4-p) p = p-f r 4-(p~p) = P4-13 ( , (4) e d, 47) dunque c = ,j JA che è un numero di (II), essendo p e 13 numeri di questa classe, perché ' può porsi sotto la forma generale di uno di questi numeri (ind I, 91). Ad es. : 2.+ a = oo, quindi Per ottenere da 2 il numero oo, hasta aggiungere ad esso il numero oo1 2. f. Per l'addizione di un numero infinito di numeri di (II) se il risultato rappresenta un segmento limitato della forma fondamentale vale la legge com- mutativa, senza però che sia alterata la natura del numero oop Supponiamo che il numero dei numeri considerati sia infinito, dapprima ooj, e la loro somma rappresenti un numero di (II); si ha allora: (3) ti ss fr + f*2 -f- p3 + - 4- p r -f p rn i -I- -f j^oor2 + f*o.ri -J- f* t . Questo numero è rappresentato dalla somma di due segmenti, uno dei quali rappresenta (fr +fe + { 3 -I- + {* ,-!) unità e l'altro p^ unità; dun- que si ha: (4) ti = fa + pg -|- f*3 -f .... -f f* !-! ) -f f* ! da cui ti = p ! 4- (PI -I- p2 + f* i-i) = P-i 4- Pi -f P* 4- .... -f P ,ri (a, 40 ; def. I, 87). e quindi anche 7] = JKW1 -f (fAooj-1 -f Pi + .-. + Poor2) = M i + f*oori + (M! 4- .. 4- p i-2) e così seguitando si trova (5) 17 = f* ! 4- j ri 4- .... +f* r 4- (PI -f p2 4- .... 4- p 4- .... 4- p or

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117 Col crescere di n portiamo per primi i numeri del campo ^ ,^(^ = 0, 1, 2 .... m ....) e per ultimi i numeri i cui indici sono .... n .... 1. In ciascuno di questi campi si possono poi scambiare di posto gli ele- menti fra loro. Di più si ha^ ,7 = (/* ! 4- /*,) -f fe + -M. 4- f* ri) 0, 40, d, 77) l 4- f*2 4- . - 4- f^-l) dunque /t* , si può portare al posto di f*2 e quindi di ogni altro numero dato jKn.Così si può fare per/* ,.!. Ogni numero dato del secondo campo si può dun- que portare nel posto di ogni numero dato del primo, è viceversa. Il teor. per il numero oo, è dimostrato. Oss. IL Per il criterio di uguaglianza dei numeri rappresentati da un gruppo, non può essere che gli elementi del grupppo A1A2 .... An- * A^-n.. A^-i A i corri- spondano univocamente nel medesimo ordine ad es. al gruppo.- AI A% .... An A i A ^-i .... ylooj-n.,.. nel quale A i è primo elemento dopo la prima serie illimitata di 1* specie AiA2...An ... (e, 46), perché ali* elemento A^ nel secondo dovrebbe corrispondere il primo eie- meato, che non c'è, dopo la stessa serie nel primo gruppo e perciò i due gruppi non possono avere numeri uguali (oss. I). Dunque nei mutamenti di posto affinchè la somma non mati bisogna che si possa stabilire la suddetta corrispondenza fra i gruppi di unità così ottenuti, e quindi bisogna che il gruppo si componga di serie opposte, come ad es.: 123 ..,. n ......... ooj n .... e !. Noi diciamo perciò che non deve essere alterata la natura del numero 0^. Se si ha ora J = Pi 4- fh 4- -.. 4- f* i 4- P-i-i-i valendo il teor. peì primi oo1 numeri, e potendo scambiare fx^-j-i con /* ,, esso vale evidentemente anche per oo, -f 1 numeri, e così analogamente per oo, r m numeri. Ora si abbia che si può scrivere così: -i 4- 4- Fo Ciascuno dei gruppi di cui si compone ti contiene ool numeri, e valendo il teorema per ognuno di questi gruppi e potendo scambiare F ultimo elemento del primo col primo elemento del secondo, il teor. è pure dimostrato pel nu- mero 00^2. Se il numero 13 è dato dalla somma di oo,2 numeri, siccome oo1 .00, =00^ (89), il numero 13 è di ooj gruppi di oo, numeri p, pei quali vale il teor. sud- detto; e poiché esso vale per questi gruppi considerati come numeri e si può passare da un gruppo ad un altro scambiando T ultimo elemento del primo col primo elemento del successivo, il teorema vale anche pel numero ooj2. Sup- posto che esso valga per oo,w numeri si dimostra nello stesso modo che vale

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118 pel numero o^* -*-1, oltre che peì numeri intermedi. Ma vale per m=s2 dun- que vale per m finito qualunque (I, 39). Sia dato un numero ^ somma di oo^i numeri j*. Siano : gli indici che indicano nella somma i posti di due numeri ft, e di cui il primo sia ad es. maggiore del secondo ; allora possiamo separare i numeri p della somma nei seguenti oo, gruppi successivi riferendoci soltanto ai loro indici. I numeri m e n in Z e Z possono essere anche infiniti ^ ooj. (1 .... ODj ( 00, + 1, .... 00^) + ( 00,2 + 1, ...., 00^) + .... + ( OO^l-* -! ...., ^- 1) + + (Z. .... oo^i-m-H) + .... + (oo^i-r-i .... Z' - 1) + .... + (Z.... OD oorm-i-l i-r Ma in questi o^ gruppi senza alterare la somma dei numeri che rappre- sentano possiamo scambiar di posto i due gruppi (Z.... oo1 i-* fcM),(^'.... oo*!- "-*-1 ), e quindi i due numeri dati che occupano i posti indicati da Z e Z' . Se Z'sroo,00! basta considerare come ultimo gruppo il numero e ! *i stesso. Il teor. vale dunque anche per la somma di ooj001 numeri. Supponiamo che il teor. sia stato dimostrato per un numero p; esso si dimostra anche pel numero oojf* collo stesso ragionamento usato pel numero oo,00!, scomponendo cioè il gruppo ordinato di oo^ numeri in p gruppi, e in due dei quali siano primi due numeri i cui posti siano indicati dai numeri Z e Z1 dati minori di JA, e l'uno minore dell'altro. Valendo la proprietà per f* si possono scambiare di posto i due gruppi cui appartengono Z e Z? e quindi anche i due numeri dati. Così per tutti gli altri numeri tenendo sempre conto della natura del numero oot. La stessa dimostrazione vale per ogni numero oo^ essendo p /* II teor. vale anche per ogni numero oo/*^, ove nT è un [numero qua- lunque dato di (I), dunque vale anche pel numero vale a dire se il teor. vale per f* vale anche pel numero Z19 Ma è stato di- mostrato per f* finito (d) e quindi anche pei numeri infiniti d'ordine finito e perciò ancora pei numeri infiniti d'ordine infinito che a sua volta è d'ordine finito, e così via. E poiché ogni numero di (II) per Tip. V è ottenuto in que- sto modo, valendo il teor. in ogni ripetizione, vale in generale. Es. 1. 2. oo!=:|Y+i I + 1T-I-1 l-f...+17-4-1 I + |T 4- 1 ' ' ' 2 n nn-l

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119 oorn I+...+IT + 1 li n] i nn-l n+l \ -MI + i +,...+1 I + IT +....+r i 2 n 1 J+...+U 4- 1 n-t-l; loo^n-i-i i portando F e 1 rispettivamente dopoT e 1; T 1 n-i-l +?! w ooj-n-l l dopo"! e 1 col crescere indefinitamente di n si ha 1 2 3 ... + l + ...+l +... + 1 I n 1- J cioè +T + 1 2 n ooj-n ooj-n-1 zz ( ! . 2 rispettivamente 1-n ooj-n-M = 1 oD^n+1) l + ll +... = |l +... jn-t-l i-(n-f-i) + + 1 + 1 +... n-i coir aumentare di n 1* unità 1 viene portata prima di 1 e i' unità 1 ossia 1 n+l n e^n-f-l) oorn-l dopo 1 , e quindi coll'aumentare indefinitamente di n si esaurisce la prima serie 1-n e si completa la seconda ; si ha dunque :

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120 oo, = l n n-l *. 3. ! - ws: ,1 + 1+...+ !+...+,! + ... + 1 +1 +.... + 1 + 1 i m = 1 +... + 1 . +1 +..- + 1 + 1 + 1 +...+ 1 I n-4-l i-fn+l) | I ooj-n oo^-m | j n n-l i +1 + 1 +...+ 1J n-l | e quindi Analogamente per = 1 + 1 +... + 1 oo1==l+l + l + ... 123 2n 2n-|-2 + 1 fi +1 +1 l +1 l + ll +1 2n-l 2rt-4-l| | +. + 1 +1 +1 +..-+1 2n +1- 1+1 +1 +...+1 +1 l+Jl + 1+... I 2 -f-2 2n+3 w^n-3 j^n-2 | | i 3 +... + 1 Ora se si porta nella prima separazione 1 dopo lei prima di 1 , e 1 *7H- In oor2n-2 oo^gn 2 -4-3 dopo 1 e 1 prima di 1 nella terza, e cosi seguitando indefinitamente fino 2 -4-1 ooj-Sn-3 ocj-gn-l all'esaurimento della serie intermedia si completano le due serie estreme, ma con questo che esse sono uguali, e la serie primitiva contiene il doppio di unità di cia- scuna di esse, perché le unità della prima separazione sono 2w+l e 2n + 1 sono quelle della terza mentre poi della serie intermedia si portano successivamente i termini due a due in ambe le serie. Indicando con cc\ il numero corrispondente a queste due serie si ha che scriveremo anche cosi i . 1=Z 2 ' Questo numero non appartiene alla classe (II), ma è compreso fra O e oolt Però finché non si suppone esistente questo numero e sono date soltanto le due serie

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121 ì 3. .. ..., o i n. .. * !, allora non possiamo formare colle due serie opposte due cop- pie di serie opposte. In tal caso n è quanto grande si vuole ma bisogna considerarlo sempre in uno stato dato, e non già nel senso che diventi indefinitamente grande. Si possono considerare però tutti i numeri dati della divisione intermedia nella prima e nella terza separazione 1). f. Se in un gruppo ordinato di uno dei nostri numeri infiniti di elementi si cambia l'ordine degli elementi senza alterare la natura del numero OOT esso rappresenta sempre lo stesso numero di (II). g. Per la moltiplicazione dei numeri di (II) vale la legge distributiva. Difatti se si ha un numero determinato di (II), cioè : (1) oot/* n, rt oo/*"1 n2 =t oo/*""1 nm rt .... : co* n : OOT n e lo si moltiplica per un numero ?j, ciò significa che il numero (1) si somma ij volte. Ora, per la legge commutativa della somma (d e f) potremo considerare prima poL db oojf*-* n2 q, e così via, e -quindi si ha: 17 s= t .... Se invece si moltiplica il numero 15 per (1) ciò significa che si deve som- mare il segmento rappresentato da ij le unità contenute in (1), e quindi per il senso stesso dell'operazione si ha: ai....:^^^ Se si tratta della moltiplicazione di due numeri (1), vale lo stesso ra- gionamento. h. Per la divisione dei numeri di (II) vale pure la legge distributiva, (oss. Ili, 92 e def. I, 53). Ciò deriva dalla definizione stessa di questa operazione come quella che insegna a determinare il moltiplicando dato il prodotto e il moltiplicatore. i. Per la moltiplicazione di due numeri di (II) vale la legge commu- tativa. Dim. I. Sia dato il prodotto p . 13. Il gruppo che lo rappresenta contiene 15 gruppi consecutivi (conv. I, 91) di p elementi. Abbiamo dunque: p . ti = f*w -f- v -4- .... -4- ft(n) -f .... Considerando in ciascuno la prima unità, e disponendo queste unità come primo, secondo, ecc. - 3mo elemento (/"), e così ripetendo l'operazione fino al- l'esaurimento delle unità del numero f*, si ha: Dim. II. Si è visto che 2 ooT=ooT2 (es. 1). i) Se nell'esempio dato della retta (nota prec.) dopo aver percorsa l'intera retta da A nel verso dato A rappresentasse il numero i percorrendo un' altra volta la retta essa rappresenterebbe il nu- 2 mero i

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122 Ammesso il teor. per n 1 lo si dimostra per w, cioè t perché noo,=((tt l) + l)ootc=(^ 1)00! + ^ (g) = 00^- IJ-f-OOjCsrOOj.W. (d, 47) Così si ha: n ( ODT rt m) = oot nit m n = ( OOT rt *n) w (d) Ora 2a I2==2.ooI.ooI =ool.2.ool==oDI22 similmente si dimostra che: OOj2.WSSn.00,2 e perciò ( oot2 nT dr oot %2 it n3) m = ooT2 n^ m - oot n2 m : ^3 m = m oot2 nt zi: m OOT n2 it m % = m ( ooT2 nT 00^21*1 %). (cO II numero oo^1 è ottenuto dalla somma di OOT numeri uguali a oot -i; ap- plicando dunque la dimostrazione pel caso dell'unità 1 (es. 1) si ha; Così vale la stessa dimostrazione per ooTJ* essendo esso la somma di oot numeri uguali a o^f*-1, e si ha: 2 00^ = 00^2 e quindi anche m ooTf* ss oo^ m. Ora essendo dati due numeri pt e tj rispettivamente di ordine p e if (def. II, 86 e oss. Ili, 91) si pongono sotto la forma oo^ n, it oo'1 nt dz .... dt w^' (ind I, 91) valendo la legge distributiva, e poiché ooTJ* oo^ = oot^ -*-11 == oo^ * ** per la legge commutativa dei singoli prodotti della somma si ha: Z. / numeri della classe (II) si lasciano aggruppare successivamente in se- rie illimitate di la specie, e queste in serie pure illimitate di la specie, e così via minutamente. Difatti ogni numero della classe (ti) è della forma Z (ind. I, 91). Ponendo nt n2 = .... :=f?jA = o e lasciando variare n\p\ si ha la serie (I), che indico con 8^ ). Per ^t = Wg = .... w.jx.1 = o lasciando variare n^ , ^+1 abbiamo per ogni valore di np una serie ST, e quindi per tutti i valori di wp si ha una serie 2(0) ^"

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123 limitata di la specie rispetto alle Sl *). Cosi seguitando si vede che i numeri di ordine p costituiscono una serie Sp che dirò di pma specie. La prima serie f ) è: o 1 2 .... n .... .... OOj m .., - -. - -.+ . ..... .... OOT mi m2 t... O0[ 992| OO-^ 9%f -f- )7?2 ..... 00t2 T2 -f ooT m, wzg .... ooj2 -f oot mT .... oot2 00T2 Indicando con Sl una qualunque delle serie di la specie contenuta nella /Sgto), con /Sg una qualunque delle serie di 2a specie contenuta in SJ \ e così via, abbiamo la serie Si S2 *S3 .... Sn.... rappresentata dai numeri che hanno per simbolo comune rispettivamente o T, oot2, ooT3 .... oo^ .... Indico questa serie con 2tt ), subito dopo di essa viene la serie .... 00, ! .... 00^1-*-^ 2t 2) 1) S'intendono fin qui valori sempre interi e positivi finiti. 2) Facendo seguito alla 2 nota 90 e alla 3 del n. 92 diamo i seguenti teoremi ; 1. La serie eli numeri dati che precedono un numero infinito dato nella nostra classe (li) ha la prima potenza. A questo scopo si osservi che dal simbolo z di un numero dato di (li) (ind. i, 91) risulta che esso dipende dai numeri n finiti di (I) che sono in numero finito, e quindi i numeri di (II) di ordine non superiore a f* si possono far corrispondere univocamente ai numeri di (I). 2. La classe (11} non ha la stessa potenza della classe (i.) Difatti ai numeri della forma , co2.... Wn .... cow ... Q ... di a. cantor possiamo far corrispon- dere tutti i gruppi di numeri i * i (*M=ot i. 2, ... n ...) OD^ oo1n1-+-ng (HJ, H2=o, 1, 2 ..., n.... se nj=o anche n2 deve essere o nel caso del segno -4-). Ad o)W facciamo corrispondere tutti i numeri che precedono ooi i compreso xi00! e seguono i nu- meri dei campi infiniti d1 ordine finito e al numero co?} tutti i numeri che si ottengono dal simbolo wjl) ponendo in luogo di tj i nostri numeri che gli corrispondono, e tutti quelli fra essi compresi. Ma il sig. cantor ha già dimostrato che la sua classe (II) di numeri transfiniti non ha la stessa potenza di (i). (Vedi ad es. : Acta math. voi. li, pag. 391-392), dunque non la ha neppure ta nostra. 3. La nostra classe (//) ha la stessa potenza della classe (II) di cantor. Supponiamo difatti che abbia la potenza della classe HI di Cantor, che è immediatamente supe- riore a quella della classe (II) secondo la definizione stessa della classe (III) (2 nota 90). Ciò significa che vi sarà almeno un numero y della nostra classe (li) che corrisponde ad un numero della classe (IH), Ma perché ciò fosse bisognerebbe che la serie dei numeri che precedono fi fosse della potenza di (II), il che è assurdo, (i). Le nostre grandezze infinite e infinitesime hanno delle analogie colle grandezze infinite e nulle

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e ogni numero di questa serie rappresenta una serie ; cioè: !- ! 'S'ooj-Wj-t-z .... S i S l+.nil la prima delle quali Contiene tutte le precedenti date dai numeri da o sino al numero 00^1-* !%l + ooT vmri n2 -f .... -f-OOT*I-WI- ftw + oot r W'T + oo *'-i ^'2 -f .... 4. rim m. I segmenti finiti infinitesimi e infiniti fino all'ordine p, compresi tutti quelli i cui ordini sono finiti col numero p formano un gruppo che si trasforma in sé medesimo prendendo un numero finito di volte gli infiniti o gli infinite- simi degli stessi ordini di ogni segmento del gruppo. Sia j* infinito d'ordine a, il tipo di jt* è ooto e quindi il tipo dei numeri infiniti di ordine \t è 00^1 ". n^ essendo nt finito, al quale possono essere ag- giunti o tolti numeri infiniti d'ordine inferiore (ind. I, 91). Tutti i numeri infiniti d'ordine fluito con quelli di ordine f* sono del tipo 0^*1 . Se sono dati due di questi numeri i cui numeri tipici massimi che li com- pongono sono della forma oo^i^, ooT ia , moltiplicati fra loro danno evidente- mente un numero dello stesso gruppo, perché si ha i^.o^i^rr:* ^!^*-^. Se si considera un segmento (AB) infinitesimo d'ordine i) al più finito con pi, 1' unità fondamentale (AAt) è infinita d'ordine i} rispetto ad (AB). Se si considera un multiplo di (AB) secondo un numero a infinito d'ordine al più finito rispetto a p, si ha un segmento infinito d'ordine a rispetto ad (AB) (f, 92), il quale o sarà infinitesimo, finito o infinito rispetto ad (AAJ (/", 82). Nei primi due casi è compreso nel campo suddetto, mentre se è infinito non può essere maggiore del multiplo di (AAJ secondo lo stesso numero a, perché questo ri- spetto ad (AB) è dell'ordine i?-fa (f, 92). Se consideriamo un segmento infinitesimo di (AB) secondo l'ordine a, questo sarà infinitesimo d'ordine 13-f a rispetto ad (AAT), ma poiché ij e a sono al più finiti con p, anche ij-4-a è al più finito con p (i, 82 e def, I, 87). Il teor. è dunque dimostrato. del DU Bois-Reymond (Matti. Annr. XI, Ueber die Paradoxen des Infinitàrcalculs; Die Allg. Furictio- nentheorie-Ttlbingen 1882, p. 278 Ueber dea raonotoaen Endverlauf der Functionen und die infinitare Pantachie ). Del resto anche colle altre grandezze infinite o infinitesime possibili hanno dei caratteri comuni, primo fra tutti quello che sono maggiori o minori di ogni grandezza finita. Ma rispetto agli infiniti e nulli del D. B. R. osservo che r origine non è la medesima perché né i nostri segmenti né i nostri numeri della classe (II) sono definiti come ordini d'infinito di funzioni rispetto ad una data unità ; anche supponendo che ciò si possa, si vede che in generale non si corrispondono. Difatti il prof. Pino he rie in una nota (Alcune osservazioni sugli ordini d'infinito delle funzioni Bologna 1884) ha osservato che essendo A, -B, C, ordini d'infinito secondo la def. del D. B. R, e se A #, A e non solo si può dir nulla sulla uguaglianza o disuguaglianza fra B e e, ma non si può nemmeno ricono- scere se le funzioni cui corrispondono gli ordini Be C siano paragonabili tra loro, mentre se A, J9, C sono tre dei nostri segmenti infiniti abbiamo sempre che B e C sono paragonabili o soddisfano ad una o all'altra delle relazioni A|= B. Dalle nostre ipotesi sugli infinitesimi che completeremo in seguito (ip. Vi, VII, Vili), è chiaro che i) concetto di grandezza infinita e infinitesima dell'idealista di D. B. R. (Allg. F. T. pag. 71-75 e 283) non è determinato allo stesso modo. (Vedi nota 2 n. 85 e nota i n. 96).

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125 6. Unità di diverse specie Nuovo carattere deir unità di misura. 94. Def. I. Quando diremo unità di una data specie intenderemo uno qua- lunque dei segmenti della medesima specie (def. I, 86). E partendo da una data scala come prima scala, Punita corrispondente, che è anche l'unità fondamentale (def. VII, 91) la chiameremo anche unità di la specie. E l'unità corrispondente al campo infinito d'ordine % la chiameremo unità di speci? ti. Ose. I. Dato un segmento (AB] non sappiamo ancora se contenga segmenti in- finitesimi, anzi si può supporre che non contenga alcun altro elemento fuori di A e AI {def. VI, 62) od anche che avendo altri elementi non contenga alcun infinitesimo, non essendo stata fatta alcuna ipotesi sulla unità fondamentale dalla quale siamo partiti (088. I, 80). Def. IL Noi stabiliamo fin d'ora che l'unità di misura sia un segmento contenente almeno un infinitesimo di 1 ordine. E supporremo la stessa cosa per ogni segmento, quando non diremo il contrario. Oss. IL Evidentemente questa nuova definizione di unità non contiene alcuna ipotesi poiché è una denominazione diversa dei segmenti che hanno un infinitesimo almeno, e significa soltanto che noi ci occupiamo d'ora innanzi delle sole scale, le cui unità di misura sono di questi segmenti. 7- Divisione dei segmenti finiti in parti finite Segmento finito sem- pre decrescente Suo limite Segmento indefinitamente pic- colo rispetto a una data unità, Ipotesi sulla contuinità relativa, ad un'unita Elementi limiti di un gruppo di elementi rispetto ad un'unità nella forma fondamentale. 95.a. In un segmento qualunque (AB) nel verso da A a B vie a cominciare da A una serie di n parti consecutive finite rispetto ad essof qualunque sia n. Ciò risulta dalla def. II del n. 82 e dal teor. b. 85; basta applicare questo teorema n volte. d. In ogni segmento (AB) vi sono sempre segmenti (AJff) i cui multipli se- condo il numero dato n sono minori di (AB\ e altri i cui multipli secondo lo stesso numero sono maggiori di (AB). Difatti (AB) si può scomporre in un numero n finito (A#), (RB").... di segmenti consecutivi (a), e si può sempre supporre ve ne sia uno almeno

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126 minore degli altri, perché se sono tutti disuguali trascurando ogni segmento maggiore di un'altro degli n segmenti e ripetendo questa operazione al più per n-1 degli n segmenti il segmento rimanente deve essere il minore; op- pure perché se fossero tutti uguali basterebbe dividere il primo in due parti (AB'), (BfB} ) e riguardare come primo segmento (AB1) e come secondo (Btjffl). Per il primo evidentemente si avrà: (AB')n (AB) (cf,79). Se il più grande dei segmenti è (BWB) = (ABÌ) avremo invece: (ABi}n (AB) (ti9, 79). b. Un segmento finito della forma fondamentale può essere scomposto in un numero intero finito di parti finite consecutive ciascuna più piccola di qual- siasi segmento finito dato. Il segmento dato sia (AB); (A#) = cc, (B'B) = jS siano due parti finite con- secutive di (AB) (a). Supponiamo che sia = /3 il segmento finito dato quanto piccolo si vuole. Se ^ 0 il teorema è immediata conseguenza del teorema a. Se invece ]5 a vi è sempre un numero finito n tale che si ha: (def. II, 82 e cr, 81) vale a dire a = ]Sn4-y essendo 7 |S. Ma pel teorema a possiamo scomporre jS, sebbene sia piccolo quanto si vuole ma dato, in parti finite più piccole, e quindi così facendo per ogni parte di ]3 contenuta in a, il teorema è dimostrato. Oss. I. La serie dei segmenti finiti (AX) contenuti in un segmento (AB) si può immaginare generata da un segmento variabile sempre decrescente (def. I, 83) nella quale A è sempre lo stesso e X varia in modo che in ogni stato (AX) è un segmento della serie minore di ogni segmento precedente. Def. I. Se un segmento variabile diventa più piccolo di ogni segmento finito dato (6), diremo che esso diventa indefinitamente piccolo rispetto all'u- nità finita. e. L' inde finitamente piccolo rispetto ad un'unità è diverso dal? in finita- mente piccolo rispetto alla stessa unità. Difatti in ogni suo stato (AX) è finito e non esce dal campo dei segmenti finiti, e quindi non può diventare in questo modo infinitesimo (def. II, 82). Def. II. Diremo anche che un segmento variabile finito (AX) coir estremo X variabile il quale diventa più piccolo di ogni segmento finito dato arbitraria- mente piccolo tende a diventare infinitamente piccolo di 1 ordine se vi sono o se consideriamo in esso altri infinitesimi ; altrimenti diremo che tende a diventare infinitamente piccolo (def. II, 94). Def. III. E il segmento infinitamente piccolo di 1 ordine si chiamerà limite del segmento variabile finito (AX), e si scriverà: lim (AX) = infinitesimo 1 ordine. d. Se un segmento (AX) finito e con un estremo variabile diventa più piccolo

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127 di ogni segmento finito dato esso ha per limite il segmento nullo rispetto aW u- nità. ( ', 91). Si ha cioè: lim(AJT) = o Def. IV. Un segmento finito variabile (AX) tale che Xsi avvicini (def. VI, 67) indefinitamente rispetto ali' unità di misura ad un altro elemento B, si dice che ha per limite (AB)9 e si scrive: lim(AX)==(AB) O e. Un segmento può diventare indefinitamente piccolo sia in un verso come nel verso opposto rispetto all'unità data. Difatti si può considerare un segmento (A.\ A) uguale ali' unità (AA,) (def. I, 68) e tale dunque che (A.iA) sia diretto nello stesso verso di (AA,). Consi- derando X nel segmento (A.i A), se aumenta (A-i X), (XA) va sempre diminuendo (0V 73), e diventa più piccolo di ogni segmento finito dato arbitrariamente piccolo (A1 A), essendo A' compreso in (A-iA). Così dicasi se l'elemento X è si- tuato neL segmento (AAJ. f. Se gli elementi X e X' si avvicinano indefinitamente in versi opposti ad un elemento A, il segmento (XX") diventa indefinitamente piccolo rispetto aWu~ nìtà data. Difatti si ha: (XX*)==(XA)+(AXr) e siccome (XA) e (AX') diventano indefinitamente piccoli (e) anche la loro somma diventa indefinitamente piccola. Se per es. (XX') rimanesse maggiore di un segmento finito dato per quanto piccolo, si può sempre scegliere un se- gmento uguale al dato, composto di due parti finite ( Yj A), (A Y/) ( ', 69). Ma (AX) e (AX') devono diventare per dato più piccoli di (^A) e (AY/), dunque X e X' devono oltrepassare gli elementi Y, e Y/ ciascuno verso A e quindi il seg- mento (XX1) non può rimanere maggiore del segmento dato ( YtA) -f (A Y/) (d, 73), e il teorema è dimostrato. Oss. IL Anche in questo caso si scrive g. Un segmento che diventa indefinitamente piccolo rispetto ad una data unità cogli estremi variabili in versi opposti e contiene un elemento A fuori del campo di variabilità dei suoi estremi ha per limite il solo elemento A ri- spetto a questa unità. È una forma diversa del teor. f combinato col teorema d (oss. I, 76). h. Se X si avvicina indefinitamente ad un elemento X', e questo nel mede- simo verso ad un elemento A, X si avvicina indefinitamente ad A. X1 è compreso nel segmento (XA) (def. II, 62 e 23). Se X non si avvici- i) Limitandosi al campo di una sola scala è improprio chiamare infinitesimo un segmento va- riabile sempre finito che diventa indefinitamente piccolo. Considerando come facciamo noi gli infi- nitesimi attuali (per distinguerli dagli indefinitamente piccoli che sono infinitesimi potenziali) e si chiamassero semplicemente infinitesimi i segmenti indefinitamente piccoli si farebbe un grave errore,

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128 nasse indefinitamente ad A vi sarebbe un segmento (AA) tale che in (A'A) non vi sarebbero elementi X (def. II). Ma in [A'A) vi è un elemento X' e quindi non vi sarebbe nessun elemento X compreso nel segmento (A'X') contro il dato. Dunque ecc. i. Se X e X' si avvicinano indefinitamente nello stesso verso dir elemento A, (XX*) (o (X'X)) diventa indefinitamente piccolo. Se (XX') (o (X'X)) restasse superiore di un intervallo dato e, (XA) o (X'A) contenendo (XX') (X'X) resterebbe pure superiore a e, contro il dato (def. I). 96. Oss. I. Noi abbiamo supposto che il segmento variabile finito (XX1) abbia un elemento A fuori del campo della variabilità degli elementi X e T. Ma se con una legge data si ha un segmento i cui estremi sono variabili in senso opposto e che diventa indefinitamente piccolo, dai principi precedenti non risulta che vi sia un ele- mento di esso fuori del campo di variabilità dei suoi estremi, perché l'ipotesi oppo- sta non conduce ad alcuna contraddizione con quei principi, eccetto che si sap- pia che un tale elemento esiste. Si può immaginare infatti un gruppo di elementi che soddisfi no alia definizione del sistema omogeneo e anche se si vuoi 3 del siste- ma identico nella posizione delle sue parti (def. I, 68 e def. I, 70) e tale che .ogni seg- mento di esso sia finito rispetto ad un segmento dato qualunque del gruppo, e tale inoltre che dato un elemento A non vi sia rispetto ali9 unità data in uno o fcell' al- tro verso a partire da A un primo segmento finito. Per le proprietà stesse del si- stema omogeneo ogni elemento del gruppo sarà dotato di questa proprietà, in uno e nell'altro verso (def. I, 68 e b, 69). Se poi intorno ad ogni elemento imma- giniamo dei campi infinitesimi, ed es. uno solo, i cui elementi rispetto ali' unità data coincidono (#, 85) in modo che gli elementi del campo infinitesimo soddisfino alla stessa definizione del sistema omogeneo sarà soddisfatta l'ip. IV dai segmenti finiti rispetto ai segmenti infinitesimi. Infatti se si considera come unità un infinitesimo di 1 ordine, un elemento dato del primo gruppo è ali' infinito a partire da un altro ele- mento dello stesso gruppo; e poiché in ogni segmento di questo gruppo rispetto alla prima unità vi sono altri elementi del gruppo che formano cogli estremi segmenti finiti relativamente a questa unità, è così soddisfatta l'ip. IV. Ma sebbene ogni elemento sia elemento limite di uno o più segmenti variabili (XX% inversamente non si può a priori dire che un segmento variabile (XX') che di- venta indefinitamente piccolo e i cui estremi sono elementi del gruppo, contenga al- tri elementi fuori del campo di variabilità dei suoi estremi e che quindi abbia un ele- mento limite (g, 95); come non è escluso che possa esistere sempre un tale elemento. Ricorrendo al continuo intuitivo determinato dai punti dell'oggetto rettilineo (55) noi siamo condotti ad ammettere che in ogni caso il segmento variabile (XX*) contenga degli elementi fuori del campo di variabilità fra X e X'. Dunque stabiliamo la seguente ipotesi: Ip. VI. Ogni segmento il quale avendo gli estremi sempre va- riabili in versi opposti diventa indefinitamente piccolo contiene un elemento fuori del campo di variabilità degli estremi stessi ì). Def. I. Per distinguere un tal sistema omogeneo dagli altri in cui Tip. 1) Al n. 99 dimostreremo r indipendenza di questa ipotesi dalle precedenti. L'idealista del DuBois Reymond (1. e. pag. 77), non stabilisce come sia composto un segmento dato di segmenti infinitesimi, (vedi nota 2, 85, nota 3, 93), in modo che la sua dimostrazione dell'esistenza del limite di due serie de- cimali convergenti non o determinata e contiene una petizione di principio perche suppone implicita- mente che quando il segmento finito (NN*) (1. e.) diventa più piccolo di ogni segmento dato contenga sempre un infinitesimo i cui estremi non siano elementi della serie dei punti NQM.É necessaria quindi in senso relativo r ip. vi, e in senso assoluto Tip. Vili.

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129 VI non ha luogo, lo diremo sistema omogeneo continuo rispetto all'unità data o relativo ; mentre chiameremo ogni altro sistema omogeneo ad una dimen- sione sistema discreto rispetto all'unità data. a. In ogni segmento che diventa indefinitamente piccolo rispetto ad una data unità cogli estremi variàbili in versi opposti vi è almeno un campo infinitesimo di elementi fuori del campo di variabilità degli estremi del segmento variàbile. Difatti se A è l'elemento dato dall'ip. VI, siccome vi è sempre un campo infinitesimo rispetto all'unità data (def. II, 94) così ne esiste uno di identico intorno ad ogni elemento del sistema (def. I, 68), e perciò anche intorno ad A. Nessun elemento di questo campo può appartenere al campo di variabilità degli estremi del segmento sempre variabile, altrimenti vi sarebbero degli stati infinitesimi del segmento, contro l'ipotesi (def. I, 95). b. Ogni segmento (XX) che diventa inde finitamente piccolo rispetto ad una unità data e i cui estremi sono variàbili in versi opposti, ha per limite un solo elemento del sistema, e in senso assoluto un campo infinitesimo. Difatti sia (XX1) il segmento variabile Y e Y' due elementi di esso, ma non contenuti nei campi di variabilità degli elementi X e X". Il segmento (YT) deve essere infinitesimo, se Y e Y sono distinti (def. II, 82, e def. II III, 57), poiché altrimenti nella sua variabilità (XX') rimarrebbe sempre maggiore di un segmento finito (YY1) contro l'ipotesi. b'. Dato il segmento variabile (AX) crescente e la variabile (AX.1) decre- scente diretti nello stesso verso, e se (XX') diventa indefinitamente piccolo rispetto all'unità, vi è un solo elemento Y tale che (A Y) è segmento limite dei due segmenti variabili. Se (AX) è sempre crescsnte e (AX1) sempre decre- scente, (AY) non è stato di una delle due variabili. Ciò deriva immediatamente dal teor. b e dalla def. IV, 95. e. Il sistema omogeneo continuo rispetto ad un* unità di misura lo è ri- spetto a qualunque unità infinita^ ma può non esserlo rispetto ad urìunità in- finitesima. Difatti in tal caso i segmenti finiti sono uguali rispetto all'unità infinita perché nulli (g, 85) e tutto il campo finito si riduce anzi ad un solo elemento rispetto all'unità infinita; mentre il sistema potrebbe esser discreto (def. 1) rispetto ad un'unità infinitesima intorno ad un suo elemento dato qualunque del campo finito. 97. a. Gli stati successivi di una variabile sempre crescente o decrescente e illimitata di la specie a partire da uno di essi si possono indicare coi nu- meri delle serie (I). Difatti fra due stati dati consecutivi (AX), (AX') di un segmento variabile basta considerare quelli pei quali (AX') (se CJX) (AX')), oppure (XfX) (se (AX') (AX)) sia finito, perché se fosse infinitesimo si potrebbe trascurare rispetto ai segmenti finiti (g, 85); d'altronde non può essere infinito (h, 85). Dunque se la variabile è sempre crescente o decrescente rispetto all'unità di misura, (XX1) nel primo caso ((X*X) nel secondo) è sempre finito, quando si tratta di due stati diversi. Ma gli stati del segmento variabile costituiscono una serie illimitata di la specie la quale si può far corrispondere univoca- mente e nel medesimo ordine alla serie (I) (e, 46 e 6, 43); dunque gli stati 9

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130 della variabile si possono indicare successivamente coi numeri della serie (I) (47) cioè : Oss. I. Quando parleremo, di una variabile crescente o decrescente (AXn ) ri- spetto ad un'unità intenderemo, se non diremo altrimenti, una serie limitata o illimi- tata di la specie (def. 35; def. Ili, 39). Se (AB) è segmento limite di un segmento variabile (AXn) in luogo di lini (AX) = A7? si scrive: quando lina wiroo vale a dire col crescere di w, Xn si avvicina indefinitamente a Bf cioè (AXn) si av- vicina indefinitamente ad (AB} (def. IV, 95; l). Oss. IL Indicando ogni aumento della variabile, se è crescente, rispettivamente con xl #2 M* ... a partire dal primo elemento A costante, si ha: Xn = Xl -f- #2 -|~ -f" n-\ e quindi in luogo di lina n = oo potremo scrivere lini S xn ~(AB) lim nzzoo essendo S il segno di somma. b. Data la variabile finita sempre crescente (AX) ^crescente} e la variabile, finita decrescente (sempre, decrescente) (AX') nel medesimo verso tale che (AX) ((AX')) sia sempre minore (maggiore) di ogni stato di (AX')((AX)), ed ogni seg- mento (AY) minore (maggiore^ di (AX) ((AX)) appartenga alla la (2a) varia- bile, il segmento (XX?) diventa indefinitamente piccolo rispetto alla data unità. Che siano anzitutto possibili tali variabili risulta immediatamente da a, 95 e dalle def. I e II del n. 83. Osserviamo inoltre che per essere (AX) e(AX') Unite, il segmento (X'X) fra due stati qualunque di (AX) e (AX') non può mai essere infinito (h, 85). Anzitutto si vede che non può essere uno stato di (AX) segmento limite (AL) della variabile (AX'). Se ciò fosse, siccome la variabile (AX) è sempre crescente e in modo che fra due stati successivi (AL), (A J di essa la differenza è finita per quanto sia piccola (h, 85), così in (LLJ vi sarebbero elementi X', perché (LX*) deve diventare per ipotesi più piccolo di ogni segmento dato (LLJ (def. IV, 95). Dunque avremmo uno stato (ALJ della i) Rimanendo nel solo campo di un' unità come avviene comunemente, si può scrivere Ma non è proprio se non quando il segno non indica già un innito attuale, ma un infinito po- tenziale, che non è nel suo essere costante ma finito e variabile.

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131 variabile (AX) maggiore di uno stato della variabile (AX'), contro il dato del teorema- Ora supponiamo che sia sempre (1) (XX') (BC) essendo (BC) un segmento finito dato ; e per meglio fissare le idee supponiamo che nel segmento (XX1) sia contenuto sempre un segmento finito dato iden- tico a (BC) in modo che sia (XX')XBC). Da (1) si ricava che se (AX^ è uno stato qualunque di (AX) (def. I, 83) la variabile (AX') è maggiore di (AXJ 4- (XiX2) che è perciò uno stato di (AX), essendo (X^) = (BC), perché se fosse uguale o minore non si avrebbe la (1). Ma siccome la variabile (AX) non sod- disfa che alla condizione di essere sempre minore di qualunque stato della variabile (AX'), ne consegne che considerato uno stato della prima variabile, siccome la (1) ha sempre luogo per ipotesi fra due stati qualunque di (AX) e (AX') si conclude che è pure uno stato della variabile (AX) il segmento Ma qualunque sia n se (AX\) è uno stato determinato della variabile (AX), (XjX'j) è finito (Ti, 85), dunque vi è sempre un numero n tale che ,1) (def. II, 82; def. I, e', 81) e perciò se fosse vera la (1) vi sarebbe uno stato di (AX) maggiore di uno stato di (AX1), il che è contrario al dato del teorema. Dunque la (1) è assurda. Un'analoga dimostrazione varrebbe se (AX) fosse crescente, (def. I, 83) ed (AX!) sempre decrescente. e. Il segmento (Xn Xn+r) compreso fra due stati successivi (AXn), (AXn+r) della variabile finita, se è sempre crescente, o (Xn+rXn) se è sempre decre- scente, e se ha per limite il segmento (AB), diventa indefinitamente piccolo col crescere indefinitamente di n essendo r costante. Difatti scelto il segmento (B'B) nel 1 caso possiamo considerare in esso due elementi Xn e Xn+r perché per n sufficientemente grande in (B'B) cade un elemento Xn (def. IV, e o, 95) e quindi anche Xn+r* Se è decrescente ed (AB) è il suo segmento limite basta considerare un segmento (BB') nel verso di (AB). d. Un segmento finito (AXn) variabile sempre crescente (o decrescente} ha sempre rispetto all'unità di misura uno ed un solo segmento limite più grande (o più piccolo} di tutti gli stati della variabile. Se il segmento diventa più grande di ogni segmento finito dato diventa indefinitamente grande e rispetto all'unità dì misura ha il segmento infinito di 1 ordine come segmento limite (i, 85 e oss. IV, 86). Se il segmento non diventa maggiore di ogni segmento finito dato vuoi dire che vi deve essere un segmento (AB) nel verso della variabile maggiore di ogni stato della variabile stessa. Ora se (AB) è il primo segmento nel verso dato che ha questa proprietà rispetto all'unità, (AB) è il segmento limite di

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132 (AX), perché ciò significa che (XB) deve diventare indefinitamente piccolo (def. IV, 95). Difatti scelto nel segmento (AB) un segmento finito (B'B) quanto piccolo si vuole, se in esso non cadessero elementi Xn, il primo segmento maggiore di tutti gli stati della variabile (AXn) sarebbe almeno (AB') e non (AB). Se (AB) non è il segmento limite di (AX) vi sono in (AB) altri segmenti (AB'), (AB').... tali che (AB) (AB') (A ") .... maggiori di (AXn) qua- lunque sia n. Questi segmenti si possono considerare come stati di un seg- mento decrescente maggiore degli stati di (AXn) (def. II, 83) e quindi vi deve essere ( ', 96 e b) un segmento (AY) limite dei due segmenti variabili. In tal caso lo stato (AY) appartiene alla serie decrescente perché questa è costituita da tutti i segmenti compresi in (AB) maggiori di tutti gli stati di (AX). Lo stesso ragionamento vale se (AX) è decrescente, senza che X si av- vicini indefinitamente ad A, nel qual caso il segmento limite è nullo rispetto all'unità data (d, 95) l). 05*. II1. Siccome noi supponiamo che la serie corrispondente alla variabile sia limitata naturale o illimitata di 1* specie (oss. I) così essa può avere in un dato verso un solo elemento o segmento limite. Nel caso di serie che abbiano altri limiti il li- mite del teor. d è quello che ordinariamente si chiama secondo Weierstrass limite su- periore o inferiore. 1) La esistenza del segmento limite di due serie convergenti viene data da alcuni mediante un po- stulato, benché sotto forme diverse. Vedi ad es. Stolz (\. e. pag 81-81. De Paolis (Elem. di Geometria Post. x e XI, pag. 332, 334). Ma la definizione di Stolz non suppone che la variabile sia finita ed è analoga a quella usata da DedeKind per definire con serie di numeri razionali i numeri irrazionali ordinar!. Dando questa definizione come s' è detto (nota, 3 90) io Stolz dimostra P assioma di Archimele ammettendolo in particolare. Lo Stolz, come dissi {vedi nota suddetta) si serve di questa dimostra- ziona per negare l'esistenza dei segmenti infinitesimi sulla retta, mentre la sua definizione li esclude a priori, come li escludono le altre definizioni conosciute del continuo ordinario. Il signor Killing (ueber die Nicht-Eucl. Raumformen p. 46-47 Leipzig 1885) crede dimostrare la suddetta proprietà partendo dal teorema che due segmenti rettilinei o si possono sovrapporre op- pure il primo è una parte del secondo, o il secondo è congruente ad una parte del primo, aggiun- gendo che questi tre casi si escludono a vicenda. Se a partire da A, egli dice, i punti se osono nelia stessa direzione (verso) e C non appartiene al segmento (AB) vi è sempre AB un segmento (AD) multiplo di (AB) che contiene il punto C; e inversamente ................................ dato il segmento (AC) lo si può dividere in un numero finito diparti uguali in modo che almeno uno dei punti di divisione cada fra A e B. Se, egli dice, la prima proprietà non è vera vi deve essere un punto R tale cho nessun multiplo finito di (AB) su- pera (AB), mentre si giunge ad ogni punto compreso fra A e R. Se sì prende però in (AB) un seg- mento (SR)=.(AB) ; siccome secondo 1 ipotesi mediante l'addizione del segmento (AB) a sé stesso si giunge ad ogni punto compreso fra s e R io stesso processo condurrebbe oltre l'elemento R] e perciò non è permessa l'ipotesi d'un limite. La proprietà che ammette il Killing in questa dimostrazione e che non dimostra, è che se esi- ste iì punto R coli'addizione di (AB) a sé stesso si debba giungere necessariamente ad ogni punto compreso fra A e R, e che inoltre R goda le stesse proprietà degli altri punti. E questa ipotesi con- tenuta nella dimostrazione del Killing la quale esclude i segmenti infinitesimi, è in fondo la proprietà che vuoi dimostrare. H. Grassmann (Ausdehn. Lehre 1844, opp. 1878, pag. XX e seg.) dice : Die reine Mathematik ist die "Wissenschaft des besonderen Seins als eines durch das Denken gewordenen e più oltre : jedes durch das Denken gewordene kann auf zwiefache Weise geworden sein, entweder durch einen ein- fachen Akt des Erzeugens, oder durch einem zwiefachen Akt des Setzens und verKnupfens. Das auf die erste "Weise gewordene ist die stetige Form oder die Gròsse im engeren Sinn, das auf die letztere Weise gewordene die disKrete oder Verknùpfungsform. Egli ammette il concetto del divenire conti- nuo ma non lo definisce. Egli dice che P atto del generare si può ritenere composto di due atti, del porre e dell'unire, e ciò che è posto nel momento del porre è già unito a ciò che è diventato. Ma que- sta non è punto una definizione determinata di ciò che è l'atto del generare. Ammesso pure che questo atto abbia un senso ben determinato, come ad es. Patto del pensare prima una cosa e poi un' altra cosa (sul quale abbiamo fondato il concetto di serie), bisogna pur cominciare da qualche cosa per generare qualche cosa, ora questa qualche cosa da cui si comincia è o iion è una parte

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133 d'. Due serie di segmenti sempre crescenti o decrescenti rispettivamente uguali, determinano segmenti uguali rispetto all'unità data. Siano (AB) e (A'I?) i segmenti determinati dalle due serie (d). Se fosse (AB) (A'B1) in (AB) vi sarebbe un segmento (ABJ ~ (AB*) (def. I, II, 61 e b, 69), e quindi la prima serie dovrebbe avere per segmento limite (ABJ come la se- conda ha per segmento limite (A'B'), il che è assurdo (e e , 61 e d). d". Due sme di variabili (AX) e (AX') runa crescente e l'altra decrescente hanno un segmento limite comune se (AX') è sempre maggiore di (AX), ed ogni segmento (AC] maggiore di uno stato di (AX) e minore di uno stato di (AX) è uno stato di (AX) o di (AX). La variabile (AX) è limitatamente o illimitatamente crescente (def. I, 83). Nel primo caso l'ultimo stato (AC) di (AX) è suo segmento limite. Se la va- riabile (AX') è limitatamente decrescente, essa deve avere per dato lo stesso segmento (AC) come primo segmento o segmento limite, altrimenti se fosse (AC')XAC) questo segmento, essendo D un punto di (CC1) il segmento, (AD) non apparterrebbe ad alcuna delle due variabili. Se invece (AX) è sempre decrescente si cade nel caso del teor. b e per- ciò hanno un segmento limite (AY) comune ( ', 95) che in tal caso è (AC) ( #). Slmilmente, se (AY) è sempre crescente essa ha un segmento limite (AX) (d), e considerando poi come stato di (AB) anche (AY) si ricade nel caso pre- cedente. 98. Def. I; Un elemento A si chiama elemento limite rispetto ad un'unità di una serie di elementi XlX2....Xn.... ordinati in un dato verso nella forma fondamentale; o quando è (come abbiamo inteso fin qui nel caso del segmento (def. V, 62)) il primo o l'ultimo elemento della serie; oppure quando la serie è tale che in un segmento (AM) imito quanto piccolo si vuole nel verso op- posto di essa vi è un elemento della serie data. a. Se (AB) è il segmento limite di un segmento (AXn) l'elemento B è ele- mento limite della serie data dagli elementi Xn. Difatti un segmento variabile finito equivale ad una serie data di seg- menti finiti (def. I, II, 83), in modo che il segmento limite del segmento va- riabile è segmento limite della serie. Se (AB) è il segmento limite, in un seg- mento (BfB) quanto piccolo si vuole cadono elementi Xn (def. IV, 95) e quindi B è anche l'elemento limite della serie di elementi Xn col crescere indefini- tamente di n (def. I). del continuo. Se non lo è essa aola non può generare il continuo, perché gli elementi senza parti della retta non costituiscouo la retta, e perciò non può servire a generare il continuo stesso; o è una parte del continuo e in ogni suo stato in cui la consideriamo è già essa stessa un continuo e si cade in una petizione dì principio. Più avanti, p. XXII, CrrassmannAic : Das was ueu entsteht, entsteht eben nur an dem schon gewor- denen, ist also ein Moment des Werdens selbst, was hier in seinem weiteren Verlauf als Wachsen ers- cheint . Ma tutta la forma stessa sì può ritenere si ottenga da una sua parte già ottenuta; e non è certo questa una parte indefinitamantente piccola, come egli sembra voler dire colla parola momento ; e se si vuole partire dal concetto di momento, corrispondente ali1 istante del tempo, bisogna considerarla rispetto ad una parte già data e costruita. Come si definisce una grandezza arbitrariamente piccola se non la si confronta con grandezze già date? E non si ammette cosi implicitamente il continuo come dato, senza punto definirlo? La definizione del continuo mediante il movimento di un punto ha gli stessi difetti, oltreché il punto senza parti non genera il continuo (55). Il linguaggio del movimento si può applicare anche ad un sistema discreto (67). E chiaro dunque che astrattamente la continuità del movimento ammette il continuo già esistente {Vedi pref ).

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134 b. Un gruppo di un numero infinito ( oo ) di elementi distinti (X) compreso in un segmento dato (AB) ha sempre almeno un elemento limite rispetto ali9 u- nità di misura. Se A non è limite di (X) significa che vi sono segmenti (AY) di (AB) che non contengono infiniti elementi X (def. i;. Se uno degli elementi Y, ad es. Yly non è limite di (X) vi è un segmento (AYJXAYJ che non contiene infiniti elementi di (X). Se nessuno degli elementi Y è limite di (Y), la serie (AY) in (AB) è sempre crescente e quindi ha un segmento limite (AG) (d, 97). L'e- lemento C è limite del gruppo X, altrimenti se in un segmento (CC1) nel verso di (AB) non vi fossero infiniti elementi X, (AO) sarebbe uno stato di (AY) con- tro d, 97. L'elemento limite può appartenere al gruppo stesso. ti. Una serie di elementi (Xn) sulla forma fondamentale tale che il seg- mento (Xn Xn+r) coli' aumentare di n diventa inde finitamente piccolo ha un solo elemento limite rispetto all'unità di misura. Difatti deve essere contenuta a partire da un elemento Xn in un dato verso in un segmento (Xn B) altrimenti (X Xn+r) non diventerebbe indefinitamente piccolo. In questo segmento vi è un numero infinito ( oo ) di elementi X ap- punto perché (XnXf^r) diventa indefinitamente piccolo, e quindi (Xn) ha un elemento limite. Non può avere che un solo elemento limite in questo caso perché n diventa indefinitamente grande una sola volta, cioè la serie ( Xn ) è illimi- tata di la specie (def. Ili, 39), e quindi (Xn Xn+r) diventa indefinitamente pic- colo una sola volta. Scomposizione di un segmento finito in n parti uguali Legge Com- mutativa della somma di due o più segmenti consecutivi II segmento (AB) è identico allo stesso segmento percorso nel verso opposto rispetto alF unità finita Elementi limiti del gruppo di elementi ottenuto colla divisione successiva di un segmento in n parti uguali Altre proprietà degli elementi limiti dei gruppi rispetto ad un' unità. 99. a. Se il segmento (X^J, o (3?^), dato da due segmenti (AXJ, (AX'Ì) diventa indefinitamente piccolo, il segmento dato dai secondi estremi dei mul- tipli di (AXJ e (AX'Jj secondo lo stesso numero n diventa pure indefinitamente piccolo . E inversamente. Sia (AJTOXAjy; si ha: ( 1 } (AX\) n (AXJ n (d, 79) e indicando con Xn e Xn i secondi estremi di questi multipli si ha: (AX'n) (AXn) in modo dunque che Xn cade nel segmento ( AX'n) (def. I, 6! ; e', 68, 6, 36). Dato un segmento (AC) qualunque il suo multiplo secondo un numero dato nel suo verso a partire da A è determinato ed unico ( , 72 e d', 79). Si viene

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135 dunque così a stabilire una corrispondenza univoca e del medesimo ordine fra gli elementi Xl e gli elementi Xn, perché ad ogni elemento X, a partire da A corrisponde un solo elemento Xn, e viceversa ad uno di questi elementi non può corrispondere che un solo elemento X,. Se ne corrispondesse un al- tro X\ si dovrebbe avere (AX\)n~(AXì)n = (AX,l) da cui (AX\)=(AX,) (d', 79) ; dunque X\ coincide con Xl (6,' 69). La corrispondenza è anche del me- desimo ordine perché se si ha (AX^ì) ^(AXl) t(AX"l) per la (1) si ha pure: (AX'n) (AXn) (AX"W) (d, 79), vale a dire se X, è compreso fra X\ e X\\ Xn è compreso fra gli elementi corrispondenti Xn, X"n (def. I, 61). Se dun- que (AX,) è uno stato della variabile (AX) e se (X,X',) decresce, decresce pure (XnX'n) per la corrispondenza univoca e del medesimo ordine (def. I, 61), e quando (X,X',) diventa indefinitamente piccolo, (XnX'n) ha un segmento li- mite (Xn Y) supponendo che Xlf e perciò anche Xn, sia costante (d9 97). Dimostriamo che Y coincide con Xn. Supponiamo dapprima n = 2, e sia (AX*,) (AX,). Sia (X',X"2) = (AX,) = (X,X2), (AX\) = (X',X'2) , 69) (2) siccome (AX,) = (AX,) + (X,X2), (AX"2) == (AX\) + (X',X"2), (AX'2) = (AX\) + (X\X'2) (def. I, 72) si ha: (AX2) (AX"2) (AX'2) (3) perché (AX,) (AX\) e (X\X"2) (XiX'J (def. I e II, 61 ; g, f, 73). xl ....... Così si stabilisce ima corrispondenza univoca e del medesimo ordine fra gli elementi X\ e X"2 e quindi anche fra gli elementi X"2 e X'2 (f, 42). Di- fatti come ad ogni elemento X\ corrisponde un solo elemento X"2 nel verso di (AB) (b'j 69), così ad ogni elemento X"2 non può corrispondere che il solo ele- mento X\ perché vi è un solo segmento (X\.X"2) identico al segmento (AX,) nel verso dato e in modo che X"2 sia secondo estremo ( ', 69). Se un elemento precede X\, l'elemento corrispondente deve precedere X"2 essendo il seg- mento di due elementi corrispondenti qualunque uguale ad (AX,) (def. I, 6', 61), dunque la corrispondenza è anche del medesimo ordine (def. Ili, 42). Ora, se (^^i) diventa indefinitamente piccolo tale diventa pure (X2X"2), perché se no (X2X"2) avrebbe un segmento limite (X2 L) (d 97) e quindi scelto un elemento Z fra X2 e L (a, 95) e considerando il segmento (WZ)^(X,X2) nello stesso verso ( ', 69), l'elemento W non potrebbe cadere in (X^), pei punti del quale gli elementi corrispondenti X"2 sono situati fuori del seg- mento (^2^)' Dunque il segmento (^X ) sarebbe parte del segmento (WZ)9 il che è assurdo (d, 73). Dunque L deve coincidere con X2.

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136 Ora si ha: (AX1)^(XÌX'Ì) = (AX\)Ì {XlX'J + WtXj = (XlXJ (def. I, 72) e per le (2) si ha: Se dunque (X^J diventa indefinitamente piccolo tale diventa anche (X"23T2) (def. I, 95; e, 61); ma lo diventa anche come si è veduto il segmento (X^X"2)9 dunque anche (X2X'2) (Ti, 95), ciò che era da dimostrare. Se fosse (AXt) ^(AXì) si avrebbe (AX2) (AX'2) (AX"2) (d, 79 e f, 73) n ^ , X?i X 2 X. 2 Z e se vi fosse un elemento L limite di X"2 differente da X^ il segmento (WZ) = (^Ti-Xg) avrebbe I1 elemento W nel segmento (AX^ distinto da Xl (d, 73; def. I, e, 61), mentre per ogni elemento X\ compreso in (WXJ l'elemento corrispon- dente X"2 sarebbe situato contro l'ipotesi in (LX2) (g, 73 e def. I 61); dunque L deve coincidere con X^. In questo caso si ha : da cui (X-.X.) == (X-2X"2) (def. I, 74, ff'", 73) e per conseguenza (X*2X"2) diventa indefinitamente piccolo con (X^XJ, ma tale diventa anche (X"2X2) e quindi anche (3T2X2) (^ ^ - II teor. per n= :2 è dunque dimostrato. Ora supponiamo che se X'l si avvicina indefinitamente ad X^ JTn_! si avvicini indefinitamente ad Xn.i (def. I, 95). Dimostriamo che ciò ha luogo anche per gli elementi X , e X'n. Si ha (AXJ = (X^Xn-i) = ( Xn^Xn ), (AX\) = (Xt^X'n.l) = ( Xtn.lXtn ) per dato, e nel caso (AXl) ^(AXl) si ha: X'n) (4) __ X'n~2 X'n-l X"n X'n Sia Mxrn)=(xn.lxn), (5) per la (4) 3T'ncade nel segmento (X*n-iXn) (def. I, 61; e', 68; 6, 36), e poiché è (AX'n.i] (AXn.i) (d, 79), ^n i è compreso per la stessa ragione fra X^^ e X'n, e quindi per (5) e (4) X"n è compreso fra Xn e 3TW. Si dimostra come per n = 2 che quando Xn.\ si avvicina indefinitamente a -X"n-i Xn si avvicina indefinitamente a Xn. Si ha inoltre:

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13? ma essendo (AX'n^) (AXn-z) (d, 79) e (AX'n-i) (AX'n.2) /*, 73), si ha: (Xn-2XVi) (XV2XVi)EEE(XViX',0 (e1, 68; 6, 36 e def. I, 61) dunque (Xn^X'n.,) (X"n X'n ) ((5), f, 73). Se (Xn-iXVi) decresce indefinitamente a maggior ragione decresce inde- finitamente (X"nX'n ) (def. 1,95; d', 61), dunque anche (XnX'n) (h, 95) '). Xn-l Xn X'n-l X'n X"n Se (AX\) (A^) si ha (AXVi) (A Xn-\). Si può far accostare X'n-i a Xn.\ in modo che X"n cada fra Xn^ Xn, basta che sia (X'n-iXn_i) ^(Xn_iXn) ( ', 69); e poiché (X n-iXn ) (XViX"n ) (def. I, 61) (JTn.iX'n ) (X'^X1^ ) per co- struzione, l'elemento X"n è compreso fra X'n, e Xn( ?', 68; , 36 e def. I, 61). Ora si ha: (Xn_2Xu-i) (XV-iXn-i) ==.(Xn-8X'n..i), (X'n-lX"n ) (X'n X*n)~ (X'n-lX'n ) e T elemento X'w_i è compreso fra Xn.2 e Xn-i essendo (Xn.zXn^) =. ( X'n.iX"n ) (d, 73 ed e, 61). E come prima si dimostra che X"n ha per elemento limite Xn quando Xtn.\ ha per elemento limite Xn.i (def. 1, 98). Ma (Xn-zX'n-i) ^ (X'n-gX'n-l) ^ ( X'n-iX'n ) ( X'n-iX"n ) essendo per dato (AXn^) (AX'n-2) (^, 79) e (^-sX .!) = ( X'n.i^"n ) ; dunque (XVi^n-i) (^^"n) ( ief. I, 74; 0V , 73), e perciò (X'nX"w) diventa indefi- nitamente piccolo con (X'n-i^n-i), (def. I, 95 e d', 61), e quindi anche (X'nXn) (h, 95). Dunque se il teorema è vero per n le vero per n, ma lo è per n = 2, e perciò anche per n qualunque (e', 46 ; Z, 39). Se si suppone finalmente che X, X'\ siano tutti e due variabili in verso opposto o nello stesso verso in modo che (X^'j, o (X'^XJ, diventi indefinitamente piccolo; CX^X'J, opC'jXj), determina un elemento limite Yl (b, 96 opp. b, 97). Ma quando (X^ X J, o (^',^i), decresce indefinitamente decrescono pure indefinitamente (X^YJ e (Yì-X'j), ovvero (^Yj) e (Y^) nel primo caso; nel secondo caso (X^FJ e (XIY\)Ì oppure (Y^J e (YjXJ; e inversamente (def. I, 95 e Ti, 95). Dunque per le dimostrazioni precedenti diventano indefinitamente piccoli (Xw Yn) ( YnX'n) o (X'nYn), ( Y'nXn) nel primo caso, e nel secondo (XnYn)ì (XnYn) oppure ( Yn X'n ) e ( Yn Xn ) quando diventa tale anche (X^J, o (X'^), e perciò anche (XnX'n), o (X'nXn) (h, i, 95). La prima parte del teorema è dunque dimostrata. Inversamente se (XnX'n), o (X'nXn), ha un elemento limite Yn, il seg- mente (AX) ha un segmento limite (AY) (d1, 79 e d, 97), e per la prima parte del teorema deve essere (AY)n = (AYn) 2). 1) La dimostrazione è indipendente dall'essere 3T'n-2 contenuto al segmento (Xn-zXn-D- ) La dimostrazione è lunga ma in compenso e semplice e intuitiva. Questa proprietà è fonda- mentale per quelle che seguono che sono pure proprietà fondamentali del continuo.

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138 b. Ogni segmento finito può èssere diviso in un solo mòdo in un numero finito n qualunque di parti consecutive uguali dello stesso verso rispetto alla unità di misura. Sia (AB) il segmento dato. Vi sono segmenti (A) i cui multipli secondo n sono più piccoli di (AB) (a', 95). Sia dunque AX(U) n = (AXWn ) (AB) ) Ora, se in ogni segmento (B'B) contenuto in (Kn^B) non vi fossero altri elementi Xn, siccome vi sono elementi X\ tali che (AX'n ) ] (AB) (a', 95), ( Xn MX'n) non diverrebbe indefinitamente piccolo con (X^X'^9 contro il teorema precedente, essendo Xl compreso fra X e B (d'9 79). Dunque la variabile (AXMn ) ha per limite (AB) (def. IV, 95) e la variabile (AXM) ha per limite il segmento (AY) (cf, 79 e d, 97), tale che (AY)n = (AB) (a, e d, 97) *). b1. Se la forma fondamentale è chiusa si può dividere in n parti uguali. Basta supporre in b che gli estremi del segmento coincidano rispetto alla unità (def. Ili, 57 e def. II, 85). b". Dato un segmento (AB) finito vi è sempre un segmento (AB) * n È una forma diversa del teor. b (ind. I, 79). Def. I. L'elemento che divide in due parti uguali un segmento dato chia- masi elemento medio del segmento stesso. e. L'ipotesi VI è indipendente dalle ipotesi precedenti. Ciò risulta dal teorema b. Di fatti i segmenti di un segmento che si ot- tengono colla divisione per metà, soddisfano alle ipotesi precedenti quando anche intorno ai loro estremi supponiamo dati i campi infinitesimi (oss. I, 96) ryvì Ognuno di questi segmenti si può esprimere col simbolo (AA^ -^p ove m e n sono numeri dati dalla serie (I) (46). Ora dato un numero r si può dividere il segmento (AAJ in r parti uguali, e se il secondo estremo del seg- mento (AA}) fosse un elemento di divisione per metà si dovrebbe avere 1 m %n (AAT) = (AA,) , ossia prendendo il multiplo secondo 2n, (AAJ----- = (AAJ m. Ma perché vi sia un numero m che soddisfi a questa condizione bi- sogna che r divida esattamente 2n, il che non è in generale perché 2n è di- visibile soltanto per 2 e per le potenze di 2 il cui esponente non è maggiore di n: il 3 ad es. non divide 2n qualunque sia n. La proprietà dell'ip. VI è confermata anche dall'intuizione (55). d. Se (AA) è la nma parte e (AA'J la rima parte di un segmento qualunque (AB) (n' n), (AA") è più piccola di (AA'), e se n aumenta indefinitamente (AA') diventa indefinitamente piccola. 1) La dimostrazione di questo teor. data dal sig. Stolz (1. e. pag. 83) senza bisogno del teor. o, am- mette però la legge commutativa di due grandezze qualunque del sistema, che noi invece dimostre- remo. Cosi l'ammette il mio chiariss. amico De paolis (Teoria dei gruppi geometrici. Mem. della R. Accade- mia di Napoli 1890, pag. 15-16) sebbene la sua dimostrazione essendo incompleta può lasciar credere che si possa evitare il teor. a e anche la legge commutativa (Veggasi anche la mia nota citata : il continuo rettilineo e 1- assioma V d'Archiraede).

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139 Se fosse (AA') = (AA*), essendo per dato (AAi)n=(AAt')ri^(AB) (e, 60), sarebbe ( AA') n ~ (AB) (d, 79 e e, 60) e perciò anche n =: ri (d, 79). Se invece fosse (AA1) (AA") sarebbe pure (AA') n (AA") n (d, 79), ma per dato è (A A") n' = (AA')n = (AB), dunque sarebbe (AA") n' (4A") n, mentre d'altra parte deve essere (AA") ri (AA") n, essendo ri^ n (d, 79), dunque è assurdo ')^ (AA"). Per conseguenza quando n aumenta (AA') diminuisce. Se ora è dato un segmento (AE) finito quanto piccolo si vuole, si ha: (AE)m (AA'X(AE)(m + l) (def. II, 82; e'. 81). Dividendo dunque (AA') in m -f 1 parti uguali si ha (AA) (AE) (a, d', 79); ma (AA') -^~p = n ( c e a 79 dunque il teorema è di- mostrato. Oss. I. Osserviamo che questo teorema è indipendente dall'ip. VI qualora si ammetta la divisione di ogni segmento limitato in un numero qualunque n di parti uguali ; ipotesi però che come sì vede è più complessa di quella del limite. l) d'. Se si divide un segmento (AB) qualunque in n parti uguali (nTT 1), e queste ancora in n parti uguali, e cosi via, esse divengono indefinitamente piccole. iv* **- . i - (AB) (AB) (AB) Difatti si ottengono le parti - -, , .... - ..... e col ere - *- n n* nr scere indefinito di r, nr diventa più grande di ogni numero dato m, dunque ecc. (d). 2). e. Se si addiziona un segmento (BC) ad un segmento (AB) a partire da B del medesimo verso, o di verso opposto rispetto, all'unità di misura si ha lo stesso risultato sommando al segmento (BC) a partire da C il segmento identico ad (AB) e dello stesso verso di (AB). Il risultato è indipendente dall'elemento dal quale si comincia per eseguire l' operazione. Vale a dire scriveremo intendendo nella seconda identità che a partire da C viene percorso un seg- mento identico ad (AB) e nel medesimo verso di (AB). Supponiamo dapprima che (AB) e (BC) siano dello stesso verso. 1) Se (BC) è infinitesimo rispetto ad (AB), rispetto ad (AB) come unità si ha: (AB) -f (BC) = (AB) + 0 = (AB) (BC) + (AB) ==o + (AB) = (AB) (g, 85 ; def. I 76) e il teorema rispetto all'unità è in tal caso dimostrato. 2) Supponiamo che (AB) e (BC) siano finiti ambidue. Se sono multipli secondo i numeri m ed n di uno stesso segmento (AA'), 1) Ad es. il sistema dei numeri razionali soddisfa a questa condizione senza essere continuo re- lativo. Ciò da un'altra ragione per non definire il continuo fondamentale mediante quello numerico, se si bada alla semplicità dei principii ammessi speciamente in geometria,(v. nota n. r 5). 2) I teoremi dei numeri della sèrie (1) (46) di cui facciamo uso nella dimostrazione di e e d', si dimostrano facilmente mediante i teoremi già dati al cap. iti.

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140 scomposti (AB) e (BC) nelle loro m rispettivamente n parti uguali ad (AA'), possiamo considerarne prima n e poi per la legge commutativa della somma dei numeri della serie (I) (46) le rimanenti m senza alterare il risultato (AG) (oss. I, II, 80). Ma n e m parti consecutive uguali ad (A A') danno rispettivamente due segmenti identici a (BC) e (AB) (def. I e II, d, 79); dunque anche in tal caso il teorema è dimostrato. 3) Ci rimane il caso in cui (AB) e (BC) non siano nella suddetta condi- zione essendo però dello stesso verso. ' i ' Consideriamo a partire da A nel verso opposto ad (AB) e quindi anche a (BC) i segmenti: (1) (#A) = (A ), (CfB')=(BC) (V, 69) L'elemento B' è contenuto per costruzione in (G'A)~(CB')+(BA) (def. I, 72). Si scomponga (AB) in n parti uguali (#) e una di esse sia (A A') che per n abbastanza grande sarà minore di (BC) (d). Dovremo avere quindi un numero m^ n tale che (2) (AA') m (AC) (AA') (m -f 1) (def. li, 82 ; e', 81). L'elemento C sarà compreso dunque nella parte (m+\)ma che indiche- remo con (XY) e X compreso in (BC) essendo per costruzione (AX) (AB\ Si consideri : (3) (Y'A) = (AY) (XA)~(AX) L'elemento X è compreso nel segmento (AY) e quindi X' nel segmento (Y'A) essendo (AX) (AY) e quindi anche (X'A) ^(Y'A)(eJ 61). Si ha pure pel secondo caso considerato che: (4) (YB)=(BY)y (XB') = (BX). Ora (BY) è maggiore di (BC) e quindi anche (YB1) è maggiore di (C'B') ((1); e, 61). Così per la stessa ragione (X'B') è minore di (C*J5'); dunque l'ele- mento C è compreso nel segmento (YX*). Si ha: (5) (Y'X')=(XY) perché pel caso 2). (YX)^(X'A) = (YA) = (YA)^(rX') e (AX) + (XY)=(A7)( );c, 68; 6, 78). Se C-i è un elemento tale che (6) (AQ-(C'TA) siccome (AC) è maggiore di (AX) e minore di (AY) ((2)). (C/A) deve esser maggiore di (X'A) e minore di (F'A), ((6)? (3); e, 61) e quindi C/ è pure compreso nel seg- mento (Y'X*). Se il numero n cresce indefinitamente (XY), e quindi anche (YX'y, decre- sce indefinitamente (d). Siccome (YX') diventa indefinitamente piccolo e C', Ci' sono sempre compresi nel suddetto segmento essi devono coincidere (d, f, 95,) Si deve avere dunque :

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141 ossia (BC) -h (AB) = (AC) nel senso suindicato. (4) Supponiamo ora il caso che (AB) e (BC) siano di verso opposto sem- pre però considerando i due segmenti nel risultato in uno stesso verso del siste- ma, ad es. in quello dato da (AB). Il teorema dice che se si considera a par- tire da A prima il segmento (B'A) = (CB) nel verso di (CB) e poi il segmento a partire da B' nel verso di (AB), si ha: (AA') = (AC) B' A C B Se (CBX(AB), (BA\ (AC), (AB) sono diretti nel medesimo verso (def. Ili, 67) e per la dimostrazione precedente si ha: (B'C) = (AB) = ( A') (e, 68 e 6, 78). E partendo in uno e nell'altro verso da B' vi è un solo segmento iden- tico ad un segmento dato ( ', 69) dunque si ha che l'elemento A' coincide col- l'elemento C, ossia (AA') = (AC). C A A B Se invece (CB)XAB), (CA) ed (AB) sono dello stesso verso, e quindi con- siderando un segmento (CA') nel verso di (CA) identico ad (AB) si ha pel caso 3). ossia 5) II teorema è vero anche da qualunque elemento si cominci a far Pope- razione e in qualunque verso (a, 78), dunque il teorema è pienamente dimostrato. e'. Dato un segmento (AB) vi è sempre un segmento (AC) tale che (AC) m (AB) (AC) (m + 1) essendo m un numero dato. Poniamo m-=.n 1 e dividiamo (AB) in n parti uguali. L'ultima parte sia (B'B) e la prima (AA'). Scegliamo in (B'B) un elemento C' e dividiamo (B'C) in n 1 parti uguali; una di queste parti sia (B'C"). Sia (A' C) = (B' C"); il segmento (AC) soddisfa alla condizione del teorema. Difatti si ha : i m m [(AA) + (A1 C)] m = (A A1) + (A'C) + .... -f- (A A') -f (A1 C) = (AA) m 4- (A' C) m (e) ma si ha per costruzione : (A A') m + (A C) m (AB) (d, 79.) dunque: [(AA1) + (A'C)] m (AB) (e, 61) Si ha invece : [(AA') + (A'C')] n = (AA') n 4- (A'C') n (AB) essendo (A A') n~(AB) (f, 73.) Oss. II. Il teorema e vale non solo pel sistema identico nella posizione delie sue parti (def. I, 70) ma eziandio pel solo sistema omogeneo (def. I, 68).

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142 Inoltre è importante di notare come la dimostrazione del teorema in tutti i casi e specialmente nel 3D sia indipendente dalT ipotesi VI sulla continuità, di modo che vale anche per tutti i sistemi omogenei discreti (.def. I, 96) perché nel 3 caso la va- riabile (X'Y*) contiene già gli elementi costanti C1 e C^, e quindi ha per limite rispetto all'unità data questi elementi coincidenti ( 7, 95). Bisogna però ammettere in questo caso la divisibilità in n parti uguali di ogni segmento finito sulla quale si appoggia la dimostrazione del teorema, proprietà codesta che non include ancora quella della continuità, ma che viene dimostrata per mezzo di quest'ultima. ( ) f. Il segmento multiplo secondo un numero m della parte nma (AC) di un segmento (AB) è sottomultiplo secondo il numero n di un segmento multi- plo di (AB) secondo il numero m. Si ha dunque : (1) (AC) = (^l (ind. I, 79) e sia (AD) = (AC)m e quindi n (b, 9). 11/ Sia inoltre /o\ * \A-ti) m__. _. ( ) n= (Al/j vogliamo dimostrare che (AZ))EE(ADr). Si ha da (1) (AC)n = (AB) e sostituendo in (2) ossia (AC) m.n . = ^ - - n perché (AC)m.n è multiplo di (AC)m secondo il numero^ e quindi (AC)m è sottomultiplo secondo questo numero di (AC)m. n (def. I, II, 79). Ma (AC)m = (AD); dunque cf 60) Perché (AB) ^^ - m (b, 79) e quindi pel teorema f si ha la relazione f. g. Un segmento qualunque finito (AB) è uguale rispetto all'unità di mi- sura al segmento stesso (BA) percorso nel verso opposto. Cioè (AB) = (BA) (1) Dimostriamo dapprima che se (AB) = (AB') si ha:

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143 . . I segmenti (AB) e (AB') sono diretti in verso opposto, altrimenti B coin- ciderebbe con B' (#, 69) ; quindi (B' A) e (A3) sono diretti nelle stesso verso, ina non si sa se (Afi) sia identico a ( A). Si ha però: #A) -f- (AB) == (#fi) (def. I, 72) Ma perché per dato è (1) (Afi)EE(Afi') (a. 69) Inoltre (BA) + (A#) EE (B ) ~ (fi'A) + (AB} (a, 78) dunque (2) (BB') = (BIB) Supponiamo ora che (BA) non sia identico ad (AB) e sia identico ad un segmento (Afit) nello stesso verso di (AB) (def. I e d, 70) e quindi fi, non coin- cida con B. V elemento Bl sia inoltre contenuto nel segmento (BA). Vi è nel verso opposto di (AB) a partire da A nel sistema un segmento (3) (ABl) = (ABll) (a', 70) da cui (BlA) = (Bl'A) (a, 69) e T elemento fi/ è contenuto in (Aff) per l'identità dei due segmenti (AB) e (A#), (ABJ e (Afi/) (def. I e II, 61 ; e1, 68 e 6, 36 opp. 6, 60). Inoltre da (2) (4) (fi^'j^fi/fiO e per ipotesi (5) (^EEU^) e poiché da e (1), (5), (3) si ha (6)' * (tfAjEEE^OEEEfAtf/) (e, 8 o e, 60) ne segue (6') (AB) = (B,A)^(Bl'A). (a, 69) Ora è (BA) + (A ) = (B ) = (A T) + (fl/ A) ((5; (6'); a, 73) considerati i segmenti dell'ultimo membro come consecutivi. Ma (AB,) + (fi', A) = (fi\A) + (Afif) = (fiff fiT) (e) vale a dire .(7) (fitf) = (fi/fi1) (e, 8 o e, 60) Si ha pure: (fitf) = (fifij + (fi^/) + (fi/fi1) ossia per la (4) (fifi1) = (fifi,) + (fi,'fi,) + (fi'.fi') intendendo, come abbiamo già detto, che in luogo di (fi^fit) vi sia un segmento ad esso uguale consecutivo di (fifi,), e così per (fi^l?) rispetto a (fi/fiO- Vale a dire confrontando con la (7) si deve avere (B\ff) = o. Se ciò non fosse, essendo ) = [(fifij + (fi/fiOJ + (BlfBf) (BBl) + (fi/fij. (d, 77 e def. I 61) ed anche

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144 (BBl) + (B^Bl)XBl'Bl)y sarebbe (BE') ( T' J (d, 61), il che è assurdo ((7) e ,' 61). Dunque si ha anche (BB^ = o ossia # e J5t, B' e #T coincidono (def. I, oss. I, 76) e perciò : Se invece B è contenuto nel segmento (AB^ per l'identità dei segmenti (AB) e (A#), (A^) e (AB+), si cade nel caso precedente. Dunque il teorema è pienamente dimostrato l). Oss. II. Noi ci serviamo della dimostrazione del teor. e e di teoremi che pre- cedono il principio di continuità (ip. VI), ma il teor. e come si è osservato non di- pende neppure da questo principio, quindi anche il teor. g ne è indipendente. h. Dividendo un segmento (AB) in n parti uguali e le parti risultanti in n parti uguali e cosi via, si ottiene un gruppo di elementi del segmento dato compresi gli estremi i cui altri elementi sono elementi limiti del gruppo dato rispetto all'unità di misura. Basta fare la dimostrazione per n = 2 perché per n qualunque finito il procedimento è il medesimo. Sia dato il segmento (AB) e sia JVt il suo elemento medio (def. I). Sia N2 I1 elemento medio del segmento (N^) ed N3 quello di (N2 ) e va dicendo. Si ha: (NrB)~Nr^B) = ...~(AB)r (e', 79) Coir aumentare indefinito di r poiché ogni segmento (NrB) ha un ele- mento medio, (NrB) diviene indefinitamente piccolo (d1). Dunque B è elemento limite degli elementi Nr. Così si dimostra che A è elemento limite d'un gruppo analogo di elementi N. Sia ora M un elemento qualunque del segmento (AB) che non sia elemento medio di alcuno dai segmenti costruiti colla divisione per metà. Esso sarà compreso o nel segmento (ANJ o (N^). Supponiamo lo sia nel primo e sia N2 l'elemento medio di (ANJ; M sarà posto o nel segmento (NN2) o (AyVT). Se esso è situato nel segmento CftyV~T) coir elemento medio N^ M sarà situato o nel segmento (N2N3) o (N3N{). Evidentemente si ha: i) Questa proprietà si da nei trattati di geometria elementare ed anche in molte memorie sui fondamenti di geometria come un assioma o postulato, ammettendo anche come assiomi sotto forma diversa (facendo cioè uso del movimento delle figure senza deformazione) le proprietà date nella de- finizione del sistema identico nella posizione delle sue parti (def. I, 70, def. I, 68). Il teor. 6 è conse- guenza della def. I, 68 del sistema omogeneo colla divisione in n parti uguali di ogni segmento nel i. caso (oss. I), mentre g è conseguenza della def 1,70 del sistema identico nella posizione delle sue parti. Negli Elementi di geometria ad es. di De Paoìis la proprietà (Afi)=E(BA) si deduce infatti dai postu- lati II, parte III, IV, X, XI. l'ultimo dei quali stabilisce la continuità nel senso del teor. 6', 95. Gli al- tri assiooni che si danno per la sola retta si possono semplificare colla guida dell'oss. i, 81.

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145 = (ANJ |-= (AB] i = (N2NJ1= (AB) i Continuando così P operazione l'elemento M verrà a trovarsi fra due ele- menti medi Nr, Ns tali che (NrNs) = (AB) che diventa indefinitamente piccolo col crescere di n (d), e che quindi ha l'e- lemento M dato come elemento limite (g, 95). Il teorema è dunque dimostrato. hf. Le parti (AX) di un segmento (AB) considerato come unità, i cui ele- menti X siano elementi della divisione successiva di (AB) per metà, possono essere rappresentate dal simbolo ove le alt a.2 a,n sono uguali a o e 1, ma non tutte zero. Negli altri casi possono essere rappresentate dal simbolo con: lim n = oo Ciò deriva dalla dimostrazione del teorema h stesso. Oss. IV. Nel caso ! = 02 ..., = an =:.... o si ha il segmento nullo (def. 1,76). h". Nel caso che n non abbia nel simbolo dato un ultimo valore e se l'o- perazione si considera come eseguita possiamo rappresentare le parti del seg- mento (AB) col. simbolo OS- n = 1. 2 .... m .... (wt= oo) !). Veramente (AB) (^- + h % H ----- ) è un segmento illimitato che non ha un ultimo elemento, e quindi non contiene l'elemento X, ma nelle nostre ricerche possiamo sostituire questo segmento illimitato al segmento (AX) stesso, non considerando la loro diversità (def. Ili, 9). Oss. V. Così se si ha un segmento (AB) limite di una variabile (AX) (non im- porta che sia sempre crescente o sempre decrescente, purché sia soddisfatta la con- dizione che la differenza di due stati successivi diventi indefinitamente piccola), il segmento (AB) può essere sostituito anche da tutta la serie degli stati di (AX) seb- bene l'elemento -B sia fuori di questa serie. I) secondo canlor (ve Ji . 90). IO

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146 Analogamente dicasi se (AB) è segmento limite di due serie (AX) e (AX') Tuna sempre crescente, l'altra sempre decrescente. l)ef. IL Se (AB) (^ H-------|-^.+ ....) determina un segmento (AX), essendo X un elemento ottenuto colla divisione successiva in n parti uguali del segmento (AB), il simbolo (~ + -f- -^- -f- i si chiama razionale, in caso contrario si chiama irrazionale. *) 9. Ipotesi sui campi infinitesimi dei segmenti ( VII) Infinitesimo e zero assoluto Scomposizione dei segmenti in un dato numero infinito di segmenti infinitesimi Indefinitamente piccolo in senso assoluto Segmenti finiti assoluti variabili sempre ere scenti o decrescenti Ipotesi sul continuo assoluto (Vili) Discreto assoluto. Elementi limiti assoluti di un gruppo di elementi sulla forma fondamentale. 100. Oss. I. Considerando ora di nuovo tutta la forma fondamentale e il segmento (AB) che ci ha servito alla costruzione della prima scala (def. I e oss. I, 80) abbia- mo le seguenti ipotesi: T. (AB} è indivisibile, (def. V, 62); 2a. (AB) è somma di un numero finito di segmenti indivisibili ; - 3*. (AB) è divisibile in un numero qualsiasi finito n di parti finite fra loro, nel qual caso e per la def. I, 68 e per Tip. VI (AB) è continuo relativo; 4". vi è un ultimo campo infinitesimo rispetto al segmento primitivo dato (AB), ad es. di ordine fi (oss. Ili, 91 e def. VI, 86). In tal caso ogni segmento infinitesimo di 1 , ordine rispetto ad (AB) avrebbe un ultimo campo infinitesimo d'ordine ti 1. E può darsi ancora in questo caso che neirultimo campo infinitesimo d'ordine ti rispetto ad (AB) vi sia un ultimo segmento indivisibile che non contenga cioè altri elementi (def. V, 62). In tal caso la forma fondamentale non potrebbe esser conti- nua in questo campo (ip. VI). 5a. Può darsi ancora che il segmento (AB) non contenga un ultimo campo in- finitesimo in modo che la serie degli ordini dei campi in finitesimi sia illimitata, ma non oltrepassi un numero infinito determinato. Così succederebbe se gli ordini dei campi infinitesimi fossero dati dai numeri 1, 2, 3.. n... della serie (I) (46). In ognuno di questi casi i segmenti dati della forma fondamentale non avreb- bero la stessa proprietà rispetto alla loro scomposizione in campi infinitesimi e quindi 3} Volendo limitarci al finito soltanto, la via da seguire si semplifica. Basta dopo le def. date neir oss. Il, 81 stabilire la seguente ipotesi : Dato un segmento (AB) qualunque del sistema omogeneo vi è sempre in esso un elemento C distinto da A e B. In questo caso non occorre tener conto dell'unità di misura, essendovene una sola. Dall'ipotesi suddetta e dalle definizioni del sistema omogeneo si deducono i teor. del n. 95. Si da poi P ip. VI e si dimostrano nello stesso modo i teor. dei n. 96-99. Questa sarebbe in massima la via da seguire in un trat- tato di geometria elementare ad uso delle scuole liceali per stabilire le proprietà delia retta conside- rata dapprima in so (Vedi nota n. 81, la pref. e le note indicate con numeri romani della parte I). Alcuni di questi teor. ad es. h' e h" e la def. II. diquesto numero non occorrono coraej 51 vedrà nei fonda- menti della geometria.

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147 per l'uniformità stessa, sotto questo rispetto, dei segmenti dati stabiliamo la seguente ipotesi : Ip. VII. Il segmento (AB) che ha servito a costruire la prima scala (def. I, 80) contiene infinitesimi dello stesso ordine di quelli di ogni altro segmento limitato della forma fondamentale mag- giore di (AB). a. L'ipotesi VII è indipendente dalle ipotesi precedenti. Che sia indipendente risulta dal fatto che esprime una proprietà non contenuta nelle ipotesi precedenti, e non può per questo derivare da esse, come non ne è esclusa, potendo essere applicate anche con questa nuova ipotesi. Infatti sul segmento primitivo (AB) che ci ha servito a costruire la prima scala (def. I, 80) non abbiamo fatta alcuna ipotesi (oss. I. 80), mentre le ipo- tesi IV e V ci hanno servito per costruire i segmenti infiniti rispetto ad un segmento uguale o maggiore di (AB), e I1 ipotesi VI ci ha servito per defi- nire la continuità dei segmenti della forma fondamentale relativamente ad un'unità, cioè di quei segmenti che contengono degli infinitesimi e che quindi rispetto a questi soddisfano alle ipotesi IV e V. Scelto un infinitesimo d1 ordine TJ rispetto ad (4-B), rispetto ad esso come unità fondamentale possiamo appli- care le ipotesi IV e V, come si possono applicare ad un infinitesimo d'ordine 13 rispetto ad ogni altro segmento limitato maggiore di (AB), e quindi anche Tipo- tesi VI. b. Ogni segmento limitato della forma fondamentale soddisfa ali'ip. VII. Se è dato un segmento (XY) qualunque vi è sempre un solo segmento (AC) nel verso della scala uguale a (XY) (ti, 69). Se è (AC)=(AB), il teorema si confonde coli'ipotesi stessa (b, 60). Se è invece (AC) (A ) (b, 73), (AC) è finito o infinito rispetto ad (AB) (f, 82); ed è chiaro che siccome (AB) ha infinitesimi degli stessi ordini di un segmento qualunque (DE)9 a maggior ragione li deve avere (AC) (def. I, 61). Se è invece (AC) (A ), (AC) è finito o infinitesimo rispetto ad (AB) (def. II, /", 82). Se la proprietà b vale quando è infinitesimo, a maggior ragione vale quando è finito (def. I, 61) e def. II, 82). Sia infinitesimo di ordine n e suppo- niamo non abbia infinitesimi gli ordini dei quali sorpassino un numero dato a di (II) (91). In tal caso (Al?) non avrebbe infinitesimi di ordine ij-l-a., che sareb- bero infinitesimi d'ordine a rispetto ad (AC) (oss. Ili, 91 e def. Ili 86), mentre (AB) deve avere di tali infinitesimi, essendovi dei segmenti infiniti ad es. quelli di ordine ij+a rispetto ad (AJ5), rispetto ai quali (AB) è infinitesimo d'ordine 7j+a (ip. VII). Oss. II. Dall'ipotesi stessa risulta che non vi è un ultimo segmento dato (AB) indivisibile cioè un segmento (AB} più piccolo di ogni segmento dato. e. La differenza di due segmenti (AB), (CD) finiti assoluti non identici è un sigmento finito assoluto. Difatti se (AB) (CD) Q(CB)\n (AB) è identico a (CD), si ha che in (AB) A e C non coincidono (def. I, , 61) e quindi (AC) è un segmento finito assoluto (def. V, 92). J)cf. /, Non abbiamo un infinitesimo rispetto all'unità assoluta nel

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148 fin qui usato di questa parola, altrimenti vi sarebbe un ultimo infinitesimo contro Tip. VII. Ma per uniformità di linguaggio possiamo dire che vi è un infinitesimo assoluto i cui estremi dobbiamo però ritenerli come un solo ele- mento in senso assoluto (def. Ili, 57) in base ai principi già ammessi, vale a dire V infinitesimo assoluto è nullo rispetto ali 'unità assoluta, ossia rispetto ad ogni segmento (AB) come unità di misura (def. V, 92) 1). d. Due segmenti che differiscono per un segmento infinitesimo assoluto sono uguali in senso assoluto. Difatti sono uguali in senso assoluto (def. Ili, 9) perché gli estremi di un segmento infinitesimo assoluto sono per noi coincidenti in senso assoluto (def. HI, 57 e def. I). e. Ogni segmento (AB) della forma fondamentale da A verso B si può scom- porre in un numero infinito ^ determinato di segmenti consecutivi infinitesimi successivamente di ordine 13, 17-!, ....... , 1. Difatti scelto in (AB) un segmento (AC) infinitesimo d'ordine 13 (oss. III. 91) rispetto ad (AB) (b) i campi infiniti di 1 , 2 ,...., (13- 1 ) ordine rispetto ad (AC) sono i campi infinitesimi di ordine ?j-l, 15-2.... 1 rispetto ad (AB) (f", 92 e d, 93). Scelto quindi un elemento C nel campo infinitesimo d'ordine YJ-!, un elemento C" nel cam- po infinitesimo d'ordine ij-2 e così via, un elemento O^1 nel campo infinitesimo d'ordine 1, il segmento (AB) rimane scomposto negli TJ segmenti consecutivi (AC),(CC'), (C'C"), ...., (C^B) nel senso stabilito nella conv. I del n. 91. f. In ogni segmento (AB) vi è semgre un segmento il cui multiplo secondo il numero dato t\ è minore di (AB) ed uno il cui multiplo secondo lo stesso nu- mero è maggiore di (AB). Se ^ è un numero intero finito n, vale la stessa dimostrazione data pel teor. a del n. 95. Se è infinito, sia j* l'ordine d'infinito di 73. Tutti i numeri dello stesso ordine sono rappresentati dal simbolo oo** e sono della stessa specie (e, 91 e a, 86). Sia (AB') un infinitesimo di quest'ordine ed essendo già stabilite le scale e quindi le loro origini come bisogna supporre nel confronto dei segmenti in- finiti (oss. IV, 91) 2), prendendo i multipli di (AB') secondo i numeri dello stesso ordine di 13 e considerando soltanto quelli che differiscono di un numero dello stesso ordine (come ad es. oou ooj. 2 e non ad es. oo,, oot : n che sono uguali rispetto all'unità infinita di 1 ordine) (AB) sarà compreso fra due di questi multipli, se non è esso stesso uno di essi e sarà finito con essi. Ad es. si avrà (4 B') ijj (A ) ( AB') (TJL -f- Ip) intendendo che 1^ in questo caso sia l'unità infinita della stessa specie dei numeri 73, ^ (I, 92). 1) Se n n allora (AB') 73 (AB') Vl (AB), (g, 92; rf, 61). In tal caso si ha pure ^ -+ 1^ v\ e vi sarà un numero m finito tale 1) Dalla definizione stessa risulta che se A è rinfinitesimo assoluto non vi è alcun numero della classe (II) tale che A. f\ sia uguale o superi un segmento qualunque cogli estremi distinti. Esso non ci può servire dunque, come l'elemento fonda-nentale, a costruire da solo la forma fondamenta! (105). 2) Vedi n. 103.

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149 che ti m 7]1 -f- 1^, perché r, e tjl + 1^ sono dello stesso ordine e perciò finiti (ct 91; a, 86; e,' 81). Quindi preso un segmento (AB') = (4#f) m si avrà: essendo per ipotesi (AB') fa 4- lf*) (AB). (d, 61). 2) Se invece i^ 17 e se 17 e y} differiscono per un numero infinitesimo, ad es. r, ~ 13, -f- a scegliendo per 19 il numero t)l 4- a 4- 1 p si ha : e se (AB1) fa-)- o) (AB) essendo a, infinitesimo rispetto a ^ e (AB) finito rispetto a (AB') i^, si ricade nel caso di prima. 3) Se poi -TÌ differisce da ^ almeno di un'unità 1 , ossia (A ,,{*), allora sic- come dopo i)) abbiamo 10, + lp si avrà evidentemente ij^fTi^-t- 1^ quindi (Ab'} ^ (AB). E per avere in questo caso un segmento il cui multiplo secondo i\ sia minore di (AB), basterà dividere (Aff) in nn numero m di segmenti consecu- tivi (a, 95) di cui ad es. (AB") sia il minore, e si avrà: (AB") m -n, (AB) (d', 79 e g, 92). Essendo m un numero tale che si ha: (AB")y (AB')m'nl (g, 92 e d\ 60). e a più forte ragione (AB")r) (AB). (d', 61). Un analogo ragionamento vale se nel 2 caso è (AB') fa 4- o) (AB) per avere un segmento (AB") tale che sia (AB?')y ^(AB). In tal caso basta pren- dere m = 2. Lef. IL Un segmento (AX) finito assoluto (def. V, 92) che diventa più pic- colo di ogni segmento assoluto dato, diremo che diventa indefinitamente pic- colo in senso assoluto o che tende a diventare infinitesimo assoluto (def. I) o che ha per limite questo infinitesimo. E scriveremo lim. ass. (AX) = infinitesimo ass. Def. III. Un segmento finito assoluto (AX) tale che X si -avvicina indefi- nitamente in senso assoluto ad un altro elemento B si dice che ha per limite il segmento (AB), e si scrive : Ossi III. Le definizioni sui segmenti variabili date al n, 83 valgono anche se si .tratta di segmenti finiti assoluti.

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150 Def. IV. Per variabile assòluta sempre crescente o sèmpre decrescente in- tendiamo un segmento variabile sempre crescente o sempre decrescente (83) tale che le differenze di due stati qualsivogliano da uno stato qualunque dato della variabile non restino sempre finite fra loro, o non siano sempre infinite o infinitesime fra loro di un ordine che non superi un numero dato di (II) (91). g. Se un segmento finito assoluto (AX) coir estremo X variabile diventa più piccolo di ogni segmento finito assoluto dato esso ha per limite lo zero assoluto. Cioè: lim. ass. (AX) = O Perché I1 infinitesimo assoluto è nullo rispetto ali1 unità assoluta (def. I). h. Un segmento variàbile (AX) può diventare indefinitamente piccolo in senso assoluto in uno e neir altro verso. Dim. analoga a quella del teor. e, 95. i. Se gli elementi X e X' si avvicinano indefinitamente in senso assoluto e nei versi opposti ad un dato elemento A, (XX') diventa indefinitamente pic- colo assoluto. Dim. analoga a quella del teor. fy 95. I. Un segmento clw diventa indefinitamente piccolo in senso assoluto cogli estremi variabili in versi opposti e contiene un elemento fuori del campo di variabilità dei suoi estremi ha per limite un solo elemento (def. II, h, e g}. m. Se X si avvicina indefinitamente ad un elemento X' in senso assoluto, e questo nello stesso verso ad un elemento A, X sì avvicina in senso assoluto ad A. Dim. analoga a quella del teor. h, 95. n. Se X e X' si avvicinano indefinitamente in senso assoluto e nello stesso verso ad un elemento A, (XX') o (X'X), diventa indefinitamente piccolo in senso assoluto. Dim. analoga a quella del teor. i, 95. 101. Oss. I. L M pò tesi VI ci dice che se (XX1) diventa indefinitamente piccolo rispetto ad ogni segmento dato (AB) come unità, quando X e X' si avvicinano in verso opposto, il segmento (XX1) contiene sempre almeno un elemento F differente da X e X'. Ma per l'ipotesi VII esso contiene sempre degli infinitesimi rispetto ad (AB). Quando invece (XX') diventa indefinitamente piccolo in senso assolato diventa più piccolo di ogni segmento infinitesimo dato (def. II, 100J, e quindi i due casi sono distinti, e dalla sola ipotesi VI come si vedrà in seguito (e, 103) non deriva che nel secondo caso (XX') contenga un elemento fuori del campo di variabilità degli estremi. Perciò, è anche per l'uniformità che in senso ristretto intuiamo fra le parti indefinita- mente piccole deir oggetto rettilineo (55) stabiliamo la seguente ipotesi : Ip. Viri. Ogni segmento (XX') cogli estremi variabili in versi opposti che diventa indefinitamente piccolo in senso assoluto con- tiene un elemento fuori del campo di variabilità dei suoi eie- menti. a. Non può esservi che un solo elemento nel segmento (XX) che goda la proprietà dell'ip* Vili. Difatti se ve ne fossero altri, essi rispetto all'unità assoluta o in senso

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151 assoluto coinciderebbero in un sólo elemento, altrimenti (XX') resterebbe mag- giore di un segmento finito assoluto dato contro Tip. Vili (def. II, 100). a'. Data la variabile (AX) sempre crescente e la variabile (AX') sempre de- crescente e diretta nello stesso verso e se (XX') diventa indefinitamente piccolo, in senso assoluto vi è mi solo elemento Ytale che (AY) è limite dei due segmenti variabili, e non è uno stato delle due variabili (a). Def. I. Il sistema omogeneo che soddisfa all'ip. Vili lo diremo continuo assoluto, mentre gli altri li diremo discreti assoluti. b. Un sistema omogeneo continuo in senso assoluto è continuo relativamente ad ogni segmento dato come unità di misura, o in altre parole : se è soddisfatta l'ip. Vili resta soddisfatta anche Vip. VI rispetto ad ogni unità. Difatti quando il segmento (XX') diventa indefinitamente piccolo in senso assoluto (def. II, 100) a maggior ragione diventa indefinitamente piccolo rispetto ad ogni segmento (AB) come unità (def. I, 95), e poiché (XX') ha un elemento limite in senso assoluto lo ha anche relativamente all'unità (AB) ( , 9(5). i 02. Oss. I. Fra due stati dati consecutivi di un segmento variabile (AX) e (AX') basta considerare quelli pei quali gli estremi X e X' sono distinti, perché altrimenti X e X' coincidono in senso assoluto. Gli stati successivi quindi della variabile in senso assoluto sempre crescente o sempre decrescente lì potremo indicare coi numeri sem- pre maggiori della serie (II) (def. IV. 100). a. Se (AB) è segmento limite di un segmento variabile (AX^) si ha: con : lim 13 = il J) (def. VI, 92) Difatti col crescere di 13, X^ si avvicina indefinitamente a , cio si avvicina indefinitamente ad (AB) (def. Ili, 100). b. Data la variabile sempre crescente (crescente) (AX) e la variabile decre- scente {sempre decrescente) (AX) in senso assoluto, ed ogni segmento (AY) minore (maggiore) degli stati di (AX) [(AX1)] appartenga alla variabile (AX), [(AX')], il segmento (XX!) diventa indefinitamente piccolo in senso assoluto. La dimostrazione di questo teorema è analoga a quella del teor. , 97: basta supporre che (BC) sia un segmento finito assoluto dato qualunque. Si dimostra cioè allo stesso modo che (AXj) 4- (X^X2) n, essendo (X^) = (BC), è uno stato di (AX) qualunque sia n. Ma se la variabile (AX) non avesse altri stati oltre a quelli dati col variare indefinitamente di n, non sarebbe varia- bile in senso assoluto (def. IV, 100). Quindi fra gli stati di (AX) per l'ipotesi (XX') (BC) dovremo avere anche (AXJ -f (XXX2) i?, dove y è un numero in finito. Ma ^ non può essere inferiore ad un numero qualunque f* infinito di ordine a di (II) (91) perché in tal caso le differenze degli stati della variabile da (AXJ facendo variare ^ sarebbero al più infinite d' ordine a, contro la def, IV, 100. Dunque coli' ipotesi precedente 13 dovrebbe crescere indefinitamente in senso assoluto. Ma se (AX/) è uno stato dato della variabile (AX'), vi è sem- 1) Sarebbe improprio scrivere in questo caso fi

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152 pre un numero -rj di (II) tale che (X,X2)-n ^ (X,X}') (I, 92), vale a dire vi sa- rebbe uno stato di (AX) maggiore di uno stato (AX ) di (AX') contro il dato. Dunque ecc. 1). e. Il segmento (X^ X-q+p) compreso fra due stati successivi di (AX~ ) e (AXy + p) della variabile se è sempre crescente, o (X^ + p X ^ se è sempre de- crescente, e se (AB) è il suo segmento limite, col crescere indefinitamente di t\ di- venta più piccolo di ogni segmento dato. Analogamente a e del n. 97. d. Un segmento (AX^ ) variabile sempre crescente (o decrescente) in senso as- soluto ha sempre uno ed un solo segmento limite maggiore (o minore) di ogni stato della variabile. Dim. analoga a quella del teor. d, 97. Soltanto nel 1 caso è da osser- vare che qui non abbiamo I1 infinito di 1 ordine, ma T infinito è assoluto, os- sia tutto il sistema nel verso della variabile a partire dall'origine A. Basta appoggiare la dimostrazione ai teor. ',101 e , anziché ai teor. ', 96 e 6, 97. d'. Se due serie sempre crescenti o decrescenti in senso assoluto di segmenti rispettivamente uguali determinano due segmenti (AB) e (A'B')^ questi segmenti sono uguali in senso assoluto. Come il coroll. d' del n. 97. Def. I. Un elemento A si chiama elemento limite assoluto di una seri e di elementi XÌX2.....X^ .... = (X^) ordinata secondo un verso della forma fonda- mentale quando in ogni segmento (AB) piccolo quanto si vuole ma dato, vi è un elemento della serie. e. Se (AB) è un segmento limite assoluto di un segmento variabile (AX^), r elemento B è r elemento limite assoluto della serie data dagli elementi X^ Dim. analoga a quella del teor. a, 98. 10 Divisione assoluta, di un segmento in n parti uguali. Determina- zione delle scale rispetto ad un segmento dato come unità, fonda- mentale. Divisione di un segmento in v parti uguali Legge commutativa della somma di due o più segmenti consecutivi II segmento (A B) è identico al segmento opposto (BA)^- Elementi limiti del gruppo di elementi ottenuti colla divisione successiva di un segmento in -n parti uguali Altre proprietà degli ele- menti limiti assoluti di un segmento dato Simboli che rap- ii Se AX) è sempre finito o infinitesimo rispetto adun' unità e (AX*) è sempre infinito, (AX) soddisfa alla condizione di essere sempre minore di (AX') e che ogni segmento (AD minore di tutti i segmenti infiniti è uno stato della variabile (AX). in tal caso però (XX*) non diventa più piccolo di ogni seg- mento dato, perché rimane superiore ad ogni segmento finito. Limitandosi al campo dei segmenti finiti, infintesimi d'ordine finito, Y/ è allora un numero finito o infinito d'ordine finito, e se la variabile in tal caso è sempre decrescente o sempre crescente in verso assoluto basta che le differenze dei suoi stati da un certo stato non rimangano finite fra loro.

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153 presentano le partì e gli elementi di un segmento Segmenti commensuràbili di i* e 2* specie, e segmenti in commensurabili 103. a. Ogni segmento (AB) è divisibile in un solo modo e in senso assoluto in n parti uguali. Il teor. a, 99 vale anche in senso assoluto; basta supporre nella dimostra- zione di questo teorema che (X^XÌ) diventi indefinitamente piccolo in senso assoluto anziché in senso relativo ad un'unità. Non occorre dire per la dimostrazione in senso assoluto che X'n ha un punto limile Y che coincide con Xn, come pure non occorre supporre che X2" abbia un punto limite L differente da X2ì basta supporre che X2" non si avvicini indefinitamente in senso assoluto all'elemento X%, nel qual caso si può scegliere un segmento (X2L) tale che in esso non vi siano punti X2"; ed allora vale la stessa dimostrazione nei due casi (AX/) ^ OiX)j . Così nel caso da 1 ad n. Per la proprietà inversa basta osservare che (XnXn') è sempre maggiore di (^X/), perché nel caso 04 X/) (AX,), e slmilmente se fosse (AX}) (AX,') si ha : (AX,') EE (AX,) 4- (X ), (AX,') n ~ (AX,) n 4- (Xn Xn ') La 2a ci da: (AX/Kn 1) + (AX/) = (AX,) (n 1) 4- (AX,) 4- (Xn Xn ') o ancora (AX-) (n-l) (AX,) 4- (X ) = (AXJ (n-1) 4- (AXJ 4- (Xn Xn ') (d, 77) ma (AX) (n-l) (AXO (n-l) (d, 79) dunque OiXi) + (XjX/) (AXX) 4- (Xn Xn ') (d, 77 ; g* , 73) e perciò n1) (f, 73). La dimostrazione di a è analoga a quella del teor. b, 99 basandosi sul teor. fj 100 anziché sul teor. a', 95. Oss. I. È da osservare che questo teorema non coincide col teor. ft, 99, perché con questo il secondo estremo della parte n* a rappresenta un campo infinitesimo di 1 ordine, mentre col teor. a la parte n^a è un solo segmento in senso assoluto. 6. Dato un simbolo in/nazionale a ed un segmento (AB) qualunque, relativa- mente all'unità (AB) esso determina una serie di segmenti infinitesimi di 1 ordine, ma non un solo segmento. Difatti esso determina un solo segmento (AC) = (AB) a in senso relativo (/i", 99), e quindi in senso assoluto C rappresenta un campo infinitesimo di 1 or- dine ( ,' 92). Ora se (AX) è un segmento coli' estremo X in questo campo l'o- perazione (AX) n è pienamente determinata e a senso unico (d, 79), ma appli-

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154 cando l'operazione inversa di quella del simbolo a, da (AX) si ottiene non tìn segmento ma tutta la serie di segmenti dati da A con B e con tutti gli altri elementi del campo infinitesimo di 1 ordine intorno a B rispetto ali' unità (AB). Determinazione delle scale rispetto ad un segmento dato come unità fon- damentale. Prima di continuare nello studio delle proprietà particolari di un seg- mento rispetto ai suoi infinitesimi è bene che noi facciamo vedere come si pos- sono fissare le scale (oss. IV, 91) affine di poter confrontare in modo deter- minato i segmenti fra loro e far meglio conoscere la costituzione delle nostre grandezze. Dapprima data l' origine fondamentale A siano date le origini dei campi infiniti che vengono indicate coi numeri oo^ , ove f* è un numero della nostra classe (II) (91) eccettuato lo zero. Osservo che fissata l'origine A^ è deter- minata anche la scala di unità ( AA*^), e per ogni elemento di divisione le scale di unità (A A,) che sono identiche a quella di origine A nel verso dato e di unità (AAJ (e, d, 69). Fissata l'origine A ,2 sono determinate in modo unico le scale nel campo infinito di 2 ordine, perché considerando ad es. un segmento (A.oo12J9)=(AAoo1) (V, 69), (AB] che è multiplo di (AAJ secondo il numero ooT2 -f oo,. (def. I, 92) e intorno agli elementi di divisione rappresentati dai sinboli infiniti o^2 n :oo, nlf ove n e nlf sono finiti, abbiamo le scale di unità (AAJ in un verso odi unità (AtA) nel verso opposto. Basta dunque supporre dati gli elementi o le origini AMl, A**, .... A*^ , .... A ^ i, .... A x Tf*, essendo /* un numero dato della classe (II) 91). Così nei campi infinitesimi a cominciare da A, determinati dall'ipotesi VII, e che sono sottoposti ai teoremi già trovati ai n. 86-92, basta fissare gli ele- menti o le origini A , , A _,_,.... A_j_ in modo dunque che il multiplo se- .! 00,* co^ condo il numero oo^ di /AA^ _ \ è (AA,). E intorno agli elementi di divisione già ottenuti siano date le scale di queste unità. Ma ciò non basta. Abbiamo veduto che in senso assoluto un segmento qualunque limitato, ad es. (AAX), si può dividere in n parti uguali (a\ Intorno a ciascuno degli elementi Mr della divisione, assoluta ad es. per metà ap- plicata un numero n qualsiasi di (I), (46), costruiamo le scale di unità ( Mr Mr ') /AA j \, e così intorno a Mr e agli elementi di divisione di queste scale pos- V ^r/ siamo costruire i campi infinitesimi di qualunque ordine colle unità uguali ad /AAj_ \ e /A _,_ A\, e così via ( ', 69). Ora, nell'unità (Mr Mr ') faremo la divi- \ // \ V J sione assoluta per metà applicata un numero finito qualunque n di volte i cui elementi da Mr saranno indicati dal simbolo (jfr jfr ) (SL + L+.... + ) (7t-, 99)

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155 e in base al teor.ò*, 6d avremo anche gli elementi corrispondenti a questi segni in ogni unità delle scale di origine Mr e di unità (MrMr') e(Hfr'Mr)^ (Mr Mr ') (cf), 77 e così per ogni elemento Mr di (AA^. A partire da A uno qualunque degli elementi di divisione per metà così ottenuti nel campo infinitesimo di 1 ordine intorno ad Mr sarà espresso dal simbolo : (1) ove m, mlt m' e ri sono numeri di (I) (46), quando in senso assoluto si ha: II simbolo (1) può scriverei anche così: Così continuando si ottengono gli elementi della divisione assoluta per metà nell'unità fondamentale (AA^ che saranno indicati dal simbolo: (r (r __ 2 ^ / (o.,-!?) (ooj-r1) x fa. _ anl^ \ \ 2 ^ ^ SJ iV / dove le a non sono tutte zero e sono numeri uguali a o e a 1, qualunque sia n. S1 intende che r e r devono essere numeri finiti dati, e quindi l' infinitesimo di ordine col r si riferisce all'elemento determinato dalle parentesi precedenti, e così via. Ogni altro elemento di (AAJ che non sia rispetto ad (AA,) un elemento di divisione per metà viene dato in senso relativo dal simbolo: VO\ t A A \ i i a i i ** 1 /-i nn\ w (^^i) V,-o~ ~T~~or ""-----2**/ ^ ' ^ n = oo Se questo simbolo determina un elemento X tale che (AX) sia una parte nma di (4^) allora (2) determina un solo elemento in senso assoluto (a). Se ciò non è, ossia se il simbolo (2") è irrazionale, allora non determina un solo elemento ma un campo di elementi ( ). Noi fisseremo perciò T elemento in questo campo che vogliamo sia rappre-

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156 sentato in senso assoluto dal simbolo a, e nel fissare gli altri elementi oltre che del teor. a, dati che siano i segmenti a partire da A che in senso assoluto corri- spondono ai simboli irrazionali a e jS, uno dei quali può essere anche razionale, ed è ad es. a^jS, al simbolo arì:|3 faremo corrispondere il segmento somma o differenza dei segmenti precedenti, che è pienamente determinato. E costruito un segmento (AN) che corrisponde in senso assoluto al simbolo irrazionale a, immagineremo costruiti mediante il teor. b', 69 a partire da ogni elemento già dato in (AA,) colle operazioni precedenti, i segmenti uguali al segmento (AN). Intorno ali1 elemento JV, e degli altri che così otteniamo, costruiremo i campi infinitesimi e gli elementi della divisione per metà. Così faremo per le unità ( AA ^ ).... (AA , ^ Ad es. un elemento della per le unità (AAj}....(AA j i V ^fZ divisione per metà del campo infinitesimo di 1 ordine intorno ad N verrà in- dicato dal simbolo: Limitandosi ai soli numeri infiniti di ordine finito basta arrestarsi nel simbolo Z al numero oojr , essendo r un numero qualunque di (I). In tal caso ogni ele- mento X di (AAJ deve trovarsi nei campi infinitesimi di 1 ordine indicati dalla prima parentesi di Z quando n è finito o quando cresce indefinita- mente, perché ogni elemento dato di (AA}) è limite del gruppo degli elementi ottenuti colla successiva divisione per metà, se non è esso stesso uno di que-sti elementi (h. 99). Quindi X si troverà nel campo infinitesimo di 1 ordine di uno dei punti ottenuti colla prima parentesi di Z9 supposto che n possa essere infinito (oo), se non è esso stesso uno degli elementi rappresentati dal simbolo j Vediamo dunque che X si troverà in un campo infinitesimo di 1 ordine fra due elementi di divisione in un campo di unità (AA_I_\ ad es. fra An j_e -4(n + 1)_i_ essendo (AAmj\ = (^Aj^\ m, qualun- \ ,j / ! ! \ i/ \ !/ que sia m. Si troverà dunque ripetendo la stessa considerazione nel campo infini- tesimo di ordine n intorno ad un elemento già ottenuto dal simbolo Z, ove n, nl9..... nr possono essere anche infiniti ( oo ), e si troverà fra due elementi Np, Np 4-1 di divi- sione di questo campo, essendo (ATf 2Vjp-hi) = (AAJ . Col crescere indefinito di r, limitandosi come abbiamo detto ai segmenti infiniti e infinitesimi di ordine fi- 1 * nìto, (AAJ diventa più piccolo di ogni segmento dato s. Difatti deve essere infinitesimo di ordine dato s rispetto ad (AAJ (m, 92), e quindi ba- sterà prendere r=s-h 1, perché si ha che (AAi)----g+1 è infinitesimo di 1 or- dine rispetto ad ogni segmento infinitesimo di ordine s (def. II. 86), e perciò più piccolo di e (def. II, 82). Per Tip. Vili, valevole anche in questo caso spe-

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157 ciale (100), X è un elemento determinato. Dunque col crescere indefinito di r in Z viene determinato in questo caso un elemento della forma. Se si considerano invece anche gli infiniti e gli infinitesimi di ordine infinito che formano coi precedenti un gruppo nel senso del teor. m, 93, l'elemento X determinato come abbiamo detto dal simbolo Z rappresenterà invece un campo infinitesimo di ordine infinito. E fissando gli elementi X che corrispondono ai simboli Z quando r cresce indefinitamente rimanendo, come sappiamo, sempre finito, con le stesse regole precedenti usate pei simboli irrazionali della for- ma (2') potremo determinare altri elementi del sistema. Def. L Chiameremo elementi della divisione assoluta successiva per metà di (AAj) quelli ottenuti colle regole precedenti dal simbolo Z quando f* è un numero dato qualunque della classe (II), anche se le n e le r sono infinite (oo). Questa divisione sarà detta di I* specie se n, n^ ecc. r,r ecc. sono numeri finiti; sarà detta invece di 2a specie quando vi è un passaggio al limite. Stabiliti così gli elementi della divisione assoluta successiva per metà nel- l'unità (AAj) rimangono stabilite anche in ogni altra unità (An An + \ )^(AAl) dejla scala di origine A e di unità (AAJ. Bisognerà fare la stessa cosa seguendo gli stessi eri ter! per le unità (AA ^ (AA f) .... (AA^J*); così avremo i multipli dei segmenti ottenuti secondo un numero di (II), ad es. il multiplo secondo il nu- mero ij del segmento rappresentato da Z, si ottiene colla stessa operazione in- dicata da Z nel segmento ( AA ) = (AA}) -q, che è così pienamente determinata, senza venir meno ai teor. d, 79 e #, 92. Oss. II. La classe dei numeri di (II) (91) dobbiamo ritenerla completata coi sim- boli (numeri) della divisione successiva assoluta per metà delle unità infinite in con- formità all'ip. IV e delle altre ipotesi dalle quali si deduce questa divisione 1). e. Se il segmento (XX') o (X'X) dato da due segmenti (AX), AX*) diventa in- de finitamente piccolo, il segmento dato dai secondi estremi dei multipli di (AX) e (AX*) secondo io stesso numero rj diventa pure inde finitamente piccolo in sen- so assoluto, e inversamente. Ogni altro elemento dato X della forma fondamentale oltre agli elementi della divisione assoluta per metà sarà nel campo infinito di una data unità ad es. (AA}), fra An e An+i. Con un ragionamento analogo al precedente quando ci siamo limitati ai segmenti infiniti e infinitesimi di ordine finito, si vede che X è in un campo di un'unità infinitesima di ordine infinito p compreso fra due elementi NQ Na t di divisione di questo campo, tali che (NaNQ ) ^(AAi) f p essendo JA un numero dato di (II). Col crescere inde- aQ finito in senso assoluto di f* il segmento (N a Na ) ha per elemento limite assoluto X, e quindi anche X^ sarà l'elemento limite del segmento corrispon- dente (C/Va) y (NQ j J, essendo ad es . (A (Na )^) = (ANa) ^ Si prova infatti come precedentemente per f* finito, che col crescere indefinito assoluto di p, I) Vedi es. 4, 93 e la rappresentazione geometrica della nota n. 105

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158 - j - diventa più piccolo di ogni segmento dato e della forma (ip. Vili). Il segmento (AX) è determinato in tal caso dallo stesso simbolo Z quando p = Q, aggiungendo però in principio (AAJ n, essendo X compreso fra An e An+\. Se invece è dato X essendo compreso nel segmento suddetto, 1' ele- mento Xdel summultiplo (AX) di (AX^) secondo il numero 17 è compreso fra N^eN^^, 92). Se l'elemento X* si avvicina indefinitamente in senso assoluto all'elemento X, in un dato momento entrerà nel segmento (Na X) oppure (XNQ + ^, e quin- anche X'^ nel segmento ((N^ XJ oppure (X^ (Na + ^ ^ (g, 92), e se p cre- sce indefinitamente in senso assoluto X^' avrà per elemento limite X^ (def. I, 102). La proprietà inversa è manifesta. Così per (XX') essendo X e X' variabili in senso assoluto si dimostra in modo analogo a quello usato pel teor. #, 99 che ( X^ X' ) diventa indefinita- mente piccolo in senso assoluto (def. II, 100), e inversamente ; riferendosi ai- Tip. Vili e al teor. 6, 102, ai teor. m, n del n, 101 anziché ai teor. h e i del 11. 95, e a ciò che si è dimostrato precedentemente. d. Fissate le siale, ogni segmento dato (AB) è divisibile in un solo modo in un numero infinito 73 qualunque di parti consecutive uguali. La dimostrazione è analoga a quella del teor. , 99, basandosi sul teorema precedente e sul teor. d, 102 e sulla conv. 91. d. Se la forma fotidamentale è chiusa, fissate le scale, si può dividere in un solo modo in un numero $ qualunque di parti consecutive uguali. Basta supporre che gli estremi del segmento considerato in a e d coincidano. Oss. III. Per ottenere ad es, espresso mediante (AA^ la metà di (AX) rappre- sentato dal simbolo Z, basterà prendere la metà dei singoli segmenti dati dai ter- mini del simbolo Z e sommarli insieme, perché lamela di (AAj | _ ^(AAJ^ -L = (AAi) 2^ (e e a, 79); ne viene quindi che la metà di (AX è determinata dal simbolo : Ka, *2(0 "gr- + "V ml / a, ~ OD, 2* T ' (W (D ^_ J , .... \ , .... 2 -i-i "T- J -r E se si vuoi determinare il segmento corrispondente al simbolo |^- 4- "t-Sj" + )

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159 rispetto ad (AX) faremo la stessa operazione rispetto a tutti i termini di questo sim- bolo e sommeremo insieme. Si ha sempre come si vede un simbolo della stessa for- ma di Z, che determinerà quindi un elemento col crescere indefinito di n (a, 101) che sarà il secondo estremo del segmento considerato. E così via. ' . Dato un segmento (AB) m è sempre un segmento (AB) summultiplo v d'ordine ij del segmento (AB). d'". Fissate le scale di unità fondamentale (AA^) rimangono pienamente determinate quelle rispetto ad ogni altro segmento come unità fondamentale a partire da un elemento dato qualunque come origine fondamentale. Invero fissate le scale rispetto all'unità (AAJ nel modo che si è detto ed essendo determinati in modo unico i multipli e i summultipli di ogni seg- mento (AX) le scale rispetto a questo segmento (AX) a partire dall'elemen- to A come origine fondamentale sono pienamente determinate perché ogni operazione eseguita coi simboli precedenti in (AX) si riduce ad un'operazione analoga eseguita con (AAJ. La proprietà è vera anche rispetto ad un altro punto qualunque come origine fondamentale (e, 69). e. Se (A A') è la 7jma parte e (AA") la Vma parte di (AB) (V u),-(^A") e più piccola di (A A'); e se i\ cresce indefinitamente in senso assoluto (A A') dimi- nuisce indefinitamente in senso assoluto. La prima parte si dimostra come quella analoga del teor. d del n. 99, fa- cendo uso del teor. g, 92 anziché del teor. d, 79. Per la seconda parte basta usare il teor. I, 92 anziché il teor. e', 81. 104 a. Se si addiziona un segmento (BC} ad un segmento (AB) a partire da B, del medesimo verso o di verso opposto^ si ha lo stesso risultato sommando al seg- mento (BC) a partire da C il segmento identico ad (AB) e dello stesso verso di (AB). Il risultato è indipendente dall'elemento dal quale si comincia per ese- guire l'operazione. Scriveremo (AB) + (BC) = (AC), La dimostrazione è analoga a quella del teor. eì 99 appoggiandosi agli stessi teoremi del n. 69 e sulla def. I, 61 e sul teor. 6, 78 che sono indipendenti dal concetto di scala e quindi di finito, infinito e infinitesimo (def. II, 82); sul teor. I, 92 anziché sul teor. e', 81 e sul teor. i9 100 anziché sul teor. g, 95. È escluso qui il primo caso perché non vi è un segmento (BC) infinite- simo assoluto cogli estremi distinti (def. I, 100). Per il secondo caso ci appogggiamo alla legge commutativa della somma dei numeri di (II) complelata secondo l'oss. II, 103. Si ha in tal caso seguendo la dimostrazione del teor. e, 99: (AA')ft. m (AC) (A A) p, (m + 1) (I, 92) quindi (XY) rappresenta un multiplo secondo il numero /* di (A A1) anziché es- sere ad esso uguale. Così di (X'Y) che è identico a (XY). Se il numero TJ cresce in- definitamente non solo (AA'), ma anche (AA') p (poicliè p è un numero dato) decrescono i mie fin ita-mente in senso assoluto, e quindi il teor. è dimostrato anche per il caso 3). Gli altri casi 4) e 5) si dimostrano nello stesso modo

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160 Oss. I. Qui l'identità si considera in senso assoluto (def. Ili, 9; def. V, 91). Oss. IL Analoga alP oss. I, 99. a'. Dato un segmento (AB) vi è sempre un segmento (AC) tale che Dim. analoga a quella del teor. è, 99. È da osservare che rispetto alla legge commutativa nel prodotto [UÀ') -f (A'C)] JA è lo stesso come se (A1 C) fosse uguale ad un summultiplo di (AA'); e siccome in questo caso vale la legge distributiva (d, 93), così vale anche quando (AA') e (A' C) non sono l'uno multiplo dell'altro. b. Il segmento multiplo secondo un numero ft della parte ijma (A C) di un segmento (AB), è summultiplo secondo il numero ti di un segmento multiplo di (AB) secondo il numero /*. Dim. analoga a quella del teor /", 99 appoggiandosi alle indicazioni della def. I del n. 92 anziché alla indicazione I del n. 79. Perché / A J)\ * (d, 92). c. Un segmento qualunque (AB) è identico allo stesso segmento percorso nel verso opposto, cioè (A#) = (BA). Dim. analoga a quella del teor. g, 99 appoggiandosi sui teor. a, 69 ; a, 78, sulla def. I e sul teor. b, 70 sul principio ey 8 che valgono indipendentemente dal concetto di scala, e quindi in senso assoluto sul teor. a precedente anziché sul teor. e, 99. d. Dividendo un segmento (AB) in ti parti uguali e le parti rimanenti in ti parti uguali, e così via, si ottiene un gruppo di elementi del segmento dato compresi gli estremi, i cui altri elementi sono elementi limiti del gruppo dato in senso assoluto. Se (AB) è dato dal simbolo Z (103) sia nel caso che le n siano finite o in- finite ( oo) e che i* sia dato o sia /z = Q, (oss. II) abbiamo veduto come siano deter- minati i multipli e i summultipli di (AB) secondo i numeri di (II) mediante le scale già fissate, e si è pure veduto che possono essere determinati mediante l'unità primitiva (AAj) i segmenti che rappresentano gli elementi medi, se- condo le convenzioni stabilite per la determinazione delle scale (103). Dunque vale per (AB) ciò che vale per (AAT) (d'\ 103) ed il teor. per ij = 2 è dimo- strato. Gli elementi di (AAj) possono essere indicati dal simbolo Z del n. 103, quando si fa la divisione successiva in p parti uguali, e quindi con un ragio- namento analogo al precedente si dimostra che ciò vale anche per (AB) ; il teorema è vero anche per tj=^p. Se tj^ooj osserviamo che la prima serie nel simbolo che indica gli ele- menti ottenuti colisi, divisione per oo^ è

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161 fi /-L, \ dove n è finito e le a possono avere i segni o, 1, ...., w, ...., ooj ( -}-....+ -^ ì~ m .... e ! 1, ( = 0, 1, tranne il caso che siano tutte o). Se n cresce indefinita- mente limitandosi ai soli numeri inriniti e quindi anche agli infinitesimi d'or- dine finito, allora per o^ bisogna arrestarsi a questa serie, ed essa deter- mina un segmento (numero) limite, che potrà essere espresso dal simbolo Z, del n. 103. Ad es. sostituendo ad a^0* il simbolo x i(^r + .... 4- ^|^- -f ---- ) (]S=:o, 1) e alle altre a il simbolo o si ha precisamente un numero qualun- que compreso nella prima parentesi del "simbolo Z del n. 103. Se si aggiunge al numero suddetto : m si ha ancora db . 00! Se invece si considerano anche segmenti infinitesimi di ordine infinito, bisogna passare ad es. al campo infinitesimo d1 ordine o^ r1? e si avranno quindi ancora a partire dall'origine già data nel modo stabilito i simboli: Gli elementi che corrispondono ai singoli termini quando nlf n^ .... ns crescono indefinitamente (lim n = oo) sono determinati allo stesso modo che l'elemento corrispondente in senso assoluto dal simbolo (1). Col crescere di 5 limitandosi ai numeri infiniti di ordine finito conoo i i quali formano un gruppo chiuso nel senso del teor. m, 93, il simbolo prece- dente rappresenta un elemento o un segmento della forma fondamentale a partire dall'origine fondamentale A. Se 13 è un numero finito con oon yn lo è pure e quindi per ij avremo in tal caso il simbolo stesso sostituendo v ad oo^ Pel numero ooj0 si ha un simbolo analogo al precedente: basta sostituire ooj* in luogo di ! essendo le a uguali a o e a tutti i numeri interi da 1 a oo^ - 1 e a tutti i segni, ottenuti colla divisione successiva per metà rispetto ai segmenti 1)ecc, come unità (ti, 99). Il

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162 Se y è finito rispetto a oo^ basterà sostituire % a oo^ ed avremo; * + . , + (W b-+ ove le a possono essere il numero o, i numeri interi 1, 2, ...., ti 1 e i se- gni che si ottengono dalla divisione successiva per metà rispetto ai segmenti (AA*!0) ecc. come unità le n e le $ sono numeri interi finiti dati o che cre- scono indefinitamente, e le r sono numeri interi finiti dati. Def. I. Se fjt, è un numero dato il segmento Zl da un elemento che chia- meremo elemento della divisione successiva di (AAJ in 13 parti uguali. Ogni altro elemento essendo compreso fra due di questi elementi il cui segmento è uguale a - - iz- ."Col crescere indefinitamente in senso asso- nwoo*"r luto di f*, l'elemento X è elemento limite dell'operazione indicata dal simbolo suddetto e il teor. d è così dimostrato. 055. 7. Pel numeri infiniti il simbolo Z è come si vede alquanto diverso dal sim- bolo Z del n. 103 che vale pei numeri finiti ; ed è facile di scorgerne anche le ragioni. Di tatti se sostituiamo ad es. nel simbolo Z in luogo di 2 il numero o^ la seconda paren- tesi e così le successive fino a quella che accompagna mooi"ri ci danno numeri del OOj0"!-^! simbolo (1). d. Le parti di un segmento dato (AB) a partire da A possono essere rap- presentate dal simbolo Z del n. 103 ove in luogo di 2 si può porre un numero intero finito qualunque p, oppure dal simbolo Z . Ciò risulta dalle dim. dello stesso teor. d. e. Un gruppo di un numero infinito (Q) di elementi (X) compreso in un seg- mento dato (AB) ha almeno un elemento limite. Basta dividere (AB) in ij parti uguali (d, 103); in una di esse almeno vi sono S2 punti del gruppo (X), intendendo che la classe (II) sia completata nel senso dell'oss. II, 103. Sia (A' ) questa parte. Si può scegliere i^ abba- stanza grande perché in (A'B') vi siano almeno due elementi A",J?' della di- visione di (AB) in ijj parti uguali, che siano distinti da A e . In uno dei segmenti (A'A")j (A'B"), (B"B) vi devono essere fi punti X] così pure se in

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163 cadesse un maggior numero di punti di divisione in ij, parti uguali. Crescendo V! veniamo a costruire una serie di segmenti contenuti successivamente l'uno nell' altro della forma * - che contengono un numero 2 di punti. Col crescere v indefinito di 15, ' - diventa indefinitamente piccola (e, 103), e perciò la serie V suddetta di segmenti determina un elemento L tale che in ogni segmento * '- quanto piccolo si vuole che contiene L cadono elementi X; donde f. V Oss. IL Per Ìl = oo questa dimostrazione vale anche relativamente ad un'unità in luogo della dimostrazione data al n. 98. e'. Una serie dì elementi (X ) nella forma fondamentale tale che il seg- mento ( X X _ ) coir aumentare di 13 diventa indefinitamente piccolo in senso as- soluto ha un elemento limite. Dim. analoga a quella di V, 98 appoggiandosi al teor. d, 102. f. L' ipotesi Vili è indipendente dalle precedenti. L'indipendenza delPip. Vili dalle precedenti risulta dal simbolo Z. Per meglio fissare le idee, senza togliere nulla alla generalità dell'ipotesi, siano dati i soli campi infiniti e infinitesimi d'ordine finito, che come si sa soddi- sfano alla proprietà dell'ip. VII (m, 93). Consideriamo il gruppo ordinato di elementi che si ottiene dal simbolo Z quando m è un numero dato qualsiasi. Abbiamo tutti gli elementi della divisione per metà (def. I, 103). Ora è facile vedere che questo gruppo di elementi soddisfa appunto alle ipotesi che prece- dono Tip. Vili, ben inteso che Tip. V va ristretta in tal caso ai campi suddetti. Se si considerano infatti due elementi X1 e X" dati da : la differenza di Z* e Z" rappresenta appunto il segmento (X'X") (a\ e ogni elemen- to della divisione per metà di (X'X") è compreso anche nel simbolo Z prece- dente ove r è un numero dato di (I). Se (X'X") è infinitesimo ad es. d'ordine s (s^o) allora l'elemento Y tale che ad es. (X'Y)= 2(X*X") si otterrà da Z* aggiungendo nella parentesi che accompagna -^f-la metà della differenza (X'Y) che viene espressa da un simbolo Z"'. Ora se r è invece infinito (oo), o, considerando Z in costruzione, se r di- venta indefinitamente grande, si ha un simbolo che non è reducibile a Z quan- do r è dato, come il simbolo quando n è oo, non si può ridurre alla stessa forma quando n è finito. Difatti per due segmenti uguali espressi con Z le # e le n e le r devono essere rispet*

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164 tivamente uguali nell'ordine in cui sono dati. Ciò non è possibile se per uno dei segmenti r è un numero dato di (I) (46), mentre per l'altro diventa più gran- de di ogni numero dato. 105 a. Il segmento (AG) ~ rispetto ad (AC) : "Q 1) è finito se ^ e iì sono finiti o infiniti dello stesso ordine, 2) è infinito d'ordine fv^ se f* è infinito d'ordine ^ e ij è infinito d'ordine yl9 essendo f*1 ?h 3) è infinitesimo df ordine T^-/^ se nel secondo caso ^ ju^. Difatti ti è un numero del campo oo'1 e quindi - - è un infinitesimo ti (AC) d'ordine yl9 un multiplo di ~ secondo un numero ^ è finito rispetto ad (AC) (f, 92): e quindi se f* è infinito d'ordine /O^, (AC) è un infinito d'ordi- ne jvih, (f", 92 e d, 93), analogamente pel terzo caso. Def. I. Due segmenti che contengono un summultiplo secondo un numero in- tero di (//) si chiamano summultipli di la specie. Due segmenti invece che- si ot- tengono l'uno dall'altro o da un terzo colla divisione illimitata in t\ parti uguali ma non illimitata in senso assoluto si chiamano commensurabili di 2a specie. I primi e i secondi si chiamano commensurabili in senso assoluto. Negli altri casi si chiamano incommensurabili in senso assoluto. Oss. I. Limitandosi ad una sola unità di misura mancano i segmenti commen- surabili di 2 specie secondo la def. I, 103 questi segmenti sono ottenuti colla divisione in fi parti uguali essi partecipano sotto questo aspetto della proprietà dei segmenti commensurabili di 2a specie, e partecipano sotto un altro aspetto della pro- prietà dei segmenti incommensurabili in senso relativo 1). b. Segmenti commensurabili di la specie con un terzo sono commensura- bili fra loro. Perché se contengono un summultiplo uguale col terzo l'uno secondo il numero p e l'altro secondo il numero 17 e /t=?j essi hanno un summultiplo comune. Se invece {* ? i summultipli secondo il numero puij dell'uno e del- l'altro sono uguali al summultiplo secondo lo stesso numero del terzo. Oss. II. Non risulta però che due segmenti incommensurabili con un terzo siano anche incommensurabili tra loro, anzi due segmenti commensurabili possono essere incommensurabili con un terzo. Def. II. I simboli corrispondenti ai segmenti commensurabili di la di 2a spe- cie e incommensurabili coli' unità fondamentale si chiamano rispettivamente numeri razionali assoluti di la e 2a specie e irrazionali assoluti. e. Dati i due segmenti (AB) e (AC), (AB) (AC) vi è sempre un numero 13 razionale tale che: i) Non abbiamo bisogno di dimostrare resistenza dei segmenti incommensurabili né in senso relativo nò assoluto, e quindi neppure dei segmenti commensurabili di 2 specie, per le nostre ricer- che sui fondamenti della geometrìa, bastandoci nell'uno o nell1 altro caso T ip. VI o l'ip. Vili ; come dei resto non abbiamo bisogno dell' ip. v, delle proprietà che da essa dipendono e dei simboli che rappresentano i diversi segmenti della retta a partire da un'origine e rispetto ad una data, unità-

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165 essendo 1 l'unità fondamentale. Difatti se (A#) è infinitesimo d' ordine p rispetto ad (A C) vi è sempre un numero ij, d'ordine p tale che (A5) ijj ( AC) (A ) fo -f- 1 p) essendo lp = oojP (Z. 92). Indichiamo con(A'1A( 1P ) questo multiplo di (AB) compreso fra i due multipli (AB) ijj, (AB) fa + lp)e con (A^) la parte di (AC) compresa nel seg- mento (A^A^p). Basta considerare in (AAWlp) gli infinitesimi d'ordine p, che sono appunto finiti con (AAX) che rappresenta l'unità 1 (a, 86 e e, 91). Se Ci non è un elemento di divisione in parti uguali ottenuto nelle diverse unità infini- tesime di 1 , 2 ,...., pmo ordine rispetto ad (AAcotP), nel quale caso ij sarebbe un numero nazionale assoluto o relativo (def. II) e tale che sarebbe (AB) i) ~ (AC), l'elemento Ci apparterrà al campo infinitesimo di pmo ordine intorno ad un ele- mento di (A'jAoojp) rappresentato da un numero razionale assoluto o relativo. Se questo è ad es. ^ poiché il campo infinitesimo intorno a questo elemento si ottiene portando da una parte o dall' altra successivamente l' unità 1 così si vede che l'elemento C, sarà compreso fra due elementi indicati dai numeri 7)2 4- m, fy 4- (m -f 1) oppue ^ - m, tj2 - (m -f 1. e'. Se (AB) e (AC) sono finiti, 77 è intero e finito (def. II 82; e', 81) Oss. III. In questo caso due numeri finiti che differiscono di un numero infinite- simo non sono ugnali. d. Per prima forma costituente il continuo assoluto (relativo), si può con- siderare V inde finitamente piccolo in senso assoluto (relativo). Se si tratta del continuo relativo, in senso assoluto possiamo considerare anche un infinitesimo d' ordine determinato. Consideriamo dapprima il continuo relativo, e siano (AB) un segmento finito, (AA') un segmento infinitesimo di 1 ordine. Si ha che (AA1) OOA è un seg- mento finito rispetto ad (AB) (A 92). E poiché rimanendo nel campo di una sola unità non si considerano altri campi infiniti si può anche dire in tal caso che (AA1) oo da un segmento finito rispetto ad (AB). Dividiamo ora (AJ9) in n parti uguali rispetto ad (AB) come unità (b, 99) e indichiamole numericamente conpl9p2, ....,# ; mentre una qualunque di esse la indicheremo con p. Abbiamo : (AB) =p^p2 -f p3+ .... +pn od anche m=i (AB)= 2 pm (1) W=l m = n indicando col segno 2 pm la somma delle n parti p. = i Ora lasciamo che n cresca indefinitamente, p diminuirà invece indefinita- mente (d, 99), e avremo: 2pm (2)

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166 In questo caso dunque (AB) è rappresentato come somma di parti indefi- nitamente piccole. La stessa cosa vale se consideriamo (AB) rispetto all'unita assoluta (92). Consideriamo ora un infinitesimo (AA') ad es. di j ordine rispetto ad (AB). Si ha ad es. che {*=* ? 2 (AA*)p è un segmento rinito rispetto ad (AB) (/*, 91); e prendendo come unità fonda- mentale (AA') si ha: 2 (AA')(A ) 2 (AA')p /*=! f*=l ove Y) è un numero intero di (II) (def. V. 91) od anche 2 (AA')n (AB) 2 (AA')p, (a) f*=l fA-l ove t\ è un numero razionale assoluto (e). Oss. IV, Osserviamo però che in questo caso bisogna uscire dal campo dell'u- nità della stessa specie di (AB) (def, I, 86), poiché l'infinitesimo non va considerato i) Rappresentazione geometrica di una parte del continuo assoluto. Consideriamo dapprima il campo infinito di ordine i rispetto all'unità fondamentale ed anche le scale nel verso opposto a partire dall'origine fondamentale. I numeri di (K) si lasciano raggnip- pare nelle serie s/0) s^l\ ... s/m\ . . (I. 93). Ad ogni segmento della forma (AA^ - corrisponde e quelli i /a, o* a* \ una serie sl n ,e quindi ad ogni segmento della forma (AA,) , ( i- 4. -| f-.... -fc ^ + ... I per \ n n* nm / lira m = (a = Qy i,...., n-l) corrisponde una serie s^ Da ciò è chiaro che non considerando gli infinitesi- mi rispetto all'unità fondamentale e considerando soltanto i segmenti infiniti di ordine 1, si può far corrispondere univocamente i segmenti di questa parte della forma fondamentale ai punti del piano (a,y) euclideo ordinario facendo corrispondere cioè i valori di y alle scale s, le cui origini sono rispettivamente indicate con o, , .... co, .... 2 , .... o , (~ -f. 2- .4. .... -i---- -H .... ), n l i l\n n n* / di oc, ai segmenti delle serie s stesse a partire dalle loro origini. Per poter far uso anche dei valori negativi di y bisogna considerare le scale Si che si hanno pel segmenti negativi del continuo fonda- mentale (112). Due elementi indefinitamente vicini in questo continuo sono situati in una serie Sj. A due tali elementi corrispondono due punti indefinitamente vicini del piano, ma non ha luogo la proprietà inversa, perché due elementi corrispondenti nella forma fondamentale appartengono a due Le parallele all'asse delle cc tutte dirette nel medesimo verso ___ ___ a partire dall* origine fondamentale rappresentano le serie Si, le j2ao _| ^-----Ì2oo.-H quali hanno la loro origine nel loro punto d' intersezione coli'asse ' delle y. Se immaginiamo percorse nel medesimo verso tutte le paral- ---- ________' lele comprese nella striscia piana limitata dalle parallele condotte |co.-l oo i I ooi+i per 0 e per O0l da 0 flno ai punto i abbiamo una chiara rappresen- I tazione del campo finito e infinito di ordine i, immaginando però che ~j x le parallele anziché essere r una sopra V altra, e indipendenti fra r1 loro, siano invece una dopo r altra e determinate una dall'altra; ------ vale a dire non abbiano lo stesso punto comune ali' infinito, e for- J-GO.T-I mino un tutto inscindibile. Se il segmento (o.... ]) lo si immagina ______j , poi condensato nel segmento (AB), si ha un continuo di cui l'unità j-200,-1 Ij^T! i-2oo,4-1 (1..0) primitiva è un infinitesimo attuale. Cosi possiamo procedere pei campi infiniti di ordine 2, 3 ecc. m, e abbiamo: Non tenendo conto degli infinitesimi rispetto ad un unità fondamentale tutti i segmenti del campo finito e infinito d'ordine finito m possono essere rappresentati univocamente e nel medesi- mo ordine in u;i sistema di parallele dello spazio euclideo a m dimensioni. I-i I

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167 come nullo e il nulla ripetuto quanto si vuole ci da sempre il nulla. È per questo che rimanendo nel campo di una sola unità vai meglio, come si fa ordinariamente, tenersi al primo caso. Da ciò è chiaro che una costruzione della forma fondamentale asso luta col l'infini- tesimo assoluto è impossibile, non essendo altro per noi che lo zero assoluto (def. 1, 100). 11. Corrispondenza di proporzionalità fra, i segmenti di una o più forme fondamentali. 106. Def. I. Dati due segmenti (AC), (A'C') di due forme fondamentali diverse 0 coincidenti (ip. I, II e def. V. 57), possiamo stabilire una corrispondenza fra 1 loro elementi e gli elementi dei loro multipli in modo che agli estremi A e C di (AC) corrispondano gli elementi A' e C* di (A'C'), e agli estremi dei multipli di (AC) o dei suoi summultipli ottenuti da (AC) colla divisione succes- siva in un numero dato ij di parti uguali (e, 99 e d, 103) corrispondano gli estremi degli stessi multipli di (A'Cf) o degli stessi summultipli di (A1 C*), e in modo che a un elemento compreso fra due degli elementi suddetti della prima forma corrisponda almeno un elemento compreso fra i due elementi corrispondenti della seconda forma. Chiameremo una tale corrispondenza corrispondenza di proporzionalità fra le due forme fondamentali nelle quali giacciono i due segmenti (A C) e (A' C*) e determinate da (A C) e (A' C1). I segmenti corrispondenti li chiameremo segmenti fra loro proporzionali. a. Se (BD) ed (EF) sono segmenti commensurabili con (AC) ottenuti colla divisione successiva in ^ parti uguali di (A C), e (BV), (E'F') sono i segmenti proporzionali corrispondenti ai primi due nella corrispondenza di proporzio- nalità determinata da (A C), (A O) secondochè (BD) = (EF) si ha (B'V) = (E'F'). Difatti si ha (BD)==(AC) J - ed (EF)==(AC)- - , e quindi anche ijP tjPi ( )== (A'C) Ji-, (JET') EE (A'C1) - *- (def. I). Secondochè (BD)=(EF) si ha: (AC)- -E= (A C) -Eì- (def. -IL 61), ed anche (A C) - =(AC) - ( ',79;d, 92); e perciò (A'C) - S(A'C') - (a, 79 o a, 92; d, 79 o g, 92), da cui -rftfi ffi-rf ,Aa)JL.== (A'C1) JV(6f, 79 e d', 92), ossia (J5'D') == (E'F') (def. II, 61). V ^Pl b. Air elemento limite di una serie sempre crescente o decrescente di segmenti commensuràbili (in senso assoluto di 1* specie) ottenuti colla divisione successiva di (AC) in v parti uguali, in una f orina fondamentale f corrisponde l'elemento li-

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168 mite della serie dei segmenti proporzionali in un'altra o nella stessa forma fonda- mentale. Se una serie sempre crescente (o decrescente) di segmenti commensurabili (in senso relativo e assoluto) che hanno simboli della forma (AC) - , ottenuti uP colla successiva divisione in ij parti uguali, ha un elemento limite X, la serie dei segmenti corrispondenti (A'Cf) - è sempre crescente (o decrescente) if (def.I) ed ha pure un elemento limite X1 (a; d, 97 o d, 102). Dico che X' e soltanto X' corrisponde ad X e viceversa. L'elemento X è elemento limite di un'altra serie sempre decrescente (o sempre crescente) di segmenti commen- surabili della forma (AC) -^ (/i, 99 e d, 104). La serie corrispondente deve if avere per elemento limite X*9 altrimenti se avesse un elemento limite Y di- stinto da X', fra X1 e Y vi sarebbe un elemento 71 distinto da X' e Y della divisione successiva per ti (h, 99 o d, 104) al quale dovrebbe corrispondere un elemento Z distinto da X compreso fra le due serie suddette '(def. I), ciò che è impossibile (a; 6, 96 e ?, 101). e. Se (BD ed (EF) hanno rispettivamente (B'D'), (E'F') come segmenti cor- rispondenti nella corrispondenza di proporzionalità determinata da(AC), (A' C'); secondochè (BD) = (EF) si ha ( D')=(E'F'). Sia (AB1) il segmento uguale a (BD) nel verso di (AC) e nella forma fonda- mentale di (A C) ( ', 69 o a', 70 e ip. I e II). Se (AB) è (AC), l'elemento è contenuto in (AC) (e', 68; , 36 e def. I, 61), e quindi anche la serie di seg- menti commensurabili che lo determina a partire da A (6; e h, 99 o d, 104), dunque anche la serie dei segmenti proporzionali nella forma fondamentale di (A' C1) e il suo elemento limite saranno contenuti in (A' C) (6; d, 97 o d, 102). Se (ABf) (AC'), (AI?) è compreso fra due multipli successivi secondo i numeri p e p -f- 1 di (AC) se non è uno di questi multipli, (e', 81 o e, 105) e si ricade nel caso precedente. Se (BD)==(EF) si ha dunque (B'D') = (E'Fr) ( ; def. II, 61 e def. T). Se (BD) (EF), prendendo i segmenti (A J e (AB") uguali a (BD) e (EF) nella forma fondamentale di (AC), e indicando con (AC) -- un segmento che si ac- rf f*i costa indefinitamente a ffl9 e con (AC) """T" un segmento che si accosta indefi- Tjn p Pi nitamente a 5", (AC) T"può essere scelto maggiore di qualunque stato (AC) 0 lyf V?1 H del primo segmento variabile, e quindi (A C) ^ sarà in tal caso maggiore di ogni stato del segmento variabile (A'C) ~~T" (a), e perciò avremo (A'^j) ossia "j) ossia di (E'F') (b). Il teorema è dunque dimostrato.

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169 d. La corrispondenza di proporzionalità è univoca e del medesimo ordine. Difatti ogni elemento X della prima forma o è un elemento dei gruppi ottenuti colla divisione successiva in ij parti uguali in senso relativo e asso- luto di (A C) o dei segmenti consecutivi uguali ad (AC), oppure è limite di questi gruppi (h, 99; e', 81; d, 104; e 105); dunque d (def. I e b; def. Ut 42). e. All'elemento limite di una serie sempre crescente o decrescente di seg- menti qualunque netta forma fondamentale corrisponde V elemento limite della serie di segmenti proporzionali in un' altra o nella stessa forma fondamentale. L'elemento limite X della prima serie può essere considerato come limite di una serie di segmenti commensurabili ottenuti colla successiva divisione in 15 parti uguali (in senso assoluto di la specie) (h, 99; def. I, 105; def. I, 103 e d, 104). L'elemento limite della serie corrispondente, che è pure sempre cre- scente o decrescente (a e e), è limite della serie corrispondente di segmenti commensurabili. Difatti se X^ si avvicina indefinitamente a-X", l'elemento X'^ corrispondente si avvicina indefinitamente a X', perché (X'y 3T), o ( XX'^ ), deve diventare più piccolo di ogni segmento commensurabile dato rispetto ad (A1 C), tale divenendo anche il segmento corrispondente (XJJX)o(XXy)(c). e'. Nella corrispondenza di proporzionalità agli elementi che dividono un segmento (AB) in un numero qualunque p di parti uguali corrispondono ordi- natamente gli elementi che dividono in ugual numero di parti uguali il seg- mento corrispondente (e; h, 99 o d, 104). f. Se (AC) = (A'C) la corrispondenza di proporzionalità è quella d'identità. Difatti la corrispondenza d'identità (b, def. 60) soddisfa alla def. I (dy d\ 79; d', 97 o g, g', 92 e d, 102). g. Nella corrispondenza di proporzionalità ad un segmento qualunque (AB) si può sostituire un segmento (A" ') = (AB). Difatti ogni multiplo o summultiplo di (AB) lo è anche secondo lo stesso numero di (A"B") (def. I, li, 79 opp. 92), e poiché la corrispondenza di pro- porzionalità è determinata dai multipli e summultipli di (AC) e (A'C*), è chiaro che ad (AB) possiamo sostituire (A"#r), anche se (AB) coincide con (AC). Oss. I. In altre parole nella corrispondenza di proporzionalità non si tien conto delle relazioni di posizione fra i segmenti (oss. I, 38). Def. li. Laprop.:! segmenti (AB), (AC); (A'B'), (A'C1), o segmenti ad essi identici, sono in proporzione, equivale alla prop.: I segmenti (AB), (A'B') sono proporzionali nella corrispondenza determinata da (AC) e (A'C). h. Se le coppie (AB), (AC); (A'B')f (A'C1) sono in proporzione lo sono anche le coppie (A' ), (A'C); (AB), (AC). Difatti agli elementi della prima forma determinata da (AC) secondo la de 1 e il teor. b corrispondono univocamente gli elementi determinati nello stesso modo da (A'C*); e quindi a questi si possono far corrispondere univoca- mente e nel medesimo ordine i primi (d), vale a dire nella corrispondenza di pro- porzionalità le forme date da (AC) e (A'C*) si possono scambiare fra loro. i. Se le coppie (AB), (AC); (A'B1), (A'C) sono in proporzione con la coppia (A"B"), (A" C"), sono in proporzione fra loro. Perché le forme determinate da (AC) e (A'C) corrispondono univocamente e nello stesso ordine secondo la def. I a quella determinata da (A"C") (d) e quindi

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170 si corrispondono univocamente e nel medesimo ordine fra loro mediante la def. I {/; 42). e*. La coppia (AB), (AC) è rispetto alla corrispondenza di proporzionalità ugiiale alla coppia (A'B'), (A'Cf). Difatti nella corrispondenza di proporzionalità la coppia (AB), (AC) può essere sostituita nella corrispondenza con la coppia (A"B"), (A" C") dalla coppia (AB1), (A' C) (def. VII, 8; def. IV, 9). 1. I segmenti somme o differenze di segmenti proporzionali sono pure pro- porzionali. Difatti se (AB), (AB'); (BD), (B'D1) sono due coppie di segmenti proporzio- nali nella corrispondenza data da (AC) e (A 'C) i segmenti (AD) = (A B) 1 (BD) (AD') = (AB') dr ( D1) sono dedotti da (AC) e (A'C1) colla stessa operazione che soddisfa alla def. I, e a b, o e. m. Se (AB) e (AB') sono proporzionali nella corrispondenza determinata da (AC) e (A'Cf)-, (AC) e (A C) sono proporzionali rispetto ad (AB) e (A'#). Supponiamo dapprima (AB) (AC) e quindi (A'B'X(A'C') (a, e e); si avrà: (AB) pt (AC) (AB) (p + 1) (e',' 81 opp. e, 105). e perciò anche (A'#) ^ (A'Cf) (AH) (H-l) (a, e e) Se (A C) è multiplo di (AB) secondo il numero fi il teor. è immediata conseguenza della def. I. Se invece non lo è, sarà (AC) = (AB)^ + (A1C1) (I) ove e analogamente ove Se (AjCj) è un summultiplo di (AB) ad es. uguale alla sua parte Pima, (A C) contiene f*^ -|- 1 di queste parti, è cioè multiplo di che corrisponde f*i proporzionalmente alla parte (f*f*i-H)wa di (A 'C*), la quale è pure parte f*l'wa di (AB). I segmenti (AC) e (A' C*) sono dunque in tal caso proporzionali nella corri- spondenza determinata dalle parti ii^6 di (AB) e (A'ff), e quindi anche per la dimostrazione precedente e pel teor. i, in quella determinata da (A#) e (A'#J. Se invece (AB) non è multiplo di (A^) si avrà: ', 81 opp. e, 105) (2) ove df, 79, o g', 92)

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171 / A T \ _ I A D\ (AjCj) contiene una sola parte v ; . Se si avesse (A^J = * * . 2 si f*rH . f*i-H avrebbe pure: (A^) (Fl+l) ^ ( AB) 2 (d, 79 o 0, 92). quindi (A^) (^4-D (A,C,) ftj 2 (2) ; e?, 61) vale a dire: il che è assurdo (/*, 73 ; o , 61 se ^ = 1). Se (A C) e (A' C1) sono proporzionali rispetto ad lo sono pure per la dimostrazione precedente nella corrispondenza determi- nata da (AB) e (AB). Da (1) si ha : (AB,) [^ (M-1H-1] (AC) (AB,) fo (M-l) + 2] (3) perché (A,^) contiene una sola parte (fv4-l)ma di (A#), cioè contiene una sola volta (A^) ed è maggiore di (AB,) (2), mentre (AB) contiene ^4-1 volte (ABJ. Analogamente per la corrispondenza di proporzionalità (A'ff) b. fe+I) +1] (A9 C) (Aff) [M (|h+l) +2] (e). Si ha quindi : (AC)E= (AB,) [^ (^+1) +1] + (A2C2) (4) Se (A2C2) è un summultiplo di (AB,) il teorema è dimostrato; se no, si avrà: (A ) (ABJ e ponendo si ha e con un ragionamento analogo al precedente, ponendo p = p (ft,+l) + 1 si ha (AB2) [fi' t2+l) + 1] (AC) (AB2) | ' fo+i} -f 2] Così continuando si ha: ___________(AB)_________ che diventa indefinitamente piccolo coli'aumentare indefinito di a (d,99o e, 103)

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172 in senso relativo o assoluto. (AC) e (A'C) si ottengono dunque come limiti di una serie di segmenti commensurabili con (AB) e (A'B'). Il caso (A1B) (AC) si riduce al precedente, e quindi il teor. è dimostrato. Def. III. Dato un segmento (AC) ogni altro segmento (AB) della forma fon- damentale si può dedurre da (AC) in base al teor. h, 99 oppure in senso asso- luto al teor. d, 104. In questa costruzione noi paragoniamo (AB) e (AC), e la relazione di (AB) e (AC) in questo confronto (def. IV, 8) si chiama rapporto di (AB) ad (AC), che si indica col simbolo , * . (AL) Oss. IL Data la coppia (AB), (AC) è determinato da essa il rapporto di (AB) ad (AC), ma il rapporto non è la coppia stessa, n. Se le coppie (AB), (CD); (A'B1), (OD') sono in proporzione, i loro rapporti sono uguali. Difatti (A^ff) si ottiene da (CD') colla stessa operazione con cui (AB) si ottiene da (CD), e i rapporti delle due coppie dipendendo unicamente da questa ope- razione (def. Ili; def. I, II, 11) sono uguali (def. VII, 8 o def. IV, 9); n'. Se le coppie (AB), (CD);(A'B'), (CD') sono in proporzione si ha: (n, def. Ili ; b, 9). Oss. III. Non possiamo adoperare il segno = perché qui si tratta di un'ugua- glianza relativa fra le coppie (AB), (CD); (A'B), (C"Dr), delle quali consideriamo altri contrassegni (def. 1,38; oss. II). Il rapporto è il contrassegno rispetto al quale vengono confrontate le coppie nella corrispondenza di proporzionalità (9). n". Se (AB) _ (A'B') (CD) - (CO) le coppie (AB),(CD)](A'B'),(CD') sono in proporzione. Difatti l'uguaglianza dei rapporti da l'uguaglianza delle operazioni colle quali (AB) e (A'B1) si ottengono da (AC) e (A't?) secondo la def. Ili, che sono anche quelle della def. I e del teor. e. La proporzione fra le coppie (AB),(AC), (AB1), (A'C) si può indicare e indi- cheremo col simbolo (AB) i) in fondo per la teoria delle proporzioni non occorre introdurre il concetto di rapporto, basta semplicemente la coppia di segmenti ; d'altronde il rapporto è una relazione fra (AB) e (Ae), non la coppia stessa, ma bensì un contrassegno di essa. Il rapporto è poi indipendente dalla corrispondenza di proporzionalità, perché esso dipende soltanto dal!' operazione speciale colla quale da (AC) si ot- tiene (AD). il rapporto non solo non dipende dalla posizione relativa dei segmenti (AB) e (AGÌ ma neppure dai segmenti stessi presi isolatamente, perché segmenti non uguali ad (AB) e (AC) possono aver lo stesso rapporto. (Vedi anche 2, Gap. VII). Euclide definisce il rapporto (o ragione) come una relazione dei due segmenti (o grandezze omo- genee) in ordine alla loro quantità (def. Hi, lib. V), ma egli non ha detto che cosa si debba intendere

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173 Osa. IV. Ad ogni rapporto r^-gr secondo la def. Ili corrisponde un segno (nu- mero) che indica l'operazione colla quale da (OD) si ottiene (AB), che ha la forma del simbolo del teor. h\ 99 o è, 105, se (AB) (CD). Se invece (AB) (CD) si ha: (OD) li 4 (AB) (CD) (ft-f-1) (c\ 81 opp, e, 105). e quindi : ove (CiDj) (CD), che viene espresso mediante (CD) e uno dei simboli suddetti. Def. IV. Questo segno o numero si chiama la misura del rapporto o della coppia (AB), (AC) nella corrispondenza di proporzionalità. Oss. V. Senza adottare Tipot. VII intorno agli ordini d'infinitesimo di un seg- mento qualunque (100), la corrispondenza di proporzionalità in senso assoluto non sa- rebbe possibile. 12. Estensione delle scale. Campi finito, infiniti e infinitesimi intorno ad un elemento della forma fondamentale aperta o chiusa rispetto ad un'unità. 107. Oss. I, II teor. g del n. 99 o il teor. e del n. 104, ci permette di non tener conto nella relazione d'identità, come abbiamo fatto fin qui, del verso in cui sono percorsi i segmenti identici. Finora noi abbiamo considerate le scale di diverse unità a par- tire da un elemento dato come origine fondamentale in un solo verso sulla forma per quantità (vedi nota 2, 38). Definisce l'uguaglianza di due rapporti (def. v, lib. V), e cade, a mio parere, in un difetto analogo a quello accennato nella nota in calce al n. 9. È vero che in Euclide la definizione di uguaglianza serve a completare quella di ragione, e significa che se i rapporti hanno tali proprietà da essere soddisfatta la def. V essi si possono sostituire uno ali1 altro ; ma l'inco- venienté non è tolto del tutto, poiché il rapporto, come dissi, esiste indipendentemente da un altro rapporto, e quindi pare a me debba essere definito pienamente prima di confrontarlo con altri. Molti dopo aver definita la proporzione fra quattro grandezze due a due omogenee e multiple l' una dell'al- tra, dicono* che il rapporto della prima alla seconda è uguale al rapporto fra la terza e la quarta, introducendo il rapporto come un modo di dire: non sappiamo perché non si chiami anche disuguale o con altra parola, anziché adoperare il segno = o la parola uguale che ha logicamente un senso de- terminato (8-ll), oltreché si fa dipendere il rapporto dalla proporzione. Si potrebbe anche dire secondo la nostra definizione e pei teor. i e i' che la coppia (AB), (AC) nella corrispondenza di proporziona- lità si chiama rapporto ; anche cosi lo si farebbe dipendere dalla corrispondenza di proporzionalità. Ad ogni modo però pei teor. n, n' ri' rapporto e coppia di segmenti nella corrispondenza suddetta sono termini equivalenti. (Vedi le note : 117 e 2, 121). Con questa corrispondenza si possono svolgere tutte le proprietà dei rapporti di segmenti come abbiamo fatto qui per alcune di esse non avendo noi bisogno in fondo che della def. i e del teor. o per la dimostrazione di un teorema che serve di base alle proprietà fondamentali del piano. Si può dire che - ^ . quando (AB) (ABi), perché in questo modo si fan no corrispondere univocamente (AC) (AC) e nello stesso ordine i rapporti ai segmenti o agli elementi della forma fondamentale, dimodoché ad un elemento compreso fra due elementi dati corrisponde un rapporto compreso fra i rapporti corri- IAB) spendenti. Se si tratta di due rapporti - '- , , il primo è maggiore o minore del secondo se- (AC) (A C i condo che o maggiore o minore del rapporto - corrispondente di - nel la corrispondenza data (AC) \A l } da (AC) e (AV), perché essa è univoca e del medesimo ordine, (d). Qui ci siamo limitati ai segmenti di una o più forme fondamentali, ma poiché la corrispondenza di proporzionalità dipende soltanto dalla costruzione con cui i segmenti della forma fondamentale vengono dedotti da (AC) (def. 1), cosi si può stabilire questa corrispondenza fra coppie di grandezza qualunque che si possono dedurre una dall' altra nel modo anzidettp.

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174 fondamentale aperta (oss. I, 79 e def. VII, 92). Ora le considereremo anche nel verso opposto, e poiché la forma fondamentale in un verso è identica alla stessa forma nel verso opposto ('/ . 70), i suoi elementi a partire da A in un verso possono essere indi- cati dagli stessi segni di quelli considerati nel verso opposto, facendo corrispondere agli stessi segni nei due versi segmenti identici a partire da A. Se si ha un segmento (AG) infinito rispetto ad (AAJ siccome (C A) = (- C) (e, 104) (C A) è infinito dello stesso ordine rispetto ad (AA{). a. Se B' e E sono elementi dati dei campi infiniti d'ordine y in versi op- posti (o da parte opposta) dall'origine, il segmento (B'B) che comprende l'ori- gine è pure infinito dello stesso ordine. Se (A ) non è uguale ad (AB) vi è però un elemento Bl nel verso di (AB) tale che (ASf)^(ABl) (a', 70). Ma essendo (ABJ infinito dello stesso ordine di (AB) è finito con (AB) (e, 91 e a, 86), e quindi anche la somma (AB?) -f- (AB) (i, 82), e perciò questa somma è infinita dello stesso ordine (e, 91; a, 86). Ma (AB') = ( A) (g, 99 ; e, 104) dunque (B'A) + (AB) = ( B) è finito rispetto ad (AB), ossia infinito dello stesso ordine (e, 91 e a, 86). Def. I. I campi finiti rispetto ad un'unità data nei due versi della forma a partire da un suo elemento X qualunque dato (def. V, 83) costituiscono il campo finito intorno ali' elemento X rispetto alla data unità. Def. II. I campi infiniti di un ordine dato TJ in uno o nell'altro verso a partire da A costituiscono invece il campo in finito d9 ordine 11 rispetto all'unità fondamentale data (def. II e oss. Ili, 91). b. Se B e sono elementi limiti di un dato ordine ij a partire da un ele- mento A in uno e nell'altro verso, si ha rispetto all'unità fondamentale Difatti essi sono limiti determinati dai campi infiniti di ordine ij-1, i quali sono identici (def. I, a", 70 e oss. Ili, 86). 108. Oss. I. Se la forma fondamentale è chiusa la possiamo considerare anche come una forma aperta (6, 63). In tal caso fra le due specie di forma fondamentale non vi sarebbe alcuna distinzione, perché la stessa forma chiusa si considererebbe quale forma aperta. a. Dato un segmento (AB) della forma fondamentale chiusa^ esso o è finito o è infinitesimo d'ordine determinato in rispetto a tutta la forma; quindi nella forma non vi sono segmenti infiniti d'ordine superiore a iì rispetto ad (AB). La forma fondamentale chiusa è infinita di ordine determinato rispetto ad un suo segmento qualunque dato. Intorno ad off ni elemento A rispetto ad un'unità (AB) fondamentale vi sono un campo finito e i campi infiniti dì 1 , 2 , ...., ijwo ordine, se ti e V or- dine d* infinito della forma fondamentale rispetto ad (AB). 1 campi infiniti di 1 , 2 , ... (^ l)mo ordine in uno o nelV altro verso non coincidono, mentre coincidono i campi infiniti di t^ ordine. Volendo tener conto infatti della forma chiusa come forma semplice, a partire da un suo elemento A qualunque la si può considerare come un segmento

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175 limitato da due elementi coincidenti in A (a, 63), mentre i segmenti semplici conservano le stesse proprietà rispetto alle suddivisioni in parti infinitesime, e perciò anche in parti uguali (ip. VII ; a, d, 103). Ma scelto un segmento (AB) infinitesimo d'ordine 15 rispetto a tutta la forma, questa è infinita d'ordine 15 rispetto ad (AB) (def. Ili, 86; oss. IV, 91), e in tal caso rispetto ad (AB) non vi è un infinito d'ordine superiore, che dovrebbe essere maggiore di tutta la forma data (def. II, 82 e def. II, 86). Questa è la differenza caratteristica fra la forma fondamentale chiusa e quella aperta, perché in quella aperta vi è in uno e noli' altro verso un seg- mento di ordine infinito qualunque dato rispetto ad ogni segmento. Inoltre scelto il segmento (AB) sulla forma aperta, i segmenti infiniti d'un ordine qualunque y in un verso non hanno alcun elemento comune, in modo che i campi infiniti d'ordine 13 non coincidono; mentre coincidono se la forma è chiusa rispetto all'elemento A, perché si confondono colla forma stessa che è a par- tire da A fino ad A un segmento infinito di ordine ij. Dunque ogni elemento X tale che (AX) è infinito in un verso d'ordine KJ è finito rispetto a tutta la forma, l'elemento X appartiene ad uno dei campi a partire da A nel verso opposto. Gli elementi limiti all'infinito d'ordine ti che rappresentano i campi al- l'infinito di 1 ordine rispetto all'unità infinita d'ordine y-I (oss. Ili 86), coinci- dono come i campi che rappresentano, essendo essi in senso assoluto punti nei quali coincidono in uno e nell'altro verso i campi all'infinito d'ordine TI nei due versi a partire da A rispetto all'unità di ordine y-\ (def. IV, 86; oss. Ili e def. II, 91). Oss. II. Nel passaggio dal campo di un'unità ad un'altra infinita bisognerà tener presente che gli elementi limiti non sono elementi determinati rispetto alla nuova unità ma che rappresentano appunto tutto un campo di elementi (i1, S5J. a. Ogni elemento dato di un campo finito o di un campo infinito lordine minore di t\ dello, forma chiusa intorno ad un elemento, lo divide in due parti uguali relativamente alle unità di questi campi (a\ e ", 70). 13. Ancora, dell'uguaglianza, assoluta, e refativa, di due forme. 109. a. V uguaglianza di due segmenti limitati di forma fondamentale ri- spetto all'imita assoluta equivale all'uguaglianza in senso assoluto. Difatti essi non possono differire di alcun segmento (AB) dato, neppure se è infinitesimo di ordine determinato ij quanto grande si vuole, mentre se differiscono di un segmento infinitesimo assoluto, questo si confonde con lo zero assoluto (def. I, 97). a'. V uguaglianza in senso assoluto da V uguaglianza relativamente ad ogni unità di misura. Perché se due segmenti sono uguali in senso assoluto a maggior ragione Jo sono in senso relativo (def. Ili e IV, 9 opp. #, 91).

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176 a". V uguaglianza relativa ad una data unità di due segmenti finiti dati si può ritenere come uri uguaglianza assoluta quando noti sia stabilito che essi differiscono di un infinitesimo in senso assoluto. Siano (AB), (CD) i due segmenti dati. Se (AB) e (CD) non sono invece uguali in senso assoluto, e (CD') = (AB), poiché (CD) e (CD') coincidono rispetto al- l'unità relativa (V, 91) possiamo ritenere che ad (AB) in senso relativo sia uguale (CD) anziché (CD). Dunque è dimostrato in tal caso che l'uguaglianza relativa dei due segmenti può ritenersi come un1 uguaglianza assoluta. Ma se invece è già stabilito che (CD)^ (AB) in senso assoluto, e poi dal- l'unità relativa si passa all'unità assoluta, (CD) rimane sempre lo stesso, e i due segmenti (AB) e (CD) che sono uguali in senso relativo non lo sono invece in senso assoluto, perché è già stabilito che il segmento che si confronta con (AB) in senso assoluto non è (CZX) ma (CD). b. Vuguaglianza rispetto ad una data unità di due segmenti infiniti o infi- nitesimi non è in generale uri uguaglianza assoluta né uri uguaglianza relativa alla loro unità se sono della stessa specie. Perché due segmenti infinitesimi o infiniti sono uguali rispetto all'unità finita mentre possono essere disuguali rispetto ad un'unità infinitesima o infi- nita fe h, 85 e V, 91). e. Due forme identiche devono esser tali in senso assoluto e perciò anclie ri- spetto a qualunque unità relativa. Difatti se differissero in qualche cosa non sarebbero più identiche, salva la diversità di posizione (def. Ili, oss. Ili, 9 e oss. Ili, 58).

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CAPITOLO VII. Forme a più dimensioni Campo di tutte le forme Grandezza estensiva ed intensiva di una forma e in particolare della forma fondamentale ]). Definizione delle forme a, più dimensioni e loro campo. 110. Def. L Un sistema ad una dimensione riferito ad un altro sistema ad una dimensione a (def. I, 62), preso come nuovo elemento, si chiama sistema o forma a due dimensioni rispetto all'elemento fondamentale di a (def. I, 57). E in generale un sistema ad una dimensione riferito ad un sistema a q 1 dimensioni, come nuovo elemento, si chiama sistema o forma a tj dimensioni rispetto all'elemento fondamentale. Oss. I. La definizione precedente suppone che gli elementi di un sistema ad una dimensione siano identici (def. 1,62 e def. 1,57); possiamo supporre che non lo siano, e diremo: Def. II. Se è data una forma determinata da più forme ad una dimen- sione a' a" a'"... a..P rispetto ali' elemento fondamentale e se si può stabilire fra gli elementi di a a"...af* una corrispondenza univoca e dello stesso ordine, in modo che gli elementi corrispondenti determinano un sistema ad una di- mensione, la forma data si chiama pure a due dimensioni rispetto all'elemento fondamentale. In tal guisa si possono definire forme a un numero qualunque dato di dimensioni. a. La forma data da tutte le forme definite in base ai suddetti principii, e nelle quali esse sono contenute (def. I, e def, II, 13) non ha un numero de- terminato di dimensioni. Difatti la costruzione delle forme a più dimensioni è illimitata, poiché supposta data una forma a tj dimensioni possiamo costruirne un'altra a v -fi dimensioni. 2. Grandezza estensiva e intensiva delle forme e della forma fondamentale. Def. L Grandezza estensiva di una forma che non è uri solo elemento (def. IV, 57) si dice la forma considerata nelle relazioni di posizione fra le 1) Di questo capitolo come di altre proprietà non faremo uso nella geometria (vedi pref.), perché senza fondarci da principio su troppi concetti generali preferiamo di dare le definizioni delle figure a più dimensioni, della loro grandezza intensiva, delle figure continue quando si presenterà il bisogno o l'milita, 12

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178 sue parti, astrazion fatta dalle relazioni di uguaglianza (def. Ili, 9) e di disu- guaglianza con altre forme (def. I, li, 61). Def. IL Grandezza intensiva o quantità di una forma che non è un solo elemento (def. IV, 57) si intende la forma considerata come sostituibile ad nn altra forma identica in ogni unione (29) con altre forme (oss. Ili, 58), astrazion fatta quindi dalle relazioni di posizione. a. Quando di una forma non si tien conto delle relazioni di posizione delle sue parti fra loro, cìie non sono un solo elemento, la forma risultante è la gran- dezza intensiva della forma data. Non tenendo conto delle relazioni di posizione delle parti fra loro, alle parti A e B ecc. della forma F possiamo sostituire due forme identiche A' e #.... qualunque, vale a dire consideriamo solo la grandezza intensiva di queste parti (def. II). In questo modo alle parti A, B ecc. della forma F in unione con un'altra forma J^ si possono sostituire rispettivamente le parti A', B1 ecc. di una forma F' identica a F9 e siccome ogni forma è data dalle sue parti, alla forma Fiu unione con Fl possiamo sostituire la forma F', quindi ecc. (def. II). Oss. 1. Il concetto di maggiore e di minore di due forme secondo la def. I e II del n. 61, riguarda soltanto la grandezza intensiva delle forme ^a; 61 e def. li). Se una forma si considera dunque soltanto nelle relazioni di uguaglianza e di disuguaglianza con altre forme, (def. I e II, 61) si fa astrazione dalle sue relazioni di posizione con altre forme o delle sue parti (a) e quindi si ha la grandezza inten- siva della forma data. b. Per definizione della grandezza intensiva può essere considerata la prò- prietà del teor. a. Perché da essa con un'analoga dimostrazione si ottiene la proprietà della def. IL e. Una forma ha una sola grandezza intensiva, mentre ad una grandezza intensiva possono corrispondere più forine. La prima parte del teorema risulta immediatamente dalla definizione stessa (def. I, 38). Per la seconda parte basta osservare che tutte le forme identiche o composte di forme identiche hanno la stessa grandezza intensiva. Ind. I. Per T uguaglianza di due grandezze intensive A e B adopereremo il segno =, e scriveremo A = B (def. IV, 9). Def. HI. Due grandezze intensive A e B tali che A^ B le chiameremo omogenee se By^A (def. I, II, 61) essendo 13 un numero qualunque determinato della classe (II) dei numeri in- teri finiti e infiniti (def. V, 91) 2). Def. IV. Una forma che serve a confrontare le grandezze intensive di due forme omogenee A e B si chiama unità di misura delle grandezze A e B. d. Per le grandezze intensive (AB), (A' ) di due segmenti della forma fon- damentale si ha: (AB) + (AW) = (A'B1) + (AB) (e, 99 o a, 104). e. (AB) = (BA) 1) Vedi e. 2) Non escludiamo con questa definizione che 17 possa appartenere ad altre classi di numeri pos- sibili (Vedi nota, 4).

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179 Osa. IL 11 primo teorema ci da la legge commutativa delle grandezze intensive con questo, che mentre nei teor. 0,99 e a. 104 i segmenti devono essere consecutivi, non occorre che ciò sia per le grandezze intensive (def. II). Il secondo teorema ci dice che la grandezza intensiva di un segmento della forma fondamentale è indipendente dal verso di essa. Oss. IH. Valgono pure per le grandezze intensive gli altri teor. dei numeri 99 e 103- J04 e le indicazioni pei multipli e summultipli. f. Due segmenti uguali in grandezza intensiva sono identici. Se (AB) e (CD) sono due segmenti qualunque si ha uno dei tre casi (AB) = (CD) (6, 73; , e, 61). Se (AB) = (CD) le grandezze intensive di (AB) e (CD) sono uguali (def. HI, IV, 9 e def. II). Se (AB) (CD) vi è in (AB) un segmento (A#!)=(CD) (V, 69) che ha la stessa grandezza intensiva di (CD), mentre le grandezze intensive di (AB}) e (AB) differiscono per quella di (B^) (oss. I). Ora se inversamente i due segmenti (AB), (CD) hanno uguale grandezza intensiva devono essere identici, perché se non fosse (AB) = (CD) per P osserva- zione precedente i segmenti (AB) e (CD) non sarebbero uguali in grandezza intensiva. g. La grandezza intensiva della forma fondamentale e delle sue parti è indipendente dalla posizione dei suoi elementi dati e distinti, ma non da quelli di un segmento indefinitamente piccolo. Sia (AB) un segmento dato cogli estremi distinti. Si può scomporre (AB) in ij parti uguali (AA'), (A'A") (A"A'")... (B'"B"), ( 'B'),( B), e ai segmenti (AA') (A'A")...(I?B) possiamo sostituire altri segmenti identici (AlA\)(A'lAn^)... qua- lunque e fuori della forma data (a); dunque la grandezza intensiva è indipendente dalla posizione di -A", A", ecc. B, però è dipendente da quella di A rispetto ad A perché deve essere (A^AÌ) = (AA'). Crescendo 13 si vede che nella grandezza intensiva A è indipendente da A', mentre si ottiene un segmento (AX) sempre più piccolo, vale a dire agli elementi dati del segmento (AB) possiamo sostituire a partire da A altri elementi fuori di questo segmento. Con questo procedimento (AX) diventa indefinitamente piccolo (d, 99 o e9 103). Rimane dunque sempre T in- definitamente piccolo da cui dipende la grandezza intensiva, ossia essa dipende dalla posizione degli elementi nel!' indefinitamente piccolo, sebbene siano per noi indeterminati. O in altre parole facendo corrispondere nel modo indicato altri elementi a quelli della forma fondamentale, a due elementi indefinitamente vicini della forma fondamentale devono corrispondere due elementi indefinitamente vicini di un' altra o della stessa forma fondamentale affinchè non muti la gran- dezza intensiva. Oss. IV. Sarebbe quindi un errore il dire che la grandezza intensiva di un seg- mento è indipendente dalla differenza di posizione di tutti i suoi elementi, nel qual caso non occorrerebbe che nella corrispondenza suddetta a due elementi indefinita- mente vicini corrispondessero due elementi pure indefinitamente vicini sulla forma fondamentale, sebbene indeterminati. ^. Se la grandezza intensiva di un sistema è omogenea con quella della forma fondamentale o di una sua parte, V indefinitamente piccolo del sistema è uri* inde finitamente piccolo della forma fondamentale.

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180 Difatti le parti del sistema rispetto alla loro grandezza intensiva si pos- sono sostituire da segmenti della forma fondamentale. Ma la grandezza intensiva della forma fondamentale dipende dalP indefinitamente piccolo di essa ( ), e per la grandezza intensiva a due elementi indefinitamente vicini della forma fonda- mentale devono corrispondere due elementi indefinitamente vicini della stessa o di un'altra forma fondamentale, come risulta dalla definizione stessa della grandezza intensiva e dalla dimostrazione del teor. i\ dunque $. Oss. V. Tale proprietà ha ogni sistema dato, che si ottiene da un numero ti di segmenti di forma fondamentale non situati in una di queste forme, anche quando questi segmenti decrescono indefinitamente in senso assoluto, o relativo, rimanendo nel campo di una sola unità *). i) II teor. g, 121 dice che la pura grandezza numerica non è ancora la grandezza intensiva. Le definizioni di grandezza estensiva ed intensiva di H. Grassmann sono in fondo analoghe alle nostre, sebbene quelle di Grassmann siano oscure. Egli dice: (Ausdeh. Leh. 1844 p. XXIV) La gran- dezza Intensiva è ciò che è generato dall'uguale, mentre la grandezza estensiva è generata dal di- verso . È un linguaggio tanto più oscuro in quanto egli non ha ben spiegato prima i concetti dell'uguale e del diverso, ma chiarisce il suo concetto, quando dice che la linea geometrica essendo una grandezza estensiva si può riguardare come una grandezza intensiva facendo astrazione^ dal come sono posti i suoi elementi (punti). Ma egli per elemento (p. XXVII) intende una parte indefinitamente piccola (vedi nota 3 n. 97) non come da noi un ente che non è parte del continuo nel senso del teor. dì 105 (oss. I, 76 e oss. IV, 105) sebbene ne possa avere in sé (def. i, 57). Secondo noi però bisogna dire che il primo carattere o contrassegno della linea come delle altre figure geometriche, è la diversità di posizione dei suoi punti e quindi la sua grandezza estensiva (def. i); ma la linea non è soltanto una grandezza estensiva perché ha anche una grandezza intensiva. E da osservare poi che per Grassmann la grandezza estensiva e intensiva sono continue (Vedi nota sud- detta) mentre le nostre definizioni valgono anche per le forme discrete.

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CAPITOLO Vili *) Numeri reali, relativi e assoluti, positivi e negativi. i. Verso positivo e negativo della, forma fondamentale Segmenti positivi e negativi Criterio di confronto fra gli uni egli altri Convenzione dei segni + e , 112. Oss. I. Dati due segmenti (AB) e (A'B)^ indipendentemente dalla forma fon- damentale in cui sono situati, se (AB) contiene una parte identica ad (A'1?) si ha: (AB) (AB1), (A'B') (AB) (def. I, II, 61) e poiché (A'B1) = ( A) (g, 99 opp, e, 104) si ha pure (AB) (B'A) (def, II, 61). Con questo criterio di maggiore e di minore, come con quello d' identità assoluta non si considerano le relazioni delle forme in un tutto qualunque a cui possono appar- tenere, ma si considerano separatamente in sé (ad es . oss. Ili, 58 e a, 61). Così se si tratta di due segmenti di forma fondamentale. Ciò non significa che il concetto di maggiore e di minore e quello di identità non dipendano dall* ordine delle parti delle forme stesse che si confrontano e quindi dei loro elementi, ma significa che riguar- dano soltanto il loro ordine in sé, e non in relazione ad altre forme cui apparten- gono. È se anche (AB) e (A E1) appartengono ad una medesima forma fondamentale, se sono identici lo sono indipendentemente dal verso del sistema, in base al principio 6 del n. 60. Ma se vogliamo che sia contrassegno dei segmenti nella forma fondamentale anche il verso della forma in cui sono percorsi, noi evidentemente facciamo una restrizione al concetto d'identità dei due segmenti considerati separatamente, e al con- cetto di maggiore e di minore, attribuendo ad essi un contrassegno che ad essi, con- siderati in sé medesimi, non spetta, cioè la posizione o T ordine relativo ad elementi fuori di essi 2). Bisogna vedere come può modificarsi il criterio di maggiore e di mi- nore nel confronto di segmenti di verso opposto, senza contraddire al criterio suddetto che in tal caso deve valere per i segmenti in un verso dato della forma 3). Def. I. Un verso qualunque dato della forma fondamentale e nel quale vale il criterio di maggiore e di minore già stabilito (def. I, II, 61) lo chiameremo verso positivo, mentre chiameremo verso negativo il verso opposto. I segmenti 1) Di questo Gap. non facciamo alcun uso nei fondamenti della geometria. 2) È questo in fondo che si fa colla definizione deli1 uguaglianza di due figure geometrìche me- diante l'idea intuitiva del movimento senza deformazione nello spazio 53 (o sn ) (Vedi pref- e ad es. parte i, cap. i.). 3} vedi oss. IV.

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182 percorsi nel primo verso li chiameremo positivi, negativi quelli percorsi in verso contrario. Def. IL Quando diremo che due segmenti sono in valore assoluto uguali o disuguali intenderemo di riferirci sempre al criterio già stabilito indipenden- temente cioè dal verso della forma in cui sono percorsi. Oss. II. A partire dunque da un elemento A nel verso positivo non vi è che un solo segmento (AB), e gli altri segmenti in questo verso sono a partire da A mag- giori o minori di (AB) (e. 65, c1. 68; , 73). Def. III. Nel confronto di segmenti positivi e negativi teniamo fermo il criterio che se ad un segmento dato a, si sommano due segmenti b e e positivi o negativi, e che i segmenti risultanti sono positivi e l'uno maggiore dell'altro; dei due segmenti e e è maggiore quello che da il risultato maggiore (/", 73). a. I segmenti negativi sono minori dei segmenti positivi; e di due segmenti negativi in confronto coi positivi è maggiore quello che in senso assoluto è minot^e. Sia dato il segmento (AB) nel verso positivo e si aggiunga ad esso nello stesso verso un segmento (BC) qualunque; si avrà: (AC) (AB) (def. I, 61). Se invece si ha un segmento (BC) di verso opposto e in senso assoluto minore di (AB), in modo cioè che C' sia contenuto in (AB) ( , 36 e c', 68) si avrà: (AC'X(AB) (def. I, 61). e quindi pel criterio stabilito (def. Ili) (BC) (BC) sebbene in senso assoluto (BC) possa essere maggiore di (BC). AI c" A a B c Sia invece un segmento (BC') in valore assoluto maggiore di (AB) e di- retto nel verso negativo in modo dunque che A sarà contenuto nel segmento (C"B) (b, 36; def. I, 62 e c\ 68). Scegliamo un segmento (A^B) nel verso positivo che contenga C".Se i segmenti (BC), (BC), (BC') si suppongono aggiunti al seg- mento positivo (AìB) si ha: (AC') (AC) (AC). Il teorema è dunque dimostrato (def. III). Oss. III. Coi simboli + (AB), ( (BA)) o semplicemente (AB) s'intende lo stesso segmento (AB) percorso da A verso B (c, 77). Conv. L Conveniamo ora rispetto al verso positivo e negativo della forma che (AB) o + (AB) debba essere percorso da A a B nel verso positivo, e se (AB) è accompagnato dal segno sia percorso sempre, nel verso negativo. Dimodoché i segmenti uguali ad (AB) e che hanno nella forma per estremo ciascuno A (a1, 70) si indicano, quello percorso nel verso positivo con + (AB)

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183 0 (AB) e Taltro col simbolo (AB). Ma se si vuole che (AB) e (AB) indi- chino lo stesso segmento, (AB) indica precisamente che il segmento è per- corso nel verso negativo cioè da B verso A. Oss. IV. Considerando il sistema semplicemente omogeneo in un dato verso (def. I, 68) e non il sistema identico nella posizione delle sue parti (def. I, 70) potremmo stabilire delle considerazioni analoghe rispetto ai segmenti positivi e negativi, pur essendo essi diretti nel medesimo verso. Supposta per maggiore semplicità la forma aperta, un elemento A la divide in due parti (e, 63). La parte ove si trovano tutti gli elementi a partire da A nel verso del sistema si chiama positiva, negativa r altra. Cosi a partire da un' origine A abbiamo dei segmenti positivi e negativi; ad es. se (AB) è positivo significa che B è situato dalla parte positiva rispetto ad -4, o che è secondo estremo del segmento nel verso del sistema a partire da A ; se è negativo significa che B è nella parte negativa o che è primo estremo del segmento nel verso dato rispetto ad A. E se riteniamo come contrassegno dei segmenti il fatto che sono dalla stessa parte o da parte opposta rispetto ad A, i due segmenti (B'A) = (AB) diretti nello stesso verso del sistema ed identici ad un segmento dato ( ', 69), non sono più uguali, come avviene col metodo precedente per due segmenti (AB) e (AB1^ tali che (B'A)^ (AB) a partire da B nel verso del sistema. Ma poiché le parti positive a partire da due elementi A e B hanno una parte comune, cioè tutta la parte B... a partire da B nel verso dei sistema se A è primo elemento in questo verso, così possiamo parlare di parte positiva o negativa della forma senza che vi sia ambiguità intorno ai segmenti positivi e negativi rispetto ad un dato elemento come origine, qualora sia dato il verso del sistema; mentre poi 1 segmenti vanno sempre in tal caso considerati nel medesimo verso. I due metodi si distinguono dunque per questa proprietà, poiché nel primo me- todo i segmenti negativi sono diretti in verso opposto ai positivi. Questa os- servazione basta a dimostrare, come meglio si vedrà in seguito, che la teoria dei numeri negativi e positivi è indipendente dalla proprietà caratteristica del sistema iden- tico nella posizione delle sue parti; la quale però si presta meglio per enunciare le proprietà stesse dei segmenti positivi e negativi. 2. Numeri negativi e positivi Operazioni fondamentali dei numeri positivi e negativi interi. 113. Oss. I. Se si considera la scala di unità (AA^ sulla forma fondamentale in uno e nell'altro verso e le scale di unità infinite, infinitesime rispetto all'unità fon- damentale (AAJ e di origine fondamentale A (def. VII, 97) gli estremi dei segmenti consecutivi uguali alP unità in uno e nell'altro verso rappresentano i numeri della classe (II), supposto che Punita (AAI) rappresenti l'unità 1 del numero. Def. L Come abbiamo distinto nel numero precedente i segmenti della forma in positivi e negativi, e quelli percorsi nel primo verso accompagnati dal segno -f- e quelli del verso opposto col segno (conv. I, 112), così corri- spondentemente ai segmenti positivi e negativi dobbiamo distinguere i numeri che indicano i primi da quelli che indicano i secondi, chiamando i primi nu- meri positivi e i secondi numeri negativi^ accompagnandoli coi segni -f- e , e chiudendoli quando occorra fra parentesi. Si pone cioè :

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184 E siccome abbiamo distinto i numeri della classe (II) da altri possibili chia- mandoli interi (def. V, 91), la serie dei numeri interi positivi è quindi -fi, +2, +3.... oppure anche 1 2 3.... ,.... (II) e quella dei numeri negativi 1, -2, -3.... --9,.... (HJ Def. IL Per valore assoluto di un numero come di un segmento della forma fondamentale (def. II, 112) s'intende il numero stesso, indipendentemente dal segno. Quindi i numeri della classe (II) (91) si chiamano anche numeri as- soluti, quando non si fa, come non si è fatta fin qui, alcuna distinzione fra numeri positivi e negativi. a. Nel confronto fra i numeri positivi .e negativi, i numeri negativi sono tutti minori dei numeri positivi, e di due numeri negativi è maggiore quello che in valore assoluto è minore (a, 112). Si ha per es. -7 3 essendo 7 3 a'. Cambiando i segni + e fra loro, il segno si cangia nel segno . b. Le due classi di numeri positivi e negativi sono separate dal numero zero. L'origine A fondamentale della scala è l'elemento di separazione delle due scale di segmenti positivi e negativi a cominciare da A, e rappresenta il segmento nullo sia in uno come nell'altro verso (oss. I e a, 76). Oss. li. Dalla definizione stessa risulta che le operazioni coi segmenti positivi e negativi (def. I, 112) ci danno le operazioni coi numeri positivi e negativi. e. Se b è un numero qualunque, si hai =-_( ). Ad es. (BC) = (CB) (c\ 77) perché se (BC) rappresenta il numero 6, (CB) rappresenta b, essendo (CB) = (BC) indipendentemente dal verso della forma fondamentale. Oss. III. In relazione all'osa. IV del num. 112 se (B'A) = (AB) è identico al- l'unità, B rappresenta il numero 1 o +1, I? il numero 1 o ( 1) rispetto ad A. In tal caso per dimostrare il teor. e non si può ricorrere al teor. (CB)=(BC), ma basta os- servare che (CB) è lo stesso segmento (BC) riferito invece all'elemento C come ori- gine, e che quindi rappresenta il numero b. 114. Addizione e sottrazione. a. V addizione e la sottrazione dei numeri interi negativi si eseguisce come se fossero numeri assoluti dando al risultato il segno . L'addizione di più numeri positivi o negativi viene rappresentata dalla addizione di più segmenti consecutivi a partire dall1 origine del verso positivo

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185 o negativo (def. VII, 62 e conv* I, 01) e che contengono P unità di misura tante volte quante sono le unità dei numeri corrispondenti. La sottrazione di due numeri positivi ad es. 3 da 7 è rappresentata da una sottrazione di segmenti diretti nel medesimo verso, oppure da un'addizione di due segmenti diretti in verso opposto (def. I, 77). E poiché si ha: 7-3 = 4 (1) il segmento risultante a partire dalP origine nel verso positivo rappresenta il numero 4 (oss. II, SO). Se si fa la sottrazione nel verso negativo si deve avere -7 + 3 = -4 (2) perché il segmento risultante è uguale in valore assoluto al primo (def. II, 112), ed è diretto nel verso opposto. b. Si può eseguire la sottrazione di un numero positivo da un numero mi- nore; il numero risultante è uguale alla differenza del minore dal maggiore preceduto dal segno . Se i numeri sono ambidue negativi il risultato va accompagnato col segno -}-. Egli è possibile di togliere un segmento maggiore da un segmento mi- nore in valore assoluto, e si ottiene un segmento che è uguale alla differenza del primo dal secondo nel verso del maggiore {def. I, def. II, 77). Se il segmento minore (AB) rappresenta il numero 3 e quello maggiore (BC) il numero 7, il segmento (AC) rappresenta a partire da A, (AB) (BC) = (AC), il numero 4. Si ha dunque da (3) E se (AC) e (BC) sono diretti nel verso negativo (-8) -(-7) -4 (4) od anche e. Sottrarre da un numero positivo o negativo a un numero positivo (o nega- tivo) b equivale a sommare al numero a il numero b (o b). Si ha infatti (AC) - (BC) = (AC) + (CB) = (AC) + (-(BC)) (e", 77) ( a) - ( b) = ( a) + (+b) = ( a) + (-( 6)) e ricordando che (-f-a) = -h# = a, ( a) = a (def. I) si ha: ( ) : a + b =s :

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186 d. L'addizione e la sottrazione dei numeri positivi e negativi sono soggette alla legge commutativa, cioè: perché ciò avviene anche per i segmenti della forma fondamentale che rap- presentano questi numeri (e, 99 ed a, 104.) Si ha veramente: ma 6 -f ( a) = b a (e) dunque d. e. Se ai membri di un'uguaglianza di numeri interi si aggiunge o si toglie lo stesso numero si ottengono numeri uguali (a', 78). f. Vi è uno ed un solo nwnero x tale che soddisfa l'uguaglianza b oc = a qualunque siano i numeri b e a (6, 78). 115. Moltiplicazione. De/'. I. L' operazione con cui si ottiene il multiplo (AC) tj = (AD) di un seg- mento (AC) nel verso positivo secondo il numero 1? intero (def. I, 79 e def. I, 92). dal segmento (AC), si chiama moltiplicazione del segmento (AC) pel numero 73; (AD) prodotto, (AC) moltiplicando e 17 moltiplicatore. Il prodotto si indica anche col segno X essendo questo il segno della moltiplicazione adoperato pei numeri della serie (I) (46 e 52) cioè: (AC)Xrì=(AD) (6,9) (1) Oss. I. Si è trovato f*X^ = ?X]E* ( 52 ed i, 93). Se p è rappresentato dal seg- mento (AC) per la relazione suddetta possiamo rappresentare il multiplo di (AC) se- condo il numero ti col simbolo i\ (AC). a. Il prodotto di due numeri interi positivi è un numero positivo. Difatti il segmento (AC) è diretto nel verso positivo, e se tj è positivo, il segmento (AB) è pure diretto nel verso positivo. Def. IL Prendere ij volte un segmento (AC) significa considerare il mul- tiplo di (AC) secondo il numero ij nel verso opposto di (AC). b. Il prodotto di un numero intero positivo per un numero intero negativo è negativo e il prodotto non cambia mutando i fattori. Se si prende il segmento (CA)ij volte nel suo verso a partire da C che è negativo, si ha: - (AC)Xv = -(AD) (2) ma riguardando (AC) come unità, all'estremo D corrisponde il numero ( ^ o n) (def. I, 113), quindi possiamo dire che prendiamo ( -rì) volte la parte (A(?) positiva da A verso C (def. II), e perciò si ha : (AQX(-fl)=-UD) (3) donde - (AC) X h =) (AC) X (- 9) (bf 9) (4) Sostituendo ad (A C) il numero p che rappresenta si ha: q.s.v.d.(5)

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187 c. Il prodotto di due numeri negativi, è positivo ed è indipendente dall'or- dine dei fattori. Consideriamo il segmento (CA) di verso negativo da C verso A, e pren- diamolo 15 volte; vuoi dire che dobbiamo considerarlo tj volte nel verso op- posto ad esso (def. II), ossia nel verso positivo, e quindi il risultato è identico a quello che si ottiene prendendo il segmento (A C) a partire da A t\ volte nel verso positivo; si ha cioè: Sostituendo ad (AC) il numero fi si ha : (6') 116. Diinsione. Def. L L'operazione inversa della moltiplicazione colla quale dal prodotto di un segmento per un numero intero tj ad es. (AC)XiJ = CA#) si ottiene il numero ij o il segmento (AC) si chiama divisione; ed il risultato nel primo caso corrisponde al rapporto di (AD) ad (AB) ed è la misura del rapporto ) ^ (def, IV, 106), e nel secondo si chiama quoziente. (AC) Nel secondo caso scriveremo: (AC)=E(AD): , (1) (AD) si chiama dividendo, TQ divisore. Si ha: = (AD) : y ((def. n, 79 e def. II, 92 ; 6, 9). Sostituendo ad (AC) e (AD) se sono positivi i loro numeri corrispondenti, si ha da (1) lL=zpXw (2) e quindi anche ^ = ^Xf*:|* (2') Se (AC) e (AD) sono negativi, essi rappresentano i numeri negativi /A, (f*Xl e si ha da (I) -f* = -(/*X^; -u=-OjXf*):p (3) e analogamente Da $$=1 ((AD) e (Appositivi) (4) si ha invece : e analogamente

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188 E se consideriamo (AC) e (AD) nel verso negativo, da (2) del n. 115 si ha: Dalla (6) del n. 115 si ha: (CA)E=(AD):(-rì (7) da cui e dalla (7), se (AC) e (AD) sono diretti nel verso positivo, si ha: -n ed anche Se (AC) e (AD) sono diretti nel verso negativo si ha, scambiando fi con -f) (9) Così dalla (7') considerando (AD) e (AC) nel verso positivo (10) Se sono diretti nel verso negativo (11) Dalle forinole (2') e (9'), (3) e (8') si ha: a. Se nella divisione di due numeri interi si muta il segno al dividendo e al divisore il quoziente non muta di segno. Dalle forinole (2'), (9'), (3) e (8') si ha : b. Se il dividendo e il divisore hanno lo stesso segno il quoziente è positivo ; se sono di segno contrario il quoziente è negativo. Dalle forinole (2) e (5); (3) e (11'); (6') e (9); (8) e (10) si vede che pei numeri interi il segno : può esser sostituito dal segno del rapporto, o in altre parole: (AC) e. Il rapporto ~j-~ corrisponde ad una divisione di due numeri se (AC) e (AD) (AD) rappresentano come qui si suppone, numeri interi e divisibili fra loro.

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189 3. Numeri frazionar! e loro operazioni fondamentali. 117. Oss. I. Il simbolo (AG) - - significa che il segmento (AG) fu diviso in ti parti ti uguali e si è formato il segmento (AH) che contiene p delle tf^ parti di (AG) ( , 99 opp. d, 103). Def. I. Se (AC) è preso come unità, il segno - indica il segmento (A ) nel verso di (AC), e siccome i numeri fin qui considerati indicano pure i seg- menti della forma fondamentale a partire da A, così chiameremo i segni numeri frazionaria mentre gli altri delle classi (I) (II) li abbiamo chiamati nu- meri interi (def. V, 91). IA si chiama numeratàre, tj denominatore. E come abbiamo numeri interi positivi e negativi, così abbiamo numeri frazionar! positivi e negativi secondo che i segmenti che essi rappresentano sono diretti nel verso positivo o nel verso negativo (def. I, 112). Oss. II. Il numero H - indica che si divide l'unità (AG) in t\ parti uguali e se ti ne prendono ( ft) (def. II, 115). 11 numero significa che si divide (C A) in ti parti uguali e si considerano 17 f* di queste parti. a. Il numero frazionario indica pure che Munita fu presa p, volte e il t) risultato fu diviso in i} parti uguali, (f, 99 opp. 6, 104). Oss. III. Limitandosi ad una sola unità basta considerare i soli numeri frazio- ni nari della forma * ove m e n sono numeri della serie (I) (46), b. Il numero frazionario se ft e ij sono: ti 1 . finiti o infiniti dello stesso ordine è finito ; 2 . se ii è infinito di ordine ^ e t\ è finito (o d' ordine infinito o); op- pure se ti è infinito d'ordine ^, (ftl 13i) è infinito d'ordine ptl *ji 5 3 . Se pt è finito e ij infinito d'ordine ^ oppure se p è anche infinito d9ordine ^ (ij, jtAi , il numero ^ è infinitesimo d'ordine ^ ^ ( , 105,). Osa. IV. Come Toperazione del sottrarre un numero maggiore da un numero mi- nore trova la sua piena giustificazione nella forma fondamentale (che è pure una forma astratta), così con l'aiuto di questa giustifichiamo l'operazione di dividere un numero minore per un numero maggiore. I/uguaglianza e le leggi che regolano le operazioni fondamentali coi numeri frazionari devono derivare, se sono pienamente determinati, dalla loro definizione e non è permesso allora di stabilirle arbitrariamente. e. Due numeri frazionari - -. -^- sono uguali se rappresentano lo stesso tj ti segmento della forma fondamentale o due segmenti identici.

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190 Se si ha: (AB) = (AC) - - = (AC) -*V ( I) si ha tosto - - = - - (2) n TJ v ' Difatti se e -~- indicassero operazioni diverse, eseguendole in forme identiche dovrebbero dar luogo a forme non identiche ( vn, 60). Pei numeri non abbiamo bisogno di considerare altra uguaglianza (oss. I, 9) useremo però lo stesso segno =* adoperato pei numeri interi e scriveremo: 5 d. Due numeri fragionari -^- e -~- sono uguali se p if = i*' ij. *2 if] Difatti dalla (1) si ha: - - fjt, r! = (AC) p (6, ', ^, 79 opp. d; f, 92) ' e da cui f* lj' = JA 17. (C) J) 1) Stabilite le proprietà dell'uguaglianza (d, e, 8) e definito pienamente il numero frazionario, la condizione dell' uguaglianza di due numeri frazionar! deve risultare dalla loro definizione, vien detto anche, dopo aver premesse le suddette proprietà: Nel caso che il numero naturale a non sia divisibile per un altro aumero , esista uno ed un solo nuovo oggetto, che sarà indicato col simbolo a : o -j-, e soddisfa all'equazione: 6. (a: ) = (a : 6). 6 = a Poi, come seconda definizione : Due di questi oggetti a : , a'. ' siano uguali quando a, b' = a*. 6. Stabilire che y- e -^- siano uguali senz'altra considerazione quando o 6' = ar , significa che pos- sono esserlo anche in altro modo, mentre, siccome i numeri interi si possono mettere sotto forma di numeri frazionar! e formano conquesti la classe di numeri razionali, bisognerebbe almeno far vede- re che la condizione suddetta non contraddice a quella dell'uguaglianza dei numeri interi. Se -~ - - si considerano come simboli di uno stesso ente, allora come ~ o a: 6 si possono so- stituire nelle formolo l'uno all'altro, si può trovare la condizione affinchè indichino lo stesso ente o siano uguali ( , 9). Ponendo = a ; ( 1) essendo a un numero intero o frazionario si ha : * - ? ab' f a\ Difatti sostituendo in -y al posto di a il simbolo j-J 6, si ha da (1) - a.. Se -g- = -^r i ossia se -j- p- indicano lo stesso ente si ha : a' a' -jr. 6= a e perciò da (8) -gr = o 6a' e per la (1) ~ ^ = a' = a6' a a' dunque se i due numeri -y , y indicano Io stesso ente, ossia se som uguali si ha: *a= a' (3) 6 inversamente se ha luogo la (3) i due nuovi numeri -p |- sono uguali. Difatti si ha da. (3)

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191 . Qualunque siano p e ti positivi o negativi si ha: J-=WÌ ti ijft Difatti è verificato il teor. e (b, 52). d". I numeri - -, ^^-sono uguali. ( , 115; d) ^- d". I numeri , - - sono uguali. (e, 115; d) fi ^ Ind. I. I numeri , li indicheremo anche col simbolo ------ . -n t) i\ 118. Addizione e sottrazione. Oss. J. 'Air addizione o sottrazione di due parti di un segmento della forma fon- damentale (72, 74) corrisponde l'addizione o la sottrazione dei due numeri frazionar! che servono ad indicarli rispetto al segmento dato come unità. O in altre parole: Def. I. Per addizione di due numeri frazionari intendiamo queir opera- zione colla quale si deduce il numero che rappresenta la somma o la differenza dei segmenti dei due primi numeri. Ind. I. La somma (AD) 4- (AD) -A- la indicheremo anche col simbolo a. (AD) JL + (AD) JL = (AD) ( JL + - ) (6, 9) +^+ (e, 117) ^ t! ^ ti ti J b. Per sommare o sottrarre due numeri frazionari collo stesso denominatore basta sommare o sottrarre i numeratori e dare al risultato per denominatore il denominatore comune. 6a' ba' ba' b'a =-^r b' ossia anche ab' = -rr-6' cioè a= -rr 0 O ovvero da (2) a = p- b o ancora ~ = gr Se invece -j- indica un oggetto, ed è questo oggetto che si chiama numero frazionario, mentre et a oc -j- è un segno di questo oggetto, allora si può definire questo oggetto coli' equazione -g- e = -g-(*) a a' L'operazione e è a senso unico e si eseguisce in un solo modo (4) e quindi se -g-, sono og- a' et a,' ti diversi ma uguali è eome se -gf fosse -g- (oss ili. 9), e P operazione e applicata all'oggetto -gr- in questo caso da un risultato uguale al primo (a"', 60), vale a dire e = -TP e. E se -~ ~~~ non O O O O sono uguali, -g- e, -^ e non sono uguali (a IV, 60). La stessa proprietà ha l'operazione inversa, e quindi da -y e =-gr e si ha: g- = gr (5). Per- a a' ciò come Drecedentemente si dimostra che se -g , = -g si ha ab' = a'6, e inversamente. Le proprietà (3) e (5) valgono anche pei segmenti (d, d', 79) seqza per questo che essi possano so- stituirsi sempre uno all'altro quando sono uguali.

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192 Supponiamo ad es. di avere i due segmenti (AB) e (BC) dello stesso verso tali che: (AB) = (AD) - - (BC)==(AD) - - In tal caso (AB) -f- (BC) = (A C) contiene p + p parti ) ' del segmento (AD), quindi Dunque: JL + J5L=:Jd L (e, 117) (1) ti 1) 11 Se invece (BC} è di verso opposto ad (AB) si ha per la stessa ragione (def. II, 77). Oss. II. Per sommare o sottrarre due numeri frazionari con differente denomina- tore basta moltiplicare numeratore e denominatore di ciascuno di essi pel denomina- tore dell' altro, senza alterare i numeri stessi fcT. 117), e applicare là regola suddetta. e. Per l'addizione e la sottrazione dei numeri frazionari vale la legge commutativa e associativa. Difatti si ha sempre qualunque sia il verso di (AB) e di (AC), (AB) + (BC) = (BC) + (AB) (e, 99 o a, 104). Come pure vale la legge associativa qualunque sia il verso in cui ven- gono percorsi i segmenti (dì 77). 119. Moltiplicazione. Def. I. Se si ha il segmento (AB) -^- = (AD) diremo che (AD) è il risultato della moltiplicazione di (AB) pel numero frazionario - -. E per moltiplicazione di un numero intero o frazionario per un numero intero o frazionario intendiamo l'operazione colla quale si deduce il numero corrispondente al prodotto del segmento, rappresentante il primo numero, per il secondo. a. Per moltiplicare un numero frazionario per un numero intero^ o viceversa, si moltiplica il numeratore per il numero intero, e si da al risultato per deno- minatore quello del numero frazionario. Vale in tal caso la regola dei segni cfie vale per la moltiplicazione dei numeri interi. Se il segmento positivo (AB) viene ripetuto /*' volte nel suo medesimo verso si ha: (AB)Xp=(AI ) (def. I, 79 o 92 e def. I, 115). e se (AB) contiene p parti ijme dell'unità (AC) si ha: (AB) = (AC) --= - (f 99 o b, 104) V 10 e quindi ' = (Wi Vf 99 o 6, 104).

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193 dunque il segmento (AD) contiene p p di queste parti, e si ha perciò : (e, 117) (1) Trattando della moltiplicazione di un segmento per un numero intero abbiamo già spiegato il significato delle relazioni (AB)X- i = -(AD) ((2), (3), (6), 115) (2) (AB) X /*' = (Aty quindi si ha: Da se (AB) contiene pi' unità, si ha: M-e-=J^ (6) il V e quindi . / prodotto di un numero frazionario per un altro numero frazionario è un numero frazionario il cui numeratore è il prodotto dei due numeratàri e il denominatore è il prodotto dei due denominatori. Supponiamo che (AB) contenga /* parti Vme dell1 unità (A C), ossia che sia rappresentato dal numero -~ (def. I, 117). Se si ripete questo segmento p il volte si ha un segmento (AD) che contiene j*fi' parti i|'me dell'unità, e che rappresenta il numero -^ì ( ). se dividiamo tutto il segmento (AD) in 13 parti TI uguali, ciascuna di queste contiene f*/*' parti -rrì * dell'unità. Difatti (AD)= essendo (A C) l'unità (a) e quindi (a 79oc,92). Ma si ha (AD) = (AB) X p, - = (AB) X - (A 99 o 6, 104) : ij *? dunque 13

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194 Le regole dei segni date da (3), (4), (5) si estendono anche a questi casi, e si ha: e. Il prodotto di due numeri frazionari è positivo o negativo secondo che i due numeri sono dello stesso segno o di segno contrario. d. Per la moltiplicazione di un numero intero con un numero frazionario o di due numeri frazionari vale la legge commutativa. Ciò risulta dalle forinole (7) e (8) stesse. e. Per la moltiplicazione dei numeri frazionari vale la legge associativa. Si ha infatti : = - == (AB) - X -- (fy 99 e a, 79 o 6, 104 e e, 92). \ 13 15 / f. Per la moltiplicazione dei numeri frazionari vale la legge distributiva. Cioè [(AB) + (BC)-] - - = (AB) -fi- + (BC) - - Tfì 7) 1? Si ha (AB) + (BC} = (AC). Se dividiamo (AB) e (BC) in 13 parti uguali e se portiamo dopo la prima parte di (AB) la prima di (BC), il che si può fare per la legge commutativa della somma di più segmenti (e, 99 o a, 104) si ot- tengono così le ^ parti uguali di (A ?), e si ha dunque: Ma [(AB) + (BC)] p = (AG) p == (AB) p + (BC) p (e, 99 o a, 104) dunque ponendo si ha: da cui per la (9) (AB,)' fofi) _, (Afi) e poiché = (AB) -- (f, 99 o 6, 104) sostituendo nella precedente uguaglianza abbiamo: (AB) V " Se (AB) e (#C) rappresentano rispetto all'unità i numeri -~, -Ej- si 15 7? (C)H7)

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195 120. Divisione. Def. I. La divisione di un segmento per un numero frazionario è l'ope- razione colla quale dal prodotto (AB) = (AD) (def. 1,119), dato (AD) si deter- si mina (AB). E si scrive (AB) =(AD): - -. La divisione di un numero intero o frazionario per un numero intero o frazionario è l'operazione colla quale si ha il numero corrispondente al seg- mento che si ottiene dal segmento che rappresenta il primo numero diviso per il secondo. a. Se (AB)* -~(AD) qualunque siano (AD) e , si ha : ( AB) = (AD) Difatti / A ZA.. f, 99 opp. , 104) (b e b' 79 opp. d e d' 92) e quindi (AB) JL JL = (AB) ( ', 79 o d, 92) dunque b. Per dividere un numero intero per un numero frazioniamo, o un numero frazionario per un numero interof si moltiplica il numero intero pel denomina- tore del numero frazionario, dando al risultato per denominatore il numeratore della frazione; oppure si forma un nuovo numero frazionario il cui nume- ratore è quello del numero frazionario dato, e il cui denominatore è il prodotto del denominatore del numero frazionario dato pel numero intero. Si ha infatti: (a) (1) Se (AB) rappresenta f* unità si ha: Se è si ha: (AB) = = (AD) : p. (def. I, 116) (2) e se si ha: (AB) = (AC) 4-. (a, 79 o e, 92) (Cj 79 e /; 99; Opp. e, 92 e 6, 104) e se (AC) è l'unità si ha da (2) - -:!*= 4- (e. 117)

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196 e. Per dividere un numero frazionario per un altro si moltiplica il nume- ratàre del primo pel denominatore del secondo e al risultato si da per denomi- natore il prodotto del denominatore del primo pel numeratore del secondo. Difatti se in (1) (AD) rappresenta il numero -^-, si ha: J^:JL J?L. JL^-Ó (e, 117 e 6/119). V i) n p tip Inoltre, per le relazioni: =-(AD) ' ------(AD) (AB) : - jz = (AD) ((2), (3), (6) n. 115 e def. I, 116) le quali si estendono anche al caso in cui j* è un numero frazionario, si ha: d. Il quoziente della divisione di un numero intero per un numero frazio- nario o viceversa; o di un numero frazionario per un altro frazionario è posi- tivo o negativo secondo che il dividendo e il divisore hanno lo stesso segno o sono di segno contrario. 4. Numeri reali, razionali e irrazionali, assoluti e relativi. 121. a. Lue segmenti commensuràbili di I3" specie fra loro sono esprimibili per mezzo di un numero frazionario. Difatti uno di essi è multiplo dell'altro o di un summultiplo dell'altro (def. I, 105). Oss. L I numeri razionali assoluti di 2a specie esprimono fra loro i segmenti commensurabili di 2* specie, e quelli che esprimono i segmenti incommensurabili sono irrazionali assoluti (def II, 105). Riferendosi ad una sola unità relatica mancano i numeri razionali di 2* specie (oss. II, 105). Def. I. Tutti i numeri razionali e irrazionali si chiamano reali, assoluti se si considerano in senso assoluto, relativi se si considerano nel campo di una sola unità. b. Secondo che si considera la forma fondamentale come continuo relativo ad un9 unità o assoluto, si hanno numeri di natura diversa. Nel primo caso tutti i numeri reali sono finiti, nel seconda invece ve ne sono anche d'infiniti e infinitesimi e di un ordine qualunque dato rispetto ad uno qualunque di essi come unità *). i) Siccome abbiamo considerato la sola classe (II) dei nostri numeri interi infiniti che è della seconda potenza (nota 4, 93) potremo quindi ripetere rispetto alla forma fondamentale cosi ottenuta le ipotesi III, IV ecc. (oss. IV, 92). Verremmo cosi a costruire delle nuove forme fondamentali che conterrebbero le antecedenti e delle nuove classi di numeri reali. E proseguendo cosi indefinitamente avremo una forma fondamentale veramente assoluta. Sia perché nei fondamenti della geometria facciamo uso sol- tanto dei principii sui segmenti infiniti e infinitesimi, sia per non introdurre nuove difficoltà in con- cetti per sé stessi semplici ma comunemente fraintesi (vedi pref.), ci siamo limitati alla classe (II) di numeri infiniti, come potevamo limitarci al gruppo di segmenti finiti, infiniti e infinitesimi di ordine finito (vedi nota i, 105).

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197 Ciò risulta immediatamente dalle definizioni e dalle proprietà dei seg- menti che rappresentano i numeri stessi (def. II, 82). Def. 11. Diremo che i numeri reali in senso assoluto o relativo compresi fra due numeri a e costituiscono l'intervallo di numeri (a.. j3). e. I numeri reali assoluti o relativi compresi nell'intervallo (o.. /) si possono far corrispondere univocamente e nello stesso ordine agli elementi di un seg- mento qualunque (AB) in senso assoluto o relativo. Perché per unità di misura si può considerare nel primo caso un segmento finito assoluto (def. V, 92) e nel secondo ogni segmento finito relativo, (def. (II, 82). Ciò deriva pure dalla corrispondenza di proporzionalità (def. I e d, 106). e1. I numeri reali compresi nell'intervallo (a... ) si possono far corrispon- dere univocamente e nello stesso ordine ai numeri reali del? intervallo (o.....1) (e; f, 42). e". Tutti i numeri reali si possono far corrispondere univocamente e nel medesimo ordine a tutti gli elementi del continuo a partire da un dato ele- mento come origine fondamentale. Ciò deriva dalla def. stessa dei numeri reali (def. I e def. II, 105 e defl III, 42). Def. III. In conformità a e" diremo perciò che tutti i numeri reali, ordi- nati in modo che ogni numero minore precede ogni altro numero maggiore di esso, costituiscono il continuo numerico assoluto o relativo. Oss. II. L'uguaglianza e disuguaglianza dei numeri razionali di2* specie o irra- zionali è data dall'uguaglianza dei segmenti che rappresentano rispetto ad un dato segmento come unità, siccome essi servono a rappresentare questi segmenti, e perciò nelle relazioni numeriche che rappresentano relazioni fra segmenti possono sostituirsi uno air altro. Anche qui dunque T uguaglianza è data dalla natura stessa degli enti che i numeri razionali di 2* specie e irrazionali, come gli altri numeri interi e frazionari, rappresentano; e non ha nulla di arbitrario, come non ne deve avere se i numeri sono in sé pienamente determinati l). 1) Vedi la notan. 9 e le note: 2, 48; 1,106 e 117. Quanto abbiamo detto pei numeri frazionari va detto pel numeri irrazionali sia relativi che assoluti. Ad es. la serie ( an ) di cantar (ActaMath. Voi. 2ecc.) determina un nuovo ente, che viene indicato da questa serie. Si dice che fan) = (a'n) quando \im(an-a'n ) = o n = il si dice ìndica, sempre una certa arbitrarietà, invece i due numeri sono uguali quando ha luogo la suddetta relazione in senso relativo pel teor. d', 97, che vale anche nel caso che la serie di seg- menti (an) non sia sempre crescente o decrescente (oss. li). E poiché in questa definizione del numero ( an ) (come in quelle di Weierstrass e di Dedehind) i numeri della serie sono razionali finiti, la definizione dell1 uguaglianza di due numeri esclude il nu- mero infinitesimo. Vedi più avanti. La definizione poi che una serie siffatta { an ), o Schnitt (AIA 2) secondo Dedekind (Stetigkeit und. irr. Zahlen pag. 21), determina un numero, poiché questo evidentemente non è un numero della serie stessa, equivale all'ipotesi del limite della serie quando n cresce indefinitamente (oss. V,99). Il prof. Pincherle (1. e.) faappunto vedere come gli ordini d'infinito di due funzioni, ossiasecondo il DuBois Reymond dei loro modi di andare all'infinito, possano essere uguali rispetto ad una defini- zione, disuguali rispetto ad un'altra. Ad ogni modo nella definizione di uguaglianza, la quale serve in tal caso a completare la definizione stessa dei nuovi enti che si considerano, bisogna dimostrare che sono soddisfatte le relazioni che da A= B segue B A, da A = 5, B e segue A C\ e per la disu- guaglianza A = B B C segue A C A- B B C A C A B C A C A B B C A C

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Siccome si è visto (h\ 99 opp. e', 104) che parecchi simboli numerici o numeri possono rappresentare lo stesso segmento rispetto air unità di misura ossia lo stesso elemento a partire da una data origine, così tutti questi numeri sono uguali (6, 9). Se disponiamo i numeri reali positivi e negativi in serie, a partire da o consi- derando un solo numero fra tutti quelli che sono uguali ad esso come ad es. è av- venuto nella serie (I) dei numeri naturali (I) (46 e 47) o anche della serie (II) (91) dei nostri numeri finiti o infiniti, e se consideriamo due numeri uguali ad uno dei numeri della serie suddetta, essi rappresentano lo stesso numero (bt 47). Tutti i simboli che a partire da un dato elemento A della forma fondamentale rappresentano un elemento B rispetto d un'unità \(AA{) rappresentano anche il rap- porto (def. IV e V, 106); come i numeri (cifre; di (I) (47) rappresentano i numeri dei gruppi naturali (def. II, 45 e def. IL 46). Def. IV. In conformitàfalPoss. II chiameremo numero anche il rapporto. Vedi anche Stolz, 1. e. Voi 1 pag. 2 e 3 e ad es. Abschnitt vi e la fine del IX. Ma data in questo caso una definizione di uguaglianza bisognerebbe dimostrare che se ne possono dare delle altre, perché altrimenti la proprietà espressa in questa definizione deve derivare dalla definizione dell'ente stesso. Ma anche cosi questo metodo è sempre indiretto, ed è sempre preferibile logicamente di stabi- lire le condizioni di uguaglianza di nuovi enti dopo di averli pienamente definiti. A complemento delle note 3,90 e 3,97 osserviamo quanto segue rispetto all'ass. v d Archimede (nota I, 81), Dati i numeri razionali ad es. positivi soltanto, che come si sa soddisfano all'assioma suddetto, facendoli corrispondere ai segmenti di un sistema omogeneo a partire da un dato elemento come origine in un dato verso del sistema e rispetto ad un' unità (AAA) (def. I, 80); data la definizione di di segmenti finiti, infinitesimi e infiniti (def. n 82 opp. mediante le condizioni dei teor. e e, 81), si dimostra che ogni segmento finito più piccolo di ogni segmento razionale dato soddisfa rispetto a questo alla condizione del teor. e', 81. (Vedi la nota citata dell'A. Il continuo rettilineo ecc. teor. m, pag. 13). Si dimostra poi che vi è sempre un segmento razionale più piccolo di ogni segmento finito dato ricor- rendo alla dimostrazione del teor. d. 99 (o nella nota citata e, pag. il) la quale è indipendente dall'ipo- tesi vi (opp. nella nota citata dal princ. IV), ammettendo pei segmenti razionali la divisibilità in un numero intero n qualunque dato di parti uguali. E poi con una dimostrazione analoga a quella del teor. , 97 si vede che se uno schnitt (AjA2) ai numeri (segmenti) razionali tale che se A{ non ha un numero razionale massimo, nò A2 un numero razionale mìnimo, la differenza di due numeri ai e a2 di AI e A2 non può essere sempre" maggiore di un numero (segmento) finito dato. Che quindi se (AjA2) fosse determinato da due numeri a e a' la differenza di CC, a' (o il segmento dato dai secondi estremi dei segmenti 06 e et ) dovrebbe essere Infinitesimo. E inversamente si vede che se nel sistema omogeneo vi è un segmento (numero) infinitesimo e, e se a è un segmento compreso fra quelli di Al e di Ao, tale proprietà ha pure il segmento a -f- e ( ', 69). Dunque se si stabilisce, come faDedekind (1. e. pag. 21), che lo schnitt (A1A2) nelle condizioni suddette sia determinato da uno ed un solo numero tt irrazionale, si esclude il numero o il segmento infinitesimo, vale a dire si ammette P ass. V d'Archi- mede fra tutti i numeri reali. Se invece si considera il postulato di Dedekind nella forma da lui data a pag. 18 del suo opuscolo citato, secondo la quale quando i punti di un segmento rettilìneo (AB) si separano in due gruppi (X) e (X1) tali che per ciascuna coppia di elementi X e xt si ha (AX) (Ai*), vi è uno ed un solo punto Y di due segmenti (AD e (Y-B) tali che (AF) contiene tutti i punti X e (YB) tutti i punti X% e che perciò Y appartiene ali' uno o all'altro dei gruppi (X) e (X'); il postulato esclude anche in questo caso diret- tamente rinfinitesimo e l'infinito (def. I, 68 e def. II, 82). Basta veramente che vi sia un punto Y per- ché ve ne sia uno solo. (Vedi anche De Paolis Teoria dei gruppi ecc. pag. 12). Difatti se esiste un segmento infinitesimo (AAr), il che si può ammettere senza bisogno del postu- lato suddetto nel sistema omogeneo, e (AB) è un segmento finito, si ha sempre (AB) (AA') n, qualun- que sia il numero intero n della serie (1) (47 e e, 81). Ora, si vede facilmente che se si separano gli elementi compresi nel segmento (AB) in due gruppi tali che ogni elemento del primo gruppo sia com- preso nei segmenti dati da (AA') n (vale a dire nel campo della scala di unità (AAr)) e ogni altro ele- mento di (AB) appartenga al secondo gruppo, si vede che il secondo gruppo non ha un primo elemento ( ', 69), come non ha un ultimo elemento il primo gruppo, e che perciò non vi può essere nessun ele- mento assogettato alla def. 1,68 determinato dai due gruppi. Dunque col postulato suddetto si esclude, se esiste (AAT), il segmento (AB), e viceversa; ossia nel primo caso si esclude il segmento infinito limitato i cui estremi soddisfano alla def. I, 68 e nel secondo caso si esclude l'infinitesimo. Vale a dire si am- mette in ogni caso la condizione del teor. , 81, ossia l'assioma d'Archimede.

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190 Possiamo dunque dire che tutti i simboli che rappresentano lo stesso elemento rappresentano anche lo stesso numero, senza che per questo il numero sia l'elemento dato della forma fondamentale (oss. II). Oss. III. Fra il rapporto come numero e 11 simbolo (numero) che lo rappresenta vi è dunque la stessa distinzione che vi è fra il numero del gruppo (def. II, 45) e il segno che lo indica. Il numero, anche razionale o irrazionale assoluto, è reso così indipendente dalla forma del simbolo che lo rappresenta. Ed abbiamo quindi: d. Ogni numero reale positivo può essere rappresentato col simbolo : ~ "' + + - I P " Pnr ^ -- -- o e p è un numero finito intero positivo qualunque, le a. sono uguali a o, 1, 2... p 1; le n e le r eco. sono numeri interi positivi finiti dati, oppure infiniti (n = oo), e i*, è dato o infinito in senso assoluto (p = il). Ovvero col simbolo : / (Xj' ' Ct2' ' tttt, * J \ \~ "^~ +'"~l ^~+......) / l" V ^ +..... +.........+Ji^ +... - ) ~ , '"'- \"V +.......^v57^.....) ove 13 è dell' ordine o, /e a possono essere numeri interi da o a t\ e tutti i nu- meri ottenuti colla divisione ad es. per metà di oo^ oo^-1 ecc., le ne s sono numeri positivi interi finiti dati o infiniti ( = oo) e le r sono numeri finiti e p, è un numero dato, nel qual caso il numero è razionale di 2a specie, oppure p è un numero infinito in senso assoluto (p=!2) (d, 104). d. Se si tratta dei numeri reali relativi si ha soltanto il simbolo:

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200 (r. (ÓÌ (ó) V+V+- e se si tratta dei numeri reali finiti e infiniti e infinitesimi di ordine finito, si ha: . P Pn *i P r P ove r è finito o infinito (r= oo). Qpp. ove iì è un numero infinito d'ordine finito, n è finito dato o infinito (n=* oo). Es. Se consideriamo T infinitesimo ^ __^ esso è finito rispetto ali' infinitesimo - - perché ooj e ooj wi sono infiniti di 1" ordine (def. II, 88). Una serie che da luogo a questo numero mediante le unità - $ ... ^ è la seguente : OOj 1 OOjf* (1 m "^+ !*+ - (mn-i mn ' oo^-^ + OC^-^H + + _ Se ci arrestiamo ad es. al termine r. ' si ha : * KJ_ w m^ oo!"*""^"*"' + oo1n Mentre si ha: Kl , Ji.4. . mn i \ , /^n"1 , "^ + "SJ + '" "*" o)! *! "^ -/"*" \ oo^i- "*"

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201 s\ - I che diventa indef. pic- ! / F. cola in senso assoluto col crescere di jx oltre ogni numero dato della classe (II). Oss. IV. refinite come abbiamo fatto pei numeri frazionar! le operazioni fonda- mentali e determinate le regole fra i numeri razionali e irrazionali, si dimostra poi analogamente al teor. m, 93 che: e. I numeri reali finiti, infiniti e infinitesimi fino ali9 ordine fx compresi tutti quelli i cui ordini sono finiti col numero fx formano un gruppo che si tra- sforma in sé medesimo mediante le operazioni fondamentali applicate a due numeri qualunque del gruppo. f. Il numero (grandezza numerica), senza il concetto di unità di misura non può servire a determinare la grandezza intensiva di un sistema omogeneo continuo ad una dimensione. Affinchè due segmenti a e a' siano uguali non solo occorre che siano rappresentati dallo stesso numero, ma eziandio che l'unità di misura a cui si riferiscono sia la medesima, altrimenti se 1* unità non è la stessa e sono rap- presentati dallo stesso numero non si ha l'uguaglianza di a e a' (e). E ciò av- viene non solo per due segmenti a e a' ma eziandio per le loro grandezze in- tensive, poiché l'uguaglianza di queste trae seco l'uguaglianza di quelli (g, 111). Oss. V. Ad un segmento variabile qualunque della forma fondamentale corri- sponde un numero variabile in senso assoluto e relativo. Pei numeri variabili fi- niti valgono i teor. analoghi a quelli dei n. 95-99 e pei numeri assoluti i teor. ana- loghi a quelli dei n. 100-105. Da quanto abbiamo detto risulta che i numeri reali hanno la proprietà comune di rappresentare gli elementi di un gruppo, che nel caso dei numeri frazionar! il gruppo deve essere tale, se vogliamo spiegare le loro operazioni, da ammettere la divisione in ij (o n) gruppi uguali la quale deriva dal continuo stesso (a, 103 o d, 99) ; e pei numeri irrazionali il gruppo deve essere continuo. Soltanto che non occorre tener conto delle relazioni di posizione degli elementi del gruppo ali' infuori dell'ordine di essi. Da qui risulta chiaramente che il continuo non dipende da quello numerico, ma che questo rientra in quello più generale del gruppo omogeneo contìnuo di elementi. Appoggiandoci alle nostre ipotesi sul continuo (relativo e assoluto) noi non alte- riamo il carattere della geometria, sostituendo alla forma fondamentale la retta, come non si altera il carattere dell'analisi facendo dipendere la teoria dei numeri reali da quella dei gruppi di elementi seguendo cosi un metodo meno artificioso di quello dei simboli. Ma poiché queste teorie non e' interessano per i fondamenti della geometria, così non ci inoltriamo più oltre, e abbiamo del resto come pei numeri in- teri, detto abbastanza intorno ai loro principi.

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CAPITOLO IX. Ultime considerazioni sulla forma fondamentale. Ipotesi riassuntiva della, forma fondamentale Sua determinazione Forme fondamentali possibili. 122. Oss. I. La forma fondamentale fu assoggettata alle ipotesi I-VIII di cui la IV contiene la III, la VII! contiene la VI (oss. II, 85 e , 101) Le proprietà fin qui svolte della forma fondamentale valgono per tutti i sistemi identici nella posizione delle loro parti (oss. IV, 71). Quando sono dati gli elementi di una forma, la forma stessa è data o determinata (,def. IV, 57), in modo che essi non sono tutti gli elementi di due forme diverse generate colla stessa legge (def. II, III, 58). Def. I. Una forma determinata da più elementi significa che non vi è al- tra forma determinata colla stessa legge che abbia gli stessi elementi dati in comune senza coincidere colla prima (def. V, 57 e def. II e oss. Ili, 58). Oss. IL Finora la forma fondamentale è stata trattata come un sistema iden- tico ad una dimensione nella posizione delle sue parti (ip. I). Per distinguerla quindi dagli altri sistemi ad una dimensione identica nella posizione delle loro parti, stabi- liamo la seguente ipotesi, che riassume anche le precedenti. Ip. IX. La forma fondamentale è il sistema continuo ad una dimensione identico nella posizione delle sue parti determinato dal minor numero di elementi. Oss. III. In questo caso quando sono dati m punti che determinano la forma fondamentale significa che sono dati con essi senz' altra condizione tutti gli elementi della forma. Le altre forme invece sono determinate o costruite per mezzo della forma fon- damentale (oss. Ili, 71). Oss. IV. Che la forma fondamentale debba essere determinata da due elementi anziché da m elementi non risulta punto dalle cose fin qui dette, perché valgono tanto nell'uno come nell'altro caso. LMpotesi più semplice è dunque quella che sia determinata da due elementi distinti. Non è dunque esclusa l'ipotesi che il primo si- stema identico nella posizione delle sue parti sia determinato invece da m elementi (m 2), anche se questa ipotesi non fosse così feconda quanto la prima, e non corri- sponda, come vedremo, alla forma fondamentale della geometria, che è la retta. E qui possiamo dire : II campo delle forme matematiche astratte da noi definite (38) si compone di tutti gli elementi che possiamo immaginare in base ai principi stabiliti e a tutte le altre ipotesi matematicamente possibili sulla forma fondamentale e sulle relazioni fra più forme fondamentali.

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203 Otteniamo una prima classificazione di sistemi di forme astratte secondo il numero degli elementi che determinano la forma fondamentale. Def. IL La scienza che studia queste forme (def. I, 38) si chiama matema- tica pura o matematica l). 2. Considerazioni sulla scelta della forma fondamentale. 123. Supposto che un sistema identico nella posizione delle sue parti de- terminato da m elementi, anche se m è il minor numero sotto questo aspetto, si può dire che tutti i sistemi identici nella posizione delle loro parti deter- minati da m elementi siano identici? Supposto che non si conoscano altre proprietà del campo degli elementi fondamentali all'infuori di quella di essere un insieme di elementi, è possibile immaginare che ciò non sia, per es. che i gruppi di m elementi in uno dei suddetti sistemi non siano identici ai gruppi di m elementi dell'altro sistema, perché se due soli fossero identici, necessariamente per il principio d'identità (a, 60} sarebbero identici anche i due sistemi 2). Due forme uguali rispetto alla loro grandezza estensiva determinate cia- scuna da m elementi, ma non identiche, differiscono per la loro grandezza in- tensiva, perché sono uguali rispetto alle altre condizioni di determinazione (def. I, 38 è def. I, 11 ; def. I, II, 111). Si può stabilire la loro differenza suppo- nendo che le loro grandezze intensive siano esprimibili numericamente mediante una di esse o una parte di una di esse presa come unità di misura. E in tal caso è chiaro che bisognerebbe appoggiarsi al continuo numerico (def. Ili, 121) che come si sa è indipendente dalla differenza di posizione delle forme (def. V, f, 12)). Due segmenti espressi numericamente nello stesso modo per mezzo del- l'unità di misura non sarebbero in generale identici. La uguaglianza cioè delle grandezze intensive di essi non darebbe la loro identità in posizione e nella costruzione delle forme identiche non si potrebbero sostituire uno all'altro, non tenendo conto s'intende della diversità di posizione dei due segmenti (oss. Ili, 9 e oss. Ili, 58). Dopo ciò è chiaro che se il sistema identico nella posizione delle sue parti è determinato dal minor numero di elementi ed è anche tale che tutti i sistemi così determinati sono uguali, non occorrerà ricorrere al con- tinuo numerico per stabilire la loro differenza essendo già uguali, e dati due segmenti uguali di due tali sistemi, tenuto conto dell'osservazione prece- dente, potremo sostituirli l'uno all'altro nella costruzione delle forme identi- che. Un tale sistema sarà da preferirsi come forma fondamentale 3). Da quanto precede è pure chiaro che la forma fondamentale senza errore di principio non può essere una grandezza intensiva (o quantità) 4) (#, 111) se 1) vedi nota 2, 38. 2) Ciò avviene ad es. per le circonferenze nella geometria; tre punti non situati in linea retta determinano in modo unico una circonferenza, ma non tutte le circonferenze sono identiche. 3) ciò succede appunto nelle geometria per la retta. (Vedi parte 1, libro I. cap. I). 4) Ciò succede infatti nella geometria.

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204 si tien conto nelle forme matematiche astratte della differenza di posizione nelle loro relazioni. Questo concetto della grandezza intensiva determinata, poniamo da due elementi differenti di posizione e dati, è giustificato soltanto quando i due ele- menti determinano uno o più sistemi identici i cui elementi sono diversi di posizione e la grandezza intensiva determinata da questi due elementi è quella determinata in questo o in questi sistemi (def. II, oss. 111). Ma v'ha di più. Abbiamo visto testé che è possibile immaginare che non tutti i sistemi deter- minati ad es. da due elementi siano identici, anche se sono identici nella posizione delle loro parti, e quindi bisogna supporre che le loro grandezze in- tensive siano riferibili fra loro mediante una grandezza intensiva presa come unità. In tal caso non si può dire che due coppie di elementi sono identiche quando determinano la stessa grandezza intensiva, senza supporre che tutti i sistemi determinati dalle coppie suddette di elementi siano identici, cioè che vi sia anche l'uguaglianza di posizione (a e 111, def. Ili e IV, n. 9). Supporre che due coppie di elementi che determinano la stessa grandezza intensiva siano identiche (o che le forme i cui elementi determinano la stessa grandezza intensiva siano identiche) è ammettere già implicitamente che i sistemi determinati in posizione da due elementi siano rispettivamente identici; ed è per questo che se si parte dalla grandezza intensiva pure commettendo un er- rore di principio, questo errore non ha conseguenza per la teoria delle forme, ammettendo però la proprietà suddetta J). Si potrebbe considerare anche come forma fondamentale la coppia di ele- menti, non intendendo già la grandezza intensiva da essi determinata, ma r in- sieme di tutti i segmenti delle forme ad una dimensione che hanno per estremi gli elementi dati. In tal caso si può parlare di coppie identiche in base alla sola def. VI, 8 2). Ma ammettendo che tutte le coppie non siano identiche, abbiamo bisogno di determinare in qualche modo la loro differenza: ad es. si può stabilire che la loro differenza sia di tal natura che tutte le coppie si esprimano numeri- camente mediante una di esse come unità. E anche qui bisogna riferirsi alle proprietà del continuo omogeneo ad una dimensione e alla proprietà (AB) = (BA), se non la si include in qualche altro assioma, perché qui mancherebbe la proprietà del sistema identico nella posizione delle sue parti (def. I, 70 e oss. II, 81) che serve a dimostrare quella proprietà sia in senso relativo che assoluto (g, 99 o e, 104). Certo è che non si può dire che una coppia è maggiore o minore di un' altra, secondo le def. I, II del n. 61, ossia se questa sia o no parte della prima, perché questo concetto di parte indipendentemente dal concetto di gruppo qui non l'abbiamo. Ricorrendo ad es. al continuo numerico diciamo la 1) E non ne ha nella geometria partendo dal concetto di distanza, che o la grandezza intensiva del segmento rettilineo determinato da due punti e che none neppure la coppia di punti (vedi avanti) perché la distanza definita comunemente sia analiticamente come geometricamente è precisamente la grandezza intensiva del segmento o della coppia di punti (def. Il, ni). Vedi pref. ed appendice. 2) ciò in un campo concreto, ad es. nella geometria, includerebbe la necessità di un assioma, vale a dire l'esistenza di coppie identiche.

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205 coppia A è maggiore della coppia B quando il numero che rappresenta A è maggiore di quello che rappresenta B. Questo metodo eviterebbe l'errore di principio del primo, ma oltre che non si ha una forma fondamentale unica, come è la nostra, vi è tanto in questo come nell'altro metodo il difetto che si appoggia sul continuo nu- merico e almeno sulle proprietà fondamentali delle funzioni continue, che con questi metodi si lavora nella geometria in una forma particolare di date dimensioni *), di cui pure bisogna dare la definizione ; mentre il campo nostro non ha altre proprietà da principio ali'infuori di quella che è un insieme di elementi e che in esso dato un insieme particolare di elementi fuori di esso vi è sempre un altro elemento (def. VI, 13; oss. IV, 122). La nostra forma fondamentale invece (ip. IX) è indipendente da tutto il campo rimanente ed è con essa che costruiamo le altre forme ad una o più dimensioni 2). Volendo proseguire astrattamente bisognerebbe stabilire ora le ipotesi relative a una o più forme fondamentali. Il sistema astratto che noi vo- gliamo studiare è quello corrispondente alla geometria, e quindi passiamo senz'altro alla trattazione di questo sistema, tenendo presenti le condizioni alle quali devono soddisfare gli assiomi e le ipotesi astratte geometriche e il me- todo puramente geometrico 3). 1) Nelle ricerche sai fondamenti della geometria da alcuno si fa uso della coppia di elementi (o intervallo) sebbene non si dica che cosa sia ma si confonda anzi comunemente con la distanza. Ma a questo si rimedia facilmente, come abbiamo visto. Non è però intuitivo in nessun modo che gli intervalli si possano confrontare l'un l'altro senza il concetto della linea retta. Dire che gli intervalli si pos- sono esprimere numericamente mediante un altro, e che si possono far corrispondere ai numeri del continuo numerico, è un'ipotesi possibile tanto più che è confermata dalle ricerche già note sulla retta, ma è un' ipotesi che non ha base sull' intuizione geometrica senza la retta. Di più bisogna dare in precedenza una definizione dello spazio a tre (o a n dimensioni) di cui si vuole studiare la geome- tria altrimenti manca la base per la costruzione del piano e della retta mediante la sfera, come si fa partendo dalla coppia di punti. (Vedi pref. ed app.). 2) Vedi anche pref. 3) Vedi pref.

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PARTE PEIMA LA RETTA, IL PIANO E LO SPAZIO A TRE DIMENSIONI NELLO SPAZIO GENERALE.

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LIBRO I. LA RETTA E LE FIGURE RETTILINEE IN GENERALE. CAPITOLO I. La retta e le figure rettilinee in generale. Assiomi e ipotesi. 1. Punto Assioma, I Figura, Spazio generale Geometria. Sistemi di punti ad una dimensione. I. Oss. emp. !) Alla presenza dei corpi fuori di noi, che ci appariscono per mezzo dei sensi, specialmente per mezzo della vista e del tatto, è collegata Pidea di ciò che li contiene, e, si chiama ambiente esterno o spazio intuitivo, nel quale i corpi occupano ciascuno un determinato posto o luogo. Se osserviamo un corpo, esso oc- cupa,un determinato luogo; ma spostandosi il corpo,e fissando colla mente il luogo da esso occupato nel primo momento intuiamo che questo luogo esiste da sé indi- pendentemente dal corpo. Anche se un corpo non si muove, ad es. il libro che ho sul tavolo, io posso fare astrazione da esso, e pensare al posto che occupa. Apparentemente questo luogo riempito prima dal corpo in movimento, o dal corpo in quiete ma del quale facciamo astrazione, è evidenteipente vuoto, vale a dire non lo vediamo, o non lo immaginiamo, occupato da altri corpi. Da ciò non consegue punto che esista effettivamente il vuoto assoluto, vale a dire un ambiente che non sia riempito da alcun corpo ; ma se noi pensiamo che un grave muovendosi Ce per questo possiamo pensare anche ad un punto materiale (corpuscolo)), il luogo in cui giace in un dato momento non venga riempito dalla materia circostante, noi abbiamo la nozione astratta del vuoto assoluto. Ed essendo il vuoto ciò che astrattamente era o può essere occupato da un corpo non è il nulla. È coli'idea del vuoto abbia- mo anche l'idea dell*immobilità del vuoto stesso o dello spazio intuitivo. Il concetto (int. 4) deir elemento fondamentale della scienza di cui vogliamo ora dare i principi (int. def. I, 57), col quale cioè riteniamo determinate le forme (og- getti) dei nostri studi (int. def. IV, 57), ci viene fornito da oggetti effettivamente esi- l) Delle considerazioni empiriche che ci servono per stabilire gli assiomi non teniamo alcun conto nell'enunciato delle proprietà e nelle dimostrazioni geometriche, facendo uso soltanto dei risultati ghe indipendentemente eia esse stabiliamo negli assiomi, 14

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210 stenti fuori di noi nel mondo esterno, ad es. dairestremità di un filo o da un'estre- mità dell'oggetto dellaflg.l. Facendo astrazione dalle sue qualità fisiche, l'estremità del filo, o ciò che segna la separazione di due delle sue parti consecutive, risveglia in noi l'idea di ciò che considereremo quale elemento fondamentale, ossia del punto *). Altri oggetti, come il segno tracciato sul foglio dalla punta finissima di una matita risvegliano o producono in noi lo stesso concetto, la qual cosa dimostra che il punto è indipendente dalla materia dell' oggetto che ce lo fornisce, imperocché l'intuizione del punto non si riferisce tanto ali' oggetto quanto al posto che esso oc- cupa nell'ambiente che ci circonda. Def. I. L'elemento fondamentale (int. def. I, 57) del quale si compongono le forme (int. def. IV, 57) è dato dalla rappresentazione particolare summen- tovatn, e si chiama punto 2) I). Oss. emp. IL I/identità dei punti è manifesta per l'intuizione del punto (int, def. VI, 8), e quindi dobbiamo stabilire il seguente assioma : Ass. L Esistono punti distinti Tutti i punti sono identici (int. def. Ili e oss. Ili, 9; def. II, III e oss. II, 57) 3). Oss. I. Indipendentemente dall'intuizione o in senso puramente astratto questo assioma significa che tutti gli elementi fondamentali a cui si da il nome di punto sono identici ; esso ci da dunque una proprietà astratta indipendente dalP intuizione del punto. 2. Oss. I. Ripeteremo qui alcune definizioni già stabilite nell'introduzione per i sistemi di elementi, considerando come elemento il punto, senza occuparci momen- taneamente della loro esistenza, la quale deve essere data o dedotta dagli assiomi che stabiliremo in appresso. 1) Vedi anche int. 55. Adoperando il verbo risvegliare non intendo dire che risieda in noi a priori l'idea del punto, che di tale questione il matematico non si occupa (vedi pref.), ma intendo dire che questa idea è una di quelle che si formano o si svolgono in noi gradatamente senza che ce ne accorgiamo, e che quando cominciamo a studiare geometria questa idea, come quella della retta e di altre semplici figure, r abbiamo già in noi beila e formata. 2) Questa è una definizione puramente nominale, non intendiamo con essa di definire le pro- prietà del punto ma di riferirci alla rappresentazione spiegata nell'oss. emp. I o nel n. 55 dell1 in- troduzione. I) Nelle note segnate con numeri romani, come abbiamo avvertito nella prefa- zione trattiamo della geometria nel campo di una sola unità come avviene comune- mente, sia per scopo didattico come per mostrare che si possono seguire gli stessi principi indipendentemente dalle nostre ipotesi astratte sull'infinito e infinitesimo, ma nello stesso tempo per far conoscere anche V utilità di queste ipotesi nello stu- dio delle proprietà del campo finito stesso (vedi pref.). Non facendo uso deirintro- duzione la def. di punto può essere data dunque come oggetto del quale si compon- gono tutti gli altri oggetti che noi consideriamo, o meglio come oggetto dato dalla rappresentazione suddetta. In un trattato elementare pei licei bisogna evitare le di- scussioni critiche, come ad es. Toss. I. Ciò valga per tutte le altre note. Così biso- gna supporre alcune cose conosciute, ad es. le proprietà principali dei numeri interi. Per la def. del punto come per stabilire gli assiomi è utile ricorrere anche in un trattato elementare a considerazioni empiriche. Osservo che in queste note intendo solo di mostrare la possibilità di seguire i miei principi in un trattato elementare; senza voler stabilire rigidamente un ordine determinato, specialmente nel principio. 3) Lasciamo da parte la questione s il punto abbia o no in sé parti, sebbene da quanto abbiamo detto al n. 55 dell' introduzione intorno all'oggetto della fig. 1 non solo il punto non è parte rispetto a questo oggetto, considerata la parte nel senso cbe serva a costruire il continuo secondo il teor. d. 105, ma non ne ha neppure considerato in sé stesso. {Vedi int. nota 4, 55). Il punto è per noi una for? ma costante (|nt. def. Vii, 67).

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211 Def. L Ogni forma il cui elemento fondamentale è il punto (hit. def. IV, 57 e def. I, 38) la chiameremo figura o ente geometrica. Una figura A appartiene ad una figura B quando i punti di A sono punti di B, ed è parte di B quando nel caso suddetto, vi sono punti di B che non appartengono ad A, ossia sono fuori di A (ini. 13 e 26). Oss. II. (*) Qualunqne siano le proprietà della figura che corrisponde allo spazio intuitivo, astrattamente data o costruita una forma qualunque a possiamo immagi- nare fuori di a un altro elemento, cioè un elemento che non appartenga ad a senza che ciò contraddica alle proprietà della forma a stessa, né conduca a contraddizioni (int. a, 37). Def. II. (*) Lo spazio generate è dato da un sistema di punti tale che, data o costruita una figura qualunque vi è almeno un altro punto fuori di essa(oss. II); le cui proprietà non dimostrabili derivano in parte dall' osservazione esterna e in parte da principi astratti che non contraddicono alle prime; e le figure, finché il punto conserva il suo primitivo significato (def. I, 1) sono sempre ac- compagnate dall'intuizione spaziale l). Oss. III. Questa definizione e Toss. II si potrebbero ommettere senza portare al- cuna alterazione allo svolgimento delle nostre considerazioni 2) ; ed è perciò che le ab- biamo segnate con un asterisco. Def. III. La scienza dello spazio generale (e quindi delle figure in esso contenute) si chiama geometria. Oss. IV. La geometria come scienza particolare del pensiero è scopo a sé stessa, ma ha pure per scopo principale lo studio e la costruzione delle figure concrete nel campo della nostra osservazione esterna (def. II, 38) 3), II). 3. Def. I. Un sistema di elementi ad una dimensione il cui elemento è il punto (def. I, 1 e int. def. I. 62) è un sistema di punti che chiameremo figura ad una dimensione. 1) Ciò non impedisce che col nome di punto non sì possa distinguere qualche altro ente che abbia delle analogie col punto che corrisponde alla def. I, come è ad es. il punto immaginario, ma di questi punti non avremo ad occuparci nel nostro libro. 2) I nostri assiomi stabiliscono soltanto l'esistenza delle figure a due dimensioni senzaescludere quella delle figure a più di due dimensioni ; ma le altre proprietà in questo capitolo valgono tanto per le due dimensioni come per lo spazio generale che ha un numero indeterminato di dimensioni e per gli spazi a tre e a più di tre dimensioni. Per ora la def. di spazio generale non ci fa conoscere che questo : che noi abbiamo un sistema, di punti determinato dall' ass. I, e che fuori di ogni figura data o costruita in esso vi è almeno un punto. Per questo ultimo principio non occorre alcun assioma, perché ha ragione nella libertà del nostro pensiero (int. a, 37): occorrerà invece un'assioma per stabilire qual'é la forma astratta corri- spondente allo spazio intuitivo, ma questo assioma è necessario soltanto, come vedremo, perle pratiche applicazioni. 3) Qui si potrebbe dare la def. di grandezza estensiva ed intensiva di una figura (int, ili), ma non lo facciamo per evitare fin da ora tutti i principi generali non necessari. La distinzione delle due grandezze dimostra cae la geometria non o la scienza dell'estensione, perché la scienza che ha per scopo la grandezza estensiva delle forme astratte è la scienza dell'estensione astratta; né è la scienza dell'estensione concreta corrispondente a quella dello spazio intuitivo perché la geometria si occupa anche della grandezza intensiva delle figure, nò si occupa della sola misura dell'estensione, come spesso viene definito. II) Per la def. di figura, non facendo uso dell' introduzione, si può dare qui la def. IV del num. 57 dell'introduzione stessa, dando quindi la def. Ili e tralasciando ogni definizione di spazio non necessaria per lo svolgimento della geometria; basta sup- porre soltanto in conformità ali'ass. I che si ha un sistema di punti le cui proprietà vendono stabilite e dedotte dagli altri assiomi.

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212 Oss. I. Come ogni sistema ad una dimensione ha due versi opposti a cominciare da uno qualunque dei suoi elementi (int. 62 e 63), così è di ogni sistema di punti ad una dimensione. Gli elementi di un sistema ad una dimensione si possono considerare come po- sizioni diverse di un elemento del sistema (int. 67), e quindi possiamo dire senza intro- durre nuovi principi, che i punti di un sistema ad una dimensione sono posizioni diverse di un punto che si muove sul sistema. Per la stessa ragione, se consideriamo i punti consecutivi AAM AM .... del sistema si può dire che i segmenti (AAW), (4M ^W) ecc. sono posizioni diverse di un medesimo segmento che si muove o scorre sul si- stema, senza che da ciò derivi l'identità di quei segmenti e la continuità del si- stema stesso e senza che queste espressioni dipendano dal movimento reale dei corpi (int. 67). i). Un sistema di punti ad una dimensione è semplicemente chiuso^ se un punto '.. che si muove nel sistema percorre l'intero sistema in un dato verso ritornando nella posizione di prima. Un sistema ad una dimensione è semplicemente aperto se il punto che lo percorre in un verso o nel verso opposto non ripassa per un punto del sistema e se non ritorna al punto di partenza (int. 63 e 67). 055. emp. Un sistema ad una dimensione lo rappresente- remo spesso con un gruppo di segni tracciati sul foglio colla punta di una matita che si seguono in un dato verso indicato fig 2 di una o Taltra freccia, anche se tutte le proprietà deirog- getto non sono proprietà del sistema, e inversamente (flg 2). Ogni disegno rappresentante una figura lo chiameremo anche figura. Esso è però una figura concreta (def. I, 2 e int. def. II, 38) e non è da confondere con la figura astra tta corrispondente, della quale è un'immagine o una rappresentazione 2) III). Le proprietà svolte in questo libro colla scorta delie note segnate con numeri romani valgono non solo per il piano ma anche per lo spazio generale e per gli spazi a tr e e a più di tre dimensioni. In un trattato di geom. elementare bisogna limitarsi allo spazio intuitivo, ma non occorre dare di esso alcuna definizione, come non occorre darla per lo spazio generale.. Al più per darne un'idea si potrebbe dire così: Lo spazio intuitivo è de- terminato da un sistema di punti le cui proprietà fondamentali non dimostrabili de- rivano in parte dall'osservazione esterna diretta e in parte da principi astratti che non contraddicono alle prime; e le figure, fintantoché il punto conserva il suo primi- tivo significato (def. 1,1), hanno o possono avere una rappresentazione reale completa rispetto alla nostra intuizione spaziale. Quale differenza vi sia fra l'intuizione di una figura dello spazio intuitivo e di una figura qualunque dello spazio generale vedremo specialmente nella parte seconda. La proprietà che fuori di ogni piano esiste un punto può esser data come assioma quando si costruisce lo spazio a tre dimensioni (libro III, parte I), stabilendo poi l'assioma che lo spazio intuitivo (oss. emp. 1) ha tre dimensioni, assioma non necessario per lo svolgimento della geometria a tre dimensioni, ma necessario per le pratiche applicazioni di essa nel campo delle nostre osservazioni esterne. 1) Vedi 26. 2) L' uso delle figure tracciate sul foglio del disegno aiuta moltissimo la mente nelle indagini geometriche (vedi pref.), e i disegni od oggetti simili sono necessari per stabilire gli assiomi. Ma la de- duzione delle proprietà fondamentali, specialmente quando non sono stabiliti ancora tutti gii assio- mi bisogna che sia indipendente dalla osservazione o dall'intuizione della figura affine di non intro- durre fin da principio concetti non ancora definiti, oppure affine di non ritenere dimostrata una pro- prietà che sia derivata invece dall'osservazione della figura. E non volendo abbandonare i grandi vantaggi che offre l'intuizione bisogna aver riguardo a questi inconvenienti cui essa può dar luogo. III). Non volendo ricorrere ali' introduzione (vedi nota I) la considerazione di serie di cose e di ordine, come la proprietà di esse si possono premettere brevemen- te nelle nozioni comuni in un trattato elementare. Così si può dare la def. I, la parte dell'oss. I relativa al linguaggio del movimento, dando altresì Toss. emp. e la def* IJ.

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213 ì)ef. ÌL Se due sistemi di punti hanno un punto Comune A (int. def. VII, 13) diremo anche che si incontrano nel punto A, e che A è punto d'incontro o d'in- tersezione di essi. 2. Assioma IL Prime proprietà della retta,. 4. Oss. emp. J. Abbiamo date le definizioni precedenti (3) sotto condizione che esi- stano gli enti a cui si riferiscono, ma non abbiamo ancora ammesso alcun principio dal quale sia data o si deduca la loro esistenza. Noi sappiamo soltanto di avere un siste- ma di punti (ass. I, int. def. 1,13), e perciò non sappiamo se vi siano figure continue, e se vi sono qual'è quella che viene determinata dal minor numero di punti e qual'è questo numero. E perciò non possiamo decidere se due punti determinino necessa- riamente una figura, fra quelle che li contengono, e se sì di quale natura sia (int. 122). Dobbiamo dunque vedere se vi è qualche oggetto esteriore il quale ci fornisca il con- cetto di una figura determinata da due punti. Se osserviamo l'oggetto della fig. l,a e facciamo astrazione dalle sue qualità fi- siche, esso ci fornisce appunto il concetto (int. 4) di un sistema di punti ad una dimen- zione limitato da due punti. Questa figura si chiama segmento rettilineo o semplice- mente segmento, quando non vi sarà luogo a confusione con segmenti di altri sistemi. L'intuizione del segmento rettilineo viene pure risvegliata ]) in noi da un filo teso alle sue estremità (teso s'intende in senso empirico), dallo spigolo di un dado, da un rag- gio solare che per un forellino entra in una camera oscura, ecc. ecc. Il segmento ret- tilineo dunque, come il punto (oss. emp., 1) piuttosto che corrispondere al filo teso e allo spigolo di un dado o ad altri oggetti simili, corrisponde al luogo occupato da questi oggetti nello spazio intuitivo (oss. emp., 1). Abbiamo veduto al n. 55 dell'introduzione che l'esperienza ripetuta ci conduce ad ammettere che il segmento rettilineo sia parte di un altro segmento rettilineo (int. def. II, 27 e def. Ili, 62), e quindi che sia parte di un sistema di punti ad una dimensione illimitato in uno e nell'altro verso (int. 32). Ma anche se nell'ambiente esterno non fosse così, l'ipotesi astratta suddetta non solo non contraddice, ma giova anzi allo studio delle proprietà del campo limitato dell'osservazione 2). Il sistema rettilineo è identico nella posizione delle sue parti (int. 55, def. I, 70; oss. II, 81); di più le parti dell'oggetto rettilineo della fig. l,a sensibili all'osservazione sono finite rispetto ad una qualunque di esse fdef. II, 82), vale a dire se si hanno due parti (AB), (CD) e (AB) (CD), vi è un numero m intero naturale tale che (AB) m (CD) (e, SI). L'unità alla quale si riferiscono queste parti la chiameremo unità rettilinea sen- sibile all'osservazione o semplicemente unità sensibile. Di più,l'oggetto rettilineo ci ha servito di guida per stabilire Tip. VI del con- tinuo relativo (int. 55 e 96), quindi l'oggetto rettilineo è continuo relativamente al- l'unità sensibile. Questo oggetto (fig. 1 guardato al microscopio potrebbe non es- sere continuo, ma lo è il luogo da esso occupato rispetto alla nostra intuizione spa- ziale (int. 55). Da quanti dei suoi punti è determinato in posizione questo sistema ? Astratta- mente, dalla proprietà che esso è una figura ad una dimensione identico nella posi- zione delle sue parti e continuo non risulta il numero dei punti dai quali è deter- minato (int. 122); dobbiamo quindi ricorrere all'esperienza. E ricorrendo all'espe- 1) Vedi nota, i. 2) Qui si ha appunto un'ipotesi astratta di cui abbiamo parlato nella def. dello spazio intuitivo alla nota li).

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214 rienza noi vediamo che il luogo Occupato dall'oggetto rettilineo è determinato dalle sue estremità, e siccome il segmento determina l'intero sistema, così questo è de- terminato da due dei suoi punti. Noi vediamo che due punti qualunque distinti che corrispondono alle estremità di un oggetto rettilineo nel campo della nostra osser- vazione determinano sempre un segmento rettilineo, ma ci basterà ammettere che lo sia da due dei suoi punti soltanto. Se si desse questa proprietà per tutte le coppie di punti si ammetterebbero tanti assiomi quante sono le altre coppie (vedi nota IV). D'altronde se il sistema è determinato dalle coppie di punti che corrispondono alle estremità di oggetti rettilinei situati nel campo della nostra osservazione, ciò non significa che esso lo sia da due qualunque dei suoi punti, perché anche intuitiva- mente o coli'osservazione non si può dire che tale proprietà abbia luogo per le cop- pie di punti del sistema di cui uno almeno corrisponde ad un oggetto non compreso nel campo della nostra osservazione, essendo questo campo sull'oggetto rettilineo una parte finita presentemente data rispetto all'unità sensibile, e quindi immaginan- do l'oggetto prolungato oltre questo campo, come abbiamo detto precedentemente, non possiamo più dire che pei suoi estremi non passi un altro oggetto rettilineo. Del resto tale questione risorgerà sotto altri aspetti, e vedremo che anche intui- tivamente non possiamo deciderla. Astrattamente dunque dobbiamo fln da principio am- mettere la possibilità che due punti non determinino la retta. Riassumendo diamo per- ciò il seguente assioma: As'.v. il. CL Esiste un sistema di punti ad una dimensione identico nella posizione delle sue parti determinato da due dei suoi punti distinti e continuo. Def. I. Questo sistema si chiama lìnea retta o retta. Oss. /, Determinata da due punti significa che due rette non hanno questi punti comuni (int. def. VII, 13) senza coincidere (int. def V, 57 e 122). Oss. II. Questo assioma è pure indipendente dall' intuizione, perché facendo astrazione da essa ci dice che esiste un sistema ad una dimensione di elementi iden* tico nella posizione delie sue parti e continuo che viene determinato da due dei suoi elementi* Che cosa sia un tale sistema abbiamo già stabilito astrattamente nell'introdu- zione, cioè senza l'uso necessario dell'intuizione (int* 62, 68, 70, 96 e oss, II, 81 e 99). Oss. III. L'assioma I ci assicura soltanto che è dato un sistema di punti, ma non ci da di questo sistema alcuna proprietà ali'infuori di quella che tutti i punti sono uguali. Se esiste un sistema particolare di punti non significa perciò che questo debba essere ad una dimensione, e se è tale, che sia anche identico nella posizione delle sue parti, sia continuo e sia poi determinato da due dei suoi punti. Le parti adun- que in cui abbiamo scomposto nell'introduzione la parte a) dell'assioma II non si possono dedurre dalle precedenti (int. oss. II 81; nota 8. 99 e oss. 122), L'osservazione stessa e lo svolgimento della geometria ci dimostrano come esi- stono dei sistemi ad una dimensione identici nella posizione della loro parti e con* tinui che non sono determinati da due puntJ4 Oss. IV. Tacitamente diamo gli assiomi rispetto ad un'unità corrispondente ai- Punita sensibile (oss. emp.), senza però che ad essi contraddicano la definizione dello spazio generale (def. II, 2) e le ipotesi astratte che stabiliremo in seguito; e vedremo che essi, colle ipotesi astratte suddette o coll'ipotesi delle parallele date nella nota XV, bastano per svolgere la geometria a più specie di unità rettilinee o nel solo canapo finito di un unità, e in qualunque spazio da noi costruito, Oss. V. Come si faccia a costruire praticamente un segmento uguale ad un seg- mento dato non occorre sapere per la teoria. Ci basta l'esistenza di segmenti uguali sulla retta *). i) vedi 20.

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215 Òss. VÌ. Alla retta come sistema identico nella posizione delle sue parti conti- ti n ne si estendono tutte le proprietà di questo sistema, come quelle che derivano dalla sua continuità. Riferiremo qui le principali, deducendone però altre coli' aiuto dell'ass. Il.a. Teor. I. La retta è semplicemente chiusa o semplicemente aperta (int. e', 68). Teor. IL Scelto un punto X della retta, vi sono su di essa due soli segmenti uguali ad un'altro segmento qualunque (AB), che hanno per estremo comune r elemento X e sono dello stesso verso (int. ', 69). Teor. III. La retta a partire da un suo punto in un dato verso, è uguale alla retta considerata da un altro punto qualunque di essa nel verso dato o nel verso opposto (int. a, 70 e conv. I, 69). Coroll. I. Scelto un punto X qualunque della retta, in uno e nell'altro verso esiste un solo segmento identico ad un altro segmento (AB) di essa (int. a', 70). Coroll. IL Se la retta è aperta ogni suo punto la divide in due parti uguali (int. a"t 70). Def. II. Se la retta viene determinata da due punti A e B si dice an- che che congiunge o unisce i punti A e B. Se una retta contiene un punto A si dice anche che passa pel punto A. Ind. I. Indicheremo ordinariamente le rette con lettere italiche minuscole o col simbolo AB, mentre i punti li indicheremo in generale con lettere italiche maiuscole. Teor. IV. Dato un punto qualunque sulla retta vi sono almeno due punti che con esso determinano la retta, e a partire da un punto, in uno e nell'altro verso, vi sono infiniti segmenti uguali consecutivi i cui due estremi determina- no la retta. Secondo l'ass. II, a vi devono essere due punti A e B della retta che la determinano e quindi su di essa determinano almeno un solo segmento che ha per estremi i punti dati (teor. I, int. e e. 64). Sia (AB) questo segmento e sia^C un altro punto qualunque della retta. Sulla retta in uno e nell'altro verso vi è un segmento (XY) identico al segmento (AB) (coroll. I, teor. Ili), e perciò i punti X e Y determinano il segmento (XY) (int. def. Ili, 9; , 60), vale a dire una retta, la quale deve coincidere colla retta data, altrimenti vi sareb- bero due rette passanti per i due punti X e Y contro 1' ass. II, a (oss. I). Teor. V. La retta non può essere determinata da un solo punto. Bisogna supporre che mentre occorrono i due punti A e B per determi- narla (ass. II, a) vi sia un punto C almeno che la determina da solo. In tal caso A non avrebbe la stessa proprietà del punto C. Ma vi è in essa un seg- mento (CD)^(AB) (coroll. I, teor. Ili), e quindi se A non determina da solo il segmento (AB), C non determina da solo il segmento (CD), e perciò neppure la retta, perché essendo (AB) e (CD) identici (int. def. Ili, e oss. Ili, 9) hanno le stesse proprietà, cioè anche quelle dei punti corrispondenti rispetto agli stessi segmenti (int. dim. di , 60). 088. em. II. Abbiamo già detto che due punti qualunque del campo della nostra osservazione determinano un solo segmento rettilineo, e quindi anche una sola retta ; ma poiché come abbiamo detto nell'oss. emp. I non possiamo pronunciarci ancora se

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216 sulla retta vi siano o no coppie di punti che non la determinano, Completiamo l*ass. Il colla seguente proprietà: Ass. IL b, Esistono punti fuori della retta. Ogni punto che non appartiene alla retta determina con ogni punto di essa un'al- tra retta l). Oss. VII. È chiaro che facendo astrazione dall'intuizione questo assioma contie- ne una proprietà astrattamente ben determinata. L'ass. II, a riguarda la sola retta in sé stessa, non dice quindi nulla da solo sull'esistenza di punti fuori della retta. L'ass. I è soddisfatto anche dai soli punti di una retta. Si vede dunque che ogni punto situato fuori della retta è indipendente dalla r tta o che non è in nessun modo dato da essa. Se data la retta mediante T ass. II, a risultasse che tutti i punti fuori di essa godono o non godono la proprietà dell'ass. II, 5 ciò vorrebbe dire che ogni punto sarebbe in qualche guisa dipendente da essa, o dalla coppia di punti che la determina; o in altre parole la proprietà di questa coppia che finora nell'ass. II, a è speciale sulla retta, si estenderebbe senz/altre considerazioni ad una coppia di punti indipendenti. La proprietà II, b si può dunque ritenere indipendente da a, e quindi non con- traddicente a II, a. L'osservazione stessa ci assicura poi d'altra parte che 1' ass. II, b non contraddice ali" ass. II, a. IV) 2). 1) indichiamo questo assioma con H6 Cerche riguarda Je coppie di punti che determinano la retta. IV; Come ho detto (nota I e int. oss. II e nota 1, 81) in un trattato per uso dei licei, bisogna rimanere nel campo di una sola unità almeno nella planimetria, il che si ottiene coli1 ass. V. d" Archimede. Per il continuo rettilineo si possono se- guire i principi deir introduzione colle opportune modificazioni e riduzioni, indicate nell'oss. 11,81 e nota 8,99. Vedi anche la nota citata dellM. Il continuo rettilineo e l'assioma V d'Archimede . Anche se alcune proprietà dimostrabili, come quella del teor. a del n, 99 deir introduzione per ragioni didattiche si credesse di ammetterle come evidenti, ciò non nuocerebbe gran fatto al metodo generale, perché T insegnante saprebbe già che queste proprietà sono invece dimostrabili mediante gli assiomi pre- messi. Ed è per ragioni didattiche che è preferibile, come si vedrà in seguito, di so- stituire Tassioma II col seguente: Ass. II'. Due punti distinti qualunque determinano un sistema identico nella posizione delle sue parti e continuo, che li contiene, e si chiama retta. Esistono punti fuori della retta* È però evidente che sotto questa forma T assioma contiene un maggior numero di proprietà che nella forma primitiva, perché col nostro assioma II non ammettiamo che la retta sia determinata da una coppia qualunque dei suoi punti, riservandoci di dedurre poi se e quando due punti qualunque non determinano la retta, per non escludere il sistema di geometria così detto sferico. Scientificamente dunque è da preferire Tass. li. È per questo che le modificazioni da introdurre nel testo, rimanendo nel solo campo finito, le indicheremo nelle note seguenti sia per l'ass. II come per T ass. Il', finché sarà inutile tener conto della loro distinzione, come avviene ad un dato punto svolgendo, come noi ci proponiamo in queste note, il sistema Euclideo. Coir ass. II si segue lo stesso ordine del testo fintantoché non introdurremo il concetto del continuo assoluto sia coll'oss. II, 2 sia senza questa osservazione, come sarà indicato nel testo stesso, o nelle note. 2) vedi pref.

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817 Òse. Vili. Avremmo potuto tralasciare la prima parte dell'ass. II, b basandoci sull'oss. II, 2, se non ci fosse utile sia per le note segnate col numeri romani nelle quali non facciamo uso di questa osservazione (nota II) sia per meglio stabilire le nostre ipotesi astratte. Teor. VI. Se due punti non determinano la retta, l) ogni retta che con- tiene Vuno contiene anche l'altro. Siano X e Y i due punti, e sia r una retta passante per Y, il che è pos- sibile perché per l'assioma II, a esiste una retta, e quindi se Y non è in questa retta determina una retta con ogni punto di essa (ass. II, ), la quale passa per Y (def. II, ass. II, a). Se X non appartiene alla retta r, X determina con Y una retta (ass. II, ), ciò che è contro il dato. Corali. I. Se tre punti non sono in una retta determinano due a due tre rette. Difatti se due di essi non determinassero una retta, ogni retta passante per uno di essi passerebbe anche per l'altro, e quindi sarebbero situati tutti e tre in linea retta. Coroll. IL I punti che con un punto dato non determinano la retta non la determinano fra loro. Difatti siano B e C due punti che con un punto A non determinano la retta; ciò vuoi dire che ogni retta che contiene A contiene anche B e C, e così ogni retta passante per B o per C passa anche per A (def. II, teor. VI); dunque ogni retta passante per B passando per A contiene C, e quindi B e C non de- terminano la retta (ass. II, a e oss. I). Teor. VII. Se un punto non determina la retta con un altro punto di essa, ogni punto della retta ha la stessa proprietà, e a partire da un punto in uno e nell'altro verso vi sono infiniti segmenti uguali consecutivi i cui estremi non determinano la retta. La dimostrazione della prima parte di questo teorema è analoga a quella del teor. V. Ogni retta passante per uno degli estremi di un segmento della serie passa anche per tutti gli altri estremi (coroll. II, teor. VI). Teor. Vlir. Ogni segmento rettilineo (AB) è parte di una sola retta. Oppure : Due rette che hanno un segmento comune coincìdono. Siano r e rì9 le rette che hanno il segmento comune (AB). Le coppie di punti di questo segmento non possono determinare la retta (ass. II, a, oss. I), quindi ogni retta passante per uno di essi, ad es. B, contiene anche tutti gli altri punti del segmento, e perciò anche il segmento (AB). Immaginiamo ora sulla retta r un segmento (BC) = (AB) e dello stesso verso (teor. II). Il segmento (BC) ha le stesse proprietà del segmento (AB) (int. def. Ili, 9), e ogni altra retta che contiene B contiene anche tutti gli altri punti del seg- mento (BC) (teor. VII). Dunque il campo della scala di unità (AB) in r (int. def. Ili 80; def. I, II, 107) è comune alla retta rt; o in altre parole siccome ogni punto di r e di r è contenuto in questo campo (oss. IV e int. oss. II, 81), le rette r e TI coincidono (int. def. V, 57). Dunque ogni retta passante per A coinciderebbe colla retta r, e quindi i) Anziché dire una sola retta diciamo anche la retta.

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218 o A determinerebbe la retta, ciò che è assurdo (teor. IV); ovvero non vi sarebbero punti fuori della retta, il che è pure assurdo (ass. II, 6, opp. oss. II, 2). Coróll. I. Un segmento rettilineo (AB) qualunque determina una sola retta. Difatti siccome appartiene ad una sola retta, questa è determinata dal segmento dato. Coróll. IL Un punto non può determinare un segmento rettilineo. Difatti determinerebbe la retta determinata dal segmento stesso, il che è assurdo (teor. IV). Coróll. III. In ogni segmento (AB) vi sono punti che con uno qualunque degli estremi o con altri punti dello stesso segmento determinano la retta. Difatti se in (AB) non vi è alcun punto che con A determina la retta, quindi nemmeno B, il segmento (AB) è situato in ogni retta passante per A, il che è assurdo. Se X è un punto di (AB) che con A determina la retta, divi- dendo per metà (AX) nel punto M (oss. IV; int. , 99), M determina con A la retta, perché essendo (AM) = (MX), se M non determinasse la retta con A non la determinerebbe neppure con X, e perciò non la determinerebbero neppure A e X (teor. VII) contro l'ipotesi. Così dicasi per tutti i punti M che dividono (AX) in n parti uguali (int. , 99). Per dimostrare che nel segmento (AB) Vi sono punti che con un punto dato X determinano la retta basta considerare il seg- menro (AX) o il segmento (XB). Teor. IX. Ogni punto è situato in più rette distinte. Per T ass. II, a esiste una retta r. Considerando un punto B fuori della retta r, il che è possibile (ass. II, b opp. oss. II, 2), esso determina una retta r' con un punto A di r, la quale non coincide con r (int. def. V, 57), non solo perché r e r non hanno il punto 1? comune, ma perché r non può contenere tutti i punti di un segmento qualunque di r, ed r non può contenere tutti i punti di un segmento di / (teor. Vili). Scelto un altro punto qualunque C di r, si ha la retta BCche non può coincidere con /, altrimenti r e r' avrebbero i punti di un segmento comune contro il teor. Vili; e la retta BC, per la stessa ragione di r, non coincide con r. Scelto un altro punto D qualunque di r, esso determina una retta con B che non coincide, per tutti i punti D differenti da A e C, con BA o con BC. In ogni segmento (XY) della retta r nel quale non cadono punti di rette già costruite, come BA BC, BD ecc. vi è almeno un punto Z che con B determina una retta distinta da r e da ogni altra retta già costruita, altri- menti questa e la retta r, o la retta BZ e la retta r, avrebbero il segmento (XY) comune, il che è assurdo (teor. Vili). Scelto un punto Bl fuori delle rette costruite nel modo suddetto, il che è permesso (oss. II, 2), Bl determina con B un' altra retta (ass. II, 6), e così via 1). Coróll. Se due punti non determinano la retta, essi sono situati in più rette distinte (teor. VI). Teor. X. Tutte le rette passanti per un punto determinano lo spazio generale. Difatti sia A il punto e /"una figura qualunque; i punti di /"sono si- tuati in rètte passanti per A, anche se non determinano con A la retta (teor. i) il teor. IX si può dimostrare anche prima del teor.Vii facendo uso del teor. Ve dell'assiemali.

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Vi e IX). Fuori dì f vi è sempre un punto B (def. II, 2), il quale è pure situato in una retta che contiene A, quindi il teorema è dimostrato (def. II, 2). Oss, IX. Questo teorema non è necessario coinè non lo è la definizione di spazio generale, sebbene noi intendiamo di operare sempre in questo spazio l) (V). 3. Lunghezza, di un segmento rettilineo o distanza di due punti in un segmento rettilineo Segmento e distanza, di due punti sopra, la, retta, aperta, o chiusa Punti opposti della retta chiusa Raggi della retta vi). 5. Def. I. Lunghezza di un segmento (AB) si dice il segmento considerato come sostituibile ad un altro segmento identico, in ogni unione (int. 29) con altri segmenti. Per distanza degli estremi A e B di un segmento (AB) s'intende la lun- ghezza del segmento medesimo. Ad es. dati i due segmenti (AB)~(A'B')9 (AlBl)=(A'lB'l)9 situati o no sulla medesima retta, in generale la coppia (AB)9(A1BÌ) può non essere identica alla coppia (A'B'), (A'^ffJ (int. oss. Ili, 58), ma considerando la sola lunghezza dei segmenti si ha che le due coppie di lunghezze sono uguali. Oss. I. L'unione di due segmenti dati in posizione dipende dalla posizione reci- proca dei due segmenti 2), mentre ciò non è per la somma A g A, %t delle loro lunghezze, vale a dire in tal caso non si tien conto * g g- della posizione reciproca dei due segmenti, e si ottiene lo stesso risultato per le distanze come se essi fossero conse- *-t-------g cutivi in un dato verso sulla medesima retta. La somma A B delle due lunghezze (AB1), (A'^ù è uguale dunque alla som- t____t ma delle due lunghezze (AB) e (CD) di due segmenti conse- Ali Bi cutivi (flg. 3). Così se consideriamo un segmento (AB) e lo àg. 3 scomponiamo in un numero qualunque di parti, e supposti tanti segmenti non situati in linea retta o sulla stessa retta ma non consecutivi e 1} Per la proprietà che ha la retta di essere un sistema ad una dimensione identico nella posi- zione della sue parti, possiamo considerare a cominciare da un punto qualunque di essa in uno o nell'altro verso una serie di segmenti uguali. Ebbene questo fatto, e non altro, potremmo esprimerlo anche dicendo che i diversi segmenti uguali della serie suddetta sono posizioni diverse di un mede- simo segmento che si muove o scorre sulla retta mantenendosi uguale a sé stesso (oss. I, 3 e int. 67). Ma non lo faremo qui per non far credere che con questo linguaggio introduciamoli principio del mo- vimento senza deformazione del quale tratteremo al 26. V) Questi teoremi vanno dati ugualmente coli'ass. II (nota IV), soltanto si tra- lascia T ultima parte della dimostrazione del teor. IX, nel caso che non si voglia far uso dell1 oss, II, 2. Coll'ass. II' basta considerare i teor. I, II, il teor. Ili coi suoi co* rollari, i quali devono essere svolti colle considerazioni dell'oss. II, 81 dell'introduzione, e si tralasciano i teor. IV e X. Gli altri teoremi o sono corollari delfass. II', oppure non occorrono quando riguardano il caso di due punti che non determinano la retta. VI) Questo paragrafo può essere dato tale e quale. L' ass. II' non stabilisce che la retta sia aperta, questa proprietà può essere dimostrata come vedremo col postu* lato Euclideo delle parallele che daremo in seguito. Anche qui se non si volesse tener conto di questa distinzione, del resto semplicissima e che basta accennare qualche volta come vedremo, bisognerebbe chiedere il postulato della retta aperta subito dopo l'ass. Il' stesso. Il teor. I si limiterebbe a constatare che la retta è una linea semplice. 2) così per es. nello spazio due coppie di segmenti uguali non determinano due figure identiche.

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220 rispettivamente uguali alle parti del segmento dato, la somma delle loro lunghezze è la distanza dei due punti A e B nel segmento dato, ma il loro insieme non è una figura identica al segmento (AB) stesso l). Teor. L Se le lunghezze di due segmenti della medesima retta sono uguali, i due segmenti sono uguali. Oppure : Se le distanze degli estremi di due segmenti sulla medesima retta sono uguali i due segmenti sono uguali. Vale la stessa dimostrazione del teor. f, 11L 6. Def. L Per segmento di due punti sulla retta aperta (teor. I, 4) intende- remo il segmento che i due punti determinano sulla retta (int. , 64), e per distanza dei due punti la lunghezza di questo segmento (def. I, 5). Def. IL Per segmento di due punti A e B sulla retta chiusa intenderemo il minore dei due segmenti (AB) e (BA) del medesimo verso determinati da A e B sulla retta (int. e, 64); e per distanza da A e B la lunghezza di que- sto segmento. Oss. I. Se si ha (AB) = (BA), o in altre parole se A e B dividono la retta per metà, essi determinano due segmenti uguali sulla retta, e perciò non si può più ap- plicare in tal caso la def. precedente, mentre determinano una sola distanza sulla retta, perché i segmenti hanno la stessa lunghezza, non considerandosi per la distanza la differenza di posizione dei due segmenti. Possiamo dunque dire che due pnnti sulla retta chiusa determinano una sola distanza, la quale si riferisce al segmento minore determinato dai due punti, o al- l'uno o all'altro dei segmenti quando i due punti dimezzano la retta (oss. IV, 4, int. 6, 99). Def. III. Due punti che dividono la retta chiusa per metà si chiamano punti opposti. 7. Def. L La retta ha due versi o direzioni (ass. li, a; int. def. II, 62). La retta percorsa in un verso la chiameremo anche raggio^ e quindi una retta ha due raggi, i cui punti coincidono. I raggi che appartengono ad una retta si chiamano raggi opposti, come i versi in cui sono percorsi. Def. IL Quando diremo che due raggi coincidono intenderemo che non solo sono situati sulla stessa retta ma che sono diretti nel medesimo verso della retta (infc. def. Ili, 67). Quando diremo invece che due raggi giacciono in una retta intenderemo che possono essere diretti in un medesimo verso o in versi opposti della retta. 4. Ass. Ili Identità di due rette Figure rettilinee. Triangolo vii). 8. Oss. L Ora si presenta per noi la domanda : due rette qualùnque sono o non sono identiche? l) La lunghezza non òche la grandezza intensiva del segmento (int. def. II. e a, in). Le figure (AB), (CDY, (A'B'), (A'i J non sono in generale identiche ma equivalenti (int. def. IV, 9). La distanza di due punti nel senso della def. I non è il segmento rettilineo di essi, oome l'area di una figura piana e il volume di una figura solida non sono le figure stesse. (Vedi nota, 11), VII) Questo paragrafo può rimanere tale e quale.

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221 Le considerazioni astratte che possono derivare dagli ass. I e II non ci permet- tono di decidere la questione, imperocché Fase. II, a riguarda la retta in sé, e l'ass. I col- l'ass. li, e se si vuole insieme anche colla definizione di spazio generale, serve a stabilire resistenza di più rette distinte (teor. IX, 4). Ma non possiamo -S ricavare le relazioni di uguaglianza o di disuguaglianza fra due rette considerate in sé (int. def. Ili e oss. Ili, 9), sebbene determinate da due coppie di punti, perché per dedurne l'i- dentità in base ai principi dell'introduzione (int. 8 e 60) bi- sognerebbe che le due coppie di punti fossero identiche, o flg. 4. che in esse vi fossero coppie di punti che le determinano, ideutiche fra loro ; il che non è detto negli assiomi precedenti, né risulta da essi 1). Oss. emp. Esaminando due oggetti rettilinei (AB), (AD) (fig. 4) noi riceviamo l'impressione che anche se non sono uguali.ad una parte (AC) dell'uno vi è nel se- condo una parte (AC') uguale alla prima. Diamo dunque il seguente assioma: Ass. HI. Se due rette qualunque hanno un punto comune A, ad un segmento (AB) dell9 una è Identico un segmento (AB) del- P altra. 055. II. Questo assioma in senso puramente astratto indipendentemente cioè dalrintuizione ci da una proprietà pienamente determinata; esso significa cioè che due sistemi qualunque di elementi determinati dagli assiomi precedenti e che hanno un elemento comune -4, soddisfano alla condizione (AB) = (-4#), essendo B e B' due altri elementi che appartengono rispettivamente ad essi. Teor. I. Due rette qualunque sono identiche. Ciò è chiaro se esse hanno un punto comune A (ass. Ili, teor. IX, 4) per- ché costruite le scale coi segmenti (AB) e (AB') uguali, ad ogni segmento dell'una è uguale un segmento dell'altra, e i campi delle due scale, ossia le due rette, sono uguali (oss. IV, 4; int. a, 81). Se è data un' altra retta qualunque EF che non passa pel punto A, la retta AE (ass. II, b) per la dimostrazione precedente è identica alla retta AB, e alla retta EF, dunque le rette AB ed EF sono identiche (int. e, 8) (flg. 4). Oss. III. In tal caso si potrebbe ricorrere per la dimostrazione anche al prin- cipio a del n. 60 'dell' introduzione. Però a questi principi noi ricorriamo soltanto in casi in cui non v' è dubbio alcuno sulla loro applicabilità e nei quali non possiamo dare altre dimostrazioni. 9. Def. I. Per figura rettilinea di un sistema o di più sistemi distinti di punti intenderemo quella individuata dai segmenti che hanno per estremi i punti dati, e dai segmenti determinati dai punti dei segmenti suddetti, e così via. Def. IL La figura rettilinea determinata da tre punti ABC non situati in una retta si chiama triangolo; i tre punti A, B, C vertici e i tre segmenti (AB), (BC\ (CA) (def. I e II, 6) lati del triangolo. Quando non vi sarà luogo a confusione chiameremo lati anche le rette determinate dai tre punti due a due (coroll. I, teor. VI, 4). I vertici A, B, C si chiamane rispettivamente opposti ai lati (BC), (CA), (AB), e inversamente. Def. HI. Se due lati ad es. (AB) e (BC) del triangolo sono uguali esso dicesi isoscele^ il terzo lato (AG) si chiama base del triangolo. Def. IV. Se tutti i tre lati sono uguali il triangolo dicesi equilatero. i) Due circonferenze soddisfano ali1 ass. il, soltanto che sono determinate da tre punti non in li- nea retta anziché da due, eppure non sono in generale ideqtjctyej.

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222 5. Punto limite di un gruppo di punti in generale. Proprietà delle distanze di un punto dai punti di una retta. 10. Def. I. Per intorno di un punto dato A intendiamo il campo determi- nato da tutti i segmenti rettilinei uscenti da A (teor. IX, 4) uguali ad un seg- mento dato qualunque 9 piccolo quanto si vuole (oss. IV, 4). La distanza 2 si chiama ampiezza dell'intorno di A. Oss. I. È chiaro che ogni punto di questo intorno ha da A una distanza uguale o minore di t, perché esso è un estremo di (o un punto interno ad) uno dei segmenti suddetti. Def. IL Un punto L dicesi punto limite di un gruppo di punti (X) o di una serie di punti (Xn) quando in ogni intorno di L dato, di ampiezza arbi- trariamente piccola, vi è un punto del gruppo. Nel caso della serie diremo anche che un punto X della serie si accosta indefinitamente al punto L o tende al punto L. Teor. L In un gruppo qualunque (X) che ha un punto limite L vi 'è una serie ( Xn ) di punti che ha per punto limite L. Basta scegliere un intorno corrispondente a un segmento e sufficientemente piccolo in modo cioè che in esso cada almeno un punto X del gruppo. Scelto poi un segmento ^ minore del più piccolo dei segmenti determinati da L con X sulle rette passanti per L e X, nel caso che L e X non determinino la retta, si può scegliere sì sufficientemente piccolo in modo che nell'intorno di am- piezza 2 gj cada un punto Xl del gruppo (def. I e II). Così seguitando (ini a, 96) si ottiene la serie di punti XXl .... Xn ... che ha per limite L. Def. III. L'espressione: un triangolo variabile o coi lati variabili equi- vale all'altra: una serie di triangoli ABC, A'B'C1 ecc. Oss. II. Come risulta dalle definizioni II e III, è chiaro che il linguaggio del mo- vimento (oss. I, 3 opp. int. 67) è usato qui per maggior comodità, ma che se ne po- trebbe anche far senza, ogni qualvolta lo si usi in questo senso, adottato nella intro- duzione per le forme puramente astratte, Oss. III. A noi interessa ora di sapere come si comporta il lato di un triangolo ABC (def. II, 9) quando uno dei suoi lati ad es. (AC) diminuisce inde- finitamente (oss. IV, 4, int. def. I, 95). Se i tre punti ABC sono in linea retta allora se C si accosta indefinitamente ad A il segmento (BC) si accosta indefinitamente ad (AC) (int. def. IV, 95 e ass. II, a). Ma nel caso che ABC non siano in linea retta, come supponiamo, allora non pos- siamo dedurre questa proprietà dalle precedenti. La differenza dei seg- menti (AB) e (AC) potrebbe rimanere superiore ad un segmento dato quando C si accosta ad A *). Ricorriamo dunque ali' osservazione (fig. 5): Oss. emp. La osservazione ci dice appunto che quando (AC) è suf- flè- s. fìcienternente piccolo possiamo ritenere (AB) = (BC). Diamo dunque il seguente assioma : i) È noto infatti dalla teoria delle funzioni di una o più variabili continue reali (Vedi ad es. : Dini. Fondamenti per la teoria delle funzioni ad una variabile reale Pisa 1878) che esse possono essere continue o discontinue. Ora ogni punto C della retta AC da una retta e quindi un segmento con B, e perciò (BC) è funzione della posizione di C sulla retta AC. Ma Tessere funzione semplicemente anche se C descrive un continuo non significa che la funzione sia continua.

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223 Ass. IV. Se un lato di un triangolo qualunque diventa inde- finitamente piccolo, la differenza degli altri dne lati diventa pure indefinitamente piccola. Caroli. Se due lati di un triangolo diventano indefinitamente piccoli, an- che il terzo lato decresce indefinitamente. Se il terzo lato si mantenesse superiore a un segmento dato i, la diffe- renza di questo lato con uno degli altri due non diventerebbe indefinitamente piccola col decrescere indefinito degli altri lato, contro l'ass. IV (int. def. IV, 95). Teor. IL Se due punti A e B hanno per punto limite un punto C, il loro segmento su ogni retta passante per essi tende a zero. Se A e B determinano la Tetta e sono in linea retta con C il teorema riassume i teor. /j h e i del n. 95 dell'introduzione (ass. II, a e oss. IV, 4). Se in- vece non sono in linea retta con (7, essi determinano con C un triangolo, sempre nel caso suddetto (coroll. I, teor. VI, 4 e def. II, 9), ed il teorema non è che il co- roll. dell'ass. IV stesso (int. d, 95). Se A e Buon determinano la retta, possiamo supporre che la determinino con C, perché il caso contrario l'abbiamo già con- siderato (teor. VI, 4). Vi è però una retta, e per ipotesi, una sola, che passa pei tre punti ABC (coroll. teor. IX ass. II, a e oss. I, 4), e per essa vale la dimostrazione del prinfo caso. Sia a il segmento determinato da A e B sopra un'altra retta rx che non passa per C (def. I e li, 6), e scegliamo in questo segmento un punto D, quanto si vuole vicino ad A in modo che(BD)^ a e, essendo (AD) O (oss. IV, 4 e int. , 95). Il punto D determina sempre una retta con C, perché C è fuori della retta ABD (ass. II, b), e quando A e B si av- vicinano indefinitamente a C, e D si accosta indefinitamente ad A, D si acco- sta pure indefinitamente a C, (coroll. ass. IV); e quindi nel triangolo BCD, B si accosta indefinitamente a D (coroll. ass. IV). Dunque quando A e B si ac- costano indefinitamente a C, (AD) + (DB) ossia a si accosta indefinitamente a zero (int. Ti, 95 e oss. IV, 4). Teor. III. Se una serie di punti ( Xn ) ha un punto limite L, il segmento (Xn Xn+r), essendo r costante, colV aumentare indefinito di n decresce indefini- tamente. Diflatti in ogni intorno di ampiezza 2 s di L vi è almeno un punto X (def. II). Per n sufficientemente grande Xn deve cadere nell'intorno suddetto, altrimenti non vi sarebbe alcun punto X in questo intorno, contro il dato (def. II). Gli estremi dei segmenti (XnXn+r) sono contenuti nell'intorno dato, per n sufficientemente grande, ma poiché e può essere quanto piccolo si vuole, i punti dell'intorno tendono tutti a L, e quindi anche Xn e Xn+r', e perciò il loro segmento su ogni retta passante per essi coli'aumentare indefinito di n tende a zero (teor. II). Teor. IV. Il punto Xn della serie (Xn) avente un punto limite L col cre- scere indefinito di n non può avvicinarsi indefinitamente che al punto L. Difatti supposto che si avvicini a due punti distinti dati L e Z/, poiché (XnL) e (XnL') tendono a zero (def. II e int. d, 95), la somma dei segmenti (XnL) e (XnL') avrebbe per limite lo zero, e nello stesso tempo avrebbe per limite un segmento dato (LL'), ciò che è impossibile (ass. IV).

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224 Teor. V. Se la distanza di un punto R dai punti X di una retta va di- minuendo indefinitamente, il punto R appartiene alla retta. Intanto è permesso di parlare di una sola distanza del punto R da un punto X della retta, perché R e X determinano sempre la retta, se R è fuori di essa (ass. II, b; opp. oss. II, 2); e su di essa determinano sempre una sola distanza (def. I e II, e oss. I, 6). Essendo R un punto limite di una se- rie (Xn) di punti della rettali! segmento (XnXn+r) va diminuendo indefinita- mente (teor. 110, e quindi i due punti Xn e X^+r tendono a R (def. II). Nel caso che i punti di (Xn) determinano due a due la retta essi hanno un punto limite (int. b, 98), che deve coincidere con R (teor. IV). Se invece non determi- nano la retta (è un' ipotesi ancora non esclusa), poiché Xn e Xn r tendono a R, il loro segmento in ogni retta passante per essi deve tendere a zero (teor. II); dunque la serie ( Xn ) ha anche un punto limite sulla retta data, il quale deve coincidere col punto R (teor. IV) Vili). 7- Gruppi di punti che due a, due possono non determinare la, retta,. 11. Teor. L Se è dato un gruppo (A) di punti della retta tale: 1. che scelto un segmento qualunque i cui estremi siano punti del gruppo, gli estremi dei segmenti consecutivi uguali al dato in un dato verso, da ogni punto del gruppo come origine, appartengano al gruppo stesso; 2. che un punto A di (A) non abbia un primo punto consecutivo del gruppo nel verso dato; in ogni segmento piccolo quanto si vuole della retta (oss. IV, 4) vi è sempre un punto del gruppo. a) È chiaro che ogni punto del gruppo (A) ha la 2a proprietà del teo- rema. Diffatti se il punto Am qualunque del gruppo ordinato nel verso dato ha un primo elemento consecutivo Am+i si prenda nel gruppo (A) nel verso dato il segmento (AAl)^(AmAm^i); A è pure un punto del gruppo (1 ). Ma Al non è il primo punto che segue A (2 ), dunque nel segmento (AAJ vi deve essere un punto del gruppo, e quindi anche in (AmAm+i) (1 ). b) Dimostriamo che in ogni segmento (AX) di (AAJ per quanto piccolo vi è un punto del gruppo (A), essendo A e Al punti qualunque del gruppo. Se X fosse un punto del gruppo, in (AX) vi sarebbe un punto del gruppo (a). Supponiamo invece che ciò non sia. Vi deve essere un numero m tale che: (AX) m (AAJ (AX) (m -f 1) (oss. IV, 4 e int. e', 81). Immaginiamo, nel verso di (AX), m segmenti consecutivi uguali ad (AX), che indicheremo con (XX,), (X^X^,... (Xm.iXm).Di (AAJ rimane il segmento (XmAJ (AX). In (AAj) vi deve essére un punto A\ del gruppo (A) (a), il quale do- Vili) Coli' assioma II1 si ha pure bisogno dell' ass. IV ; le dimostrazioni dei teoremi si semplificano non avendo bisogno di tener conto della possibilità non an- cora esclusa che due punti non determinano la retta; l'assioma IV si può dare però quando se ne presenta la necessità,

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225 vrà quindi appartenere ad uno dei segmenti in cui (AAJ fu diviso, eccettuato per ipotesi (AX). Ma A\ non può cadere in (XmAJt perché essendo in tal caso (A'j^XfAX), in (AX) vi sarebbe un segmento uguale ad (A\A,) avenie per primo estremo A (teor. II, 4) e il cui secondo estremo sarebbe un punto di (A) (1 ). Il punto A\ dovrà dunque appartenere ad uno dei segmenti (Xr -Xr+i), ad es. nell'ultimo (Xm^Xm). In questo segmento non può cadere alcun altro punto A\ di (A), perché se no A'2 determinerebbe con A\ un segmento minore di (Xm.\Xm), e quindi anche di (AX), e perciò vi sarebbe in (AX) un altro punto di (A) (1 ), contro l'ipotesi. Non può essere del resto (A'lA'2)~(Xm_iXm), perché i due punti A\ e A\ dovrebbero cadere nei due punti Xm-i, Xm e quindi X sarebbe esso pure un punto di (A) (1 ), contro l'ipotesi. Ma fra A e A\ vi deve essere un altro punto A\ del gruppo (A), che cadrà in uno dei rimanenti segmenti (Xr Xr+i), ad es. nel segmento (Xm^Xm^). Non vi possono essere due punti di (A) in uno di questi segmenti perché, per ciò che si è detto testé pel segmento (3Tw-iXm), ve ne sarebbe uno anche in (AX), contro l'ipotesi; dunque il nu- mero dei punti di (A) nel segmento (AA^) sarebbe al più m, e quindi A col- Pipotesi suddetta avrebbe un primo punto consecutivo nel verso dato (hit. def. II, 46 e #, 35), il che è contro #). Dunque in (AX) vi deve essere almeno un punto del gruppo (A), e perciò infiniti (oss. IV, 4 e int. , 95). e) Ora consideriamo invece un punto qualunque Y dato della retta e che non sia un punto di (A). Lo si può sempre ritenere compreso fra due punti di (A), perché dato un segmento (AA ) del gruppo e minore di (AY) vi è sem- pre un numero n tale che (AAl)n'^ (AY) (oss. IV, 4 e int. d, 80); possiamo dun- que ritenere senza alcuna restrizione che Y appartenga al segmento (AA^), come possiamo ritenere che (AY) sia diretto nel verso del gruppo (1. ). Dimostriamo che in qualunque segmento (YZ) vi è sempre un punto del gruppo (A). Supponiamo dapprima che" (YZ) sia di- . .,., ,t;.-----J retto nel verso di (AAJ, e consideriamo un segmento A 'A rW* A (AY')==(YZ). Siccome (YZ) è piccolo quanto si vuole fig-6- possiamo supporre (AY') (AY) (int. , 95) (1) Nel segmento (AY') cade sempre un punto del gruppo (b), ad es. A' che potrebbe essere anche il punto Y' stesso, e quindi si ha: (AA') (AY') (2) (AA')^(YZ) (ini f, def. II, 61). (3) e perciò anche e per la (1) (AA') (AY) (int. d o def. II, 61) (4) Ora si deve avere un numero q tale che (AA')q (AY) (AA')(q + l) OSS. IV, 4 e int.e', 81). Indichiamo con AZ , A'te+V i secondi estremi dei segmenti (AA')q, (AA1) (q 4-1) ; il primo non cade nel segmento (YZ) ma bensì nel segmento (AY), e si ha: (5)

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226 Y è compreso invece fra A'w e A'ta*1), e perciò (A' Y) (A'W A'W-*-W). (6) D'altra parte per la (3) si ha: (A'WA'ta+HjSjrz) (7) e poiché F appartiene al segmento (A'MA'te-*-1*), il punto Z per la (7) non può cadere nel medesimo segmento (int. def. I, 61 o d, 73); dunque A'fó-*-1* deve cadere nel segmento (YZ), come si voleva dimostrare. È chiaro che se (YZ) è diretto nel verso di (A,A), basta considerare il segmento (ZY) e applicare ad esso il ragionamento precedente. Caroli. Ogni punto della retta che non è punto di (A) è punto limite del gruppo (A). Difatti scelto un punto qualunque X della retta in un segmento (XY) per quanto piccolo vi è un punto del gruppo. Teor. IL Ogni gruppo (X) di punti che due a due non determinano la retta contiene i suoi eventuali punti limiti. Una retta r qualunque che passa per un punto X del gruppo deve con- tenere tutti i punti del gruppo (teor. VI, 4). Se L è un punto limite dit que- sto gruppo e quindi di una serie ( Xn ) del gruppo (teor. I, 10), esso deve es- sere pure contenuto nella retta r (teor. V, 10). Teor. HI. I punti di un segmento (AB) che con un estremo di esso, ad es. A, non determinano la retta non possono essere in numero infinito. a) Se in (AB) vi è un numero infinito (oo) di punti A, 42.... AmAm+\.... che con A non determinano la retta, il gruppo di questi punti ha almeno un punto limite L (oss. IV, 4 e int. , 98), vale a dire vi è una serie (Xn ) del gruppo che ha per punto limite L (teor. I, 10), e quindi (XmXm+i ) diventa in- definitamente piccolo (int. e, 97, opp. teor. Ili, 10). Ma dato un segmento (XmXm+i ) , vi è un punto A' tale che (AA')^(XmXm^i) (teor. II, 4) e che appartiene allo stesso gruppo (teor. VII, 4), il che ha luogo per qualunque punto A del gruppo; dunque vuoi dire che ogni punto del gruppo non ha un primo elemento consecutivo determinato nel gruppo ordinato nel verso di (AB). In tal caso dunque il gruppo (A) di punti che con A non determinano la retta ha le proprietà del gruppo del teor. I. Ma ogni punto Y della retta che non è un punto del gruppo (A) è limite di questo gruppo (coroll. teor. I) ed è pure punto della retta (teor. II). Vuoi dire dunque che non vi sarebbe alcun punto sulla retta che la de- terminerebbe con -A, il che è assurdo (teor. V, 4), e ciò anche perché tutte le rette passanti per A coinciderebbero, contro il teor. IX, 4. Teor. IV. a) I segmenti consecutivi della serie di punti che con un punto dato non determinano la retta sono uguali fra loro in qualunque retta che contiene la serie data; b) e i segmenti determinati da due punti qualunque della serie in due rette passanti per essi sono uguali. a) Se i segmenti consecutivi ad es. (AmAm+i)9 (Am+\ Aw+2) della serie suddetta (A) non fossero uguali e fosse ad es. (Am+iAm+%X( AmAm-H ), nel primo vi sarebbe un segmento (AmA'm.p ) uguale al secondo (teor. II, 4) e

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227 tale che A'm-* i non determinerebbe con Am la retta (teor. VII, 4), quindi Am+i non sarebbe il punto consecutivo di Am nella serie (A), mentre A ha un primo elemento consecutivo in questa serie (teor. III). 6) Siano r e rx due rette passanti pei punti del gruppo (A). Supponiamo che i punti Am e As di (A) determinino segmenti disuguali (AmAs )r , (AmAs )ri in r e rY Scegliamo due segmenti ( TAS ), (ZAS ) nei segmenti suddetti in modo che ogni punto di essi, tranne As, determini con AB la retta (teor. Ili), e quindi anche con Am (teor. VI, 4). Due punti qualunque Y* e Z' distinti da As dei segmenti (YA ), (ZA*) determinano una retta diversa da r e r\ perché Y' è fuori di r' (oss. I, 4); dunque essi determinano con As e con Am un triangolo (def. I!, 9). Ma quando T e Z1 si accostano indefinitamente ad Am, (TZ1) de- cresce indefinitamente (coroll. ass. IV), dunque anche la differenza (AmY) e (AmZ1) in r e ^ (ass. IV). Ma se (AmAs )r , (AmAs )n fossero disuguali, ad es. : (AmAs )n (AmAs )r , la differenza di (AmZ) da (AmAs )r sarebbe maggiore di (AmZ) (AmAs )r= (teor. I, 8), dunque (AmZ') si manterrebbe superiore di e al segmento (AmYr) che è minore di (AmAs )r, contro quanto precede; dunque (AmAs }r = (AmAs )ry Oss. I. Si può parlare del punto consecutivo di ogni punto A di un grappo che non determina la retta, perché in ogni retta passante per A^ esso ha in un dato verso Io stesso punto consecutivo. Si può parlare della distanza (def. I, 5) anziché delle di- stanze di due punti, perché in ogni retta passante per essi ne determinano una sol- tanto (def. I e li, e oss. I, 6), e in tutte le rette che li contengono le distanze sono uguali. Non si può però parlare di un solo segmento di due punti che non determi- nano la retta *). Teor. V. a) Due gruppi di punti, ciascuno dei quali non determina la retta, sono situati in una sola retta. b) I segmenti che hanno per estremi due coppie di punti consecutivi, che non determinano la retta, sono uguali. a} Difatti se (A^), (B^) sono due coppie qualunque di due grupppi (A) e ( ) che non determinano la retta, i punti Ar e B^ determinano sempre una retta, altrimenti At e #x apparterrebbero allo stesso gruppo (teor. VI, 4). Que- sta retta contiene tutti gli altri punti di (A) e (tì) (teor. VI, 4). b) Ogni punto X di una retta che contiene un gruppo (A) appartiene ad un gruppo (X) che non determina la retta, ed è identico ad (A) (teor. II e teor. VII, 4). Ma le due coppie di punti consecutivi date (oss. I) sono sempre in una retta, dunque b). Oss. 77. Questi teoremi valgono subordinatamente all'esistenza di gruppi di punti che non determinano la retta, questione che non fu ancora decisa, e che per- ciò dobbiamo tener presente IX). 1) Ciò da una chiara conferma della distinzione fra la distanza di due punti e il segmento di essi, e come non si possa sempre indifferentemente sostituire l'uno all'altra. IX) Coir ass. II1 questo paragrafo non occorre affatto, essendo esclusa con esso l'esistenza di coppie di punti che non determinano la retta.

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228 7. Segmento rettilineo limite di una, serie di segmenti rettilinei Linea semplice Distanza di un punto dai punti di una linea semplice. 12. Def. I. Un segmento rettilineo (AB) dicesi limite di una serie di seg- menti rettilinei dati (XY), se i punti A e B sono punti limiti dei punti X e Y (def. lì, 10), supposto che i punti A e B determinino la retta. Teor. I. Se (AB) è segmento limite di un segmento variabile (XY), i punti X e Y in intorni sufficientemente piccoli di A e B determinano la retta. Scelto un intorno arbitrariamente piccolo di B (def. I, 10), in esso deve cadere un punto Y (def. I). Se A e Y non determinassero la retta giacerebbero in una medesima retta r con B (teor. VI, 4), ma poiché B è punto limite di Y, la differenza di (AB) e (AY) diventa indefinitamente piccola (int. def. IV, 95), e perciò in ogni segmento (BB) in AB nel verso di (AB) o di (BA) vi sa- rebbe sempre un punto Y. Quindi o Y coinciderebbe con B, o. avrebbe per li- mite Y in AB ; il che è escluso, perché B determina con A la retta (teor. II, 11). Se X non determina la retta con Y, i punti A, X, Y, sono in linea retta (teor. VI, 4), e il segmento (AX) diventa in AY più piccolo di ogni segmento dato, il che, per ciò che si è detto, è assurdo. Teor. IL La differenza fra il segmento variabile (XY) e il suo segmento limite (AB) diventa indefinitamente piccola. Difatti così è per i segmenti (AY) e (AB), vale a dire vi è un intorno sufficientemente piccolo di B pel quale la differenza in valore assoluto (int. 112) di (AB) e (AY), che indicheremo con [(AB) (AY)], è minore di un segmento dato a. Così per un intorno sufficientemente piccolo di A la differenza [(AY) (XY)] è più piccola di un segmento BI quanto piccolo si vuole. Ora la dif- ferenza o la somma delle due diferenze suddette, che è [(AB) (XY)], è mi- nore della differenza o della somma di e ed elr ma in qualunque caso quando e e x diventano indefinitanjente piccoli, (e a^ e (e -f- x) decrescono indefini- tamente (int. def. I, e h, 95); dunque il teor. è dimostrato. Oss. I. Per la distanza limite dì una serie di distanze basta la def. IV del n. 95 deirintroduzione (oss. I, 11), perché per le distanze non si tien conto della differenza di posizione dei segmenti a cui si riferiscono (def. I, 5J. Teor. III. Se un segmento (Xn Yn) si avvicina indefinitamente ad (AB), esso non può avvicinarsi indefinitamente ad un altro segmento (A'Bf) differente da (AB). Difatti i punti Xn, Yn dovrebbero avvicinarsi indefinitamente e rispetti- vamente alle coppie di punti (una delle quali può ridursi ad un solo punto) A e A', B e B (def. I) il che è assurdo (teor. IV, 10). Teor. IV. Se (AB) è limite di un segmento (XY), ogni punto della retta XY può avvicinarsi indefinitamente ad un punto della retta AB. Ciò vale intanto pei punti X e Y (def. I ; def. II, 10). Supponiamo che a seg- menti indefinitamente piccoli di uno stato di (XY) corrispondano segmenti indefi- nitamente piccoli negli stati successivi, il che si ottiene ad es, colla corrispon-

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229 denza di proporzionalità fra i diversi segmenti (int. 106). Così possiamo sup- porre pel teor. I che X e Y determinino la retta. Sia dato un punto Zn di (XY), il quale quando X si avvicina indefinitamente ad A non si avvicini indefini- tamente ad alcun punto della retta AB. Nel segmento (Zn X) vi deve essere un segmento (Zn Zn.fì sufficientemente piccolo tale che i punti di esso hanno la stessa proprietà del punto Znì altrimenti potendo essere (ZnZn.i) piccolo quanto si vuole, avvicinandosi un punto di questo segmento indefinitamente ad un punto della retta AB, anche il punto Zn godrebbe la stessa proprietà (coroll. ass. IV). Dato quindi il segmento (ZnZn.^ possiamo costruirne un altro (Zn.iZn.z) sempre nel segmento (ZnX) che goda la stessa proprietà di (ZnZn.^ I punti di (Zn X) si separano dunque in due gruppi (Z) e (Z'\ cioè di quelli che godono la proprietà di Zn e di quelli che hanno la proprietà del punto X. Essi deter- minano a partire da Zn e X nel segmento (Zn X) due serie sempre crescenti, e che hanno rispettivamente i punti limiti che diremo L e L' (int. d, 97 e oss. IV, 4). I punti L e L' godono rispettivamente la proprietà dei punti delle serie corrispondenti. Difatti in ogni segmento per quanto piccolo (LZ) in (XZn), e nel verso di (XZn ), vi è un punto che gode la proprietà di Zn, e quindi tale proprietà ha anche L per la dimostrazione precedente. Così si dimostra che L' ha la proprietà del punto X. Ma i punti L e L' coincidono (int. d", 97), il che sarebbe assurdo se Zn non avesse la proprietà di X (int. IV, 8). La stessa dimostrazione vale pure pel segmento (Zn Y), come anche quando il punto Zn è sulla retta XY fuori del segmento (XY). Coroll. L Se (AB) è limite di un segmento costante (AX), ogni punto della retta AX può avvicinarsi indefinitamente ad un punto della retta AB ad ugual distanza di esso da A. Siccome un punto Zn di AXpuò avvicinarsi indefinitamente ad un punto C di AB così la differenza di (AZn ) e (AC) diventa indefinitamente piccola (ass. IV). Coroll. IL Se (AB) è limite di un segmento (XY) uguale ad (AB), ogni puntò della retta XY può avvicinarsi indefinitamente ad un punto della retta AB a distanze da A e B rispettivamente uguali a quelle del punto dato da X e Y. Dim. analoga alla precedente. 43. Def. I. Un gruppo di punti dicesi isolato quando nessuno dei suoi punti è punto limite del gruppo (def. II, 10). Oss. L Per la definizione di segmento o punto limite di un gruppo o di una se- rie di segmenti o di punti in un sistema semplice ad una dimensione (def. I, 3 opp. int. def. II, 63) valgono la def. IV del n. 95 e la def. I del n. 98 deirintroduzione che sono indipendenti dall'omogeneità del sistema (int. def, I, 68). Def. IL Un sistema di punti ad una dimensione semplice (int. def. II, 63), tale : 1. che ogni suo punto Y è punto limite di una serie (AX) sempre cre- scente e di una serie (AX1) sempre decrescente di segmenti considerate nel sistema in uno dei suoi versi (int. def. II, 62 e 63), o di una sola di queste se- rie se è estremo del sistema (int. def. IV, 62); ed è punto limite delle serie dei punti X e X' indipendentemente dal sistema (def. II, 10), e inversamente, esso appartiene al sistema; che corrisponde univocamente e nel medesimo ordine ad una retta

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230 (o a un segmento di retta) (int. def. Ili, 42); salvi eventualmente i punti di un gruppo isolato (def. I) del sistema o della retta (del segmento) ai quali non corrispondono punti della retta (del segmento) o del sistema (e che noi eseclu- deremo dalle nostre considerazioni); il sistema si chiama linea semplice. Ots. IL In seguito consideremo soltanto la corrispondenza colla retta non avendo bisogno di considerare altri casi. Corali. I. La retta è una linea semplice (ass. II, a, teor. I, 4, teor. V, 10, teor. I, 8 e int. , 60). * Corali. II. Se in un segmento (AB) detta lìnea semplice vi è un sistema di punti tale che in ogni segmento detta linea per quanto pìccolo di (AB) vi è un punto del sistema, ogni altro punto L del segmento è punto limite del sistema. Difatti lo è sulla linea e indipendentemente da essa (def. I). Coroll. III. Se la distanza di un punto dai punti di una linea semplice diminuisce inde finitamentef il punto è situato sulla linea. Difatti esso è punto limite di una serie ( Xn ) di punti sulla linea (def. I) e quindi appartiene alla linea (def. I). Teor. I. Ad un segmento (AB) della retta corrisponde un segmento (A'B') della linea semplice, e inversamente. Difatti ad ogni punto X nel segmento (AB) della retta corrisponde un punto X' compreso fra i punti A' e # corrispondenti nel sistema (def. I), e tutti i punti compresi fra A' e B' del sistema determinano appunto un segmento della linea aventi per estremi A', B (int, def. Ili, 62). La proprietà inversa per la corrispondenza univoca e del medesimo or- dine è evidente. Teor. II. Ad una serie di segmenti sempre crescente o decrescente in un segmento (AB) sulla retta corrisponde una serie di segmenti sempre crescente o decrescente nel segmento corrispondente (A'B') della linea semplice, avente un punto limite sulla linea. Difatti la serie corrispondente sulla linea è sempre crescente nel primo caso nel segmento corrispondente (A'ff) (teor. I e def. I; int. def. 1,62e def. II, 27 e def. I, 61). Ma la serie sulla retta ha un segmento limite (AL) (oss. IV, 4 e int. d, 97), al quale corrisponde un punto L' sulla linea compreso fra A' e B (def. I). Se (A*Lr) non è segmento limite della serie suddetta, vi è però in (A'ff) una serie sempre crescente di segmenti avente per segmento limite (AL*) (def. I), e quindi vi sarebbero punti di questa compresi fra i punti della serie precedente e L' (oss. I), ai quali corrisponderebbero punti della retta compresi fra i punti della serie corrispondente ed Z, il che è assurdo (oss. IV, 4 e int. d, 97). Slmilmente succede se la serie sulla retta fosse sempre decrescente. Teor. III. Una serie di segmenti sempre crescente o sempre decrescente in un segmento di linea semplice ha un punto limite che appartiene alla linea. Difatti alla serie sulla linea corrisponde una serie analoga sulla retta |) Vedi int nota n. 4, nota X e def. I, 36.

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(def. I) che ha un punto limite L (oss. IV, 4 e ini d, 97), al quale corrisponde un punto L' della linea, che è punto limite della serie corrispondente (teor. II). Caroli. L Se i punti detta linea semplice di un segmento (AB) si sepa- rano in due gruppi (X) e (X) tali che (AX1) sia sempre maggiore di (AX) o al più uguale ad uno segmento (AX), ed ogni segmento (AC) maggiore di un seg- mento (AX) e minore di un segmento (AX?) è un segmento (AX) o (AX')] i due gruppi hanno sulla linea un punto limite comune. Si dimostra coli'aiuto del teor. Ili in modo analogo al coroll. d" del n. 97 dell' introduzione. Teor. IV. Data una serie di punti (Xn ) in un segmento (AB) di linea sem- plice, avente un punto limite L; e se R determina una retta con ogni punto del segmento (AB)} la serie dì segmenti (RXn), determinati da un punto R e dai punti della serie data, ha per segmento limite il segmento (RL). Se (RXn) è costante, (RL) è uguale a (RXn). Difatti se Xn si avvicina indefinitamente a L la differenza di (RL) e (RXn ) diminuisce indefinitamente (ass. IV), dunque (RL) è segmento limite della se- rie (RXn ) (def. I, 12). La seconda parte del teorema è in seguito alla prima evidente. Coroll. Per le distanze ha luogo la stessa proprietà del teor. IV anche se R non determina sempre una sola retta coi punti del segmento (AB). Perché rispetto alla distanza di due punti qualunque A e B non occorre vedere se A e B determinano o no la retta (teor. IV, 11 e def. I, 5), come non occorre tener conto della differenza di posizione dei segmenti determinati da R coi punti del segmento (AB). Per le distanze è come se i segmenti (RXn) fossero situati in una retta con un estremo comune. Teor. V. Se le distanze a e fi di un punto R dagli estremi A e B di un seg- mento di linea semplice sonò disuguali (a jS), la distanza di R dagli altri punti del segmento non può essere costante^ né può essere sempre maggiore di j8 o sempre minore di et. Se X è un* punto compreso fra A e B nel segmento suddetto, (RX) non può essere costante, perché riguardando B come punto limite di una serie di punti (Xn) in (AB) (oss. I e def. II) la distanza (RX) ha per limite la distanza (RB) (coroll. teor. IV), mentre se la differenza fra (RB) e (RX) fosse costante, cioè ]5 a, non potrebbe diventare indefinitamente piccola (def. I, 5; oss. I, 11 e ini def. IV, 95). È chiara per la stessa ragione la rimanente parte del teorema. Teor. VL Se le distanze di un punto R dagli estremi X di un segmento (AB) di linea semplice sono a e JS (a ]S) esiste sempre in (AB) un segmento per i punti del quale, eccettuati gli estremi^ la distanza da R non è uguale né ad a né a fi, ed è maggiore di a e minore di fi. Difatti se non esiste un segmento (A'B1) contenuto in (AB) pel quale sia verificata la suddetta condizione, bisogna che per un punto X di ogni segmento di (AB) arbitrariamente piccolo, (RX) sia uguale ad a o a ]8. Ma siccome ogni punto del segmento (AB) sarebbe un punto limite del gruppo suddetto di punti X (coroll. II, def. II), (RX) sarebbe uguale ad a o a j8 (coroll. teor IV) contro il dato per B o per A.

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232 II segmento (A'B1) può essere scelto poi in modo che (RA') e (RÉ) siano uguali rispettivamente ad a e jS. Invero se A in (AB) non è il solo punto pel quale (RA) = a, vi sarà una serie di questi punti X tali che (AX) è crescente nel verso di (AB), ed avrà quindi un segmento limite (AA') (oss. IV, 4 e int. d, 97), tale che (.RA'J^a (caroli, teor. IV), mentre A' non può coincidere con B. Ana- logamente per B'. Supponiamo ora vi siano in (A'B1) punti X' pei quali (^X') a, e ordi- niamoli nel verso di (A'B*) (int. ind. I, 64). La serie (X) o sarà limitata nel verso dato da uno dei suoi punti L, o avrà un punto limite L fuori della serie (oss. IV, 4; int. d 97). La distanza (RL) non può essere per la dimostrazione precedente uguale ad #, né può essere maggiore di a, essendo per ipotesi le distanze (#X')O (coroll. teor. IV). Dunque (RL) sarà esso pure minore di a, e quindi L non può coincidere con B. Ma per ogni altro punto X" compreso nel segmento (LB), è (RX*) a per l'ipotesi fatta. Scelto un punto X" in un segmento (LI!) arbitrariamente piccolo di (LB), (RXtr) può differire da (RL) di ogni distanza arbitrariamente piccola data, e perciò anche più piccola di et (RL) a (coroll. teor. IV). Ma essendo (/?X'*) ct, ad es. (^X")= a + 8r, la sua differenza con (RL) sarebbe sempre maggiore di o, qualunque fosse (LL')9 contro il teor. IV. Dunque è assurdo che vi siano punti -X" in (A'H) tali che (RX) a, ed essendo escluso il caso (RX)^ :a9 la seconda parte del teorema è dimostrata per et. Analogamente per /S. Teor. VII. Se le distanze del punto R dagli estremi A e B di un segmento della linea semplice sono a e j5 (a ]S) vi è almeno un punto X del segmento (AB) della linea pel quale (RX) è uguale ad una distanza qualunque y com* presa fra e $. a) Non può essere che ogni distanza (RX) di (AB) maggiore di a sia maggiore anche di y, perché essendo la differenza fra ^ e a, data e costante (oss* IV, 4 e int. /i, 85 e def. VII, 67), la differenza di (RX) e (RA) sarebbe sempre mag* giore di una distanza data cioè y a, contro il teor* III. Così non può essere che ogni distanza (RX) minore di ]S sia minore anche di y. b) Supponiamo che in (AB) non vi sia nessun punto X tale che (RX\ sia uguale ad a o a j3, il che si può supporre senza togliere nulla alla generalità del teorema (teor. VI). Consideriamo tutti i punti X di (AB) pei quali (RX) è maggiore di a e minore di ^. Ordinando i pùnti X nel verso di (AB), la serie corrispondente (RX) non può avere Un valore massimo (RX^ perché fra questo e y vi sarebbe sempre, come fra (RA) e y, un segmento almeno maggiore di esso e minore di Y (#), che apparterrebbe quindi al gruppo suddetto. Di più possiamo supporre che sia data una serie ( Xn ) dei punti X nel verso di (AB) tale che se (AXn) (AXm) si abbia (RXn) (RXm). Difatti nel segmento (XmB) esiste un segmento (X'mB) tale che pel solo punto X*m si ha la distanza (RXm) mentre per ogni altro punto Xn di (XmB) la distanza è maggiore di (RXm) (teor. VI). La serie (AXn) ordinata nel verso di (AB) ha un punto limite Y (int. d, 97) pel quale (RY) è maggiore di ogni stato di (RXn), altrimenti se (RY) ^(RX^n) Y non sarebbe situato contro

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ààà la costruzione suddetta nel segmento (XMnB). Né può essere ORY) y, perché Y sarebbe un punto X e quindi compreso in un segmento (AXn); né può es- sere in tal caso maggiore di 7 perché la differenza fra (RY) e (RX) sarebbe sempre maggiore di (RY) y, il che non è (def. I, 12 e coroll. teor. IV). Il teorema è dunque pienamente dimostrato. Teor. Vili. Se data una serie di punti (Xn) in un segmento (AB) di una linea semplice, e un punto R che determina la retta coi punti di (AB), la serie di segmenti (RXH) ha un segmento limite', la serie (Xn) ha sulla lìnea un punto limite L tale che (RL) è il segmento limite di (RXn). Se la serie (RXn) ha per limite un segmento nel senso della def. I del num. 12, allora (Xn ) non si compone di un numero finito naturale di punti (int. def, II, 46 e def. II, 82 e oss. II, 80), e perciò (Xn ) ha un punto limite L sulla linea (teor. Ili), dunque (RL) è il segmento limite della serie (RXn) i teor. IV e teor. Ili, 12). X) 8- Ogni coppia, di punti sulla, retta aperta determina la retta Soltanto due punti opposti possono non determinare la retta chiusa. XI). 14. Teor. I. Se la retta è aperta ogni coppia di punti determina la retta. Se A,, AI sono due punti che non determinano la retta r possiamo sempre supporre che nel segmento (A^) non vi siano altri punti che con Al e A% non determinano la retta, perché , ha sempre un primo elemento consecutivo nel gruppo (A) dei punti che eventualmente non determinano con A la retta (teor. Ili, 11). Così per Az (teor. VI, 4). Dato dunque il segmento (A^) vi è una serie di segmenti consecutivi uguali ad (A^) in uno e nell'altro verso i cui estremi appartengono al gruppo (A) (teor. VII, 4). Sia R un punto fuori della retta r. Ogni punto A di r determina con R una retta i\ ass. II, 6) la quale deve incon- trare la retta r *nel gruppo dì punti che con A non determinano la retta (teor. VI, 4). Il punto R sarà compreso in rx tei due punti consecutivi del gruppo (A), perché vi deve essere in un dato verso a partire da R In ^ un primo punto del gruppo (A), altrimenti R sarebbe punto limite di esso, e quindi apparter- rebbe alla retta (teor. II, 11). E ciò deve succedere anche nell'altro verso, perché dato il primo punk) in un verso, ad es* Alt considerando 11 segmento (A^A9) nel verso di (A^) sulla retta r^ in questo segmento deve essere contenuto anche R, altrimenti A non sarebbe il primo elemento nel verso dato. Possiamo supporre senza perdere nulla in generalità che R sia contenuto nel segmento (A^AZ) di rt (def. I, 6), che è uguale al segmento (A}A2) sulla X) Coll'ass. II occorre dare qui almeno i teoremi suddetti per la retta lasciando in disparte la def. I e i teoremi relativi alla linea semplice. Coll'ass. II1 non occorre dar qui questo paragrafo; i teoremi suddetti vanno però dimostrati almeno dopo che si è definita la circonferenza, sia per la retta come per la circonferenza allo scopo di dimostrare rigorosamente le proprietà relative ai punti di intersezione di una retta con una circonferenza e di due circonferenze fra loro. XI) Questo paragrafo va tale e quale coll'ass. II, e va escluso coh'ass ir

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retta rea quello di qualunque altra retta passante per Al e A (teor. IV. 11). Indichiamo per un momento con a la lunghezza costante del segmento deter- minato dai due punti A, e A2 (def. I, 5). Sia inoltre A3 il punto consecutivo di A2 nel verso (A,A2) di r (int. ind. I. 64) e A4 il punto consecutivo di A3 ecc, del gruppo (A) (oss. I, 11). Se Xl è un punto del segmento (ATA2), il segmento (RXJ non può essere né uguale né maggiore di a. Di fatti se fosse uguale il punto R sarebbe un punto del gruppo e apparterrebbe alla retta r (teor. VI, 4) contro l'ipotesi. Non può essere maggiore perché (RAJ è minore di a per essere compreso nel segmento (A1A2), e perciò vi sarebbe almeno un segmento (RY) uguale ad a (teor. VII, 13) ed R apparterrebbe al gruppo del punto Y, ossia alla retta r. Il punto Xl determina dunque con .R un segmento minore di a, e quindi Xl è in un dato verso il primo punto del gruppo (X) sulla retta'(RXJ a par- tire da R, qualunque sia il punto Xl sul segmento (A,A%). Altrettanto dovrebbe succedere per ogni punto X2 del segmento (42A3), tale che (X1X2) = (A1A2)~(AZA3) (teor. V. 11). Ma ciò è impossibile, perché essendo (RA3)^(RA2)-\-(AlA2) ed essendo (RA2) (A^j, (RX2) dovrebbe diventare almeno una volta uguale ad (A1A2)(teor. VII, 13), e quindi R apparterrebbe alla retta contro l'ipotesi. Occorre dunque, se esistono i punti A! e A2, che A3 coincida con An il che è escluso nel caso della retta aperta (teor. I, 4 e int. def. II, 63). Oppure : Se X2 si avvicina indefinita- mente ad A2, X2 si avvicina indefinitamente ad A3 (oss. IV, 4 int. a, 99), e la differenza di (RX2) e (RA%) deve decrescere indefinitamente (ass. IV), mentre (RX2) a e (RA3) = (RA2) -f- a; il che è possibile solo quando A3 cade in Aly consi- derando per (RA3) il maggiore dei segmenti dei punti R e A3 sulla retta (oss. I, 6). È dunque assurdo ammettere che sulla retta aperta vi siano coppie dì punti che non la determinano. CorolL Se la retta è aperta due rette qualunque distinte non possono avere due punti comuni. Perché altrimenti vi sarebbe in esse una coppia di punti che non le deter- minerebbe (oss. I, 4). Teor. IL Se la retta è chiusa è determinata da due qualunque dei suoi punti, salvo il caso possibile in cui essi siano punti opposti. Di fatti se nella dimostrazione precedente A3 cade in Al allora Aì e A2 sono punti opposti della retta (def. Ili, 6), ma ogni altra coppia di punti della retta per la dimostrazione del teorema precedente determina la retta. 9. Corrispondenza d'identità, fra due figure Coppia, di rette ~ As- sioma 7 Teoremi sulle figure rettilinee uguali 15. Teor. I. Ogni figura appartiene ad una figura rettilinea. XII) Questo paragrafo può rimanere tale e quale sia coll'ass. II come coll'ass. ir* In un trattato elementare se sembrasse opportuno per ragioni didattiche di non dare i concetti dell'uguaglianza svolti nel r introduzione si potrebbe dare per definizione

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235 Difatti ogni figura è data da un sistema di punti (def. I, 2), e i segmenti che congiungono due a due quei punti e quelli dei segmenti così ottenuti e così via determinano appunto una figura rettilinea (def. I, 9), che contiene la figura data (def. I, 2). Oss. I. Ogni figura rettilinea è determinata oltreché dai sistemi di punti che servono a costruirla (def. I, 9) da tutti i suoi segmenti rettilinei dati in posizione, vale adire tutte le sue proprietà derivano dai sistemi dati e da questi segmenti (def. I, 9 e int. def I, 11). Oss. II. Si è visto (int. oss. I, 71) che abbiamo bisogno di riferirci almeno ad una forma fondamentale, colla quale si possano costruire tutte le altre forme, per poter decidere dalla costruzione stessa di due altre forme, se siano o no identiche (int. oss. Ili, 71), e per la quale bisogna ammettere l'identità delle parti senza costruzione, basandosi soltanto sulla def. VI, 8 dell'introduzione, per non cadere in una petizione di principio (int. oss, 1,71). Si è pure visto (int. 123) come sia più conveniente sce- gliere per forma fondamentale il sistema identico nella posizione delle sue parti de- terminato dal rninor numero di elementi, e tanto più se due qualunque di questi si- stemi sono identici. La retta soddisfa a tutti questi caratteri e quindi si trova nelle migliori condi- zioni di ogni altra figura geometrica per essere presa come figura fondamentale. Dunque: Conv. I. Noi consideriamo la retta quale figura fondamentale della geo- metria. Oss. III. Come fra due forme astratte identiche si ha una corrispondenza d'ide- dentità (int. def. I, 60) si ha pure una tale corrispondenza fra due figure (def. I, 2). Si ha quindi: Teor. II. In due figure uguali... ASC...3/....... AB'C'...M'... (ove i punti indicati cogli stessi segni, salvi gli apici, sono punti corrispondenti) figure determinate da gruppi di punti corrispondenti sono uguali (int. #, 60; def. Ili, 9). Coroll. I. / segmenti rettilinei (e perciò anche le distanze) determinati da coppie di punti corrispondenti di due figure uguali sono uguali (teor. II e def. I, 5). Coroll. II. Due figure determinate da due gruppi di punti ...ABCD...M..., ....A'ffC1...M'.... sono uguali, se le figure rettilinee che essi determinano sono uguali (i punti indicati dagli stessi segni, salvi gli apici, essendo punti cor- rispondenti delle figure rettilinee). Perché le due prime sono figure corrispondenti nelle seconde (teor. I e II). Oss. IV. In seguito noi ci serviremo del teor. II pei soli segmenti rettilinei cor- rispondenti di due figure rettilinee identiche, appoggiandosi ad altri teoremi per di- mostrare l'identità delle altre figure rettilinee corrispondenti. Teor. III. Due figure rettilinee ...ABCD...M..., ...AB1 C'..M'... determinate da altre figure uguali sono uguali, se si può stabilire fra i loro punti una corri- spondenza univoca tale che i segmenti rettilinei (e quindi anche le distanze) dei punti corrispondenti siano ordinatamente uguali. di figure qualunque uguali la proprietà del teor. Ili del n. 15 dalla quale poi si de- ducono il teor. II e i suoi corollari. I teor. VII e Vili possono esse omessi (vedi nota 1, 17).

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236 Le due figure sono determinate in modo unico dai loro segmenti rettili- nei (oss. I), e poiché sia i sistemi di punti che servono a costruirle (def. I, 9) che i loro segmenti sono ordinatamente uguali, le due figure sono uguali (int. a, 50 e def. Ili, 9). Es. La figura rettilinea determinata da due punti A, E distinti è data dal seg- mento rettilineo che passa pei dne punti dati (def. II, 4), se determinano la retta; e la uguaglianza delle figure rettilinee determinate dalle coppie di punti A, B ; A e B' è data dall'uguaglianza dei segmenti rettilinei (AB}, (A'B'). Se A e B non determinano la retta, i segmenti rettilinei che hanno per estremi A e B sono uguali (teor. IV, 11 e teor. II, 14); e la figura rettilinea determinata dai due punti è data da tutti i segmenti, rettilinei che hanno per estremi i punti dati e due punti qualunque di questi segmenti, e così via. La figura è data quando sono dati tutti questi segmenti, e se mediante una corrispondenza univoca e nel medesimo or- dine fra i punti, i segmenti corrispondenti sono uguali, le due figure sono uguali. Oss. V. È da osservare che contrassegno delle due figure rettilinee determinate ad es. da due altre figure uguali (def. I, 9) sono queste stesse figure che servono a determinarle, e quindi può darsi che due figure rettilinee non identiche lo siano se si considerano determinate dal sistema di punti delle due figure determinatrici indi" pendentemente da queste figure (vedi es. dell'osa. II, 16). Conv. IL Se una figura è parte dell'altra (def. I, 2) ed ha luogo la pro- prietà del teor. II, allora non sono più uguali in senso assoluto (int. oss. IV, 60 e def. Ili, 9), ma anche in questo caso quando non occorra rilevare questa differenza le chiameremo uguali o identiche come abbiamo fatto colla conv. I, del ri. 69 dell'introduzione. Oss. IV. Il teor. Ili ci da il principio sul quale ci appoggieremo in seguito per decidere se due figure ottenute per costruzione siano o no identiche. Ma come ve- dremo fra poco questo principio da solo non ci basta per le proprietà ulteriori. Teor. IV. Due figure uguali ad una terza sono ugtiali fra loro. È un'altra forma del teor. e, 8 dell'introduzione. Ammetendo però que- sto teorema soltanto pei segmenti rettilinei (int. oss. I, 71) si può dare un' al- tra dimostrazione, come abbiamo fatto pei numeri naturali (int. oss. V, 47 e h, 48). Siano (X) e (Y) le due figure uguali ad una terza (Z). Le figure (X) e (Z), (Y) e (Z) si corrispondono univocamente e nel medesimo ordine (int. dim. b, 60) e quindi anche (X) e (Y) (f. 42). Ora al segmento (X^) che ha per estremi due punti Xv e X2 di (X) corrisponde in (Z) un segmento ad esso uguale (ZjZ2), e a questo corrisponde in(Y) un segmento uguale (Yi Y2), e quindi (X1X2)^(Y1Y2) (int. e, 8); dunque le figure rettilinee (X) e (Y) soddisfacendo al teor. Ili sono uguali, e perciò anche le due figure date (coroll. II, teor. II). Def. I. Diremo che m punti sono indipendenti fra loro quando nessuno di essi appartiene alle figure determinate dagli altri m 1. Teor. V. Se in una figura m punti sono indipendenti, lo devono essere anche gli m punti corrispondenti di una figura uguale alla prima. Siano infatti A^.... Am gli m punti indipendenti, e supponiamo invece che i punti corrispondenti A\Ar2....Arm della seconda figura siano tali, che uno di essi, ad es. A\, sia situato nella figura determinata dagli altri m 1 (def. I), mentre A^ non è situato fuori della figura corrispondente (def. I, 2). Ciò significa che A\ coincide con un punto di questa figura (int. def. Ili, 57) e determina con esso un segmento nullo (ini def. I, 76). Ma il punto

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23? corrispondente di nella prima figura non può dare con A alcun segmento nullo, perché A è fuori di questa figura e quindi le due figure non potrebbero essere identiche (coroll. teor. II). Coroll. Se tre punti di una figura non sono situati in linea retta, tre punti corrispondenti in una figura uguale non possono essere situati in li- nea retta. Teor. VI. Date due rette si può stabilire la loro corrispondenza d'iden- tità a cominciare da due qualunque dei loro punti come punti corrispondenti, in uno e neW altro verso, e m ogni corrispondenza d'identità ad un raggio dell'una corrisponde un raggio determinato dell'altra, e al raggio opposto del primo il raggio opposto del secondo. Intanto sulla retta stessa si possono stabilire infinite corrispondenze d'i- dentità in uno e nell'altro verso, poiché riguardando due dei suoi punti dati come punti corrispondenti, la retta è identica tanto se la si considera da cia- scuno dei due punti nel medesimo verso, quanto anche nel verso opposto (teor. Ili, 4 e int. conv. I, 69). E perciò, se nelle due rette, che sono identiche (teor. I, 8), ad un punto A dell'una corrisponde un punto A" dell'altra, siccome la prima retta a cominciare da un altro suo punto B in un dato verso è uguale alla retta a cominciare da A nello stesso verso o nel verso opposto, ne consegue che sulle due rette date si potrà stabilire un' altra corrispondenza d'identità in modo che al punto B della prima corrisponda il punto 4' della seconda, e ad un determinato raggio della prima un determinato raggio della seconda (def. I, 7). Così se A e B, A' e B sono due coppie di punti corrispondenti delle due rette, supposto per un momento che A e B e così anche A e B' non siano punti opposti nel caso della retta chiusa (def. Ili, 6), al segmento determinato da A e B sulla retta A B (def. II, 6) corrisponde il segmento (A'B') sulla se- conda retta, e quindi ad un punto X dell'uno il punto X' dell'altro in modo che (AX)~ (A'X*) (teor. II, coroll. IL teor. Ili, 4), e perciò anche nel verso o rag- gio determinato dal segmento (AB) a partire da A sulla prima retta (def. I, 6 e int. /"', 63), corrisponde il raggio determinato sulla seconda retta dal seg- mento (A' ) a partire da A'. Ma scegliendo sulla seconda retta il punto B\ tale che (A'B') =, (ATB\) (coroll. II, teor. Ili, 4) e facendo corrispondere ai punti A e B della prima retta i punti A' e B?l della seconda, al raggio determinato da (AB) sulla retta AB corrisponde in tal caso sulla seconda retta il raggio opposto a quello determi- nato da (A'#), ossia quello determinato dal segmento (A'B\) a partire da A (def. I, 6 e int. f\ 63). Se i punti A e B fossero opposti nel caso della retta chiusa (def. Ili, 6) lo sarebbero anche i punti A' e B', ed allora per stabilire la corrispondenza fra le due rette, scelto un punto X della prima retta occorre stabilire in quale delle due parti della seconda retta determinata da A' e B' deve giacere il punto X'. 16. Def. I. La figura rettilinea determinata da due rette (def. I, 9) la chia- meremo coppia di rette. Se le due rette hanno un punto comune, chiameremo questo punto ver- tice della coppia.

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238 Se consideriamo le rette in un determinato verso, chiameremo la coppia di rette coppia di raggi, quando sarà necessario tener conto di questa distinzione. Oss. I. Se due rette hanno un punto comune, nel caso della retta chiusa è an- cora possibile l'ipotesi che abbiano un altro punto comune (teor. II, 14), che sarà pure un vertice della coppia. Ma per noi basta in tal caso limitarci per ora alla conside- razione della coppia intorno ad uno solo dei suoi vertici. Ind. I. Se a e b sono le rette o i raggi della coppia, la indicheremo col simbolo (ab). Se i raggi della coppia sono determinati da due segmenti (AB), (AC) a partire dal loro estremo comune A, la indicheremo anche col simbolo BÀC oppure CAB. Teor. I. Se due coppie di rette di vertici A e Al sono uguali, nella loro corrispondenza d'identità 1. al vertice delTuna deve corrispondere il vertice dell9 altra ; 2. ad un raggio o verso delle rette di una coppia corrisponde un determinato raggio delle rette della seconda coppia; 3. due coppie di punti corrispondenti determinano segmenti uguali. Siano AB, AC; AB', A C le due coppie. Ad A deve corrispondere A nella corrispondenza d'identità delle due coppie, perché se al vertióe A della prima corrispondesse per es. un punto A\ situato sulla retta A' e non situato sulla retta A'C', al punto A come appartenente alla retta AC non potrebbe corri- spondere lo stesso punto A\, perché situato fuori della retta AC', (coroll. e teor. V, 15), e siccome la corrispondenza d'identità è univoca (int. def. I, 60 e def. II, 42) A\ deve coincidere con A. Nella corrispondenza d'identità, ad un verso di (AB) deve corrispondere un verso di (AB*), e ad un verso di (AC) un verso di (A O) (teor. VI, 15 e def. I, 7). Inoltre date due coppie di punti corrispondenti (BC) e ( C) delle due coppie di rette, si ha: (BC) = (B'C) (coroll. teor. II, 15). Def. IL Data una coppia di raggi di vertice A, i raggi opposti (def. I, 7) determinano un'altra coppia di raggi (def. I). Le due coppie di raggi si chia- mano opposte al vertice. Teor. IL Se due coppie di raggi sono uguali, le coppie opposte al vertice sono pure uguali. * Siano AXB, AYC; A'X'ff, A'Y'Cf le due coppie di \f, yJà ^ raggi uguali, e consideriamo nei raggi opposti della pri- ma coppia a partire da A i punti Xl e Yl ad es. ad ugual distanza da A dei punti X e Y. Considerando Xl e rt come appartenenti ai due raggi della prima coppia, nella seconda coppia corrispondono ad essi due punti Xrl e Y\ che devono essere ad ugual distanza da A dei punti X' e Y' corrispondenti ài punti X e Y; e perciò devono essere situati a partire da A nella coppia opposta alla seconda (def. II). Ma si ha (X^) = (X\Y\) considerandoX19 Y^. X\ Y\ come appartenenti alle cop- pie date (teor. I). Dunque se questi punti si riguardano invece come apparte- nenti alle coppie opposte si ha che i raggi dell' una corrispondono ai raggi dell'altra (teor. VI, 15), e il segmento dei due punti qualunque Xi e Yl

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239 dell'una è uguale al segmento dei punti corrispondenti. Dunque due coppie qua- lunque di punti corrispondenti delle due prime coppie di raggi sono anche corri- spondenti nelle coppie di raggi opposti, e poiché i segmenti di punti corrispon- denti delle due prime coppie, sono per dato uguali, le due coppie di raggi opposti sono uguali (teor, III, 15). Teor. I IL Due triangoli ABC, A'B'C sono uguali se due lati e la coppia determinata da essi sono rispet* tivamente ugnali. Sia (A ) ==(,!'#), (AC)= (A'C1), BCA=ffC'A'. La cor- rispondenza d'identità fra le due coppie BÒA, B'C'A' è pienamente stabilita essendo A e A'9 JS e #; C e C' punti corrispondenti (teor. I). Si deve avere perciò (BC) = ( (?) (teor. I). Scelti due punti X e Y, ad es. sui lati (AC) e (J5C), essi sono punti della coppia AB, AG; e quindi nella coppia identica A'#, A'C corrispondono ad X e Ydue punti X' e T tali che per l'identità delle due coppie è (AX) = (A'X'), (XC)==(X'Cf), (BY)=ì(#Y'), (YC)=ì(rC)9 e perciò: (XY)^(X'Y) (teor. I). Si vede che ogni segmento del triangolo ABC (def. II, 9) è un segmento della coppia AB, AC, e perciò le due figure ABC, A'B'C' sono identiche (teor. Ili, 15). CorolL I. Le altre coppie di rette corrispondenti e i rimanenti lati dei due triangoli ABC, ABC, cioè ABC9 A' Cf ; ACBt A'CB' sono uguali. Difatti sono figure corrispondenti dei due triangoli (teor, II, 15). Usando il teor. II, 15 soltanto pei segmenti rettilinei (oss. IV, 15) si [può dire: siccome i segmenti del triangolo sono anche segmenti delle sue coppie di rette, e sic- le rette sono identiche (teor. I, 8), le coppie di rette corrispondenti dei due triangoli sono uguali (teor. Ili, 15). O finalmente si può basarsi sull'ass. V. (vedi corroll. teor, III, 17). Oss. II. Nella dimostrazione precedente abbiamo visto che ogni segmento retti- lineo della coppia ABC è pure un segmento rettilineo del triangolo; ma il triangolo per questo non è identico alla coppia, perché mentre la prima è data dalle due rette AB e BG, il triangolo è dato invece dai tre punti A, J9, C; di questa diversità si deve tener conto appunto nel confronto delle figure rettilinee (def. I, 9 e oss. I, 15) 1). i) Per dare la definizione di figure uguali si ammette comunemente il principio del movimento delle figure senza deformazione, del quale abbiamo già parlato nella prefazione. Bisogna distinguere il principio intuitivo del movimento stesso da quello del movimento senza deformazione. Ogni punto di una figura che si muove nello spazio si trasporta in un altro punto dello spazio. La corrispon- denza fra la prima e la seconda figura è univoca, ma essa può non essere reciproca (int. def. Il, 42). senza deformazione significa che le mutue relazioni fra i punti della figura (poiché la figura si ritiene determinata da punti) non cambiano, ma non già quelle rispetto ad altre figure, chò altri- menti la figura non potrebbe muoversi. Volendo spiegare ulteriormente che cosa significa ciò, se non si vuoi dire che due posizioni qualunque della figura sono uguali (nel qual caso si ammetterebbe già il concetto di uguaglianza fra due figure), si può dire che giunta la figura A dalla posizione A\ nella posizione A2, le relazioni fra i punti di A sono in A2 come se non si fosse mossa o come se fos-

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240 17. Oss. I. Abbiamo dati i teoremi precedenti nella tacita ipotesi che le figure identiche esistano; ma non sappiamo ancora se oltre alle rette vi sono altre figure identiche (teor. I, 8 e teor. IX. 4). Affinchè sia utile il teor. HI del n. 15 per la costruzione delle figure identiche è necessario che dati alcuni segmenti di una figura .... ABCD .... M .... essa Bia da essi pienamente determinata, in modo cioè che data un* altra figura .... A'B'G'D' .... M' ... facendo corrispondere nello stesso ordine i punti che hanno le stesse lettere, se i segmenti che uniscono alcuni punti corrispondenti delle due figure sono uguali, da ciò risulti che le due figure sono necessariamente uguali. Per es. siano date due coppie di rette AB, AG; AB1, A'C1. Noi sappiamo che se sono identiche da (AB)~(A'B% (AG) = (A1 (7) si ha (BG) = (ffC ) (teor. 1,16). Ma inversamente quando si ha (BC)^(JffG1) si può dire che le due coppie sono identiche? Non potrebbe egli darsi che anche essendo (BC) =(#(?') e costruite due coppie di punti corrispondenti qualunque (XY), (X'T) sulle rette corrispondenti delle coppie non si abbia T identità di queste due coppie ? I principi precedenti non ci aiutano, pare, a risolvere la questione, poiché essi suppongono che o le figure siano identiche, o che perché siano identiche siano dati tutti i segmenti determinati dai loro punti due a due, e quindi questi segmenti siano ordinatamente uguali nelle due figure date (teor. IV, 15). Oss. emp. Ricorriamo dunque all'osservazione. E l'osservazione ci induce a rite- nere per vera la proprietà che nel caso delle due coppie suddette, se (BCì^itfC1), le due coppie di rette siano identiche. Dunque stabiliamo il seguente* assioma : i A^. V. Se in due coppie di raggi qualunque AB, AC; A'B', A'C scelte due coppie di punti B e C, B' e C* tali che: (AB)~(A'B')'y (AC) = (A'C) il segmento (BC) sia identico a (#C% le due coppie di rette sono identiche. ]) Oss. IL Questo assioma considerato in senso puramente astratto ci da una rela- zione fra due forme fondamentali (int. 71 e conv. 1,15) aventi un punto comune e in un dato verso. Esso non si appoggia adunque necessariamente sopra alcun elemento em- pirico. Teor. L La coppia di raggi (ab) di vertice C è ugua- le alla coppia (ba). Scegliamole! due raggi a e b due punti A e B alla medesima distanza da C. Indichiamo con al e 6t gli stessi raggi e a e con Bl e Al i punti A e B. Le due coppie (ab), ( ! ,) sono identiche essendo: (CB)=(CBl\ (CA) = (CAJ e (AB)=(A,B^ (int. g, 99 e ass. V). flg. io se ancora in Alt e quindi, poiché A e Alt A e A2 coincidono, si ha A = A! A=: Ag, da cui AJ tra^ (int. e 80 C, 60). Ma se vogliamo ancora spiegare perché noi diciamo che la figura quando da AI passa in A2 è come se non si fosse mossa, bisogna dire, che giudicando la figura (o il corpo astrazion fatta dalle sue qualità fisiche), dalle impressioni che produce in noi nel suo movimento, le impressioni prodot- te in noi in due posizioni diverse (che sono perciò distinte nel tempo) sono uguali, e quindi Aj = Ag, cioè si fa uso del concetto di uguaglianza fra due figure distinte (vedi pref.) In ogni caso deriva dalla definizione di figure uguali mediante il suddetto principio (che come dissimo nella pref. restringe il concetto di uguaglianza) che le due figure si corrispondono univoca- mente in modo che figure corrispondènti sono pure fra loro uguali. Ora nel caso del teor. Ili non oc- corre dunque trasportare la coppia ABC fino a coincidere colla coppia A'B'C' ma basta dire che essen- do uguali le due coppie ed essendo in queste due figure A, B, C rispettivamente corrispondenti ai punti A'B'C', si ha (BC) = (B'c l 1) vedi la nota seguente,

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241 è 6a), dunque il teorema è dimostrato (fig. 10 . Teor. IL Due coppie di raggi opposte al vertice sono uguali. Indichiamo nella figura precedente con a' e b' i raggi opposti ad a e b, e con- sideriamo sul raggio b il punto B e sul raggio a il punto A da C nel verso oppo- sto di (CA) ad ugual distanza di A da C. Nella coppia (ab) ai punti A e B9 corri- spondono i puntile A della coppia( a),eperciò(Afì')=(5'A)=(^Af)(teor.I,int. g, 99); dunque le coppie ( '), (b'a) opposte al vertice sono uguali (ass. V). Analo- gamente si dimostra l'identità delle due coppie opposte al vertice (ab) e (a'b'). Coroll. Se sulle rette di una coppia di vertice C si considerano due coppie di punti A, A'; B, ff rispettivamente equidistanti da C; i segmenti (AB), (A ); (AB), (AB) sono uguali. Difatti CA, GB; CA, Cff sono due coppie di raggi opposte; dunque si ha: (AB)==(A'JS'); (AB1) = (A'B) (teor. II, 15), (fìg. 10). Teor. III. Due triangoli sono uguali se i loro lati sono due a due rispet" tivamente uguali. Difatti siano ABC, AffC i triangoli, e si abbia (AB) = (A#), (AC) = (AC)y (#C) = (#C); le coppie di rette AB, AC; Aff, A C sono uguali (ass. V), e quin- di anche i due triangoli (teor. Ili, 16). Coroll. Le coppie rettilinee corrispondenti dei due triangoli sono uguali (ass. V). Teor. IV. Se la somma delle distanze di un punto da due punti è uguale alla distanza di questi due punti, i tre punti sono in linea retta. Difatti siano ABC i tre punti, e sia (AB) 4- (BC) = (AC). Scegliamo sopra una retta tre punti AB C tali che (AB) =*(A ), (BC)=( C) e quindi (AC) = (A'C*) (int. e, 68 ? teor. I, 5), e perciò le due figure rettilinee A1?C, A Cf sono identiche (ass. V); dunque anche AJ5C sono in linea retta (coroll. teor. V. 15). Teor. V. Se i triangoli ABC, ABD, ACD sono rispettivamente uguali ai triangoli AB1 C, Affff, ACfD e i punti BCD sono in linea retta, i punti Et C D' sono pure in linea retta. Difatti dall'identità dei triangoli suddetti si ha: / r /ì\ -- -/' TV/*# \ / D TÌ\ / iy TV\ ffìj\\ fr*Tlf\ \ms) = \-tf O ), \ fU) = \ U), \\jLt)-=.\\jU) D O1 Se C appartiene al segmento (BD) si ha: /\\ e quindi anche: ( C) + (CD') =( D') vale a dire i tre punti ff CD' sono in linea retta (teor. IV). Ma uno dei punti B, C, D deve essere compreso nel segmento degli altri due (teor. I, 4; int def. I, 62 e b, 36), dunque il teor. è dimostrato (fig. IL). Teor. VI. a). Se due segmenti uguali (AC), (BD) forma- *no coppie uguali col segmento (AB), le coppie formate dai detti segmenti col segmento (CD) sono uguali. 6). La retta che unisce i punti di mezzo E, F dei seg- menti (AB) e (CD), se sono distinti, forma coppie uguali colle rette (AB) e (GB). fl 1? Difatti i triangoli ABC, ABD sono uguali per avere

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= (AD) (coroll. 242 (AB) comune, (AC)=(BD), BAC=ABD per dato, dunque teor. Ili, 16). I due triangoli ACD, BDC sono uguali per avere il lato comune ( 7D) e gli altri due lati rispettivamente uguali, cioè (AC)= (BD), (AD) = ( Q, dunque le coppie ACD, BDC corrispondenti sono uguali (coroll. teor. Ili) (fig. 12). I triangoli ACF, BDF sono uguali per avere i lati (CF), (DF);(AC), (BD) uguali e le coppie da essi comprese uguali (a), e perciò (AF)=(BJ?) (coroll. teor. Ili, 16). Per la stessa ragione sono uguali i triangoli ACE, BDE, dunque (CE)=(DE). I triangoli CFE, DFE sono uguali per avere i tre lati rispettivamente uguali (teor. Ili), dunque le coppie CFE, DFE sono uguali (coroll. teor. III). Per la stessa ragione sono uguali i triangoli AEF, BEF e quindi anche le coppie AÈF, BEF, ed il teor. è dimostrato (fig 12). Def. I. La figura formata da quattro punti ABCD non situati in linea retta e dai quattro segmenti rettilinei che li uniscono due a due si chiama qua- drangolo semplice o quadrangolo. I punti dati sono i vertici, i loro segmenti i lati del quadrangolo. Per lati intenderemo anche le rette sui quali sono situati i segmenti anzidetti. Teor. VII. Le figure rettilinee determinate da due gruppi di m punti ABCD . . , . M, AffC? .... M' sono uguali, se i segmenti rettilinei che hanno per estremi gli m punti dati sono ordinatamente uguali. Siano dati ad es. due gruppi di quattro punti ABCD, A'JBfCD' che supponia- mo non siano in linea retta. Se non sono in linea retta quelli di un gruppo, non possono esserlo neppure quelli dell'altro, (teor. IV). La figura rettilinea del gruppo ABCD si ottiene congiungendo i quattro punti fra loro mediante dei segmenti, e poi considerando i segmenti determinati dai punti dei primi, e così via (def. I, 9). Dico che in tal caso la corrispondenza d' identità è pienamente determinata dai dati del teor. stesso. Intanto i triangoli corrispondenti che hanno per vertici tre punti dati delle due figure sono uguali per avere i tre lati uguali (teor. HI). 1 . Scelti due punti X e Yin uno dei segmenti dei quattro punti ABCD, ad es. in (AB), o nel suo prolun- gamento, i punti corrispondenti X' e T in (A'J?) sono estremi di un segmento uguale, e i segmenti che essi formano con A e sono uguali a quelli determinati dai punti X e Y sulla retta AB con A e B (teor. VI, 15). 2 . Scelti invece due punti X e ^ nei segmenti (AB) e (BC), o nei loro prolungamenti, e costruiti i due punti corrispondenti X! e X", siccome i due triangoli ABC, ABC sono uguali, si ha che le coppie di raggi AB, BC; A'B, SO sono uguali, e poiché (BX) == (#JT) ; (BXÌ) = (BX'Ì) si ha: (XXJ = (JTX'J (coroll. teor. Ili, 16, opp. teor. II, 15). Così per l'identità dei triangoli ADB, A'D' ; BDC, B'JJC si ha per la ragione: B flg. 13

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243 I due triangoli XDX19 X'pX'l sono uguali per avere i tre lati uguali (teor. Ili), dunque: (coroll. teor. III). Scegliendo sopra (DX) e (DXj) due punti Fé Z, e sopra i segmenti corri- spondenti (ffX*), (ItXÌ) i punti corrispondenti F, ^*, si ha per la stessa ragione (YZ)==(TZ'). 3. Dati i due punti X^ e Xl sui segmenti (AD) e (5C), o sui loro pro- lungamenti, e quindi i punti corrispondenti X% XJ, sulle rette AJJ, C (1 .) si ha (AXt) = (A'X1!) (2 .) quindi i triangoli ADXly AD'XJ sono uguali per avere i tre lati uguali (teor. IH). Così sono identici i triangoli X2AX19 X^AXÌ per avere due lati e la coppia da essi compresa in A e in A' uguali, dunque (X9Xl) = (X^X^). Dato ora un punto X3 della retta CD e il punto corrispondente XJ in CU (1 .) e due punti Ti Z^ sulle rette X1X99 XX3 e i due punti corrispondenti Y^ZJ in X/J^', X'X3'9 sic- come i segmenti determinati dai quattro punti XX1X2X3 sono rispettivamente uguali per le dimostrazioni precedenti ai segmenti dei punti corrispondenti XX^'X^ si ha: (Y^EsOì'Z,'}. Da ciò si scorge che i segmenti formati dai punti ABCDXX1X9X3 sono rispettivamente uguali ai segmenti dei punti ABCB XX^X^X^. Due altri punti YZ sono situati in uno o in due di questi segmenti o dei loro prolungamenti, e si presentano i tre casi 1 , 2 , 3 . Quindi si possono costruire i punti corrispon- denti YZ1 in modo che risulta (YZ*) = (YZ). Considerando come coppia di punti Y,^, ad es. Y e uno dei punti già costruiti, cioè ABCD XXlX!tX3t ad es. A, si ha per la stessa ragione Dunque i punti Y e Z, Y1 e Z* hanno rispettivamente le stesse distanze dai punti corrispondenti così costruiti. Dati due punti qualunque V e Yj della prima figura essi sono situa- ti in segmenti o in prolungamenti di segmenti corrispondenti già costruiti (1 .); oppure in segmenti o prolungamenti di segmenti corrispondenti già costruiti le cui rette hanno un punto comune, senza escludere che ne ab- biano anche un altro (2 .); o finalmente sono situati in segmenti o prolun- gamenti di segmenti già ottenuti, le rette dei quali non hanno un punto comune (3 .). In ogni caso si ha: (VV) = (V1y1'); dunque si può stabilire fra le due figure rettilinee ABCD, AffCD' una corrispondenza univoca tale che i segmenti dei punti dell'una siano ordinatamente uguali ai segmenti dell'al- tra, e perciò le due figure sono identiche (teor. Ili, 15). La stessa dimostrazione vale evidentemente anche nel caso si tratti di un numero qualunque m di punti, perché si dimostra successivamente la ugua- glianza delle distanze dei punti corrispondenti dai punti già costruiti e fra loro (conv. II, 15). O ss. III. Non è da confondere il teor. precedente col teor. Ili del n. 15, perché men- tre questo non dipende dall'ass. V, da questo assioma dipende invece il teor, VII.

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244 Teor. Vili. La figura rettilinea formata da m raggi mcontrantisi in un punto X, è uguale alla figura rettilinea formata dai raggi opposti. Siano XA XA29 ---- XAm determinati dai segmenti (XAJ, (XA2), . . . ., (XAm) a partire da X. Sai raggi opposti consideriamo i punti A{, A%9 . ..., A'm tali che: Facciamo corrispondere X a sé stesso, i punti Ar ai punti A'r ; Essendo le cop- pie di raggi opposte al vertice XAr , XA'S ; XA'r , XA'S uguali (teor. II) si ha (Ar As ) = (A'r A's ) (copoll. teor. Ili, 16), e quindi i segmenti determinati m punti A19A29 ...., Am sono uguali a quelli dei segmenti degli m punti corrispon- denti A/, AZ9 .. . ., A' m* Le due figure rettilinee A19AZ9 . .. ., Am; A^A^ . . . ., A1^ sono identiche (teor. VII), e perciò anche le figure XA^^ .... Am, X'A}'A2' .... Am; dunque il teorema è dimostrato (teor. VII). Ad una retta di una figura corrisponde una retta della seconda (coroll. teor. VI, 15), e quindi se tre' punti Ar , As , Ar sono in linea retta lo sono anche i tre punti corrispondenti A'r , A's , A'r . a). 10. Ipotesi I e II sulla retta, assoluta, xni). 18. Osa. I. Finora noi abbiamo considerata tacitamente la retta rispetto ad una sola unità corrispondente all'unità sensibile (oss. IV e oss. emp. I, 4), ed abbiamo dati gli assiomi che valgono rispetto a questa unità. Come abbiamo fatto neir introduzione colle ip. Ili, IV, V, VII, Vili, vogliamo ora stabilire alcune ipotesi le quali non contraddicano agli assiomi già dati e non si contraddicano fra loro, e ci permettano non solo di allargare il campo della geo- metria ma di servirci poi di esse per studiare le proprietà del campo finito stesso rispetto ad un9 unità sotto un punto di vista più generale z). Nelle note contrassegnate con numeri romani indicheremo minutamente la via da seguire senza ricorrere a queste ipotesi. Ip. I. La retta è un sistema di punti ad una dimensione iden- tico nella posizione delle sue parti, continuo assoluto e determi- nato da due dei suoi punti distinti. I) Di questi due ultimi teoremi daremo un'altra dimostrazione in ognf spazio speciale che coi considereremo (compreso anche il piano). Le dimostrazioni qui date hanno il vantaggio di essere in- dipendenti dal numero delle dimensioni dello spazio, e quindi di valere sia nello spazio generale (def. li, 2} come in ogni altro spazio speciale. L'ass. V o subordinato ali! esistenza delle coppie rettilinee identiche, I teoremi di questo nume- ro ci danno r esistenza di figure identiche nello spazio generale. In conformità a ciò che abbiamo detto nella prefazione e nella nota i, 16 osserviamo che, come si vedrà, nello spazio generale due figure determinate da due ennuple di raggi opposti limitati ad un punto sono uguali anche adottando per criterio dell'uguaglianza di due figure quello delia sovrappo- sizione mediante il movimento senza deformazione; che se si dice comunemente che due triedri opposti al vertice nello spazio ordinario non sono uguali, ciò dipende appunto perché si restringe il concetto dell' uguaglianza (int. oss. ili, 9 e oss. IH, 58), come qui si vede trattando la geometria indi- pendentemente dalle dimensioni dello spazio o nello spazio generale (oss. Ili, t, e oss. IX, 4). Vedi l'ul- timo paragrafo di questo capitolo, e i paragrafi analoghi dei capitoli successivi. Questo paragrafo va naturalmepto escluso, Vedi pref.

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245 Ose. IL Che questa ipotesi non contraddica all'assioma II, a che si riferisce ta- citamente all'unità sensibile (oss. IV, 4) fu già dimostrato nell'introduzione, e d'al- tronde l'ass. II, a non stabilisce che la retta non possa essere continua in senso as- soluto, dimodoché Tip. I potrebbe essere contenuta fin da principio neli'ass. II, a aggiungendo in questo assioma che la retta è continua assoluta (int. def. 1,101). Né Tip. I contraddice agli altri assiomi che riguardano il di fuori della retta (int. def. VI, 13), e tacitamente U solo campo finito rispetto ad un9 unità (oss. IV, 4). Anzi dall'ip. I, si deduce che la rètta è continua rispetto ad ogni segmento di essa come unità (int. , 101). L'ip. I non contraddice neppure all'intuizione che si esercita nel campo finito dell'unità sensibile, nel senso che P infinitesimo è nullo rispetto a questa unità (oss. emp. I, 4 è int. b', 91J, ma non già nel senso che un segmento infinitesimo ed uno in- finito siano contemporaneamente intuitivi. È perciò che il sistema assoluto dato dal- Tip. I non ha che un valore astratto ed ha valore geometrico in quanto questa colle altre ipotesi che daremo in seguito, ci aiuta, come si vedrà, nello studio del campo finito relativamente ad ogni unità. Oss. III. I teor. I-V del n. 4 che dipendono unicamente dair ass. II, a valgono evidentemente anche in senso assoluto. Ip. IL Due rette coincidono in senso assolato se hanno in co- mune il campo relativo ad un unità qualunque a partire da ogni punto come origine (int. def. I, 107). Oss. IV. La coincidenza di due rette nel campo finito relativamente all'unità sensibile, se non è stabilito che i loro punti in senso assoluto non coincidono, possia- mo ritenerla quale coincidenza assoluta (int. def. Ili e V, 57 e ad es. a", 109), e la prima ipotesi che di presenta alla mente, è che quando coincidono nel campo dell' unità sen- sibile, coincidano in senso assoluto in tutta la loro estensione (int. def. I, 82). 19. 05*. I. Pel nostro scopo basta che limitiamo la retta ai segmenti finiti, infi- niti e infinitesimi di ordine finito rispetto ad un' unità fondamentale (def. VII, 92), che come sappiamo formano un gruppo chiuso nel senso del teor. m, 93 dell'intro- duzione, e quindi non occorrono le considerazioni relative ai segmenti (e quindi an- che ai numeri) infiniti e infinitesimi d'ordine infinito; anzi inseguito ci limiteremo ai campi di due sole unità. Riportiamo ^qui alcuni dei teoremi dell'introduzione che maggiormente ci servi- ranno in seguito, o che meglio fanno conoscere la natura della retta in senso assoluto. Teor. I punti àttr in finito in un dato verso coincidono in un solo punto rispetto ad un segmento unitario qualunque (int. ?, 85). Oss. IL Quando diremo punti ali' infinito rispetto ad un' unità senz' altro inten- deremo in senso assoluto i punti del campo all'infinito di 1 ordine (int. def. IV e oss. IV, 86). Teor. IL Sulla retta aperta vi è intorno ad un punto come origine un campo finito rispetto ad un dato segmento come unità, e vi sono dei campi infiniti e infinitesimi d'ordine n qualunque. I punti limiti ali*infinito di 1 , 2 , ...., nmo ordine rappresentano rispetto ali'unità fondamentale, i campi all'infinito dello stesso ordine (oss. I; oss. Ili, 18; int. ip. IV, def. II e III, 86 e i', 85). 055. III. Si usa l'espressione punti limiti ad es. di 1' ordine quando non si esce dal Campo finito, ma in senso assoluto non si può parlare di punti limiti al- l'infinito rispetto ad una data unità (int. f, oss. Ili e IV, 86), Teor. IH. Dato un segmento (AB) sulla retta chiusa, esso o è finito o infini- tesimo di ordine determinato n rispetto a tutta la retta, e quindi nella retta

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246 considerata semplicemente, rispetto ad (AB) non vi sonò segmenti infiniti d* or- dine superiore a n. La retta chiusa è infinita d'ordine determinato rispetto ad un suo seg- mento qualunque dato. Intorno a ciascun punto rispetto ad ogni unità (AB) vi sono nella retta chiusa un campo finito e i campi infiniti di 1 , 2 , ...., n*110 ordine. I campi all'infinito di 1 , 2 , ...., (w 1) ordine rispetto alt1 unità fondamentale (AB) nei due versi a par tire dall'origine non hanno alcun punto comune, mentre i campi infiniti di n ordine coincidono (oss. I; int. a, 108 e i, 85). Coroll. I. Rispetto all'unità (AB) in uno e nell'altro verso nella retta chiusa vi sono due punti limiti aW infinito di 1 , 2 ...., (n I)11*0 ordine, ed un solo punto limite di n ordine (oss. I, int. f, 86 e i*7 85). Coroll. IL I punti limiti di un dato ordine in uno e neW altro verso rispetto airorigine A, nella retta aperta come nella retta chiusa formano segmenti uguali rispetto alla data unità (int. 6, 107). Oss. IV È da osservare che nel passaggio dall'unità (AB) ad un9unità di spe- cie n (oss. I; int. def. I, 94) bisogna tener presente che gli elementi,limiti corrispon- denti non sono rispetto alla nuova unità elementi determinati, ma rappresentano1 tutto il campo ali' infinito di ordine n. Coroll. IH. Considerando sulla retta chiusa il campo finito e infinito di 1 , 2 ,...., (n l)mo ordine rispetto ad uri unità fondamentale infinitesima di or- dine n relativamente alV intera retta, ogni punto di essi li divide in due parti uguali (int. d, 108). Teor. IV. Il campo finito (e ogni campo infinito di ordine n} intorno ad un punto rispetto ad una data unità sulla retta è anche finito (e infinito dello stesso ordine) rispetto ad ogni segmento della stessa specie dell'unità data9 a partire dalla stessa origine o da un punto qualunque del campo finito (int. e, 86). Teor. V. Un segmento infinito di un dato ordine n (se n=o, il segmento è finito) è trascurabile rispetto ad un segmento infinito d'ordine superiore. Un segmento infinitesimo di un dato ordine n è trascurabile rispetto ad un segmento infinitesimo di ordine inferiore (int. b e b', 91). Oss. V. Un raggio della retta (def. I, 7) rispetto ad un9 unità fondamentale a partire da un punto come origine fondamentale (int. def. VII, 92) ha un solo punto limite all'infinito di 1% 2*,...., n o ordine se la retta è aperta/come anche se la retta è chiusa ed n è l'ordine d'infinitesimo dell'unità data rispetto all'intera retta. 11. Triangolo con un lato infinitesimo Campo unito, infiniti e infini- tesimi intorno ad un punto rispetto ad un'unità Campo unito assoluto Ipotesi III e IV xiv). 20. Teor. I. Se un lato (AB) di un triangolo ABC è finito, i rimanenti lati non possono essere entrambi infinitesimi. XIV) Anche questo paragrafo va tolto.

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247 bifatti rispetto ali* unità finita il vertice C dovrebbe coincidere con A e con B, ciò che è assurdo perché A e B sono due punti distinti rispetto al- l'unità (AB) (int. 6', 91 e 6, 81). Caroli. I. Se due lati di un triangolo sono finiti, il terzo lato non può es- sere infinito. Perché i due primi lati sarebbero infinitesimi rispetto al terzo (int. def. HI, 86). Caroli. IL Un triangolo non può avere un lato finito, un altro infinito e il terzo infinitesimo. Considerando il secondo lato come finito gli altri due sono infinitesimi (int. e, 82). 21. Def. I. Consideriamo tutte le rette che contengono un punto S, e in cia- scuna di queste rette preudiamo come origine fondamentale S e con l'unità fondamentale s (int. def. VII, 92). Tutti i punti a distanza finita da S in queste rette in uno e nell'altro verso determinano ciò che chiameremo campo finito intorno al punto S rispetto all'unità s. Oss. 1. Tacitamente ci riferiamo qui ad un punto S del campo finito rispetto al quale abbiamo stabiliti gli assiomi precedenti (oss. IV, 4). Il campo finito intorno ad un punto S non si riduce ad una sola retta (teor. IX, 4 che a maggior ragione vale in senso assoluto (int, def, III e V, 57). Def. IL Se si considerano in tutte le rette suddette a partire da S in uno e nell'altro verso tutti i segmenti infinitesimi di nwo ordine rispetto al- l'unità ?, essi determinano il campo infinitamente piccolo di nmo ordine intorno ad S e rispetto all'unità fondamentale s (oss. I, 19). Oss. IL II campo finito contiene (def. I, 2) i campi infinitesimi del punto S, e quindi quando parleremo dei punti del campo finito del punto S intenderemo anche in senso assoluto i punti dei campi infinitesimi di S, vale a dire quando diremo che un punto appartiene al campo finito del punto S in senso assoluto e senz' altra con- dizione intenderemo che esso non è a distanza infinita da S, sempre però rispetto all'unità fondamentale scelta. Se ci occorrerà di dire che esso è a distanza finita an- ziché a distanza infinitesima, o inversamente, lo diremo esplicitamente quando non ri- sulterà chiaro dal discorso stesso. Def. III. Se la retta è aperta intorno al punto S abbiamo i campi infi- niti di lò, 2 , .... n 0 ordine sopra ogni retta rispetto ali'unità fondamentale s a partire da S (teor. II, 19), e quindi intorno ad S nello spazio generale (def. II, 2 e teor. X, 4) abbiamo dei campi infiniti di 1 , 2 , ...., nmo ordine rispetto alla data unità fondamentale. I punti limiti all'infinito sulle rette intorno ad A ci danno i campi li- miti all'infinito di 1 , 2 , ...., nmo ordine. Oss. III. Se la retta è chiusa e la data unità s è infinitesima di 1* ordine ri- spetto all'intera retta, si ha il solo campo infinito di 1 ordine, che in questo caso anche in senso assoluto chiameremo infinito soltanto, non essendovene altri. Se invece la data unità fosse infinitesima d'ordine n rispetto all'intera retta (oss. I, 19), questa avrebbe a partire da S due punti limiti distinti di 1 , 2% .... (n l)mo ordine e due punti limiti coincidenti di ordine n (coroll. I, teor. Ili, 19). In tal caso si ha intorno ad S un campo all'infinito di I*, 2 , ...., nmo ordine rispetto alP unità data.

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248 Def. IV. Tutta la figura determinata dalle rette passanti pel punto S, la chiameremo campo finito assoluto intorno al punto S (int. def. IV, 92)1). 22. Tp. IIL Nel campo finito assoluto intorno ad un ponto S valgono gli assiomi II, , III, IV e V. 088. L Noi partiamo dal campo finito rispetto all'unità fondamentale s che cor- risponde ali' unità sensibile per la quale abbiamo dati gli assiomi (oss. I, 21). Am- mettendo r ip. HI, essa non viene a contraddire alla validità di questi assiomi nel campo suddetto. Coll'ass. II, b valevole in senso assoluto non è escluso che le rette distinte passanti per S nel campo dell'unità s non siano coincidenti rispetto ad un'unità infinita o infinitesima. È escluso però che lo siano in senso assoluto per /' ip. II stessa, e quindi la prima parte dell'ass. II, b che ha luogo nel campo del- T unità 5, relativamente a questa unità potrebbe non valere in un campo infinitesimo 0 infinito. Sussistendo gli ass. Ili, IV e V in senso assoluto, a maggior ragione valgono nel campo finito di un'unità, sia perché l'uguaglianza assoluta ci da anche l'uguaglianza relativa (int. def. Ili e IV, 9), come del resto si vede esaminando gli assiomi III e V, sia, per il IV, perché quando un segmento diventa indefinitamente piccolo in senso assoluto tale diventa pure in senso relativo (int. def. II. 100 e def. I, 95). Come Tip. I si può ritenere compresa nell'ass. II, a (oss. II, 18) l'ip* HI, iQ Quanto riguarda gli ass. Ili, IV e V, può ritenersi compresa in questi assiomi, quando si con- siderino in senso assoluto, e non come abbiamo fatto noi tacitamente in senso re- lativo (oss. IV, 4). Così anche per l'ass. II, b; soltanto che alla prima parte di esso bi- sognerebbe aggiungere che vale anche nel campo relativamente ad un' unità s in conformità a quanto abbiamo detto precedentemente. Avremmo potuto dunque trattare addirittura la geometria in senso assoluto in- cludendo le ip. I, II e III nei rispettivi assiomi. Teor. L Ogni punto X deve essere situato in uno dei campi fittiti intorno al punto S. Difatti scelta una retta pel punto S, se X è fuori di questa retta, esso de- termina con S la retta (ass. li, b e ip. HI). Teor. IL Due punti X e Y qualunque appartengono ad un campo finito intorno ad S. Difatti passano per essi due rette SX, SY, e se (SY) ~{ X:) (def. I, II, 6) basta cosiderare come unità del campo finito il segmento (SY) (oss. II, 21). Oss. IL In senso assoluto sussistono colle stesse dimostrazioni il teor. VI, 4 e i suoi corollari, il teor. VII, IX e X; il teor. Vili è conseguenza deirip. II. Teor. III. Se due lati di un triangolo sono finiti e il terzo è infinitesimo, 1 due primi lati sono uguali rispetto a qualunque unità, e coincidono rispetto all'unità finita ed ogni unità infinita. Siano ABC i vertici del triangolo, (AC) il lato infinitesimo. Rispetto al- l'unità finita A e C coincidono, perché (AC) è trascurabile rispetto ad ogni segmento finito (teor. V, 19). Ma, A e B determinano una sola retta, altrimenti i tre punti ABC non formerebbero un triangolo (def. II, 9 e teor. VI, 4 e oss. II); e poiché A e C coincidono rispetto all'unità finita, rispetto alla medesima unità coincidono anche i segmenti (AB), (A C), che perciò sono uguali rispetto ad essa. 1) Vedi oss. i, 19 e int oss. IV, 92.

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249 La stessa cosa Tale a maggior ragione per ogni unità infinita (teor. V, 19). Per un' unità infinitesima dello stesso ordine di (AC) relativamente ad -A o C come origine, A e C non coincidono, perché (AC) è finito rispetto ad essa (oss. I, 19 e a, 86). I segmenti (AB) e (BC) sono infiniti rispetto a questa unità, dunque essi sono uguali rispetto ad essa (teor. I, 19 e teor. I, 8). Così dicasi rispetto ad un'unità infinitesima di ordine inferiore di (AC) (fig-5). Corali. I. Se in un triangolo un lato è finito e un altro lato è infinito di ordine n, il terzo lato è pure infinito del medesimo ordine, e i due ultimi lati coincidono rispetto ad ogni unità infinita. Difatti sia (AB) infinito di n ordine, (AC) finito, vale a dire (AC) sia in- finitesimo di ordine n rispetto ad (AB) (oss. 1,19; int. def. Ili, 86). In tal caso rispetto ad (AB) come unità, i punti A e C e i segmenti (AB) e (BC) coincidono; vale a dire (BC) è finito rispetto ad (AB), ossia è infinito d'ordine n rispetto ad (AC) (oss. I, 19; int a, 86). Oppure anche : se (BC) fosse infinito di ordine superiore ad (AB), ciò con- traddirebbe al ter. "I, 20. La seconda parte del coroll. dopo la dimostrazione della prima è sotto un9 altra forma il teor. in stesso. Coroll. IL Se in un triangolo un lato è infinitesimo e un altro è finito^ il terzo lato è pure finito. E un'altra forma del coroll. I. Coroll. III. Se un lato di un triangolo è finito e gli altri due sono infi- niti, questi lati coincidono rispetto ad un'unità infinita. Idue lati infiniti devono essere del medesimo ordine, cioè finiti fra loro (coroll. I). Rispetto ai due lati infiniti, che sono finiti fra loro, il terzo lato è infinitesimo (int. def. n, 82), dunque il coroll. è dimostrato. Oss. III. Non risulta però dal teor. Ili che se (AC] è un segmento finito come i due lati (AB) e (40), questi due lati non possano coincidere rispetto all'unità fi- nita ; in tal caso i tre punti ABC non formerebbero però un triangolo rispetto a que- sta unità, ma potrebbero formarlo in senso assoluto. Def. Diremo che due rette aventi un punto comune X sono in senso as- soluto infinitamente vicine in un campo finito intorno al punto suddetto, quando sulle due rette vi sono due punti a distanza finita da X e infinitamente vicini rispetto all'unità data. Teor. IV. Se due rette aventi un punto comune A sono infinitamente vi- cine (e perciò coincidenti) rispetto ad una data unità, e presi due punti I? e C su di esse a distanza finita da A, ciascuno fuori dell9 altra retta ; se la retta SC non coincide con una o l'altra delle due rette date9 (ffC) deve essere in- finitesimo rispetto alla data unità. Se la retta C coincide con una o con I9 altra delle due rette, le due rette stesse coincidono rispetto ali9 unità data. Un punto di ciascuna delle due rette coincide rispètto all'unità data con un punto dell'altra retta, vale a dire è a questo infinitamente vicino (def. I e teor. IH); quindi i punti B e C sulle due rette hanno ciascuno sulla retta rima- nente i punti B e C ad essi infinitamente vicini rispettivamente alla stessa

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2SO distanza d* A (teor. HI). 1 punti B, C, tì determinano uti triangolo, perché altri- menti il punto sarebbe sulla retta B C contro il dato. Se (BC) è finito deve esserlo anche il lato (CB), perché non può essere IA infinitesima (teor. I, 20), né può essere infinito (coroll. II, teor. I, 20). Dunque la retta CB deve coincidere rispetto ali' unità colle due rette, perché nel triangolo CB'B i due lati (BC\ (CB) sono finiti e (BB') è infinitesimo (teor. III). Reciprocamente se (CB) è finito la retta Off deve coincidere colle due rette rispetto ali' unità finita. Difatti le due rette date sono infinitamente vicine, i punti B e C sono infinitamente vicini ai due punti B e C ciascuno sulla retta fig*I4 rimanente, e quindi (BC) deve essere finito sulla retta data A C, per- ché non può essere infinitesimo essendo (BC} finito e (BB') infinitesimo (teor. I, 20), né può essere infinito (coroll. li, teor. 1,20). Ma in tal caso, per quanto si è detto sopra, la retta BC coincide con le rette date rispetto all'unità finita. Dunque se (BC) e finito la retta BC coincide con le rette date. Non può essere (BC) infinito, perché (BC) è al più finito% e (BB) e infini- tesimo (coroll. II, teor. I o teor. I, 20), dunque se la retta BC non coincide per dato con le rette date, il segmento (B'C) deve essere infinitesimo, altrimenti se fosse finito (int. f, 82) la retta BC coinciderebbe appunto colle due rette date. Così è dimostrata la prima parte del teorema. Ora se due rette AB, AG date, sono tali che i punti B e C soddisfino alla condizione del teorema e la retta BC coincide con una delle due rette, ad es. con la AC, ciò significa che il punto B' è infinitamente vicino ad un punto di AC (def. I e teor. Ili), e quindi le due rette AB e AC coincidono rispetto all'unità data (teor. Ili) (fig. 14). Coroll. L Se due raggi che hanno un punto comune A coincidono rispetto ad un' unità, coincidono anche i raggi opposti. Ogni punto dato di un raggio è un punto della retta che Io contiene (def. I, 7), e quindi ogni punto della retta di un raggio coincide con un punto della retta dell'altro raggio, vale a dire le due rette hanno gli stessi punti comuni, ossia coincidono (def. I, 2 e int def. V, 57). Ma un raggio ha un solo ràggio opposto sulla retta (def. I, 7) dunque i due raggi opposti ai coincidenti coincidono essi pure (def. II, 7). Teor. V. Se due rette aventi un punto comune A sono distinte in un campo finito intorno ad A e rispetto all'unità di questo campo, presi su di esse due punti B e C qualunque a distanza finita dal punto A, essi determinano un segmento finito di una retta distinta dalle rette date. Difatti (BC) non può essere infinito (coroll. I, teor. I, 20), né può essere infinitesimo perché allora le due rette coinciderebbero e non sarebbero di- stinte rispetto all'unità del campo suddetto (teor. III). Né può essere che la retta BC coincida rispetto ali' unità suddetta con una delle due rette, perché coinciderebbero per questa unità anche le due rette date (teor. IV). 23. Oss. L In seguito all'oss. I del n. 22, nella quale abbiamo accennato alla possibilità che le rette distinte passanti per un punto S rispetto ali* unità fondamentale s, cor- rispondente alT unità sensibile (osa. I, 21), coincidano rispetto ad un' unità infinita o

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251 infinitesima, nel qua! caso non varrebbe la prima parte dell'ass. Il, b nel campo finito intorno ad rispetto ali' ultima unità, noi possiamo scegliere un' ipotesi che lasci inalterata la prima parte delPass. II, b nel campo di ogni unità in- torno al punto S, e nello stesso tempo non contraddica alle ipotesi precedenti, che è quanto dire agli assiomi dati dalle ipotesi precedenti in ogni campo finito intorno ad S. Dappoiché abbiamo veduto (oss. 1,22) che rette distinte intorno ad S in un campo finito non possono coincidere in senso assoluto in ogni campo infinito o infinitesimo, così la ipotesi che si presenta spontanea alla mente, in conformità alla suddetta con- dizione, è la seguente: Ip. IV. Due rette distinte qualunque in un campo finito in- torno ad un punto S e passanti per S sono distinte anche in ogni campo infinito o infinitesimo rispetto ali' unità di questi campi, e inversamente. Oss. II. Noi supponiamo che il campo finito intorno ad S sia quello di unità fondamentale 8, rispetto alla quale vale la prima parte dell'ass. II, b (oss. I, 2i). L'ip. IV non contraddice alle ip. I e II, perché la prima riguarda la retta in sé; e la seconda viene confermata dall'ipotesi stessa perché dalla II deriva appunto la pro- prietà dellMp. IV in senso assoluto (oss. I, 22); essa non contraddice all'ip. Ili ri- guardo alFass. II, 6, perché anzi da essa si deduce chel'ass. 11,6 vale in ogni campo intorno ad S, ed anche, come vedremo, intorno ad ogni altro punto rispetto a qua- lunque unità (teor. II, 31) ; essa non contraddice infine ali' ip. Ili in quanto riguarda gli ass. Ili, IV e V, perché questi trovano anzi mediante l'ip. IV la loro applica- bilità anche nei campi infiniti e infinitesimi. Teor. I.. Il campo finito intorno ad un punto A rispetto ad un'unità è il campo finito intorno a qualunque altro punto B di esso e rispetto alla stessa unità 1). Basta dimostrare che i punti a distanza finita da A sono a distanza fi- nita fra loro se non coincidono rispetto all'unità data. Siano B e C due di questi punti. Se sono in linea retta con A, la distanza (BC) è finita, poiché la differenza (BC) dei due segmenti finiti (AB) e (BC) è Unita, se B e C non coincidono (int. Ji, 85). Se B e C non sono in linea retta, ciascuno di essi determina con A una retta, ed anche fra loro (coroll. I, teor. VI, 4 e oss. II, 22), e formano quindi con A un triangolo (def. II, 9). Ma essendo (AB) e (AC) finiti, (BC) non può essere infinito (coroll. I, teor. I, 19). Anche se le rette passanti per A coincidessero rispetto ali1 unità del campo suddetto (il che come vedremo in seguito non è), il teorema varrebbe ugualmente. Coroll. I. Se la retta è chiusa e si prende come unità di n.isura l'intera retta o una pane finita di essa, il campo finito è tale per ogni punto dato. Perché ogni punto (dello spazio generale) è un punto di una retta almeno passante per un punto dato A (oss. II, 22). Teor. II. Il campo ali' infinito intorno ad un punto A e di qualunque or- dine è il medesimo rispetto a qualunque punto del campo finito del punto dato. i) Rimanendo nel campo finito bisogna ammettere fin da principio come ho detto l'assioma dMr- chimede poi segmenti rettilinei (nota IV)). Qui vediamo in fondo che basta ammetterlo per le rette contenenti un punto A, per dimostrarlo poi per quelle passanti per un altro punto B qualunque del campo finito appoggiandosi sulla considerazione degli infiniti e degli infinitesimi.

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252T Difatti se il punto C è a distanza infinita d'ordine n da A, essendo (AB) finito, (BC) è pure infinito dello stesso ordine (eoroll. I, teor. IH, 22). Def. /.Quando parleremo dell1 unità del campo finito la in tenderemo con- siderata sopra ogni retta a partire da un punto del campò finito stesso coinè origine fondamentale, altrimenti useremo I1 espressione unità finita. Ma quando non vi sarà ambiguità scambieremo le due espressioni fra loro. 088. III. Parlando d* ora innanzi del campo finito e dei campi infiniti intende- remo di riferirci sempre a quelli rispetto ad un'unità qualunque data del punto S o dì un altra pnrito del suo campò fliifto (téoi". 1), quando, s'intende, non ci riferiremo ai canapi intorno a punti diversi. Ind. In generale i punti del campo finito li indicheremo con semplici lettere maiuscole, e con lettere minuscole le rette che hanno punti nel campo finito. I punti all'infinito di ordine n (oss. I, 19), li indicheremo con lettere ac- compagnate dal ségno OD*. Così per le rette. In seguito però non avremo da adoperare che il segno oo col quale indicheremo anche qualunque punto ali'in- finito rispetto ad un' unità fondamentale. Def. IL Una retta che ha dei punti nel campo finito la* chiameremo an- che retta del campo finito. Teor. III. Se la retta è chiusa e il campo finito si riferisce ad un'unità infinitesima di 1 ordine rispettj all'intera retta, ogni retta passante per un punto del campo finito ha un solo punto limite alV infinito. Ciò è una conseguenza immediata dei teor. I, n. Teor. IV. L'ass. II, b vale per qualunque punto X rispetto alT unità (SX) e alle unità infinite rispetto ad (SX). Dato un punto X, esso appartiene al campo finito intorno ad S coli'unità (SX) (teor. I, 22), il quale campo è anche il campo finito di X rispetto alla stessa unità (teor. I). Se (SC) è un segmento finito nel campo suddetto in una retta che non contiene X è in modo che le rette (SC) è (SX) non siano infi- nitamente vicine (def. 22 e ip. IV), vale a dire che X non sia infinitamente vicino ad un punto della retta SC (teor. V, 22); (SC), (XC), (SX) sono finiti; quindi le rette XS9 XC sono distinte rispetto alla stessa unità (teor. IV, 22), e perciò nel campo suddetto intorno ad X vale l'ass. II, b rispetto ali'unità, (SX). Ogni campo infinito di un dato ordine n dì A rispetto all'unità suddetta è anche il campo infinito del medesimo ordine rispetto ad X (teor. II), e con- siderando questo campo come finito rispetto all'unità corrispondente infinita d'ordine n, vale la la dimostrazione precedente. Quanto alla seconda parte dell'ass. II, b basta osservare che ogni punto A determina in senso assoluto una retta con qualunque punto B di ogni retta che non contiene A (ip. Ili), e che tale proprietà vale a maggior ragione ri- spetto all'unita (AB). Oss. IV. Dal teor. IV risulta che tanto il campo finito intorno ad X rispetto al- l'unità (SX), quanto i campi infiniti rispetto alle loro unità corrispóndenti non si ridu- cono ad una sola retta (oss. I, 22), perché per la dimostrazione del teor. IV tale pro- prietà avrebbe anche il campo finito di unità (SX), o i campi infiniti, intorno a S; il che è assurdo (ip. HI e oss. I, 21), Novi sappiamo però ancora sé l'ass. II, valga anche nei campi infinitesimi intorno ad X e rispetto all'unità fondamentale (SX);

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come non sappiamo ancora,, se Tip. IV valga incondizionatamente per ogni coppia di rette passanti pel punto X rispetto all'unità (SX) e alle unità influite *); ma finché non dimostreremo questa proprietà intenderemo, quando parleremo di campi infinite- simi 'senz'aitro, di riferirci sempre per ora a quelli del punto S che ancora per l'ip. IV è un punto speciale rispetto agii altri punti. Teor. V. Se due punti qualunque E e C non determinano in senso asso- luto la retta non la determinano neppure in senso relativo aW unità (BC). In ogni retta passante per B e C, B e C determinano segmenti uguali in senso assoluto (oss. II, 22; ip, lile teor. IV, 11). In una retta passante pel pun- to 5 consideriamo un segmento (SC*) = (#C). Qualunque sia l'unità (SC), nel campo di questa unità intorno ad S e relativamente ad essa vi sono rette di- stinte passanti per (oss. I, 21 e ip. IV), e a maggior ragione distinte in sen- so assoluto (int. def, III e V, 58); esse passano dunque per C* (oss. II, 22 e teor. VI, 4). Per conseguenza 5 e C non determinano la retta rispetto alPu- nità (SC) (oss. I, 4), e perciò anche B e C relativamente all'unità (BC) (oss. II, 22, teor. VII, 4 ; ip. ni e teor. I, 8). Teor. VI. Due punii distinti qualunque della retta aperta, o appartenenti ad un campo infinitesimo della retta chiusa rispetto all'intera retta come unità^ determinano la retta in senso assoluto. Soltanto due punti opposti in senso assoluto nel caso della retta chiusa possono non determinare la retta. Se e y sono i due punti dati, essi appartengono ad un campo finito del punto S (teor. II, 22). Se essi non determinassero la retta in senso assoluto non la determinerebbero neppure rispetto ali'unità (XY) (teor. V), il che è as- surdo (teor. I e II, 14). Relativamente all'unità della stessa specie dell'intera retta (int. def. I, 94) sappiamo che due punti opposti possono non determinare la retta (teor. lì, 14). Se due punti in senso assoluto non determinano la retta non possono ap- partenere ai campi infinitesimi di due punti A e B che non sono opposti ri- spetto all'unità Suddetta, percbè per questi punti passerebbero più rette di- stinte anche rispetto a quella unità (teor. IV e V). Dunque se due punti in senso assoluto non determinano la retta, essi devono essere nei campi infinitesimi di A e A', essendo A opposto di A. Supponiamo dunque che vi sia un punto A" in un campo infinitesimo di ordine n intorno ad A' sulla retta, e differente da A e che non determini con A la retta. Consideriamo il segmento (A"A'") =. (AA") nel verso A A" A' (int. d, 64); il punto A" appartiene al campo infini- tesimo dello stesso ordine intorno ad A, perché (AA'), (AA") differiscono di un infinitesimo d'ordine n, e la differenza dei segmenti doppi è quindi un in- finitesimo dello stesso ordine, essendo essa doppia della differenza primitiva (int. d, 104 e i, 82 e ', 86). Ma A e A'" dovrebbero non determinare la retta Cteor. VI, 4 e oss. II, 22), il che per quanto si è dimostrato precedentemente è assurdo. Teor. VII. Punti distinti all'infinito di una retta del campo finito danno rette coincidenti col punto S rispetto all'unità finita, purché nel caso della \) Vedi teor. i; del

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254 retta chiusa le rette anzidetto non incontrino la retta data in un sito punto del campo finito. Sia Z1^ A Z la retta data e il punto 5 fuori di essa, I punti all'infi- nito rispetto all'unita (SA), distinti in senso assolu- _' . ^ to, danno rette distinte perché se coincidessero in sen- " ' ~ so assoluto, i due puati Z^ e Z (ind. I) non deter- minerebbero la retta; ciò che è escluso se la retta è aperta, mentre nel caso della retta chiusa dovrebbero essere punti opposti (teor. VI), e quindi due altri punti ng- 15- all'infinito non opposti determinano la retta con Supponiamo ora che i due punti ZM Z'a, diano due rette distinte nel campo finito intorno a S. In tal caso considerato il campo intorno ad S rispetto alla unità OSZJ, la retta Z^A deve coincidere rispetto a questa unità colla retta Z'v S (teor. Ili, 22), e quindi colla retta Z (teor. IV, 22). Dunque rispetto all'unità infinita le due rette SZ9^ SZ^ devono coincidere, mentre per Tipo- tesi fatta esse dovrebbero essere distinte (ip. IV) ; dunque è assurdo che SZ*9 SZ'vt siano distinte. Se uno dei punti Zm è all'infinito d'ordine n e Zm all'infinito d'ordine m (oss. I, 19), le rette SZ^ SZ* coincidono rispetto ali' unità infinita di 1 ordine con la retta AZM9 e quindi per la stessa ragione SZ e SZ non possono essere distinte rispetto all'unità del campo finito intorno a S9 che è anche quello intorno ad A rispetto ali' unità (AS) (teor. I, 23) (fig. 15). Si è posta la condizione che la retta passante per S e per un punto al- l'infinito di AZm non debba incontrare la retta AZ^ in un altro punto del campo finito, ad es. A, nel caso della retta chiusa, il che è ancora possibile (teor. II, 14, teor. VI, 23), perché in tal caso i punti A S Z^ non formano più un trian- golo e non si può più dire in generale che le rette AS e AZ* coincidono ri- spetto all'unità infinita, perché se ciò fosse tutte le rette passanti per A coin- ciderebbero rispetto all'unità infinita in una sola retta, il che è escluso (teor. IV e oss. IV, 23). Coroll. La retta determinata da due punti all'in finito di due rette distinte del campo finito passanti per S è situata tutta aW infinito. Difatti se fosse una retta del campo finito (def. I) essa coinciderebbe ri- spetto ali1 unità infinita colle due rette date (teor. Ili, IV, 22), e quindi queste due rette coinciderebbero rispetto all'unità infinita e non potrebbero essere distinte, contro l'ip. IV. Oss. V. Nel caso della retta chiusa e che l'unità del campo finito sia infinitesima di 1 ordine rispetto all'intera retta, ogni retta del campo finito ha un solo punto limite all'infinito (teor. Ili), e poiché due punti limiti distinti sono dati da rette di- stinte passanti per S, una retta che congiunge due punti limiti all'infinito (s'intende in senso assoluto una retta che congiunge due punti all'infinito delle due rette distinte che hanno quei punti limiti) cade all'infinito.

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255 Rette che uniscono un punto del campo Unito con punti all'infinito 24. Teor. I. Data una retta AZW qualunque del campo finito, le rette che con- giungono il punto S fuori di essa coi punti all'infinito della retta data e in un dato verso sono coincidenti rispetto all'unità del campo finito ; mentre ri- spetto ad un'unità infinita di qualunque ordine sono coincidenti colla retta AZ* stessa; sempre che nel caso della retta chiusa le rette passanti per S non in- contrino la retta AZ* in un altro punto del campo finito. Difatti le rette che congiungono il punto S (def. I, 21 ; oss. Ili e IV, 28) coi punti all'infinito della retta AZ rispetto all'unità (SA) coincidono in una sola retta (teor. VII, 23), ma non colla retta AZ^ ; mentre le rette AZ* e Zm sono distinte, essendo il due punto S fuori della retta AZ^ fig. 15). Rispetto ad un9 unità infinita, ad es. di 1 ordine e perciò anche di ordine superiore (int. def. II, 86), (AS) è infinitesimo, e quindi tutte le rette passanti per S e per i punti ali1 infinito sulla retta AZ nel verso considerato a par- tire da A coincidono rispetto alla nuova unità colla retta AZM stessa (teor. ffl, 22). Teor. IL Se due raggi aventi un punto comune S sono coincidenti rispetto all'unità del campo finito, scelti su di essi due punti B e C* a distanza in- finita di 1 ordine da S, e la retta B^ C è una retta r del campo finito di- stinta da quella dei due raggi coincidenti, i punti B* e C sono situati nello stesso verso a partire da un punto A del campo finito sulla retta r. Perché se J5W e Cw fossero situati in verso opposto a partire da A, sic- come le rette dei raggi S B , S Cw (def. I, 1) coincidono rispetto ali1 unità del campo finito (teor. VII, 23) J5W, Cw sarebbero situati in versi opposti a partire da S, e quindi i due raggi sarebbero opposti e non coincidenti (def. II, 7). Teor. III. Se i raggi SZ^ SZ'^ congiungono il punto S coi punti all'infi- nito di 1 ordine o di un ordine qualunque, nel caso della retta aperta, di una retta Z1^ A Z^, e si considerano sui raggi opposti a SZ^ e a SZtolt due punti C Dea distanza finita da S, il segmento (CD) è infinitesimo; ossia le due rette SZ^, SZ* # sono coincidenti rispetto aWunità del campo finito, ma non possono coin- cidere in senso assoluto. Nel caso della retta chiusa ciò vale per un'unità infinitesima di 2 ordine e di ordine superiore rispetto all'intera retta. Per un'unità infinitesima di 1 ordine rispetto allenterà retta, le rette SZ^, SZ* coincidono e possono coincidere in senso assoluto, essendo escluso il caso che le rette SZM, SZ* incontrino la retta AZ^ in un punto del campo finito* XV) Questo paragrafo non occorre.

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256 Nel caso della retta aperta (CD) non può essere infinito (teor. I, 20) ma deve essere almeno infinitesimo, perché le due rette SZM9 SZ1^ coincidono ri- spetto all'unità data (teor. VII, 23). Non possono coincidere in senso assoluto perché i punti 2' e jion determinerebbero 1-3, retta* sto che è assurdo (teor. VI, 23). Ciò vale anche nei casi citati della retta chiusa, ma se l'unità è infinite- sima di 1 ordine, allora i punti Z^ Z' ^ se sono opposti, possono non deter- minare la retta (teor. II, 14 e teor. VI, 23) j e in tal caso le rette SZM SZtot possono coincidere in senso assoluto. 25. Teor. I. Se un punto X^ all'infinito determina la retta con un punto A del campo finito, esso determina una retta con ogni punto Bdi questo campo fuori della retta AXM. Difatti se B e X^ non determinano una retta, la retta AB dovrebbe pas- sare anche per X^ (teor. VI, 4 e oss. II, 22), e quindi o per A passerebbe una sola retta, oppure B dovrebbe essere situato sulla retta AX^ contro il dato. Teor. IL Senei caso della retta chiusa e che due punti opposti non deter- minino la retta, l'unità del campo finito è infinitesima di lò ordine rispetto all'intera retta, scelta una retta AB vi sono più punti all'infinito in ambedue i versi che determinano la retta con ogni punto del campo finito. Si è già veduto che due punti opposti possono non determinare la retta chiusa (teor. II, 14 e teor. VI, 23). Perché un punto X^ determini una retta con ogni punto def campo finito intorno al punto A nel caso della retta chiusa e di un'unità infinitesima di 1 ordine rispetto all'intera retta, bisognerà sceglierlo fuori del campo finito rispetto alla stessa unità intorno al punto opposto A' di A, perché in caso contrario vi sarebbe sulla retta AXM un punto X' nel campo finito intorno ad A tale che XtXM sarebbe uguale alla metà delia retta, ossia X'X^ sarebbero punti opposti (teor. VI, 23). Conv. I. Finché non ci decideremo per il sistema nel quale due punti op- posti determinano la retta chiusa,, stabiliamo che quando l'unità è infinite- sima di 1 ordine rispetto allenterà retta per punto all'infinito s'intenda sem- pre un punto non opposto a nessun punto del campo finito. Teor. HI. Un punto all'infinito con un punto del campo finito determina una retta- e un verso o raggio di questa retta (conv. I). Ciò è chiaro se la retta è aperta o se, nel caso della retta chiusa, l'unità del campo finito è infinitesima d'ordine superiore al primo rispetto all'intera retta, supponendo sempre che quando si parla senz*altro di punti all'infinito rispetto ad un'unità si intendano quelli del campo infinito di 1 ordine rispetto all'unità (int. oss. IV; 8 ) Difatti i punti ad es. A e X^ nel caso della retta aperta determinano sempre un segmento, è così nel caso, della retta chiusa anche quando 1* unità è infinitesima di 1 ordine (conv. I) e quindi il punto XM determina il verso della retta a partire da A nel segmento

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257 13. Raggi e rette paralleli. 26. Def. 1. Un raggio del campo finito (oss. Ili, 23; def. I, 7 e def. II, 23) dicesi parallelo ad un'altro raggio di questo campo, quando un punto all'infinito di 1 órdine del secondo raggio è situato sul primo, ammesso però che il punto al- l'infinito determini la retta con ogni punto del campo finito nel caso della retta chiusa quando l'unità del campo finito è infinitesima di 1 ordine ri- spetto all'intera retta (conv. I, 25). Teor. I. Se un raggio è parallelo ad un altro, il secondo è parallelo al primo. Difatti sia AX^ il raggio dato e BX^ il raggio parallelo. Il punto XM è all'infinito di 1 ordine anche rispetto al punto B (teor. II, 23), e determina con B un solo raggio anche in ogni caso della retta chiusa (def. I). Corali. Due raggi paralleli ad un terzo sono paralleli fra loro. Difattì siano r e r' i raggi paralleli al terzo raggio r". Un punto X^ di r" giace in r e in r, e poiché X^ è situato all'infinito di 1 ordine in r e in r' (teor. II, 23), r e r' sono paralleli (def. I). Def. IL Le rette a cui appartengono due raggi paralleli si dicono paral- lele nel verso determinato dai due raggi (def. I, 7). Teor. IL Due rette parallele non hanno alcun punto comune nel campo finito. Ciò è chiaro se la retta è aperta, perché in tal caso due rette non pos- sono avere due punti comuni (coroll. teor. I, 14 e teor. VI, 23), ed anche nel caso della retta chiusa quando l'unità del campo finito è infinitesima di 2 ordine e di ordine superiore rispetto all'intera retta (teor. II, 14 e teor. VI, 23). Per l'unità infinitesima di 1 ordine quando la retta è chiusa, non si possono incontrare in un punto C del campo finito, perché altrimenti i punti XM e C non determinerebbero la retta contro la def. I. Teor. HI. %I raggi paralleli condotti per il punto S ad un raggio coinci- dono in un solo raggio rispetto all'unità del campo finito. E due raggi paralleli sono coincidenti rispetto ad ogni unità infinita (def. I, teor. I e teor. I, 24). Coroll. Dal punto S, se la retta è aperta, o se nel caso della retta chiusa l'unità del campo finito è almeno infinitesima di 1 ordine rispetto all'intera retta, si può condurre una sola retta parallela ad una data retta conside- rata in un dato verso (teor. II, def. II). Teor. IV. Se la retta è aperta qualunque sia l'unità del campo finito, dal punto S si possono condurre due rette parallele ad una retta data che coinci- dono rispetto all'unità finita, ma non in senso assoluto (teor. Ili, 24 e def. II). Oss. I. Se la retta è chiusa, per un punto del campo finito intorno ad un punto A, che ha per unità l'intera retta, non passa alcuna parallela ad una retta data, Difatti in tal caso non ha più ragione la definizione di rette e raggi paralleli, perché non vi è rispetto all'unità data alcun punto all'infinito XVI). XVI) Nel campo finito Euclideo la parallela ad una retta può essere definita in- dipendentemente dal piano nel seguente modo ; 17

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258 I due sistemi generali di geometria. Sistemi di Euclide, di Lob tscbewsky e di Riemann. Ipotesi V. 21. Oss. emp. Cogli assiomi già dati sono possibili due sistemi di geometria quello della retta aperta e quello della retta chiusa sia in senso relativo ad un unità che in senso assoluto (teor. I, 4; oss. Ili, 18). Per decidere la questione bisogna vedere se l'osservazione stessa ci aiuta in proposito, imperocché astrattamente potremmo segui- tare a trattare la geometria sia nell'uno come nell'altro caso. Ma d'altronde per la definizione atessa dello spazio generale (def. II, 2) noi dobbiamo decidere i dilemmi che si presentano, e, quando non è possibile risolverli per via di deduzione, come in questo caso, bisogna ricorrere all'esperienza I). Limitando la nostra osservazione all'oggetto rettilineo, a prima vista l'oggetto corrispondente alla retta, e che si ottiene immaginando prolungato indefinitamente in uno o nell'altro verso un filo teso (oss. emp. I, 4), esso ci sembra aperto: tale cioè che un punto partendo da una posizione iniziale A su di esso e in un dato verso non ritorni mai più nella posizione primitiva. Questa proprietà ha luogo realmente entro Def. Se due triangoli uguali hanno due coppie di lati opposti, i lati opposti a queste coppie si dicono paralleli. Siano RAS, R'A'B' i due triangoli uguali con due coppie di lati opposti, il che è possibile (teor. II, 17 e teor. Ili, 16). In tal caso preso un punto C sul lato (-AB), e dato sul raggio opposto di (A C} il punto C1 ad uguale distanza da A, siccome i triangoli ARC, A'RCf, BRC; RC; ARB; A'RB1 sono identici (teor. II, 17 e teor. Ili, 16) e i punti ABC sono in linea retta, lo sono pure i punti A'ffC (teor. V, 17) (vedi fig. 27). Scegliendo un* altra retta, ad es. AC', non risulta che congiunto il punto medio R' di (AC) con un punto qualunque di AB* ad es. C, e costruito il punto C\ ad uguale distanza di C da R', il punto C\ sia situato sulla retta AB. Ricorrendo all'esperienza, approssimativamente essa ci assicura che ciò ha luogo, e quindi diamo il seguente assioma. Ass. VI. Per un punto passa una sola retta parallela ad una retta data. Coll'ass. Hr si dimostra che due rette parallele non possono incontrarsi, perché se avessero un punto X comune, la retta AX incontrerebbe di nuovo le due rette in un altro punto comune X' ad ugual distanza da R, e quindi se X e X* fossero di- stinti le due rette avrebbero due punti comuni, contro l'ass. II'. Ed anche se fossero coincidenti dovrebbero essere ad uguale distanza da #, e per Tassioma VI, anche da tf, ciò che è impossibile (int. def. 1,61 e teor. I, 4). Coll'ass. II invece resta indeterminato fino ad ora se due rette, nel caso della retta chiusa, pos- sano avere due punti opposti comuni, ma anche in tal caso colPass. VI or ora dato due rette parallele non possono incontrarsi, perché i punti X e X' dovrebbero essere equidistanti da R e R\ (teor. II, 14) il che è assurdo. Rimane però sempre da provare sia coll'ass. II come coll'ass, II' che la retta è aperta, proprietà che dimostreremo in una delle note seguenti e che viene ammessa comunemente nei trattati elementari col postulato che la retta viene divisa da un suo punto in due parti, mentre nella retta chiusa ne occorrono due. (Vedi nota VI). Dobbiamo tener presente nelle note ulteriori, fino a questa dimostrazione, la possibi- lità che la retta sia aperta o chiusa, e che nell'ultimo caso coll'ass. II due punti op- posti possono non determinare la retta (teor. II, 14). 1) in seguito avremo altre prove che gU assiomi suddetti valgono in ambedue i pati.

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259 il campo della nostra osservazione su quell'oggetto, che cor- risponde ad una parte del campo finito intorno al punto ove trovasi l'osservatore (def. I, 21), ma ciò non significa punto che tale proprietà debba aver luogo per l'intera retta. Difatti immaginiamo un oggetto corrispondente ad una linea sem- plicemente chiusa, come finora dobbiamo supporre possa es- sere la retta (fig. 16), e supponiamo che 1' osservatore non possa esplorare che la parte (AB], distinta nel disegno da un doppio tratto. È chiaro che se l'osservatore bada soltanto a . io. ciò che vede è indotto a credere che quell'oggetto sia aperto, mentre in realtà è chiuso. E ritenendolo tale, considerando coinè unità un segmento finito rispetto al suo campo dell'osservazione materiale sull'oggetto, e se l'osservatore non ammette la realtà dell'infinito rispetto alla sua unità sensibile, allora l'oggetto deve essere finito. Ma il pensatore ammettendo astrattamente l'infinito, come abbiamo fatto noi e senza bisogno di ammetterne la realtà nel mondo esterno, può immagi- nare senza contraddirsi che costruito tutto il campo finito sull'oggetto a partire dal punto (7, l'oggetto in questo campo sia aperto, ma astrattamente la linea corrispon- dente sia chiusa. In tal caso la sua unità sensibile sarà infinitesima rispetto all'in- tera retta e di un ordine qualunque dato rispetto ad essa (teor. Ili, 19). E se am- mette che il campo sensibile sia infinitesimo di 1* ordine a partire da un punto qua- lunque di essa come origine, la retta sarà infinita di 1 ordine rispetto all'unità sen- sibile ed avrà un solo punto limite all'infinito (coroll. I, teor. Ili, 19). Se la ritenesse invece infinitamente grande di 2 ordine rispetto alla unità sensibile, allora la retta avrebbe a partire da un punto qualunque due punti limiti all'infinito di 1 ordine di- stinti nei due versi di essa a partire da un punto come origine. La stessa cosa av- verrebbe se il pensatore supponesse la intera linea infinita d'ordine n (oss. 1.19) ri- spetto all'unità sensibile dell'osservatore. Se poi ammette anche l'esistenza concreta dell'infinito secondo le ipotesi stabi- lite nell'introduzione, il che geometricamente non includerebbe contraddizione, e nep- pure è contrario all'intuizione o all'esperienza nel senso che lascia inalterate le pro- prietà del campo intuitivo (def. n, 2) ; e supponendo inoltre l'esistenza di un altro es- sere la cui unità sensibile fosse infinita di w o ordine rispetto alla nostra, quella linea rispetto a questo nuovo osservatore non sarebbe più infinita (int. e, 91; a, 86 e coroll. I, teor. Ili, 19). E se il secondo osservatore potesse senza contraddirsi sup- porre soltanto resistenza del primo, come pensatore, se valessero per esso gli stessi principi svolti nel cap. I dell' introduzione, stabilirebbe le stesse ipotesi sui segmenti finiti e infiniti. L'osservazione sull'oggetto rettilineo corrispondente alla retta non ci aiuta dunque a decidere se la retta sia aperta o chiusa. Ricorriamo ora ad altre osservazioni. Sia dato il solito oggetto rettilineo (fig. 17). Osservandolo ad occhio nudo o col microscopio, o prolungato che sia col telescopio, vediamo che ogni segmento (AAJ di esso è finito (int. def. II, 82; ri- spetto ad ogni altro segmento limitato che possiamo osser- ng-17' vare. i). i) Non dico che tutti i segmenti rappresentabili siano finiti, intorno alla parola rappresentazione si fa non poca confusione non solo per rispetto alPinflnitesimo ma altresi relativamente alle figure a più di tre dimensioni (vedi per queste ultime la pref. e specialmente la parte II). Secondo i nostri principi dell'introduzione il segmento infinitesimo, indipendentemente dai segmenti finiti, si può figurarselo come un segmento osservabile, in modo che si può applicare l'intuizione spaziale anche ai campi infinita- mente piccoli o infiniti sulla retta, e la possiamo applicare per intero in ogni campo infinitesimo o infini- to a tre dimensioni intorno ad un punto, perché per le nostre ipotesi 1-1V e per le proprietà che svol- geremo in seguito, almeno in piccola parte di essi ritroviamo le proprietà del campo delle nostre os- servazioni. Possiamo dire che non abbiamo la continuità della rappresentazione dai segmenti finiti ai segmenti infinitesimi o infiniti, e quindi che rispetto al finito l'infinito o l'infinitesimo attuale non e

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260 La figura delle rette congiungenti i punti di una retta r con un punto R fuori di essa nel campo finito intorno al punto S (oss. Ili, 23) corrispondente al- l'unità sensibile (oss. emp. I, 4) viene rappresentata in parte dagli oggetti rettili- nei che uniscono R coi punti dell'oggetto r (flg. 17). Supposto che gli oggetti retti- linei passanti per R e incontrano r, siano prolungati indefinitamente, la figura di essi può essere tutta o in parte la figura che si ottiene tracciando tutti gli oggetti rettilinei (supposti anch1 essi prolungati indefinitamente) passanti per R sul foglio di- steso del disegno. Supponiamo data o costruita sull'oggetto r debitamente prolungato una scala di unità (AA{) a partire da A in uno o nell'altro verso (int. def. I, 80). Può darsi che dopo i raggi che sul foglio incontrano la retta r a destra di A vi sia un pri- mo raggio che non la incontri, in modo che ogni altro raggio, compreso fra questo e uno qualunque dei primi sul foglio debitamente prolungato, incontri la retta r in un punto del campo della scala suddetta, (int. def. IH, 80), perché se fra i raggi che non incontrano la retta r a destra di A nel campo della scala non vi fosse un primo rag- gio, allora un raggio qualunque che incontra la retta r nel campo suddetto non po- trebbe accostarsi indefinitamente ad uno qualunque dei primi raggi (def. I, 12), il che è escluso dall'osservazione del foglio intorno al punto R. Se fosse possibile costruire nel foglio del disegno un primo oggetto rettilineo ^ passante pel punto R. il quale prolungato a destra dell1 osservatore non incontrasse l'og- getto r prolungato in un punto del campo suddetto a destra di-4, T oggetto t rj rap- presenterebbe esattamente il raggio parallelo a destra condotto da R o tutti i raggi paralleli condotti in senso assoluto da R alla retta r (def. I e II e teor. Ili, 26) *). Approssimativamente questo raggio nel disegno è rappresentato dair oggetto rìf percorso nella direzione della freccia a destra. Dico approssimativamente perché non abbiamo nessun mezzo per determinare un oggetto che corrisponda esattamente alla parallela. Invero fra l'oggetto che corrisponde al raggio parallelo e un oggetto ret- tilineo che sufficientemente prolungato incontri la retta r in un punto lontanissimo fuori del campo della nostra osservazione non si scorge sensibilmente alcuna diffe- renza sia ad occhio nudo sia cogli istrumenti di cui possiamo disporre. E nella parte ristretta del foglio del disegno il secondo oggetto sostituisce approssimativamente il raggio parallelo. E quello che diciamo pel campo del foglio del disegno vale eviden- temente anche per tutto il campo della nostra osservazione esterna, che non è tutto lo spazio intuitivo (oss. emp., 1, e nota II). Ciò che si è detto per il verso a destra di A sulla retta r, si può ripetere an- che per il verso a sinistra. Ora, non potendo tracciare sul foglio un oggetto r/ che corrisponda esattamente alla parallela da R nel verso di sinistra alla retta r, T os- servazione non ci può dire se le due rette o i raggi paralleli condotti da R alla ret- ta r coincidano o siano distinti o non esistano affatto, come accadrebbe se la retta nel campo finito fosse chiusa. Osserviamo soltanto che nel campo delle nostre osser- vazioni l'ipotesi che esistano i raggi rx e rfl e siano coincidenti, ha una grandissima approssimazione di verità, e quindi per le pratiche applicazioni questa ipotesi è da preferirsi alle altre due. Ma può darsi che se ciò ha luogo con grande approssima- zione nel campo ristretto delle nostre osservazioni ciò non abbia più luogo in un campo più vasto, come pure può essere che ogni oggetto rettilineo rl nel foglio di- steso del disegno sufficientemente prolungato abbia un punto comune coll'oggetto r nel campo finito. Siccome poi le tre ipotesi, per essere geometricamente possibili, non devono con- traddire ai dati dell' esperienza entro il campo d sservazione (vedi pref.), ciò vuoi dire rappresentabile, come non lo è del resto in tutti i suoi stati la grandezza finita che diventa più pic- cola di ogni grandezza data. (Vedi int. nota n. 105). 1) Vedremo fra poco (teor. Il, 31) che il teor. HI, 26 come i teoremi precedenti dimostrati soltanto pel punto S (ip. IV) valgono per tutti gli altri punti. Dimostreremo in seguito secondo la nostra def. i, 26 che il raggio parallelo nel sistema Euclideo è raggio limite dei raggi che incontrano la retta r a destra, il che finora non fu fatto.

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261 che in un campo piccolissimo intorno ad un punto S, ma finito e costante, devono dare i medesimi risultati, il che per lo appunto si dimostra. Ed è perciò che la prima ipotesi essendo la più semplice, essa è anche sotto que- sto aspetto da preferirsi alle altre due per le pratiche applicazioni. Quello che potrebbe essere nello spazio intuitivo (oss. emp. 1) si presenta sulla superficie di alcuni corpi, per es. sulla superficie della terra. Anche i ragazzetti sanno empiricamente che la terra ha la forma sferica, e sanno che cosa sono i meridiani, i paralleli ecc. Ebbene consideriamo tracciato sul terreno un meridiano per un pun- to del campo ristretto d'osservazione; evidentemente il meridiano si confonde in questo campo con grande approssimazione colla retta, eppure sappiamo per altra via che non è una retta. Se ora sulla terra stessa tracciamo due meridiani per due punti del luogo in cui ci troviamo, in un campo abbastanza ristretto, noi li confondiamo con due rette parallele, mentre si sa che si incontrano nei.due poli terrestri XVII)l) Def. L L'ipotesi secondo la quale vi sono due raggi paralleli che passano per un punto R di un campo finito ad una retta r del medesimo campo (def. II, 23) e giacciono sulla medesima retta (def. II, 7) si chiama ipotesi, assioma od anche postulato di Eitclide. L'ipotesi secondo la quale i due raggi sono distinti si chiama ipotesi di Lobatschewsky 2). E finalmente l'ipotesi secondo la quale la retta è chiusa, e che quindi manchino i raggi paralleli, si chiama ipotesi di Riemann. I sistemi di geometria nel campo finito di un' unità che derivano dalle ipotesi suddette cogli assiomi precedenti I - V si chiamano rispetivamente coi nomi di Euclide, di Lobatschewsky e di Riemann. Oss. IL Colle nostre ipotesi sulla geometria assoluta viene escluso il sistema di Lobatschewsky nel campo finito di ogni unità (teor. IV, 26), e sono possibili soltan- to il sistema Euclideo e il sistema di Riemann; quest'ultimo quando la retta è chiu- so in senso assoluto 3). Noi non ci occupiamo dunque di deciderci o pel sistema Euclideo o Riemanniano (e nel caso fosse reso possibile anche il sistema di Lobatschewsky nemmeno per que- sto) ma dobbiamo deciderci in senso assoluto per la retta aperta o per la retta chiusa. E sia perché la rejtta chiusa colle nostre ipotesi I-IV comprende il sistema Rieman- niano e il sistema Euclideo, sia per le applicazioni che noi faremo specialmente del primo sistema nello studio dell'ultimo, noi scegliamo la seguente ipotesi: XVII) Per giustificare invece l'assioma delle parallele che noi abbiamo dato nella nota XVI si fanno altre considerazioni empiriche, perché nella nostra defini- zione che meglio si presta per le ricerche nel solo sistema Euclideo, il raggio parallelo non appare quale raggio limite fra quelli di un fascio che incontrano e non incon- trano la retta direttrice, proprietà che sarà dimostrata più tardi (vedi def. I, 30). 1) come vedremo l'unicità della parallela da per risultato cogli altri assiomi stabiliti, che la somma degli angoli di un triangolo è uguale alla somma di due angoli retti ; mentre nella geometria sferica la somma degli angoli di un triangolo formato da circoli massimi o maggiore di due retti. Ora, in un campo ristretto d'osservazione sulla superficie terrestre la somma degli angoli di un triangolo è con grande approssimazione uguale a due retti, e quindi generalizzando questo fatto per tutta la super- ficie si concluderebbe che essa è un piano, come fu ritenuto dagli antichi. Supponendo dato il piano, e definendo la parallela come quella linea che hai suoi punti ad ugual distnzaa (normale) da una retta data nel piano, si può osservare che anche questa definizione contie- ne un assioma che è veriflcato con grande approssimazione nel campo della nostra esperienza ester- na, perché realmente estendendo questo campo può darsi che la linea suddetta non sia una retta, ma un'altra linea la quale nel campo della nostra osservazione si confonda colla retta. 2) Vedi appendice. 3} Vedi pref. e cap. in. lib. il. di questa parte.

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262 Ip. V. La retta è una linea chiusa. XVIIÌ). Def. IL II sistema assoluto che risulta dalla retta chiusa lo chiameremo sistema assoluto Riemanniano* Supposta la retta aperta in senso assoluto, se si può condurre da ogni punto fuori di essa una sola parallela si ha il sistema assòluto Euclideo. Oss. III. Colle nostre ipotesi I - V non è possibile in senso assoluto il sistema di Lobatschewsky come non lo è quello in senso relativo. Abbiamo detto altrove le ragioni (oss. li, 18) per le quali ci occuperemo soltanto del sistema assoluto in quanto serve al passaggio dal sistema dei diversi campi finiti intorno ad un punto, e spe- cialmente nel passaggio dal sistema Euclideo al sistema Riemanniano, e inversamente* f ITI. Il sistema ad una dimensione (int def. I, 62) dato dalle rette che uniscono i punti di una retta r con un punto R fuori di essa rispetto alla retta come elemento e i cui versi sono dati da quelli della retta r, si chiama fascio di rette, di cui R è il centro ed r la direttrice. Ind. Indicheremo il fascio di centro R e direttrice r col simbolo (Rr). 15. Primo assioma pràtico o postulato di Euclide Indirizzo delle ulteriori ricerche e Punita, fondamentale. 28. Oss. I. Gli assiomi e le ipotesi precedenti bastano come vedremo allo svolgi- mento della geometria dei sistemi di Euclide e di Riemann ; non bastano però per sa- pere a quale dei due sistemi corrisponde il campo delle nostre osservazioni, o in al- tre parole a quale unità della retta corrisponda T unità sensibile alla nostra osser- vazione sull'oggetto rettilineo. Tale questione non riguarda la geometria in sé, ma siccome d* altra parte la geometria ha pure per scopo principale di essere applica- bile allo studio dei corpi (def. Ili e oss. IV, 2), così decideremo la questione col se- guente assioma, che corrisponde al postulato Euclideo (def. I, 27). Ass. I pratico. Nel campo delle attuali nostre osservazioni è verifica ta con grandissima approssimazione la proprietà che per un punto si può condurre una sola parallela ad una retta data XIX). Oss. IL È in vista di questo assioma che d'ora innanzi non solo abbandoneremo il caso della retta aperta in senso assoluto, ma per la retta chiusa avremo prin- cipalmente per scopo lj trattazione del sistema Euclideo intorno ad un punto. E sebbene noi tratteremo ugualmente il sistema Riemanniano sia per la geometria in senso assoluto sia anche per svolgere le proprietà fondamentali di questo importante sistema, lo studieremo però specialmente per giovarci poi nella trattazione di quello Euclideo. Tratteremo pure del piano di Lobatschewsky nel quale avremo agio di svolgere altre considerazioni sui suddetti sistemi geometrici, ma senza che esso porti alcun contributo nel nostro libro allo studio del sistema Euclideo stesso o del sistema Rie- manniano. 1). XVIII) S'intende che dopo T assioma d'Euclide dato nella nota XVI non occor- rono le ip. I - V né coir ass. II, né coir ass. II' (nota IV). XIX) Questo paragrafo è pure inutile dopo l'assioma delle parallele della nota XVI sia coir ass. II come coir ass. II'. (Vedi pref.). i) Vedi (cap m, lib. il).

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263 Conv. Per unità fondamentale sulla retta chiusa (ìnt. def. VII, 97) consi- deriamo l'unità infinitesima di 1 ordine rispetto all'intera retta. E quando parleremo senz'altro di punti e figure del campo finito intenderemo di quello Euclideo coli'unità suddetta. Def. I. L'unità fondamentale la chiameremo unità Euclidea, e l'unità del campo infinito o Riemanniano unità Riemanniana. 16. Betta, completa, xx . 29. Def. I. Siccome nel campo Euclideo intorno ad un punto la retta non è che una parte della retta, così chiameremo tutta la retta, retta completa. Oss. I. Essendo chiusa (ip. V) la rappresenteremo con un se- gno tracciato sul foglio, come la fig. 18, senza che occorra per questo che l'oggetto suddetto abbia tutte le proprietà della retta. Def. IL Due segmenti (AB), (A' ), i cui estremi sono punti opposti (def. Ili, 6), si chiamano segmenti opposti. Teor. I. Due punti opposti sono separati da due altri punti opposti. Siano AA,, BB19 le due coppie di punti opposti sopra la retta completa. Se B è situato in una delle due parti della retta determinata dai punti A e Alt il punto B deve essere situato nella parte opposta, altrimenti i punti B e B determinerebbero sulla retta un segmento minore della metà di essa (int. def. I, 61 e d, 73). Dunque A e At sono separati da B e Bl in uno e nell'altro verso della retta (ass. II, a, ip. I, int. def. II, 62 e 23). Def. III. Due segmenti che sommati insieme danno la metà della retta completa li chiameremo segmenti supplementari. Se sono altresì consecutivi, come (AB) e (BAJ, li chiameremo adiacenti. Def. IV. Un segmento che è la quarta parte della retta lo chiameremo quadrante o segmento retto (int. ', 99. opp. a, 103). Teor. IL Due segmenti supplementari uguali sono ambidue retti. Ciò risulta immediatamente dalle definizioni III e IV. Def. V. Complementari sono quei segmenti che sommati insieme danno un segmento retto. Teor. III. Due segmenti opposti sono uguali, e sono dello stesso verso a partire da estremi opposti. Siano infatti A e AI ; B e Bl due coppie di punti opposti sulla retta AB (fig. 18). Essi dividono la retta in quattro segmenti consecutivi diretti nel me- desimo verso, cioè: (AB), (BAJ, (AM, (BA) XX) Naturalmente nel campo finito non occorre questo paragrafo, sebbene ri- manga da sapere ancora, sia coir ass. II come coir ass. II' se la retta è aperta o chiusa, e nell'ultimo caso coir ass. II, se essa è determinata o no da d ne punti opposti (vedi nota XVI).

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264 tali che (A,B) + (BA) (1) sono uguali alla metà della retta. Si ha pure che: ) (2) sono uguali alla metà della retta, e quindi confrontando (1) con (2) si ha: (AB) + (BA,) = (BA) + (AB,) (AB) + (BA,) = (B,A,) + (A,B). Ma (AB) = (BA), (BA,) = (A^), (J^A,) = (A ) (ini g, 99 o e, 104) dunque si ha: (AB^ = (BA,) = (A^ (AB) = (B1A,) = (A1B1) (int. f e g , 73). È chiaro che (AB) e (A^,) sono dello stesso verso a partire ad es. da A e da A,, perché B è situato in una metà e Bl nell'altra metà opposta determinata da A e Aj (teor. I), e quindi i quattro punti A, Alf B, Bl si seguono nell'or- dine ABA^, oppure AB^B (int. f, f, f", /"", 63 e 23). Teor. IV. Se un punto C di un segmento (AB) lo divide in modo che (ACf) sia una parte nma di (AJ5), il punto opposto C, giace nel segmento opposto (A^,) e (AjCj) è la n a parte di (A^). I punti ACBA^A si seguono nel verso in cui si seguono le lettere che li indicano. Sappiamo che A e Aj, B e B, in qualunque verso della retta de- vono separarsi (teor. I). Il punto C è situato nei segmenti (B^ACB)^ (ACBA^ e quindi C, deve essere situato nei segmenti opposti, ossia (BA^), (A^A). Non può essere situato nel primo fra B e Aly perché allora sarebbe situato nel segmento AB A, e non nel segmento opposto, dunque de.ve essere situato nel segmento (A,B,) opposto ad (AB). La seconda parte è conseguenza del teor. Ili (fig. 18). Corali. I punti medi di segmenti opposti sono opposti, (int. e, 99, opp. a, 104). Teor. V. I punti medi dei quattro segmenti consecutivi nel medesimo verso determinati da due coppie di punti opposti dividono la retta in quattro seg- menti retti. Siano A, A, ; B, B, le due coppie di punti opposti ; i segmenti consecutivi da essi determinati sono (AB), (BAJ, (A^), (^) e siano C e C, i punti medi di (AB) e (A^), D e D, quelli di (BAJ e (B,A) (ip. I e int. #, 99 o a, 103). Si ha: (CB) + (BD) = (CJ ) = (DAl) + (A^Cl) = (LCl) (1) perché (BD) = (DA1) per dato, e (CA) = (A1Cr1) = (CS) (teor. Ili); ed essendo (CB) + (BD)==(BD) + (CB) (int. e, 99, opp. , 104). Ma (CD) -f (DC,) è metà della retta, e poiché (CD) = (DC,) (l),i segmenti (CD) e (DO,) e quindi anche (Cfl,) e (D,C) sono segmenti retti (def. IV e teor. III).

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265 17. Ipotesi VI Fanti e figure opposti. 30. Oss. I. Dal teor. II del n. 14 e dal teor. VI del n. 23 risulta che sulla retta com- pleta vi possono essere coppie di punti che non deter- minano la retta, come anche può darsi che non vi sia alcuna di queste coppie. Nel secondo caso, dato un fascio (Rr) (def. I, 27) quando il punto X percorre la retta r in un dato verso e ritorna nella sua posizione primitiva (oss. II, 3 o int. 67;, la retta RX percorre l'intero fascio una sola volta, mentre nel primo caso lo percorre due volte. I due casi sono rappresentati dalle fig. 19, a e 19, rispetto ai punti d'intersezione delle rette del fascio di centro R colla direttrice r. Nella prima figura tutte le rette che passano per R si incontrano nel punto op- posto R' e incontrano la retta r in due punti opposti. È naturale che le fig. 19, a e 19, non possono essere effettivamente corrispondenti al fascio di rette, perché lo rappresentano tutto in una parte limitata del foglio vale a dire del campo delle nostre osservazioni. Teor. I. Se i punti opposti della retta deter- minano i raggi delle rette di un fascio a parti- re dal centro, essi determinano un sistema ad una dimensione semplicemente chiuso rispetto ad un raggio come elemento, e i raggi del fascio e i punti della retta direttrice si corrispondono uni- vocamente e nel medesimo ordine. Difatti quando il punto variabile X da A sulla retta direttrice r arriva al punto opposto A', la retta RX (ass. II, e ip. Ili) coincide colla retta AR ma nel verso opposto a partire da R, e quindi in tal caso i raggi delle rette del fascio costi- tuiscono pure un sistema ad una dimensione sem- plicemente chiuso, perché per ogni punto di r passa un solo raggio, e inversamente. Def. I. Un tale sistema di raggi si chiama fascio di raggi o semplicemente fascio^ di centro R e di direttrice r. I versi del fascio sono dati da quelli della direttrice. Nelle proprietà comuni del fascio di raggi col fascio di rette scambieremo anche l'uno con l'altro. Oss. IL II secondo caso si riduce al primo quando si consideri la retta r come doppia e quindi ciascun punto si riguardi come due punti distinti, in modo che quando il punto X a partire da A (fig. 19,6) percorre l'intera retta semplice r, esso occupi la posizione del punto A9, e debba percorrere ancora l'intera retta semplice per ritor- nare al punto A. Se il secondo caso soddisfa all'osservazione nel campo stesso, esso deve dar fig. 19. . flg- 19, C.

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266 luogo alla stessa flg. 19, e ; e quindi anche in questo caso il sistema di raggi deve essere un sistema semplicemente chiuso (int. def. II, 63). Bisogna dunque supporre che quando in questo caso il punto A percorre tutta la retta semplice r e ritorna in A, il raggio RA invece cada nel raggio opposto, altrimenti il sistema dei raggi si scinderebbe in due sistemi di raggi semplicemente chiusi come farebbe credere la flg. 19, 6. E se vogliamo far corrispondere in questo caso ai raggi del fascio i punti della retta r, la dobbiamo considerare come doppia. Inoltre siccome subordiniamo prin- cipalmente la considerazione dell'intera retta allo studio del sistema Euclideo (oss. II, 28) in questo campo la retta è aperta, e le due parti in cui un punto la divide non hanno alcun punto comune (coroll. I teor. Ili, 19 e conv. 28). E quindi sotto que- sto aspetto è più conveniente supporre che rispetto ali' unità infinita o Riemanniana (conv. 28) ad ogni raggio nei fascio (Rr) corrisponda un solo punto della direttrice, e reciprocamente. Se si considera invece anche il campo limite all'infinito del campo finito Eu- clideo, il primo caso si riduce al secondo rispetto ali' unità Euclidea, perché la retta rispetto a questa unità ha un solo punto all'infinito (teor. Ili, 23 e conv. 28). Siamo dunque giustificati nell'ammettere la seguente ipotesi: Ip. VL Sulla retta vi sono coppie di punti, che non la deter- minano. Oss. III. Questa ipotesi per il sistema Euclideo è più una convenzione che un'ipotesi, perché anche il secondo caso rispetto ad esso da i medesimi risultati. In senso assoluto è però una vera ipotesi. Teor. IL Nella retta completa due punti opposti e soltanto due punti op- posti non determinano la retta (ip. VI, teor. II, 14 e teor. VI, 23). Coroll. L Due rette che si incontrano in un punto si incontrano nel punto ad esso opposto (teor. VI, 4, oss. II, 22). Def. I. Ad ogni punto X corrisponde un punto X' che è opposto a X in tutte le rette che contengono X (coroll. I, teor. II). I punti X e X' si ehi m uo punti opposti indipendentemente dalle rette in cui sono situati. Figure determinate da punti opposti (def. I, 2) si chiamano figure opposte. Teor. III. Due figure opposte sono uguali. Difatti scelti due punti X e Y e i punti corrispondenti opposti X' e Y' si ha (XY)E=(X'Y') (teor. Ili, 29 e teor. IV, 11). Oss. IV. Al n. 6 abbiamo veduto che due punti A e B sulla retta determinano due segmenti in generale uno minore dell'altro. Ma non potevamo parlare allora di segmenti e di distanze determinate da due punti qualunque (nello spazio generale (def. I, 2)), poiché non sapevamo ancora come si comportano i segmenti che hanno due estre- mi comuni. Ora dunque completando l'oss. I, 11, possiamo dire che due punti se non sono opposti determinano un solo segmento, intendendo il minore sulla retta da essi determinata, e perciò una sola distanza. E se i due punti non determinano la retta essi hanno una sola distanza, perché ogni retta passante per essi viene divisa da essi in parti uguali. L'uguaglianza delle distanze in due segmenti ci da la loro uguaglianza, e quindi se (AB} e C^i^i) sono le distanze fra i punti A e JB, Al e BI e si ha (AB) = (A^), si ha pure pei segmenti (AB)^(A1B1) (teor. I, 5 e teor. 1,8) XXI). XXI) La proprietà che il raggio può esser considerato come elemento del fascio, e che rispetto al raggio come elemento il fascio è pure un sistema semplicemente

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267 18. Rette i cui punti determinano segmenti Tetti con un punto. L'ipotesi IV vale per ogni punto (dello spazio generale) xxii). 31. Teor. I. La retta congiungente due punti non opposti che determinano ciascuno un segmento retto con un punto A qualunque, ha tutti i suoi punti equidistanti dal punto A. Siano X e Y i due punti dati non opposti che determinano una retta r (teor. VI, 23). Non essendo punti opposti determinano in r un segmento (XY) (def. II, 6), il quale ha in rw un segmento opposto uguale (X'T) (teor. Ili, 29). Dico che ogni punto Z della retta r è equidistante in senso assoluto da A. Supponiamo dapprima che Z sia interno al segmento (XY). Al punto Z è opposto un punto Z1 situato nel segmento; (X'T) e a distanze da X' e Y' uguali a quelle del punto Z da X e Y (teor. Ili, 29), e la retta ZA passa pel punto Z' (coroll. I, teor. II, 30). I due trian- goli AXY9 AX'T sono identici (ip. Ili e teor. Ili, 17), e quindi essendo Z e Z' due punti corrispondenti si ha : (AZ)==(AZ') (teor. II, 15) oppure perché i dne triangoli AYZ, AY'Z* sono uguali per avere due lati e la coppia da essi compresa uguale (teor. Ili, 16), e perciò deve essere La stessa cosa accade se il punto Z è fuori -del segmento (XY) nella ret- ta r. Dunque ecc. Ter. IL L'ip. IV vale per ogni punto (dello spazio generale). Scelto un punto A qualunque, esso appartiene ad un campo finito del pun- to S al quale ci 'siamo finora sempre riferiti (oss. Ili, 23). Vi sono rette passanti per A le quali rispetto alF unità del campo finito suddetto ed anche alle unità infinite se esistono (teor. Ili, 19), sono distinte (teor. IV, 23). Due rette r e r passanti per A, distinte rispetto all'unità di un cam- po qualunque intorno ad A, lo sono in senso assoluto anche se in un campo infinitesimo o infinito intorno ad A fossero coincidenti rispetto all'unità di que- sto campo (oss. I, 22). Scelti due punti X e Y che determinano ciascuno un segmento retto con A sulle rette r e rly la retta XY ha tutti i punti equidistanti da A (teor. I). Ora per 5 facciamo passare una retta r' e per un punto X* in r', che deter- mina con S un segmento retto, si consideri una retta s* che abbia i suoi punti equidistanti dal punto S, il che è possibile (ip. IV e teor. I). Scelto poi chiuso, e per conseguenza ogni retta del fascio lo divide in due parti, deriva dalla proprietà che la retta è aperta nel sistema Euclideo, come sarà dimostrato in una nota del n. 46. XXII). Va pure escluso. Vedi oss. Ili, 2.

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268 in s un segmento (X'Y) = (XY), i due triangoli XAY, X*SY' sono identici per avere i tre lati uguali (ip. Ili e teor. Ili 17), dunque le due coppie di rette XAY, X'SY' (def. I, 16) sono identiche. Ad ogni coppia dunque di rette r e r^ di vertice A (def. I, 16) si può far corrispondere una coppia di rette di vertice S uguale alla prima in sen- so assoluto. Ma siccome due rette distinte qualunque passanti per S sono distinte in ogni campo infinitesimo o infinito intorno ad S (ip. IV), la stessa proprietà ha luogo pure per le rette r e ^ (teor* II, 15). Oss. Per questo teorema noi possiamo riferirci ai campi intorno ad ogni punto (dello spazio generale) e intorno ai quali valgono tutti gli assiomi e le ipotesi stabilite e quindi anche le proprietà che ne derivano; per conseguenza valgono anche per un punto qnalunque A il teor. VII col coroll. del n, 23; i teor. I, II, III del n. 24, il teor. Ili e IV del n. 26. Però fintantoché tratteremo del sistema Euclideo intenderemo di riferirci al campo intorno ad un punto qualunque. 19. Rette e raggi paralleli assoluti e relativi Campo limite assoluto intorno ad un punto del campo unito Euclideo xxni). 32. Oss. I. Consideriamo di nuovo il campo Euclideo intorno al punto A (oss. 31, conv. 28;, ed una retta r o X'^AX^* Se scegliamo su questa retta un punto X^ che non appartenga al campo finito Euclideo intorno al punto opposto A* di A, que- sto deve determinare con un punto B qualunque del campo finito intorno ad A una retta (teor. VI, 23). Le rette che congiungono un punto B con tutti i punti all'infi- nito della retta r, tranne i punti opposti di A e dei punti del campo finito di A\ coincidono in una sola retta rispetto all'unità del campo finito (teor. Ili e IV, 26 conv. 28 e oss. 31) e sono parallele alla retta r (def. II, 26). Def. I. Chiameremo le rette parallele suddette parallele relative. Oss. IL Una retta parallela relativa passante per B,incontra la retta r in due punti determinati X^ X'* in versi opposti a partire da -4, che sono in senso asso- soluto punti opposti sulla retta completa (coroll. teor. II, 30). I punti X^ e X*M de- vono essere separati dai punti opposti A e A' (teor. I, 29). Una metà della retta de- terminata dai due punti X^ e X'^ contiene il punto ,4, ed è quella situata in parte nel campo finito intorno ad A. Non è però detto che A sia punto medio del segmento (XMX'J. Def. IL La retta parallela che da un punto B nel campo Euclideo si può condurre ad una retta r, passante per un punto A e che incontra la retta r in due punti XM, X'n determinati ad ugual distanza del punto A in senso assoluto, e quindi anche rispetto all'unità infinita (conv. 28 e teor. II, 30) si chiama parallela assoluta. I punti X^ e X'^ li chiameremo punti limiti assoluti della retta r rispetto al punto A. Coroll. L Le rette parallele assolute condotte dai punti di una parallela assoluta ad una retta data rispetto ad un suo punto, coincidono rispetto al- l'unità finita e infinita. Ciò deriva immediatamente dalla definizione (teor. I, 24 e oss. 31). XXIII) Anche questo paragrafo, nel solo campo finito, va tralasciato.

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Teor. I. Ad ogni punto di una retta r nel campo finito corrisponde una parallela assoluta diversa, condotta da un medesimo punto B alla retta r. Ciò deriva immediatamente dalla precedente definizione, perché scegliendo un altro punto A, anche infinitamente vicino ad A, i due punti limiti asso- luti sono diversi in senso assoluto (ass. II, o, ip. I, int. def. I, 61 e d, 73). Corali. L Una retta r passante per A non è in generale parallela asso- soluta alla parallela assoluta condotta da un punto B alla retta r. Difatti perché lo fosse, bisognerebbe che i punti limiti assoluti rispetto ad A in r lo fossero anche rispetto ad 'B9 ciò che in generale non è. Def. III. Il raggio determinato da un punto limite assoluto di A sulla retta r, per. es. X , e dal punto B (def. I, 7), si chiama raggio parallelo as- soluto al raggio (AX^) a partire da A. Coroll. IL In un raggio un punto e il suo punto limite assoluto sono estremi di un segmento retto. Difatti essendo (X^X'J metà della retta e A il suo punto medio (def. Il) (AXJ e (AX'J sono segmenti retti (def. IV, 29, ip. I e int. ', 99 e a, 103). Teor. IL Rispetto ali9 unità finita e infinita (Euclidea e Riemanniana) le parallele assolute condotte da ogni punto B ad una retta coincidono. Coincidono pure rispetto alle stesse unità le parallele assolute condotte dai punti di ima retta r ad una retta ad essa parallela assoluta, colla retta r stessa. Non soltanto coincidono le parallele assolute condotte da un punto B alla retta r rispetto ai suoi punti del campo finito, ma tutte le parallele relative (def. II e I; teor. IV, 24, conv. 28 e oss. 31). E dalla prima parte del teorema deriva anche la seconda, perché se XM AX'n è la retta r, X^BX'^ la parallela assoluta rispetto al punto A (def. II) la XaoAXf(K è parallella relativa alla retta XJBXm (def. I, teor. Ili e IV, 26 e oss. 31). E per ciò, scelto un punto A' di r, la retta r è parallela relativa rispetto alla retta X^BX1^ e siccome tutte le parallele relative condotte da A' alla retta X^BX'^ fra lem quali vi è anche la parallela assoluta rispetto ad un punto qua- lunque del campo finito di X^BX** coincidono in una sola, cioè nella retta r (def. I; teor. Ili, IV, 26 e oss. 31), così il teor. è dimostrato. Coroll. L Rispetto ali' unità finita e infinita i raggi paralleli assoluti con- dótti da un punto ad un raggio dato coincidono. Coincidono pure rispetto alle stesse unità i raggi paralleli assoluti con- dotti dai punti di un raggio ad un altro raggio ad esso parallelo assoluto, col raggio stesso (def. Ili e teor. II). Def. IV. Chiamiamo campo limite assoluto del campo Euclideo intorno ad ogni punto X del campo finito quello dato da tutti i punti limiti assoluti delle rette passanti per il punto Xj che sono distinte rispetto all'unità finita e infi- nita (teor. IV, 23 e teor. n, 31). Teor. III. Due punti limiti assoluti di un punto X, e non opposti, determi- nano una retta situata tutta nel campo limite assoluto di X. Ciò è un'altra forma del teor. II del n. 31 mediante la def. IV. Teor. IV. I campi limiti assoluti di due punti qualunque del campo fi- nito non coincidono in senso assoluto; coincidono però relativamente ali9 unità finita e infinita.

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270 Difatti se X^ è un punto limite assoluto di un punto -4, (AX ) è un seg- mento retto. Se B è un punto del campo finito, (BX*) non è in generale un segmento retto in senso assoluto (coroìl. I, teor. I), ma rispetto all'unità fi- nita e infinita si ha (AXJ^= (BX ) (int. i, 85 e ', 91 ; teor. Ili, 22). 20. Raggi e segmenti paralleli dello stesso verso o di verso opposto xxiv). 33. Def. I. Un punto del campo limite assoluto Xw di un punto A deter- mina con A un segmento retto, e due punti opposti di questo campo due seg- menti retti con un estremo comune in A (def. II, 32). Chiameremo questi due segmenti lati o parti opposte della retta r intorno al punto A rispetto al campo Euclideo. Oss. I. I lati opposti nel campo Euclideo si possono anche considerare. come raggi limitati dai punti limiti e dal punto A rispetto all'unità di questo campo (co- roll. teor. HI, 19). Teor. I. Ogni punto X^ limite assoluto di A determina con ogni punto del campo finito un solo raggio, e quindi un verso sulla retta determinata da X^ e dal punto dato a partire da questo punto. Sia B il punto dato che può coincidere anche con A. Il punto Xw deter- mina con B un segmento minore della metà della retta, perché rispetto al- l'unità infinita si ha (AX*) = (BXM) (teor. Ili, 22), e quindi in senso assoluto differiscono al più di un segmento infinitesimo rispetto all'unità infinita, che è finita rispetto alla retta completa (def. I, 29 e conv. 28). Ed essendo determinato così un solo segmento sulla retta BXW (def. II, 6) è determinato anche il verso di esso a partire da B (int. ind. I, 64 e ip. I). Coroìl. I. Possiamo dire che due raggi aventi lo stesso punto limite asso- luto ali9 infinito hanno lo stesso verso (direzione) rispetto ali9 unità finita. Difatti il verso di un raggio determina il punto limite assoluto rispetto all'unità finita (teor. IV, 32), e poiché i due raggi hanno lo stesso punto li- mite assoluto, i loro versi determinano il medesimo punto all'infinito; riguardo alla determinazione di questo punto possono dunque sostituirsi uno all'altro, (int. def. VI, 8 e def. I, i ) e so^ questo rispetto i due versi sono uguali; o in altre parole possiamo dire che i due raggi hanno lo stesso verso o la stessa direzione *). Def. IL Diremo che due raggi i quali soddisfano al corollario precedente, hanno lo stesso verso. XXIV) Questo paragrafo nel solo campo finito non va trattato a questo modo, e la definizione di raggi o di segmenti dello stesso verso o di versi opposti può es- ser data qui in conformità alla nota XVI o al posto indicato dalla prima nota del a- 52f 1) vedi int. nota n. 9.

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271 Caroli. IL Dite raggi dello stesso verso con un ferzo raggio sono dello stesso verso fra loro Perché i tre raggi e quindi anche il primo e il secondo hanno lo stesso punto limite assoluto all'infinito rispetto ali1 unità finita. (Opp. coroll. I e int. e, 8). Coroll. III. I due raggi paralleli assoluti (e quindi anche relativi) con- dotti da un punto ad una retta sono di verso opposto. Perché due punti limiti assoluti opposti determinano con un punto B del campo finito due segmenti che a partire da B sono di verso opposto (teor. I; int. def. II, 62, f, 63 e coroll. I, teor. II, 32). Coroll. IV. Possiamo dire che due raggi a e a' che hanno punti limiti as- soluti all'infinito opposti sono di verso opposto. Difatti ciò è chiaro se sono sulla medesima retta (coroll. III). Se sono in rette diverse, indicando con al il raggio opposto di a e in li- nea retta con a, a e a^ sono di verso opposto (coroll. III). Ma d e a3 sono dello stesso verso (coroll. I e def. II), vale a dire nella determinazione del verso possiamo sostituire a ad a^ e poiché a e a^ sono di verso opposto, possiamo dire che a e a' sono pure di verso opposto. Def. III. Due raggi che soddisfano alla condizione del corollario IV di- remo che sono di verso opposto. D'ora innanzi intenderemo per raggi di una retta a partire da un punto del campo finito di essa in senso assoluto e rispetto ali' unità infinita le metà della retta completa (de I, 29) fino al punto opposto A'; mentre pel campo Euclideo li supporremo limitati ai loro punti limiti assoluti i quali, pei punti del loro campo finito rispetto all'unità finita e infinita, coincidono (teor. IV, 32). Oss. ITI. Dato un segmento (AB) sopra una retta il suo verso nel campo finito è pienameute determinato, come anche nella retta completa, perché A e B determi- nano due segmenti uno dei quali (AB) è infinitesimo rispetto all'altro; e conside- rando, come abbiamo stabilito al n. 6 come segmento dei punti A e B il minore, quando non c'è bisogno di tener conto anche del maggiore, il verso di (AB) è pie- namente determinato a partire da A (int. ind. I, 64). Coroll. V. Rispetto al verso, due segmenti (AB), (A'JB1) che appartengono a due raggi paralleli e determinano in essi lo stesso verso, sono uguali (hanno lo stesso verso). Perché possono sostituirsi in questa determinazione l'uno all'altro, e quindi sono uguali (int. def. VI e VII, 8 e def. 1,9) ; ma siccome la determina- zione del verso sui raggi che li contengono avviene mediante il solo verso di essi, così essi hanno versi uguali, ossia lo stesso verso. Coroll. VI. Se due segmenti (AB) e (A'B1) appartengono a raggi paralleli, e a partire da A e A' determinano versi opposti, essi sono di verso opposto. Perché determinano raggi di versi opposti, e questi versi sono anche quelli dei due segmenti dati (int. f", 63).

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272 21. Figure uguali in senso assoluto e relativo X*V). 34. Teor. L I punti ali9 infinito di due figure uguali si corrispondono fra '.oro in modo che la distanza di due punti qualunque ali9 in finito è uguale alla distanza dei due punti corrispondenti dell'altra in senso assoluto. Difatti scelti due punti A e A' corrispondenti delle due figure nel cam- po finito e un punto X^ della prima, al segmento (AX^) (o ai segmenti (AX^) nel caso che Xw sia opposto ad A (def. I, 30)) deve corrispondere un segmento (A'X'n) infinito della seconda, perché in due figure uguali i segmenti corrispon- denti sono ugnali in senso assoluto (teor, II, 15 e int. def. Ili, 9), e quindi al punto X^ all'infinito della prima corrisponde un punto X' all'infinito della seconda. E se X^ e Y* sono due punti della prima, A"w e Yn i punti corri- spondenti della seconda si deve avere (Xsoyao) = (X'ODl?'w). Se Xw Y^ sono punti opposti, lo sono pure i punti X*ott, Y^, e in tal caso per sapere quale dei due segmenti determinati da queste due coppie di' punti sopra due rette si corrispondono, osserviamo che queste due rette devono essere determinate da due punti corrispondenti e che quindi i segmenti che conten- gono questi punti si corrispondono. Oss. L Un triangolo di cai un vertice è nel campo finito e gli altri due nel cam- po limite assoluto del primo è isoscele (def. HI, 9 e def. IH, 32). Un triangolo di cai due vertici sono in un campo limite assoluto e l'altro nel campo finito è isoscele rispetto air unità finita e infinita (def. Ili, 9 e teor. IV, 32). Teor. IL Due triangoli, i cui vertici sono situati in un campo qualunque finito e i cui lati sono uguali rispetto alV unità finita, possono ritenersi uguali in senso assoluto, se non è stabilito che i loro lati differiscono di segmenti infinitesimi. Siano BCD, B'CJJ i due triangoli. Se i lati dei due triangoli sono uguali in senso assoluto sappiamo già che sono identici (teor, III, 17 e ip. Ili e int. def. Ili, 9). Se sono uguali rispetto ali' unità finita possono differire in senso assoluto di un infinitesimo (int. b', 91). Supponiamo che ciò abhia luogo fra i due lati (BC), (B'Cf) corrispondenti nella corrispondenza d'identità (oss. Ili, 15), e sia B" il punto nel verso di ( C*) tale che (BC)~(ffC") (int. ', 69 e ass. II, ip. I). Ma il segmento (tìC") si confonde rispetto all'unità finita col seg- mento (D'C?) (teor. Ili, 22); e inversamente il segmento (UC?) passando dal re- lativo all'assoluto si può ritenere coincidente col segmento (I/C') in quanto che questi due segmenti coincidono rispetto ali' unità finita, se non è però sta- bilito che (D'Cf) sia distinto da (D'C"). Ciò che vale per due lati corrispondenti valendo anche per gli altri, il teor. è dimostrato. Oss. II. Un triangolo di cui uno o due vertici sono in senso assoluto alP infi- nito (conv. 28) ad es. BCA^ oppure AB^C^, non è un triangolo proprio del campo XXV). Anche questo paragrafo va escluso, rimanendo nel solo campo finito di un'unità.

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273 fluito, considerando questo campo indipendentemente dall'infinito. Nel secondo caso abbiamo nel campo finito una coppia di rette col vertice in quello del triangolo si- tuato nel campo finito, cioè A. Nel primo caso abbiamo invece due raggi paralleli limitati a due punti del campo finito. In questi casi, per l'uguaglianza di due triangoli relativa all'unità finita, non si può quindi applicare il teor. Ili del n. 17 che riguarda, triangoli aventi i vertici nel campo finito, e volendo parlare anche nei casi suddetti di uguaglianza dei triangoli bisogna che dall'uguaglianza di essi risulti l'uguaglianza delle loro coppie di rette (coroll. teor. Ili, 17). Ora questa uguaglianza si otterrà se saranno uguali i due trian- goli che si confrontano anche soltanto rispetto all'unità infinita, perché potendoli considerare in tal caso come uguali in senso assoluto (teor. II), le coppie suddette saranno uguali relativamente all'unità finita. Se i due triangoli non possono ritenersi uguali in senso assoluto, allora non si può più parlare in tal caso di uguaglianza rispetto ali1 unità finita. Teor. III. Due triangoli aventi due vertici in un campo limite assoluto e V altro nel campo finito sono uguali relativamente alV unità finita e infinita, e sono uguali in senso assoluto se i punti aW infinito sono punti limiti assoluti dei rimanenti vertici. Siano BX^Y^, CX^Y^ i due triangoli e i punti XM, Y^ siano punti limiti assoluti di B (def. II, 32). 11 triangolo BX^Y^ è isoscele in senso assoluto, e in senso relativo all'unità finita ed infinita (oss. I); dunque si hai (BXJ = (CTJ, (BYJ == (Crw) (teor. IV, 32). e queste relazioni sussistono in senso assoluto se X^ e YM sono punti limiti assoluti anche del punto C; e perciò i due triangoli sono uguali nel primo caso relativamente all'unità infinita e quindi anche all'unità finita (oss. II); nel secondo caso sono eziandio uguali in senso assoluto (teor. Ili, 17 e ip. III). Teor. IV. Se X^ e X'^ ; Y e Y'^ sono coppie di punti opposti limiti asso- luti, i due triangoli BX^Y^, BX'^Y'^ o sono uguali in senso assoluto, oppure lo sono relativamente all'unità infinita e finita. Supponiamo che X^ e X'^ siano punti limiti assoluti del punto B, Y e Y'oo di un altro punto C. In generale non si ha in senso assoluto la relazione (BY^^iCY^), le perciò anche non si ha in generale (BYJ^(BY^)9 pure es- sendo (BX^) =(CFW) (coroll. II, teor. I, 32); relazioni che valgono invece rela- tivamente ali' unità infinita e finita (teor. IV, 32). Il teorema è dunque dimostrato (teor. Ili, 17 e oss. II). Teor. V. Due triangoli i cui lati sono uguali rispetto alV unità finita, non possono ritenersi sempre uguali in senso assoluto se uno o due dei loro ver- tici sono all'infinito. E nel primo caso non si possono sempre ritenere neppure uguali in senso assoluto se i loro lati sono uguali rispetto alT unità infinita. Difatti siano dati due punti C e C* ad ugual distan- J}_____ za da un punto B e la distanza (OC) sia finita (teor. IV, 23 e oss. 31). Conduciamo da B la parallela a CC*, e con- ^ sideriamo il punto all'infinito A^ delle due rette. Rispet- to all'unità finita ed anche infinita i lati dei due trian- goli A^BC, A BC' sono uguali, cioè (BA^) comuneì(BC) fig 21 = (BC')9 (CA^ ^AJ-, ma in senso assoluto (CAM) non è uguale a (CA^) (int. def. I, 61) e perciò i due triangoli non sono identici, 18 ___ 7\

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274 e quindi nemmeno le coppie rettilinee BCA^ BCfA^ (def, I, 16 e teor. Ili, 16). Essendo A'^ il punto opposto di Awì i due triangoli A'^BC, A^BC hanno i lati uguali, come anche i triangoli A'MBC, A^BC e i triangoli A'^BC, A'^BC relativamente all'unità finita e infinita. Se queste condizioni ci dessero l'u- guaglianza dei triangoli, il triangolo A'MBC sarebbe uguale ai triangoli A^BC A^BC? che non sono uguali come abbiamo dimostrato. Per l'ultima parte del teorema osserviamo che rispetto all'unità infinita i due lati BA^ CA^ coincidono (teor. Ili, 22), e quindi non si ha più un trian- golo, e non è applicabile ai due triangoli A^BC, A'mBC il teorema II, e quindi neppure il teor. Ili, 17, e perciò i due triangoli non sono in generale uguali nemmeno rispetto all'unità infinita (oss. II). Soltanto quando i lati corrispondenti infiniti sono uguali in senso assoluto i due triangoli sono uguali. Oss. III. Nelle relazioni di identità dei triangoli nel campo Euclideo considere- rao soltanto quelli che secondo il teor. II, hanno i loro vertici nel campo finito, ai quali in ogni caso è applicabile il teor. Ili, 17, sempre che non si dica diversamente. 22. Segmenti congruenti e simmetrici sulla retta, Sistemi continui di figure qualunque invariabili (nello spazio generale) Siste- mi continui di segmenti invariabili sulla retta xxvi). 35. Def. I. Due segmenti di una medesima retta uguali e diretti nello stesso verso della retta (int. f", 63) si chiamano congruenti; se sono di verso oppo- sto si dicono simmetrici J). Def. IL Se due segmenti simmetrici hanno un punto comune si dice che sono simmetrici rispetto a questo punto, e che gli altri estremi dei due seg- menti sono simmetrici rispetto allo stesso punto. Teor. 1. Due segmenti congruenti che hanno due punti corrispondenti co- muni coincidono. Stabilita la corrispondenza d'identità fra i due segmenti (AB) e (A'B) con- gruenti (def. I), e se X è un punto di (AB) che coincide col punto corrispon- dente X' di (A'#), si deve avere (A.Y) = (A'X), ciò che non è possibibe per essere (AX) e (A'X) dello stesso verso (coroll. II, teor. III. 4), se A e A1 sono di- stinti (ini def. I, 61 e d, 73). Dunque A e A' in tal caso coincidono e quindi anche per la stessa ragione B e ff. Teor. IL Punti corrispondenti di due segmenti congruenti sono estremi di segmenti congruenti. Siano (AB) e (AB') i due segmenti congruenti. Può darsi che A' appar- tenga al segmento (AB) o sia fuori nel prolungamento di (AB), da A verso XXVI) Questo paragrafo con qualche modificazione al n. 36 può andare tale qua- le pel solo campo finito sia coll'ass. II, come coH'ass. li', i) Vedi int. oss. i, ili.

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275 B (ini 66); il caso in cui A è fuori di (AB) nel prolungamento opposto si ri- duce ai primi due casi scambiando (AB) con (Aff). Non può essere che l'uno sia contenuto nell'altro (ini d, 73; e, 61). Essendo X e X* elementi corrispondenti qualunque dei due segmenti nella loro corrispondenza d'identità (oss. Ili, 15), nel primo caso Telemento X appartiene o al segmento (AA1) o al segmento (AB). Se è compreso in (AA') si ha (AX) + (XA) == (AA1), (XA') -f (A'X1) = (XX') (AX*)+ (XA) =É(XX') (ass. II, a o ip. I, ini e, 99 o a, 104); ma (AX) = (A'X*), dunque (AA1) = (XX) (ini e, 68). Se invece X, nel caso considerato, è com- preso in (AB) si ha: (A A') + (A'X) = (AX) + (A A') E= (AX), (A'X) + (XX*) =5 (A'X') perché, essendo (AXt) = (AX) e X compreso fra A e B, si ha (A'XX(A'X') (ini def. I e II, 61), dunque (AA')=(XX') (ini /", 73). Finalmente se A1 è fuori di (AB) e nel prolungamento di (AB) da A verso B, si ha: (AX) + (XA') = (AA(), (XA') + (A'X') = (A'X') -f (XA') = (XX') ma (AX) = (A'X), dunque (AA') = (XX') (ini g, 73). In ogni caso (AA') e (XX*) sono dello stesso verso ; il teorema è dunque dimostrato. 36. Oss. emp. Ogni sistema ad una dimensione descritto da un punto materiale che si muove nel campo della nostra osservazione esterna è ciò che si chiama una linea materiale, e se si fa astrazione dalla sua grossezza badando al luogo da essa occupato si ha una linea intuitiva. Noi vediamo che una tal linea è un sistema ordinato di punti di cui è dato l'ordine, come ad es. l'oggetto della flg. 22, e che scelto un segmento (AB) della linea si può scomporre in segmenti (AA'), (A1 A")... consecutivi arbitrariamente piccoli e tali che i segmenti rettilinei (AAr), (A'A") ecc, sono piccoli quanto si vuole, e inversamente. Scegliendo dei punti A A A" vicinissimi nell'ordine della linea noi vediamo che i tratti rettilinei (AA'), (A'A") ecc. si confondono materialmente, cioè con grandissima approssima- flg. n zione coi segmenti della linea compresi tra gli stessi punti, e che perciò la linea materiale può essere sostituita con grande approssimazione da una linea composta di tanti tratti rettilinei (linea poligonale), i cui tratti (lati) sono sufficientemente piccoli. Rileviamo inoltre l'altra particolarità di queste linee, e cioè che quando (AA) è prolungato nel verso da A ad A' e si sceglie su di esso un tratto (A1 X) = (A'F), es- sendo Y un punto qualunque del raggio A A" da A' verso A"f quando A" si avvicina sufficientemente ad A", Xe Fsi confondono con grande approssimazione. Diamo quindi la seguente definizione: Def. I. Dato un sistema di punti ad una dimensione (def. I, 3) tale: 1. che contenga tutti i suoi punti limiti, e il segmento rettilineo deter- minato dagli estremi di un suo segmento quanto piccolo si vuole con un estre- mo in un punto qualunque del sistema (oss. I, 13) è piccolo quanto si vuole; 2. che ogni segmento (AB) di esso si componga di segmenti consecutivi ; piccoli quanto si vuole;

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276 il sistema si chiama linea XXVII) 1). Oss. I. Dalla 1* proprietà risulta che ogni punto limite sulla linea è tale anche nello spazio generale (def. II, 12), e dalla 2* proprietà risulta ancora che ogni punto che non è estremo per essa è punto limite di due serie di segmenti l'una sempre crescente, l'altra sempre decrescente a partire da un altro punto della linea. Oss. II. Non ci preoccupiamo di vedere se ogni sistema ad una dimensione che si chiama linea, sia compreso o no nella nostra definizione 2). Osserviamo soltanto che la linea materiale che può essere sostituita da una linea a tratti rettilinei, per la proprietà della retta che soddisfa alla def. I (teor. V. 10 e int. ci, 95) è compresa nella def. I suddetta. Non indaghiamo neppure se ogni linea o un segmento di essa che soddisfa alla def. I sia rappresentabile o no con tutte le sue proprietà da una linea intuitiva (oss. emp.), perché ciò non occorre per le nostre ricerche 3). La linea semplice soddisfa pure alla def. I come risulta dalla def. I e dal teor. VII, 13. Oss III, Non diamo la def. della linea intuitiva perché in fondo non ne abbiamo bisogno per le nostre ricerche e d'altronde essa è compresa nella def. suddetta. Def. IL Date più linee o segmenti di linee (def. I) (A) = ....AAT..,. -4m...., (B) = ...B...B}...By...Bm....y (C) E= ...a..Cl...C2...O, (X^X...^...^...*,*... ecc. in modo che i punti delle serie di esse (def. I e int. def. 1,62) si corrispondano univocamente e nel medesimo ordine (int. def. Ili, 42), non escluso però il caso che alcuni o tutti i punti di una o più serie coincidano, e che i punti di una o più serie coprano più volte una medesima linea o segmento di linea; il sistema di figure ...ABCD...X..., A^C^.X^.. ecc. si chiama sistema continuo di figure ad una dimensione. Le figure ...ABCD...X..., A^C^.X^.. si dicono consecutive, se AA19 BBÌ ecc. sono punti consecutivi delle linee (A), (B) ecc., essendo punti consecutivi AA quelli pei quali (AAJ diventa più piccolo di ogni segmento dato della linea (A). Le linee o segmenti di linea dati si chiamano linee dei punti corrispon- denti delle figure del sistema; le quali, per ciò che si è detto, possono ridursi anche ad un solo punto, oppure possono coprire più volte una stessa linea o uno stesso segmento di linea. Def. III. Se la corrispondenza fra i punti di due figure qualunque del sistema ad es. ...ABC...X..., ...A^C^.X^... è una corrispondenza d'identità (oas. IH, 15) e le parti corrispondenti delle due figure in questa corrispondenza sono pure corrispondenti nella corrispondenza del sistema continuo, chiama- remo questo sistema sistema continuo ad una dimensione di figure invariabili (vedi più sotto oss. II). XXVII) Rimanendo nel solo campo finito, valendo sempre l'ass. V d'Archimede fra i segmenti rettilinei è inutile parlare di campo finito e di unità finita, lo si intende tacitamente. 1) Non ci occorre di dare la def. di linea in senso assoluto. 2) Come abbiamo detto più volte non ci preoccupiamo di dare delle definizioni generali che val- gano in ogni caso (vedi ad es. i'int. nota, 4), ma definizioni che servano nei casi che noi consideriamo e che comprendano gli enti già chiamati collo stesso nome. 3) Se si ha una funzione continua qualunque y = f (or) nell'intervallo (ab) (vedi ad es. Dini 1. e. pag, 35-37 e 46} rappresentando questa funzione nel piano Euclideo (#y), vediamo ohe tutti i punti determinati dalla y considerati nell'ordine dei valori corrispondenti di x nell'intervallo (ab] determi- nano un segmento (AB) di un sistema ad una dimensione di punti che soddisfa alla def. i. Ma la y può anche non ammettere in tutti i punti la derivata e quindi la linea cosi ottenuta non ammettere la tangente come la linea intuitiva (Dini 1. e. pag. 67); ed anche se l'ammette perché sia rappresenta- bile con una linea intuitiva occorre che la serie delle tangenti sia pure continua (oss. emp.}.

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277 t)ef. IV. Se i gruppi ordinati (A), (B) della def. Ili sono situati in una retta e se i segmenti fra le coppie di punti corrispondenti sono uguali, (AB) = (A^) ecc., il sistema si chiama sistema continuo di segmenti invariabili sul- la retta. Oss. IV. Noi avremo da occuparci principalmente dei sistemi continui di figure invariabili. Si può avere un sistema continuo di segmenti (def. II). (AB),(A^) ecc. senza però che i segmenti delle coppie di punti corrispondenti siano uguali. Ciò suc- cede ad es. se nel segmento (AB) vi è un punto X nel quale coincidono tutti i punti del gruppo (X) (def. II). Se Al è compreso in (AX) Bl dovrà essere fuori del seg- mento (XB) nel verso di (AB), e tale che (AB) = (^#1) (coroll. I, teor. Ili, 4; int def. I, 61 e d, 73). Ma in tal caso non è (AX)^ (A1X1)^(A1X) e neppure (XB)~(XBÌ) i). Oss. V. Badiamo che le definizioni di questo numero sono subordinate alla esi- stenza delle figure definite, e che noi dimostreremo per ogni spazio particolare di cui ci occuperemo. Nello spazio generale mediante i teor. del n. 16 e 17 e il teor. II, del n. 31 e il teor. IV del n. 12 possiamo costruire di tali sistemi. Teor. I. In ogni sistema continuo di segmenti invariabili sulla retta, i segmenti sono congruenti. Siano (AB), (A^) due segmenti qualunque del sistema e quindi uguali (def. IV). È da osservare intanto che ad ogni punto Al del segmento (AB) non può corrispondere nel sistema un punto B1 dello stesso segmento, perché non sarebbe (AB)=(A1B1) (ass. II, a e int. def. I, 61; d, 73). 1) Supponiamo dapprima, essendo Aì interno ad (AB), che (A^,) sia diretto nel verso opposto. Il punto Bl dovrà essere flg 23 0 B1 B, ft At B compreso nel segmento (AB) simmetrico di (AB\ rispetto ad A (def. II, 35) perché (A^) = (AB'), e. 23, b 5 ^ --------1 ed essendo Ax fuori del segmento (AH) in (AB). ^ g( B ^ Se (A^) contenesse (AB') non sarebbe ad esso flg,23, e " *'' uguale (int. def. I, 61 o d, 73, b, 61), e quindi nep- *--------i-j-------i pure ad (AB) (int. def. II, 61). Ai punti Br in- terni di (J^A) non possono corrispondere punti Ar di (AA,), perché non sarebbe ( Ar Br ) = (ABl) = (AB) (def. I, 61 o d, 73) e quindi ai punti Ar di (AA^ devono corrispondere punti Br fuori del segmento (BB}) non potendo nemmeno ad essi corrispondere per la stessa ragione punti di (A,B). Ora ai punti di (AAj)che determinano un continuo, corrispondono dunque univocamente i punti dell'altro segmento determinato da B e Bl che non con- tiene A (def. IV). Ma fuori del segmento (BBJ si può scegliere un punto Br tale che non sia ( Ar Br ) = (AB) ; basta che (BBr) sia maggiore di (AA^, dunque è assurdo che (A^B,) sia in questo caso di verso opposto ad (AB), e quindi è congruente con (AB) (def. I, 35) (flg. 23, a). 2) Se invece AT è fuori del segmento (AB), ad es. nel verso da B ad A, e (A^) non è dello stesso verso di (A ), ad ogni punto Ar di (AAj) non può corrispondere un punto Br fuori del segmento (AB) nel verso di (AB) i) Col linguaggio del movimento (int. 67) ciò vorrebbe dire che la parte (AX) si accorcerebbe, mentre si allungherebbe la parte (XB) di altrettanto, in modo da mantenere l'uguaglianza fra (AB) e (AIS1), ma non la invariabilità.

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perché (ArBr) avrebbe per parte (AB), mentre deve essere ad esso identico. Né può corrispondere ad Ar un punto fuori del segmento (A^B^ nel verso di (A^) perché ( Ar Br ) avrebbe per parte ( A}BJ. Dunque ad Ar deve corri- spondere un punto Br del segmento (BBJ. Ma si può sempre scegliere in questo segmento un punto Br tale che ( Ar Br ) non sia uguale ad (AB) (def. IV), e quindi è impossibile anche in tal caso che (BBJ sia di verso opposto ad (AB). 3) Rimane finalmente il caso in cui Al sia fuori di (AB) nel verso di (AB) ; ma è facile vedere che si ricade in uno dei casi precedenti. Invero se (A^) è di verso opposto ad (AB), e B\ cade in (AB), essendo(BA)^(A1B1) (ini. g, 99), e quindi considerando invece i segmenti (B^AJ, (AB), V elemento B cade in (BjAJ, come Al cade in (AB) nel caso 1); oppure Bì cade fuori di (AB) sempre nel verso di (AB), che altrimenti (A^) conterrebbe come parte (AB); ed allora considerando (B^A^ V elemento B cade fuori di questo segmento nel verso (A^) e si ricade nel caso 2). Dim. 2* Se Al si accosta indefinitamente ad A, Bl deve avvicinarsi inde- finitamente a B per la corrispondenza fra i punti (A) e (B) (def. II), e quindi se AI è interno ad (AB), Bl deve esser quanto si vuole vicino a B ma fuori di (AB), dovendo essere (AB)^(AlBì)(mi. a, 99), e quindi (AB), (A^B^ sono dello stesso verso. Se invece Aì è fuori di (AB) e quanto si vuole vicino ad A, Bl do- vrà essere per la stessa ragione quanto si vuole vicino a B e dentro di (AB). Quindi se (AB) e (A,BJ sono consecutivi, sono dello stesso verso. Ora, dato un segmento (AAJ, esso si può considerare come somma di parti piccole quanto si vuole o indefinitamente piccole (int. 105 e def. I, 95), e quindi valendo la pro- prietà per ogni segmento (A^) consecutivo di (AB), il teor. è dimostrato. Corali. Due segmenti simmetrici non possono mai appartenere ad un si- stema continuo di segmenti invariabili (def. II, 35). Teor. IL In un sistema continuo di segmenti invariabili i segmenti non possono avere punti corrispondenti comuni (teor. I, 35, e teor. I). Teor. III. Dati due segmenti (AB), (A^) qualunque di un sistema con- tinuo di segmenti invariabili sulla retta, i segmenti di due punti corrispon- denti qualunque del sistema sono congruenti (teor. II, 35 e teor. I). Teor. IV. Una coppia di segmenti congruenti (AB) e (A^) della retta fa parte di un sistema continuo di segmenti invariabili in un dato verso di essa. Basta far corrispondere A ad A19 B a Blf e ai punti di (AAJ, nello stesso ordine i punti di (BBJ in modo che i segmenti fra i punti corrispondenti siano uguali ad (AA^, il che è in ogni caso possibile essendo (A A^ = (BB^) (teor. II, 35 e teor. a ed e, 99).

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279 23. Assioma, pratico Movimento reale sulla retta xxvni). 37. Ose. emp. Per potere costruire sopra un oggetto rettilineo (int. flg. I) o su oggetti rettilinei diversi due segmenti uguali (oss. V,4), abbiamo bisogno di un mezzo pratico, che non ci è dato dagli assiomi e dalle ipotesi precedenti, i quali se bastano allo svolgi* mento teorico della geometria, non bastano però per le pratiche applicazioni di essa. Ora ricorrendo all'esperienza, se un corpo si muove in un mezzo tìsicamente omogeneo noi intuì ti amo, osservando il corpo in due posizioni diverse, che nella seconda posizione il corpo occupa un luogo uguale al luogo occupato dapprima, e in modo che le parti del luogo occupato da una stessa parte del corpo sono uguali. Diciamo perciò che il corpo può muoversi senza deformazione. Vediamo inoltre che un punto mate- riale qualunque di un corpo a partire da un punto dato può muoversi nel luogo occupato da ogni oggetto rettilineo passante pel punto dato, occupando la posizio- ne di tutti gli altri punti dell'oggetto. Diremo per ciò che il corpo può muoversi li- beramente. L'assioma pratico che serve alle pratiche applicazioni della geometria è il seguente: Un corpo può muoversi senza deformazione. Oss. I. Questo assioma suppone evidentemente una proprietà dello spazio in- tuitivo (oss. emp. I) e cioè che nella forma astratta ad esso corrispondente esistano sistemi continui di figure invariabili (def. Ili, 36) analoghe a quelle dei sistemi de- scritti dal corpo in movimento, la cui esistenza noi invece dimostreremo colla co- struzione di questa figura astratta 1). Trattando del movimento astrattamente, ammettendo cioè il principio che un cor- po si muove effettivamente nel mondo esterno e non nel senso del n. 67 dell'introdu- zione e che abbiamo talvolta usato fin qui per comodità di linguaggio, lascieremo ai punti del corpo piena libertà di movimento fra loro, in modo cioè che ogni punto possa muoversi indipendentemente dagli altri, intendendo altresì col Uberamente che possa essere assoggettato a tutte le condizioni, compatibili colle proprietà dell'am- biente in cui si muove rispetto agli altri punti. Diamo il seguente assioma, che chiameremo ugualmente pratico non avendo bi- sogno di esso per la teoria. Ass. IIpratico. I punti di una figura qualunque possono muo- versi liberamente è indipendentemente gli uni dagli altri descri- vendo ciascuno una linea intuitiva, in modo però che le posizioni dei punti della figura corrispondano univocamente e nel mede- simo ordine alle posizioni successive, non escluso però che più punti possano occupare lo stesso luogo in una posizione succes- siva 2). Def. I. Un punto e una figura, i cui punti non si muovono, si chiamano fissi. XXVIII) Mentre l'assioma I pratico nel solo campo finito diventa un assioma necessario (note XVI, XVIUJ, l'assioma pratico del movimento rimane tale anche pel solo campo finito cogli assiomi II e II'. 1) Vedi Libro 111 di questa parte e pref. 2) la questo modo la corrispondenza tra una posizione e la successiva o univoca, ma può non es- sere reciproca (int. def. Il, 42). Ritenendo però i punti che vengono a coincidere in un punto come distinti, la corrispondenza è anche reciproca.

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280 055. II. Le posizioni dei punti della figura ci danno le posizioni della figura stessa. Teor. I. Se un segmento (AB) si muove sulla retta, descrive un sistema continuo di segmenti sulla retta. Difatti ogni punto del segmento descrive una linea intuitiva che è la retta o un tratto di retta (ass. II. pr.), che può ridarsi anche ad un punto in casi speciali (ass. II, pr.), e in modo che le posizioni diverse di due punti X, X^ J 2..., Yf Y19 y2..., si corrispondono nel medesimo ordine (ass. II pr.), e quindi se Xl si avvicina indefinitamente a X, Ti si avvicina indefinitamente a Y e in- versamente; dunque la def. II, 86 sulla retta è soddisfatta. Oss. III. Liberamente significa qui che il segmento può muoversi secondo tutti i sistemi continui di segmenti possibili sulla retta. Def. IL Se una figura muovendosi descrive un sistema di figure invaria- bili (def. Ili, 36) diremo che si muove senza deformazione. Teor. IL Un segmento può muoversi sulla retta rimanendo invariabile. Basta obbligare i punti del segmento a percorrere i gruppi di punti cor- rispondenti di un sistema continuo di segmenti invariabili di. cui fa parte il segmento dato (ass. II pr. def. Ili, 36 e oss. III). Oss. IV. La possibilità di questo movimento evidentemente deriva dall'esistenza sulla retta del sistema suddetto, la quale dipende dalla omogeneità e dalla continuità della retta (teor. II, teor. Ili e coroll. II, ass. II, a, 4). Oss. V. Siccome non considereremo nelle nostre ricerche che il solo movimento senza deformazione, che serve come dicemmo allo scopo di eseguire praticamente le nostre costruzioni nel campo esterno, così quando parleremo d'ora innanzi del movi- mento di una figura intenderemo il movimento senza deformazione, dimostrando però prima, come abbiamo fatto per la retta, la esistenza di sistemi continui di figure invariabili nell'ente che noi dapprima costruiremo. Def. HI. Se un segmento si muove sulla retta in una data direzione de- scrivendo un sistema di segmenti invariabili, diremo che scorre sulla retta in una data direzione. La proposizione : un punto che si muove in una data direzione sulla retta, significa che le posizioni di ogni punto A sono situate in un dato verso a par- tire da A sulla retta (def. II, 62). Così pel segmento. Teor. IIL Un segmento che scorre sulla retta rimane congruente a sé stesso (teor. I, 36). Teor. IV. Quando di un segmento in una retta si tien fisso un punto, esso non può scorrere sulla retta (vale a dire tutti gli altri punti del segmento ri- mangono fissi), (teor. II, 36, def. I e def. III). Teor. V. Quando un segmento scorre sulla retta in uno o nell'altro verso, in ogni posizione i segmenti descritti dai suoi punti sono congruenti (teor. Ili, 36 e def* III). Teor. Vi. Due segmenti congruenti della retta possono trasportarsi senza deformazione l'uno sulf altro (teor* IV, 36 e def. II). Teor. VÌI. Due segmenti simmetrici non possono trasportarsi V uno sul- V altro, senza defecazione sulla retta (coroll* teor. I, 36 e def. II e III).

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li. IL PIANO. CAPITOLO I. Il fascio di raggi e il piano Euclideo. 1. Settori angolari ed angoli di un fascio di raggi xxiX). 38. Def. I. Una parte qualunque di un fascio di raggi limitata a due raggi a e b (teor. I e def. 1,30; e int. def. I, II, 62 e def. II, 27) si chiama settore angolare del fascio, o semplicemente settore ; a e b i lati, R il vertice del set- tore angolare. Se A e B sono i punti della retta direttrice r del fascio, che determinano con R i raggi a e b, chiameremo lati anche i segmenti (RA) ed (RB). Oss. I. Per la corrispondezza univoca fra i raggi del fascio e i punti della retta direttrice completa (teor. I, 30) ad ogni segmento di questa corrisponde un settore angolare del fascio, e inversamente. Def. IL Angolo di due raggi estremi di un settore angolare è il settore stesso considerato come sostitìuibile da ogni altro settore ad esso uguale in ogni unione con altri settori 1). Oss. II. Quando sarà indifferente considerare l'angolo in luogo del settore an- golare, sostituiremo spesso, anche per seguire I9uso comune, la parola angolo alla parola settore angolare, come ciò può farsi per le parole distanza e segmento, seb- bene queste come le prime denotino enti diversi. Ind. I. Il settore angolare o l'angolo determinato dal segmento (41?) col XXIX) Sia coli' ass. Il come coir ass. II' (nota IV) la definizione e le proprietà del fascio si possono dare al posto indicato nella nota XLI. 1) L'angolo di due raggi in un settore angolare è la grandezza intensiva del settore, come la di- stanza di due punti A e B in un segmento (AB) è la grandezza intensiva del segmento (nota, 2; def. I, 5; int. def. li, a e e, ili). Vedi nota del n. 40.

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282 punto R lo indicheremo anche coi simboli R. (AB) oppure ARB od anche ERA. Def. IH. Diremo che il settore angolare, o l'angolo R.AB è compreso fra i suoi lati RA, RB oppure (RA) e (RB) (def. I). 0*5. III. Come due punti A e B della retta r completa (ip. V e def. I, 29) determi- nano due segmenti su di essa che insieme presi danno T intera retta (int. e, 64), così i due raggi a e b oppure RA, RB determinano nel fascio due settori angolari che co- stituiscono r intero fascio (teor. I, 30). Def. IV. Per settore angolare ed angolo di due raggi in un fascio inten- deremo sempre il più piccolo, quando non determinano due settori angolari uguali, nel qual caso si potrà considerare l'uno o l'altro qualora non occorra tener conto della loro diversità. Oss. IV. Quando è dato il settore angolare (ab) intenderemo, ove non dire- mo diversamente (int. ind. I. 64), che il suo verso sia quello che da a conduce a#. Analogamente coi simboli ARB^ R.(AB) intenderemo che il verso è dato da RA a RB. Def. V. Ogni settore angolare del fascio i cui lati sono due raggi oppo- sti a e a' si chiama piatto. Def. VI. Due settori angolari (ab), (db*) del fascio i cui .lati sono raggi opposti (def. I, 7), si chiamano opposti al vertice nel fascio. Def. VII. Due settori angolari (ab), (ba') del fascio che hanno un lato co- mune b e gli altri due lati sono raggi opposti, si chiamono adiacenti. Oss. V. Da questa definizione risulta immediatamente che due settori adiacenti insieme presi danno un settore piatto (def. V). Def. Vili. Se due settori adiacenti sono uguali si chiamano retti. Def. IX. Se il centro del fascio di rette o di raggi è ali1 infinito, il fascio si chiama anche fascio di rette o di raggi paralleli. Quando parleremo perciò senz'altro di un fascio di raggi, intenderemo che il suo centro sia nel campo finito (oss. 31 e conv. 28). Def. X. Il settore angolare di un fascio di raggi paralleli si chiama stri- scia, e le rette o i raggi che la limitano lati della striscia. Def. XI. Considerando le due coppie di raggi opposti a, a' ; b e V situati su due rette a e jS di un fascio, i settori angolari o gli angoli (ab), ( #'), (a'b1) (b'a) si chiamano settori angolari ed angoli delle due rette. Oss. VI. Due punti distinti qualunque della retta la determinano nel sistema Euclideo (teor. Il, 30); ma non si può dire che due raggi a e b limitati in un punto R determinino un solo fascio. Difatti se prendiamo sopra questi raggi due punti A e B, la retta AB determina con R un solo fascio (def. I, 30} ma non sappiamo an- cora se tutti i fasci che si ottengono considerando altre coppie di punti A e B sui raggi a e b coincidano. Se la retta direttrice del fascio non è ali' infinito e consideriamo su di essa due segmenti uguali qualunque (AB} e (CD), i settori angolari ARB, CRD non sono in in generale figure uguali. Infatti se A e B sono punti a distanza differente da R e se scegliamo il punto di mezzo M del segmento (AB), i due triangoli ARM, MRA non sono uguali, perché non hanno i tre lati uguali (teor. 11,15), e quindi, come ve- dremo in seguito, non sono uguali in generale nemmeno i settori ARM, MRB.

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283 2. Il fascio (HO Settore angolare e angolo di due raggi. Prime proprietà, di essi Unità angolare xxx). 39. Oss. J. Data una retta r^ ali1 infinito noi possiamo considerarla come retta li- mite assoluta di ogni punto R del campo finito (teor. Ili, IV, 32). È da tenere presente che i campi limiti assoluti dei punti del campo finito coincidono rispetto alle unità finita e infinita, ma sono distinti in senso assoluto (teor. IV, 32), e quindi se la retta rM rispetto alle unità finita e infinita si può considerare come retta limite assoluta di due punti A e B del campo finito, in senso assoluto si sa però che queste due rette sono determinate e distinte. Os . II. Per il fascio (Hr^) valgono le stesse proprietà enunciate per i fasci (Rr), ma troviamo subito per esso altre proprietà che solo più tardi potremo esten- dere agli altri fasci quando cioè avremo dimostrato che tutti i fasci di raggi (Rr) sono identici. Teor. I. Due segmenti (AMB^)t (C^D^) uguali della retta rM determinano due settori angolari uguali intorno al punto R. Difatti i due triangoli A^RB^ C^RD^ sono uguali (teor. Ili, 34 e oss. I). Teor. IL Due segmenti disuguali (A^BJ, (C^D ) tali che (A^ determinano due settori R^A^B^ #.(CooDoo) disuguali^ cioè R^A^B Questo teor. deriva dal teor. I, dalla def. del fascio di raggi per la corri- spondenza univoca e dello stesso ordine fra i raggi del fascio e i punti della retta (teor. I, 30) e per le def. I e II del n. 61 dell'introduzione. Coroll. I. Due settori uguali del fascio (RrM) determinano due segmenti uguali sulla retta r^. -Se i segmenti (A^B*), (C^D J determinati dai due settori sulla retta r^ fossero disuguali i due settori sarebbero disuguali, contro il dato (teor. li e int. b e ', 61). Teor. III. Ogni segmento finito rispetto alla retta completa r^ determina un settore finito rispetto aW intero fascio (Rr^). Difatti se (A^BJ, ( # ) della retta r sono finiti fl'a loro e se 1' uno non è multiplo dell'altro ed è (AoJ^XfC^Doo) vi è un numero m tale che -M) (int. e', 81) e quindi avremo R.( A B ) m ^CooDJ R.(AMBJ (m 4- 1) (teor. I, II) e perciò i settori R^A^B ), R.(C*D^ sono finiti fra loro (int. d, f , 81 e def. n. 82). XXX) Tutto questo paragrafo va naturalmente tralasciato limitandosi come snp- poniamo in queste note, al solo campo finito (nota I).

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284 Teor. IV. Un fascio di raggi (Rr^) è identico nella posizione delie sue partì. Difatti la retta r* è identica nella posizione delle sue parti (ass. II, a e ip. I), e quindi a partire da un punto qualunque di essa esiste in uno e nel- l'altro verso un segmento uguale ad un segmento qualunque dato (coroll. li, teor. 111,4 e oss. Ili, 18), mentre a segmenti uguali della retta r^ corrispondono settori angolari uguali del fascio (Rr^) (teor. I, ini def. I, 70 e oss. II, 81). Teor. V. Un settore (ab) del fascio (Rr^) è uguale al settore (ba), vale a dire atto stesso settore percorso nel verso opposto. Imperocché ciò ha luogo per ogni segmento (A^B^) della retta r^ (int. g, 99 e e, 104). Teor. VI. Due fasci di raggi i cui centri sono nel campo finito e le rette direttrici all'infinito, sono uguali in senso assolutoì se esse sono rette li- miti assolute dei due centri, o relativamente atte unità finita e infinita se le rette direttrici sono situate in campi limiti assoluti di due punti del campo finito. Invero siano Rr9\ Rr'^i centri e le rette direttrici dei due fasci. Se sono rette limiti assolute di R e #, questi sono distanti dai punti delle rette r^ r\ di un segmento retto (teor. HI, 32), e quindi stabilita fra le due rette rM e r'n una corrispondenza d'identità (teor. VI, 15) e fatto corrispondere il punto R al punto R'f ad ogni triangolo RA^B* della prima figura (Rr^) corrisponde un triangolo uguale R'A'^ff^ della seconda (teor. HI, 17, teor. Ili, 34). Quindi scelti due punti .Y e Y situati sui raggi RA^, RBW ad essi corrispondono due punti X' e Y in RA'W RB a distanze da R' uguali rispettivamente a quelle dei punti X e Y da R; dunque i due triangoli RXY, RX'Y sono uguali per avere due lati e la coppia da essi compresa uguale (teor III, 16) e perciò (XY) = (XT') (coroll. teor. Ili, 16). Dunque le due figure (RrJ, (-KVJ sono uguali (teor. Ili, 15). La seconda parte del teorema deriva in modo analogo dal teor. IV del n. 32. Teor. VII. Se date due rette AB, AC si scelgono su di esse due punti qua- lunque all'infinito B^C^ e (B^C*) è finito rispetto alle retta completa e la retta B^Cy, non coincide con una dette due rette rispetto aW unità infinita, le due rette sono distinte nel campo finito. Siccome la retta B^C^ non coincide con nessuna delle due rette AB^ ACM (teor. IV, 22), queste due rette sono distinte rispetto all'unità infinita (teor. V, 22), e perciò anche rispetto all'unita finita (teor. II, 31). Teor. Vili. Se due punti B^, Cw aW infinito nel campo limite assoluto di un punto A sono a distanza finita, i due raggi che congiungono A coi due pun- ti dati coincidono rispetto aW unità finita. Difatti il segmento (B^C^) è infinitesimo rispetto all'unità infinita e per- ciò le due rette AB , AG coincidono rispetto a questa unità (teor. II e oss., 31 e teor. Ili, 22), e perciò anche rispetto all'unità finita (teor. li, e oss. 31). Def. I. Per settori angolari di due raggi a e b limitati ad un punto R intenderemo sempre quelli considerati nel fascio determinato dal punto R e dal-

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285 la sua retta limite assoluta data dai suoi punti limiti assoluti in a e b (def. II, 32 e teor. Ili, 32), fintantoché non diremo diversamente. Oss. HI. A segmenti uguali della retta r corrispondono settori angolari uguali intorno al punto R nel fascio (Rr^), e inversamente (teor. I e coroll. I, teor. II). Per misura dei settori angolari o degli angoli intorno al 'punto R appartenenti o no ad un medesimo fascio considereremo i segmenti o le distanze determinati dai punti li- miti assoluti sui loro raggi estremi rispetto al punto R. E inversamente, come mi- sura dei segmenti di una retta r^ si possono considerare i settori angolari intorno al punto R, di cui r è una retta limite assoluta. (Vedi int. def. IV, 111). Coroll. I. Se due raggi RA, RB sono distinti rispetto aW unità del cam- po finito, essi determinano un settore finito. Difatti se non fosse finito, ad esso corrisponderebbe un segmento infinite- simo (^oo^oo) sulla retta limite assoluta di R determinata dai raggi RA, RB, (teor. Ili) rispetto all'unita infinita, e quindi i due raggi non sarebbero distinti (teor. Vili). Coroll. IL Congiunti gli estremi di due segmenti (AB), (CD) finiti con un punto R fuori di (AB) e (CD), essi danno due settori (ab), (ed) finiti. Perché R da con A e B, come con C e D, due raggi distinti essendo R fuori di AB e di CD rispetto all'unità del campo finito (teor. IV, 22). Coroll. III. In un triangolo ABC con un lato infinitamente piccolo V an- golo di vertice opposto è infinitamente piccolo (teor. V, 22). Teor. IX. Se due settori angolari hanno angoli uguali, i due settori sono uguali. Infatti ciò vale per due settori di un fascio (RrM), valendo tale proprietà pei loro segmenti all'infinito rispetto alle loro lunghezze (def. I, teor. I, 5); e vale pure per due settori di due tali fasci (teor. VI), e quindi per due set- tori angolari qualunque (def. I). 40. Teor. I. Due settori angolari che hanno i lati paralleli sono uguali ri- spettò ali' unità, del campo finito e infinito, e possono ritenersi tali anche in senso assoluto se non è stabilito diversamente. Siano BAC, ffA'C i due settori; possiamo supporre che i punti all'infini- to -X^Yoo dei due raggi AB, AC rispetto all'unità finita siano punti limiti assolnti di A (def. II e coroll. teor. II, 32). Ma siccome sono situati anche nei raggi Aff, A' C possiamo supporre la stessa proprietà rispetto ad A'. Le rette limiti assolute di A e A determinate dai punti li- miti assoluti dei raggi AB, AC; A' , A' C, che indicheremo con JH , y 2 ; XW ; YW , sono coincidenti anche ri- spetto all'unità infinita (teor. Ili, IV, 32). Rispetto a que- flg M sta unità i raggi paralleli coincidono, e quindi i segmenti limiti assoluti determinati dai due settori angolari suddetti, se non sono uguali in senso assoluto, differiscono di un infinitesimo rispetto all'unità infinita. Ma in tal caso si può considerare sulla retta limite di A' un segmento (X ) y' f)) = (XW YW ), che differisce dunque di un infinitesimo dal segmento (X( YW). Però congiungendo il punto A1 col punto Y'w) , questo raggio, sia relativamente / d^

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286 all'unità finita come a quella infinita, si confonde col raggio A'F ossia A'Y^ (coroll. teor. II, 32) dunque il teor. è dimostrato (fig. 24) XXXI). Caroli. I. Dati due segmenti qualunque (AB) e (CD) percorsi nel verso da A a B, da C a D, se dai punti di uno di essi, ad es. (AB), si tirano i raggi paral- leli all'altro, i settori angolari che questi raggi formano col raggio determi- nato da (AB), sono uguali. Difatti tiriamo ad es. da A e B i raggi paralleli al raggio determinato da (CD). I settori angolari che essi formano col raggio (AB) hanno un lato comune, e gli altri due lati paralleli; si possono dunque considerare come due settori angolari coi lati paralleli, e quindi sono uguali. Oss. I. La definizione della misura di uà angolo di due segmenti o raggi (osa. IH. 39) suppone che i due segmenti si incontrino o siano limitati ad un punto comune. La suddetta misura può servire anche per due segmenti (AB), (CD) qualunque, di cui siano dati i versi nei quali debbono essere percorsi, o in altre parole siano dati i loro punti all'infinito (teor. I, e def. 11,33). Invero due segmenti che non si tro- vano nelle condizioni precedenti non determinano un settore angolare, ma se dai punti di uno di essi si tirano i raggi paralleli all'altro, tutti i settori angolari che così si ottengono possono ritenersi uguali anche in senso assoluto, oltre che rispetto all'unità del campo e infinito. Dunque diremo: Def. L Per angolo di due segmenti di cui è dato il verso s1 intende quel- lo che viene misurato dalla distanza dei punti limiti assoluti dei due raggi rispetto ad un punto del campo finito di ciascuno di essi 1). Coroll. IL L'angolo di due segmenti paralleli diretti nello stesso verso è nullo; quello di due segmenti paralleli e di verso opposto è uguale ad un angolo piatto, (coroll. V e VI, teor. I, 33 ; coroll. I e def. I). J)ef. IL Vangolo che corrisponde all'unità di misura delle distanze nel campo infinito (conv. 28) chiamasi unità angolare fondamentale, od anche unità angolare non usandone altre, come faremo noi. Teor. IL Due settori angolari apposti al vertice sono uguali. Difatti siano (ab), (db') i due settori angolari di vertice R; e indichiamo con A^Bn i punti limiti assoluti all'infinito dei lati aeb, e con A'^ff^ quelli dei lati a' e b' rispetto ad R, che sono punti opposti dei primi due (def. II, 32). I due triangoli A^RB^, A'^RB'^ sono uguali (teor. Ili, 34), e perciò anche le due coppie rettilinee (ab) e (db') (coroll. teor. Ili, 17) quindi anche i settori angolari (ab), (db1) (teor. Ili, 15). Oppure: essi sono uguali essendo figure corrispondenti nella corrispon- denza d1 identità fra le due coppie di raggi (ab), (db') (teor. II e oss. IV, 15). Def. III. Per settori angolari di due segmenti o raggi opposti limitati ad un punto R sulla medesima retta intenderemo quelli generati dal punto R e da una retta che passa pei punti limiti assoluti dei due raggi rispetto a R (def. II, 32 e teor. II, 30). Teor. III. I due settori angolari (angoli) piatti determinati da un seg- XXXI) Questo teorema senza l'uso dell'infinito sarà dimostrato nel piano e in ge- nerale in una nota del n. 52 coir aiuto di teoremi dello spazio a tre dimensioni. i) L'oss. i e la def. i, fanno meglio conoscere la differenza che c'è fra l'angolo e il settore an- golare (def. I e II, 38).

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287 mento, o raggio limitato da un suo punto R, e dal suo prolungamento sono uguali, sia considerati nello stesso verso come nel verso opposto. Infatti i due punti A , A'^ limiti assoluti dei due raggi opposti rispetto ad R sono punti opposti su ogni retta r^ all'infinito che passa per essi (def. II, 32 e teor. II, 30), e dividono questa retta per metà (def. Ili, 6) ; e perciò i due settori angolari piatti determinati dai due raggi opposti a e a' sono uguali sia nello stesso verso come in verso opposto, perché tale è la proprietà dei seg- menti della retta r^ determinati dai punti AM, A'w. Essi hanno anche la stessa misura (oss. Ili, 39), vale a dire lo stesso angolo (def. II, 38) Coroll. Una retta passante pel centro del fascio (Rrx) lo divide in due parti uguali nello stesso verso e in verso opposto. 41. 055. 1. Le denominazioni usate pel segmenti o per le distanze della retta com- pleta (def. 1,29) possono essere senz'altro usate per i settori angolari e per gli angoli. Def. I. Se il segmento all'infinito corrispondente ad un settore angolare (def. I, 39) è retto (def. IV, 29) il settore angolare, o l'angolo corrispondente, si chiama retto. Se un settore angolare, o un angolo, è maggiore di un retto dicesi ottu- so; acuto, se è minore di un retto. Def. IL Chiameremo supplementari due settori angolari o angoli la cui somma è uguale ad un angolo piatto, ossia alla somma di due angoli retti complementari invece quelli la cui somma è uguale ad un angolo retto. Teor. I. Due settori angolari (angoli) adiacenti sono supplementari. Difatti essi danno per somma un settore angolare (angolo) piatto (def. VII, 38 e def. I, 39). Teor. IL Tutti i settori angolari (angoli) retti sono uguali. Difatti tali sono i segmenti retti sulla retta completa (def. I e def. IV, 29). Teor. III. Ogni settore angolare può essere diviso in n parti uguali. Perché tale è la proprietà di ogni segmento della retta completa (int b, 99 o a, 103). ' Def. III. La retta che divide per metà un settore angolare (ab) si chiama bissettrice del settore angolare o dell'angolo (ab). Def. IV. Due rette ad, bV che hanno un punto comune .R e sono divise da questo punto nelle coppie di raggi opposti a, a' ; 6, b', determinano quattro settori angolari consecutivi nel fascio (Rr^) da esse determinati (def. I, 39), cioè (ab), (ba1), (db'), (b'a)f che si chiamano i settori e angoli delle due rette. Per settore angolare o angolo delle due rette intendiamo il minore, o uno o l'altro se sono uguali, eccetto che non faccia bisogno di tener conto an- che degli altri. Def. V. Se i punti ali1 infinito A^ A'^; B^, B'^ di due rette dividono la retta A^B^ in quattro segmenti retti, le due rette determinano quattro angoli retti. In tal caso le due rette si chiamano perpendicolari. Così due raggi o due rette, anche non incontrandosi, sono ad angolo retto (def. I). Teor. IV. La bissettrice di un settore angolare (ab) è pure bìssettrice del- r altro settore determinato dai raggi a e 6, e dal settore opposto al vertice.

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288 Difatti vi è un solo pnnto di mezzo di un segmento (A^B^) della retta rx completa, mentre il punto opposto divide per metà I1 altro segmento deter- minato da A^, B^, e il segmento opposto (A'M ) (corali, teor. V. 29 e int. e, 64). Teor. V. Dal centro del fascio (RrM) si può condurre una sola perpendi- colare ad una retta del fascio. Difatti vi sono due soli punti opposti BM, che dividono coi punti A^, A'^- della retta data la retta rx in quattro segmenti retti consecutivi (ass. II, a o ip. I; int. 6, 99 o a, 103). Teor. VI. Una retta perpendicolare ad una retta data, lo è pure a tutte le parallele a questa retta. Siano r e r le due rette parallele col punto X^ X* comune ali1 infinito (def. II, 26 ; def. I e II, 32 e conv. 1,28) e la retta RY^ perpendicolare ad una di esse, per es. -------------ad r. L'angolo della retta r colla retta RY^ è misu- Dl * AOO rato dal segmento dei due punti (A^rj, e quindi è retto __________(def. I, 40) (fig. 25). X^ Teor. VII. Le due bissettrici dei settori angolari di due rette sono perpendicolari fra loYo. flg*25 Difatti si sa che i loro punti limiti assoluti ali' infi- nito determinano quattro segmenti retti (teor. V, 29). 3. Settori angolari e angoli di un triangolo e di due triangoli uguali. 42. Oss. I. la un triangolo ABC i raggi limitati da uno qualunque dei tre vertici e determinati dagli altri due determinano tre settori angolari, cioè : ^ AB ), ÓB , AC% Se il settore angolare che si ottiene congiungendo per es. il vertice A coi pun- ti del lato opposto (BC) (def. I, 38), non coincidesse col settore angolare RAG anzi- detto, il triangolo avrebbe altri tre settori angolari. Per ora lasciamo sospesa tale questione e intanto, quando non diremo diversa- mente, per settori angolari e angoli di un triangolo intenderemo i primi tre XXXIII). Gli altri tre, finché dovremo tenerli distinti dai primi, li indicheremo coi sim- boli A . (BC), E . (CA) e C. (AB). XXXII) Anche questo teorema senza l'uso dell'infinito non può essere dimo- strato in generale così semplicemente. Noi daremo la dimostrazione per rette situate nel piano (vedi coroll. I, teor. IX della nota del n. 48). In generale si può darne la dimostrazione colla considerazione dello spazio a tre dimensioni (libro III). XXXIII) Limitandosi al campo finito, come settori angolari del triangolo bisogna considerare invece i secondi anziché i primi tre, definendoli subito dopo la conside- razione delle coppie dei triangoli (16), usando per 1' angolo la def. I, 38, oppure vo- lendo, la proprietà del teor, a del numero HI dell'introduzione (int. e, 111). Si può dare la definizione di coppie adiacenti di raggi e di coppie adiacenti orto- gonali e quindi di rette perpendicolari aventi un punto comune, senza far uso del fascio (vedi nota XXIX). Per le coppie adiacenti basta seguire la def. VII del n. 38 data per i settori angolari di un fascio, e per quelle adiacenti ortogonali con un ver- tice comune basta supporre nella loro definizione che siano uguali (vedi nota XXXVI)

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289- Def. I. Il settore angolare (angolo) del triangolo ABC di vertice A, dicesi opposto al lato (BC), e così (BC) si dice opposto al settore angolare, o angolo, di vertice A. Def. li. Se un settore angolare, o angolo, di un triangolo è retto, il trian- golo di cesi rettangolo. Il lato opposto ali' angolo retto dicesi ipotcnusa e gli al- tri due lati si chiamano cateti. Teor. I. In due triangoli uguali i settori angolari determinati dai lati corrispondenti sono uguali. In due triangoli identici ABC, A'ffC ai punti all'infinito dell'uno cor- rispondono i punti ali' infinito dell' altro, e le distanze dei punti corrispon- denti sono uguali (teor. I, 34), vale a dire le distanze dei punti limiti asso- luti all'infinito dei lati rispetto ai loro vertici (def. II, 32) dei settori BAC, ACB, CBA sono rispettivamente uguali a quelle dei punti all'infinito analoghi dei lati dei settori corrispondenti B'A'C, CB'A', A' C (def. I e teor. 1,39) XXXIV)J Oppure anche: perché sono figure corrispondenti in figure identiche (teor. II e oss. IV, 15). Coroll. In triangoli uguali ai lati corrispondenti uguali stanno opposti angoli uguali, e inversamente. Questo coroll. deriva immediatamente dal teor. precedente e dalla def. II, 38. Teor. IL Se due triangoli hanno due lati e il settore angolare compreso uguali, sono uguali. ^ 'Siano ABC, A'BC i due triangoli, si ha: Le coppie rettilinee di vertici A e A' sono uguali (coroll. I, teor. II, 39; teor. Ili, 34 e coroll. teor. Ili, 17) ed essendo B e B, C e C punti corrispon- denti nella loro corrispondenza d'identità, si ha (.fi C) = (#* ?), e perciò i due triangoli ABC, A'B'C avendo i tre lati uguali sono uguali (teor. Ili, 17) XXXV). XXXIV) La 1* dimostrazione di questo teorema si appoggia sulla definizione del fascio (Rr^) (def/1, 39) che limitandosi al solo campo finito non si può utilizza- re. Si può procedere invece in questo modo. Siano ABG^ A B' C' i .due triangoli, tali che i vertici A e A\ B e B, C e C' siano corrispondenti nella corrispondenza d'iden- tità dei due triangoli (oss. Ili, 15 e nota XII). I settori angolari ABC^ A'B'C' sono de- terminati dai punti dei lati (AC), (A1 C') coi vertici opposti B e B ('nota XXXIII). Ora, ad un punto X del lato (AG) corrisponde un punto X* del lato (A*C*), in modo che (AX) = (A'X ) (teor. II, 15), e perciò (BX) = (B'X'). A due punti qualunque Te Z del primo settore corrispondono due punti Y", Z' del secondo che hanno uguale di- stanza. Difatti se Y e Z sono situati nei due raggi BX e BXÌ, essendo X e Xl punti del segmento (AG) (per definizione devono essere sempre situati su due tali raggi del settore AB C), i punti d'intersezione dei raggi corrispondenti nel settore A'Jffff col lato (A'C') sono i punti X' e X{ corrispondenti ai punti X e Xj, e i punti Y' e Z? sono nei raggi B'X', ffX\ distanti da B' di quanto lo sono Y e Z da B. I due triangoli AXXi* A'ICX'ì sono uguali perché hanno i tre lati uguali, e perciò le coppie di rette XB, Xi-ff; Xff, X{ sono uguali (coroll. teor. Ili, 17). Dunque sono uguali i trian- goli BYZ, STZ (teor. Ili, 16), e perciò (YZ) = (YZ'); quindi il teor. è dimostrato (teor. Ili, 15). Il teor. II, 15 viene usato qui evidentemente pei soli segmenti rettili-i nei come abbiamo sempre fatto e faremo in seguito, mentre nella seconda dimostra- zione del testo lo applichiamo in generale (vedi oss. IV, 15). XXXV) Per dimostrare il teor* II bisogna dare dapprima i seguenti coroll. del teor. J. 19

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290 Teor. III. Gli angoli di un triangolo isoscele opposti ai lati uguali sono uguali. Difatti sia ABC il triangolo isoscele (def. Ili, 9), e (AB)==(AC). Conside- riamo un altro triangolo AffC di cui il vertice A' coin- cida col punto A (int. def. Ili, 57), # con C e C* con A. Evidentemente i due triangoli ABC, A' C sono iden- tici, perché hanno due coppie di lati corrispondenti ugua- _________________ li, cioè (AB) EE (A'J?'), (AC) = (A'C1), jìssendo (AB) = (AC), B, B M C C, eBÀC= A(?(teoi\I,17), quindi /BC=^rB'(?(teor. II). Ma A'ìfC = ACB, dunque ABG = ACB. (fig. 26). flg 26 Oss IL Se il vertice A del triangolo isoscele opposto alla base (def. III, 9) cades- se all'infinito, non si può più dire in generale che a lati uguali stiano opposti angoli uguali (teor. V, 34). Def. IH. Le rette che passano pei vertici di un triangolo e pei punti di mezzo dei lati opposti si chiamano mediane. Teor. IV. La mediana di un triangolo isoscele ABC che passa pel vertice A opposto alla base (BC),é la bissettrice del settore angolare RA ed è perpen- dicolare alla base. Sia M il punto di mezzo della base (BC). I due triangoli ABM, ACM sono uguali per avere i tre lati uguali (teor. IH, 17), e quindi AMA=CMA (teor. II). E siccome questi due angoli sono adiacenti (def. VII, 38), essi sono retti (def. Vili, 38 e oss. I, 42). Si ha pure A. (BM)~A. (CM) intendendo con A. (BM), A. (CM) i settori gene- rati da A coi lati (BM) e (CM) (oss. I, 42). Si vede dunque che la retta CM è bissetrice del settore A.(BC). Oss. III. Non si sa ancora se le rette AB, AC, AM appartengano ad uno stesso fascio (Aa ) XXXVI). Corott. I. Due settori angolari ABC, A'B'C' sono uguali se (AB)=.(A!ff), (AC) Difatti i triangoli ABC, A'B'C' sono uguali (teor. III. 17; teor. I, nota XXXIV). Coroll. II. Se due settori angolari ABC, AffC sono uguali, le coppie di rette AB, BC; A , C' sono uguali. Perché si ha (AB) = (A'B'), (BC)^(B'C') e quindi (AC)=(A'C') (teor. II, 15), e perciò i triangoli ABC, A'B'C' sono uguali (teor. HI, 17); dunque anche le coppie AB, BC; A'B\ ffC' (coroll. teor. Ili, 17 e nota XII). La dimostrazione del teor. II è pò! la medesima. Osserviamo che finora non possiamo dire come nel testo (teor. IX, 39) che settori aventi angoli uguali siano uguali, ma bensì che settori angolari uguali hanno an- goli uguali (nota XXXIII e la dico, del teor. I, 5 opp. di f del n. Ili dell'introdu- zione). Osserviamo ancora che si possono tralasciare qui questi teoremi dandoli dopo la definizione del fascio (vedi nota XLI) limitandosi intanto alle sole coppie dei lati dei triangoli (def. I, 16). XXXVI) Si dimostra allo stesso modo che i triangoli M AB, MAC sono uguali e che quindi la retta AM è perpendicolare alla retta BC nel punto M. (nota XXXIII). La retta AM si chiama bissettrice del settore angolare o dell'angolo A. (GB),

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291 4. Altre proprietà, del fascio (Rr) 43. Teor. I. I punti che giacciono nei raggi di un fascio (Rr) rispettiva- mente ad ugual distanza da R dei punti della direttrice r da R, sono situati in un" altra retta r' parallela alla prima. Siano a e b due raggi del fascio determinati da due punti A, B della retta r, e che contengono i segmenti (RA) e (RB); e a' e b' XU \A B/ ^L i raggi PP sti o prolungamenti di a e b (def. I, 7), le due coppie di raggi opposte (ab), (a'b') sono uguali (teor. II, 17). Se consideriamo nei due raggi a' e b' a partire XL ^V ' \* l X~ da R i due segmenti (RAr) e ( #) uguali rispettiva- /6 /B1 Y" mente ai segmenti (#A) e (##), si ottengono due punti flg. A e B tali che i due triangoli ARB, A'RB1 avendo due lati e la coppia compresa uguale sono uguali (teor. Ili, 16), e perciò (AB) = (A'B') (coroll. teor. Ili, 16) e le coppie ABRt = A'ÒR ; BAR, BAR sono pure uguali (coroll. teor. Ili, 16). Se e è un altro raggio di (R r), che interseca la retta r in un punto C, e se consideriamo nel suo prolungamento e un punto C in modo che sia (RC) =(RC), i triangoli RAB, RAG, RBC sono rispettivamente uguali ai triangoli RA'B? RA'C, R C, e siccome A, B, C sono in linea retta, i tre punti A', #, C' giac- ciono nella retta r' (teor. V, 17). Per dimostrare che la retta r' è parallela alla retta r (def. n, 26 e def. I e II, 32 e conv. 28), o ciò che è lo stesso alla retta a condotta da R paralle- lamente alla retta r (coroll. teor. I e def. II, 26), hasta osservare che al punto Xw del raggio parallelo s situato in r, corrisponde il punto X'^ del raggio s\ che deve essere situato sulla retta /. E inversamente, considerando X'^ come ap- partenente alla retta r, il punto X,. deve essere situato sulla retta r' (fig. 27). Coroll. I. Se due triangoli uguali hanno due angoli opposti al vertice, i lati opposti a questi angoli sono paralleli ed uguali. Perché due tali triangoli si trovano nelle condizioni ad es. dei due trian- goli ABR, A' R descritti precedentemente. Coroll. IL Ogni retta del fascio (Rr) incontra la retta r\ e inversamente ogni retta che congiunge un punto di r' con R è una retta del fascio (Rr). Perché ogni retta del fascio (Rr) per definizione (def. Ili, 27) incontra la retta r, e quindi anche la retta / in un punto ad ugual distanza da -R; e così ogni retta che passa per R e incontra r' incontra per la stessa ragione la retta r, ed è perciò una retta del fascio (Rr). Oss. I. Dal teor. precedente deriva pure che due settori angolari opposti al ver- tice nel fascio (Rr), pei quali i raggi dell'uno incontrano la retta r, e i raggi del- l'altro la retta r1, sono uguali. Ma non deriva ancora questa proprietà per due set- tori opposti del fascio di cui un raggio incontra r e un altro r', come ad es. per i

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292 due settori angolari AR(7, A'RC, perché non è ancora noto se il fascio RAG1 coin- cida col fascio (Rr) XXXVII). Teor. IL Se sopra due rette parallele sono dati due segmenti (AB), (A'B) uguali e diretti in verso opposto: 1. i segmenti (AA\ (BB) si incontrano nel loro punto di mezzo; 2. i segmenti (AB), e (A'B) sono uguali e paralleli. A partire dal punto A la retta r della figura descritta procedentemente (fig. 27) viene divisa in due parti opposte uguali, cioè (XtaoA)1 (AX^) rispetto al punto A (coroll. II, teor. Ili, 4 e conv. 28; coroll. Ili, teor. Ili, 19). Analo- gamente (A'X'n), (A'X^ sulla retta r sono opposti rispetto al punto A'. I due raggi (AX^), (A'X'M)sono paralleli e diretti in verso contrario; così (AX'v), (A'XM) (def. Ili, e coroll. IV, teor. I, 33). Supponiamo che il punto B giaccia nel segmento (AX^), dico che il punto ad ugual distanza da R in (Rr) giace nel segmento (A'JX^). Difatti il seg- mento (RB) è compreso nel settore angolare ARX^ del fascio (R r) (def. I, 38), e il segmento opposto (R ) determina nel fascio coi segmenti (RA') e (RX'^) i settori angolari opposti a quelli determinati nel fascio stesso dal segmento (RB) coi segmenti (RA) ed (RXW). Ma siccome il settore AJtX^ contiene il raggio' B, il settore opposto A'RX1 contiene il raggio R , imperocché RB forma con RA' e RX'ao angoli minori di A'RX'^, ed essendo il fascio di raggi (Rr) semplice- mente chiuso (teor. I, 30), non può essere che RB' sia fuori del settore ÀfRX'n (int. a, 65). Siano ora date due rette parallele qualunque r^ e r\, come è richiesto dal teorema. Esse sono in infiniti modi nelle stesse condizioni delle retta r er precedenti. Difatti basta scegliere una retta qualunque che le incontri in due punti A e A' e determinare il punto di mezzo R del segmento (AA').I\ fascio (Rrj coincide col fascio (Rr^), come il fascio (Rr) coincide col fascio (Rr) (teor. I), e perché dal punto A' si può condurre una sola parallela alla retta r} (teor. IV, 26, conv. 28 e oss. 31). Siano quindi (AB) e (A'B1) i due segmenti uguali e di verso opposto sulle rette r^ e r\ ; la retta RB per le considerazioni XXXVII) II teor. I è conseguenza immediata del postulato delle parallele dato nella nota XVI. Ma siccome la definizione del fascio sarà data alla nota XLI, così al teor. I si da la forma seguente : Se nel prolungamento di ogni segmento (RX) a partire da #, che unisce un punto X qualunque di una retta r con un punto R fuori di essa, si costruisce un segmento (RX')~(RX), i punti X' sono in una parallela r' alla retta data. Ai punti X della retta r in un dato verso corrispondono i punti X' di r' in un verso deter- minato. Per l'ultima parte basta osservare che nella figura descrìtta nella dimostrazione del teor. I ad ogni punto (7, che è interno al segmento di due punti qualunque A e B della retta r, corrisponde sul raggio opposto di RC e in r' un punto C' interno al segmento dei punti A' e B\ perché ha da questi due punti le stesse distanze che C ha da A e B (teor. I, 4, int. def. I. 61), e perciò data una serie di punti ABC-.. X.... in un dato verso della retta r, i punti A' C',...'X.'.... si seguono in un verso della retta r' (int. def. II, 62) (fig. 27). Il coroll. I è la def. della nota XVI, e con qualche lieve modificazione nella forma della dimostrazione vale il coroll. II (vedi note XVI e XXVIII).

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293 precedenti deve incontrare la r\ in un punto che determina con A' in r' un segmento uguale e di verso opposto ad (AB\ e quindi questo punto deve coin- cidere con ff (coroll. I, teor. Ili, 4), I segmenti (A'JR), (AH) sono poi paralleli ed uguali (coroll. I, teor. I). Coroll. I. Se sopra due rette parallele sono dati due segmenti (AB), (A'B) uguali e diretti nel medesimo verso, i segmenti (AA'), (BB) sono uguali e paralleli^ e i segmenti (AB') e (AB) si incontrano nel loro punto di mezzo. Coroll. II. Se da un punto X si conduce una parallela ad una retta AA', questa incontra la parallela condotta da ogni punto A' della retta data alla retta AX. Difatti scelto sulla retta parallela condotta per A' alla AX un segmento (AX) uguale ad (AX), o la retta XX' passa pel punto di mezzo di (AAf), o riesce parallela ad AA', secondochè il segmento (A'X) è diretto in uno o nell' altro verso. Tirando dunque la parallela da X ad AA', siccome è unica (teor. IV, 26 conv. 28eoss. 31), ne deriva che essa incontra in un punto la retta parallela condotta da A' ad AX (flg. 28). Coroll. HI. Ogni retta parallela alla direttrice di un fascio di rette pa- rallele, che ne incontra una, incontra tutte le altre. Sia r la retta direttrice del fascio (def. IX, 38), ed a una retta di esso incontrata da una retta r1 parallela a r nel punto A', mentre a incontra la retta r nel punto A. Dico che la r' incontra una retta x qualunque del fascio in un punto -X*. Difatti x incontra la retta r in un punto X per dato, quindi la parallela condotta dal punto A' di a alla retta r, ossia r, deve incontrare la retta x (co- roll. II) XXXVIII). flg. 28 XXXVIII) Si può anche qui far di meno del verso dei segmenti in rette diverse (nota XXIV). Il teor. II in tal caso assume la forma seguente: Se sopra due rette parallele sono dati due segmenti (AJ5) e (A'H) uguali, due dei segmenti che congiungono gli estremi di (AB) con quelli di (A'B'), sono paral- leli; gli altri due si incontrano nel loro punto di mezzo. Difatti scelto il punto di mezzo R di (AB') la retta Btf o taglia la retta AB' nel punto A', ed allora il teor. è dimostrato (teor. I, e coroll. I), o la taglia in un punto A\ tale che (A'1B') = (#A') (teor. I e ass. della nota XVI). Si ha pure (RB)^(R'A'l\(R'A)^(R'Bt) e AR'A^^BkB' (teor. 11,17); quindi i due triangoli ARA^ BR'B* sono uguali (teor. Ili, 16), e perciò anche (AA^) =#= (BB) (coroll. teor. in, 16 e def. della nota XVI), Se nel caso precedente R è il punto di mezzo del segmento (BI?) la retta RA\ non può passare per A, perché AA\ è parallela a BBf (nota XVI), dunque RA deve passare per A', ed (AB')^(AB)t essendo i triangoli ARL\ A'RB uguali per avere due lati e la coppia compresa uguale (teor. Ili e coroll. 16. e def. della nota XVI) (flg. 27). Quale coroll. si ha.- Se (AA') è un segmento cogli estremi in due rette r e r' parallele^ ed (AB) è un segmento di r; gli estremi B e B\ dei due segmenti (A'/?') e (A'B'i) uguali ad (AB) in V congiunti con B danno due segmenti, r uno parallelo ad (AA') l'altro che lo incon- tra nel suo punto di mezzo.

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294 Il Parallelogrammo* 44. Def. I. Se un quadrangolo (def. I, 17) ha due coppie di lati paralleli dicesi parallelogrammo. Gli altri due segmenti o le altre rette determinati dai quattro vertici del parallelogrammo si chiamano diagonali. Per lati opposti del parallelogrammo s'intendono i lati che non hanno alcun vertice comune, vale a dire i lati paralleli. Se A, B9 A', B sono i vertici del parallelogrammo e (AB], (BA') (A'B'), (#4') sono i lati, (A A'), (Bit) sono le due diagonali; e se (AB) è parallelo ad (A'JB'), (BA') parallelo a (B'A), (AB) e (A' ), (BA) e ( A) sono i lati opposti. I settori angolari o angoli determinati dai lati del parallelogrammo coi vertici in quelli del parallelogrammo si dicono settori angolari o angoli del parallelogrammo. Oss. I. Per la definizione delle rette parallele (def. li, 26) i vertici del parallelo- grammo devono essere situati nel campo finito (def. I e coroll. teor. Ili, 26 e oss, 31). Oss. IL La figura dell'ultimo teorema costituita da due segmenti uguali (AB) e (AB') sopra due rette parallele è evidentemente un parallelogrammo, le cui diago- nali si incontrano nel loro punto di mezzo. Ind. I. Se due segmenti (AB) e (A'B') sono uguali e paralleli senza tener conto del verso, scriveremo: essendo =$= il segno di uguaglianza e di parallelismo. Teor. I. Ih ogni parallelogrammo : 1. Le diagonali si incontrano nel loro punto di mezzo; 2. i lati opposti sono uguali. Difatti congiungendo B col punto R di mezzo di (AA) la retta RB deve passare per B' o per ffr Vale con una dimostrazione analoga il coroll. II. Poi si da il teorema: IIL Date due rette parallele r e r' ed un segmento (AA1) cogli estremi in re in r', e condotte dai punti X di r. considerati in un verso, le parallele ad AA', i punti X' d'intersezione colla retta r' si seguono in un dato verso. Sia R il punto medio di (AA'). I punti opposti in r' dei punti dati di r sono si- tuati a cominciare da A' nel verso opposto a quello in cui si trovano i punti X' (coroll. preced. e teor. I nota XXXVII). IV. Date due rette parallele r e r*t la parallela condotta da un punto di una loro trasversale qualunque ad una di esse, è parallela anche all'altra. Difatti conducendo da X (fig 28) la parallela alla retta a, si ha (AX) ^(A'X'), ed essendo (AB) = (AB9), per la stessa ragione (III) si ha (XB) = (X'B'). La retta AA' è parallela rispetto a BB' (XVI). Considerando le rette r e r' nei versi determinati dai segmenti (AB), (A'B'), o B e B' sono compresi in (AX) e (A'X) (come nella flg. 28), ovvero A e A' sono compresi in (-BX) e ( X')j e perciò la pa- rallela a BB' passante per X passa per X (III).

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295 Siano A, B, A', i vertici del parallelogrammo ; (AB), (A'ff); (AB), (Aff) i lati opposti. Sia R il punto di mezzo della diagonale (AA'). I raggi del fascio determinato dal punto R e dalla retta AB., che indicheremo anche con r, incon- trano una retta r\ Se si con giunge R con B, la retta (RB) passa per un punto B\ di r' (teor. I, 43). Ma siccome Aff^ è parallela a BA' (coroll. I,. /C1 y{\ teor. I, 43) e per un punto A passa una sola parallela flg ad una retta data (teor. IV, 26, conv. 28 e oss. 31) il punto i coincide con B, e perciò si ha (AB) = (A'ff), (AB') = (A'B), ed R divide per metà le due diagonali, e. v. d (fig. 29). Def. IL II punto di mezzo delle diagonali si chiama centro del paralle- logrammo. Teor. IL I settori angolari del parallelogrammo sono uguali. Difatti una diagonale (AA') del parallelogrammo ABA'B1 lo divide nei due triangoli ABA', A A', i quali sono uguali per avere i tre lati rispettiva- mente uguali (teor. Ili, 17 e teor. II, 34), e quindi i settori angolari in B e che sono opposti alla diagonale e sono opposti nel parallelogrammo sono uguali (coroll. teor. I, 42) (flg. 29), Teor. III. Se due segmenti (AA'), (Bff) si incontrano nel loro punto di mezzo, i punti AB A'I? sono vertici di un parallelogrammo. Difatti se R è il punto di mezzo di (AA) e (Bff) e se da A' si conduce la parallela alla retta AB, essa deve passare per (coroll. I, teor. I, 43; teor. IVr 26, conv. 28 e oss. 31). Così AB è parallela per la stessa ragione ad A'B ; dùn- que ecc. (def. I) (fig. 29). Teor. IV. Congiungendo i punti di mezzo dei lati opposti di un paralle- logrammo si ottengono due rette parallele al lati stessi, le quali passano pel centro del parallelogrammo. E inversamente: Le rette parallele ai lati condotte pel centro del parallelogrammo passano pei punti di mezzo dei lati. Siano C e (f i punti di mezzo dei lati (AB) e (A'ff) del parallelogram- mo ABA'B'. Siccome (AC) = (A'C) (teor. I e ini b e g, 99), ed (AA') passa per R, la retta CC' deve passare per R essendo (AC) e (A'C') di verso opposto (teor, II, 43). Ma si ha anche (AC) = (#C'), e siccome (CC) passa per R, (AB) è parallela alla retta C(f (teor. II, 43); vale a dire ABCC sono vertici di un nuovo parallelogrammo (def. I). Conducendo dunque da R la parallela ai due lati (A#), (BA') del parallelogrammo, essa incontra gli altri due lati nei loro punti di mezzo (teor. IV, 26 conv. 28 e oss. 31). Questa proprietà vale eviden- temente anche tirando da R la parallela Q alle rette AB e A'B', che incontra i lati (AB*), (A'B) nei loro punti di mezzo e S. Come le rette CC e SSf appartengono al fascio determinato dal ceufco R col lato AB o col lato opposto ArB', cosi appartengono al fascio determinato dal punto R coi lati AB' e A'B (fig. 29). 0$$. III. Da ciò non risulta ancora che questi due fasci coincidano, ciò prova soltanto che hanno le rette AA\ BB CC\ SS' comuni.

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296 Coroll. I. Se dal punto di mezzo di un lato del triangolo si conduce la parallela ad un altro lato, essa incontra il terzo lato nel suo punto di mezzo. Di fatti il triangolo AB'A' descritto precedentemente può essere conside- rato come un triangolo qualunque (def. n, 9), perché le parallele condotte ri- spettivamente, ad es. da A e A\ ai lati A' e Aff, si incontrano nel punto B (coroll. li, teor. II, 43). Coroll. IL Dato un parallelogrammo AB A'8, se da un punto X interno di un lato, per es. (AB) si conduce la parallela agli altri lati non opposti adesso, essa incontra il lato opposto in un punto X9 intemo al lato (AB). Difatti la parallela condotta da X alla retta AB incontra (BA1) (coroll. H teor. II, 43), e la figura AXXB è un parallelogrammo (def. I), e quindi (BX') = (AX) (teor. I). Analogamente (X )=(XA)\ e poiché X è interno al segmento (AB), X1 è interno al segmento uguale (BA) (fig. 29) XXXIX). 6. Teorema, fondamentale sul triangolo. - 45. Teor. L Se da un punto qualunque X del lato AB di un triangolo ABC si conduce la parallela ad un altro lato BC: 1. essa incontra il terzo lato in un punto X' ; 2. il rapporto del segmento che il punto A, o C, determina col punto JT al lato (AC) è uguale a quello del segmento determinato dal punto X col punto A, o B, al lato (AB). E inversamente: Se ha luogo Vultima proprietà, i due punti X e Xt determinano una retta parallela alla retta AB. Il triangolo A A' della fig. 29 si può considerare come un triangolo qualunque ABC (def. II, 9). Conducendo dal punto di mezzo Rl di un lato, per es. (AB), la parallela al lato (BC) essa incontra il terzo lato (AC) nel suo punto di mezzo Rì (coroll. I, teor. IV, 44). Se facciamo la stessa operazione rispetto al triangolo AR^^ i due punti di mezzo R2 e #2 di (ARJ e (ARJ sono situati nella pa- rallela passante per R alla retta R^19 ossia al lato BC- perché vi è un solo punto di mezzo di un segmento rettilineo (teor. I, 4, oss. HI, 18; int. def. I, 61). c. Per dimostrare che ciò ha luogo anche pel punto flg. 30 di mezzo , di (#,#) si congiunga C con Rl; si hanno così i due triangoli R^C, R,CRl coi due lati BC, tf^ paralleli. La parallela condotta da R3 al lato BC nel primo triangolo incontra il lato (R+C) nel suo punto di mezzo #y, la parallela condotta da #'3 al lato R^^ che è anche XXXIX) I teor. I, III. IV e coroll. vanno dimostrati allo stesso modo, riferendosi per le citazioni alle note precedenti, soltanto che il teor. II, se non si è data ancora la def. di settore angolare del triangolo e quindi anche del parallelogrammo (vedi nota XXXV; vale per le coppie rettilinee (def. I, 16) del parallelogrammo.

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207 parallela a BC, coincide con la retta R3R3 (coitoli. I, teor. I, teor. IV, 26, conv. 28 e oss. 3!) passa pel punto di mezzo K3 del segmento (CB^). Questa dimostrazione vale evidentemente anche pei punti di mezzo dei segmenti ( *#), (RJRi), fòli*). Dividendo dunque (AB) per metà, e i due segmenti risultanti per metà, e i quattro risultanti ancora per metà ed eseguendo n volte questa operazione, (AB) resta diviso in 2* parti uguali, e se dai punti di divisione conduciamo le parallele al lato (BC), esse incontrano il lato (4C) nei punti che lo dividono in 2*"parti uguali, in modo che se Rn e Rn sono in una parallela al lato (-BCJ, si ha: (ARn) = (AK ) (Rn *)= ( n C) (AB) - (AC) M anCne (AB) - ~(AC) cioè (ARn) e (A'Rn)9 (RnB), (RnC) sono segmenti corrispondenti nella corri- spondenza di proporzionalità determinata da (AB) e (AC) (ini def. I e III, 106). Aumentando n indefinitamente, ogni altro punto X è punto limite del gruppo (R) di punti della divisione successiva di (AB) per metà, e ad una serie di punti R che ha per limite X nella corrispondenza di proporzionalità sud- detta corrisponde una serie di punti K avente per punto limite il punto cor- rispondente JT (int. b, 106). Ora i punti corrispondenti delle due serie (R) e (R) sono in rette parallele al lato (BC), e la serie di queste rette parallele ha per limite la retta (XX*) (def. I, 12, teor. II, 30 e conv. 28). Ma se conducia- mo da C la retta CA parallela ad AB, le parallele condotte dai punti di (AB) a BC incontrano tutte il segmento (A^C) (coroll. II, teor. IV, 44), e quindi la serie di rette parallele (Rff) ha per limite anche la parallela XX^ condotta da X alla retta BC. Sia #' il punto d'incontro della parallela condotta da R alla retta AB colla retta XX*,; si ha (##') = (RX) (teor. I, 44), e quindi (KB1) decresce in- definitamente con (RX). La serie di punti R" in (XXJ ha un punto limite Y, essendo illimitata di la specie come la serie corrispondente di punti 1? (int. ', 98), e'perciò (KY) diventa indefinitamente piccolo tale diventando anche (##') (coroll. ass. IV). Dunque H ha per punti limiti X' e Y, vale a dire Xr e r, e perciò anche le rette XXr, XXl coincidono (teor. IV, 10) l). Dimostrato così il teorema per un punto qualunque X del lato (AB), si può dimostrarlo facilmente per ogni punto M della retta AB. Sia M situato dalla parte di B rispetto ad A. Vi è sempre un numero n tale che (AB)n (AM) (ass. II, a, int. e', 81 e conv. 28). Indicando con Bn e Cn i secondi estremi di (AB)n, (AC)n, M si trova nel lato (ABn) del triangolo ABnCn, e siccome (AB) e (AC) sono segmenti cor- rispondenti nella corrispondenza di proporzionalità determinata da (ABn) e ( ACn ) (int. e', 106), la retta BC è parallela alla retta Bn Cn, e quindi la pa- rallela condotta da M alla retta Bn Cn, che è parallela anche a BC (coroll. teor. I, e def. II, 26), incontra il lato (ACn\ Se invece M è situato dalla parte opposta di A a partire da A nella retta AB, si costruisca un triangolo ABn n tale che (AB'n ) = ( ABn ), (ACn ) = (ACn ). 1) Pel coroll. Il che si potrebbe dimostrare subito pei segmenti (R'sf')tai ha che (XR") nel seg- mento (XXi) è sempre crescente, e in tal caso si applicherebbe il teor. d, 97 dell'introduzione.

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La retta ffn Cn riesce parallela alla retta Bn C (caroli. I, teor. I, 43), e quindi anche alla BC; e perciò la parallela condotta da M a BC incontra il segmento (ACn). Il teorema è dunque nella sua prima parte pienamente dimostrato. La -proprietà inversa è chiara, perché se da X si conduce la parallela al lato BC essa incontra il lato A C in un punto Xl che è corrispondente di X nella corrispondenza di proporzionalità determinata da (AB) e (AC) sulle rette AB, AC, e quindi Xx deve coincidere con X9 (int. d. Ili) (fig. 30). Caroli. 1. Date due rette parallele e una retta* che le incontra (traversale), una retta qualunque che incontra la retta a, e una delle due parallele, inter- seca anche l'altra. Siano AB e A'ff le due parallele, ossia r e r', A e A' i punti d'intersezione della trasversale con r e r ; J3 la retta che incontra a e r' nei punti R e B'. Nel triangolo A R, per la prima parte del teorema precedente, la parallela condotta da A a r\ cioè r, deve incontrare la retta R , ossia JS, in un punto B (fig. 31). Corali. IL La parallela condotta da ogni punto interno di un lato del triangolo ad un'altro lato, incontra il lato rimanente in un punto interno. fl - 3l Difatti nel triangolo descritto precedentemente (flg. 30) si ha: (AX) __(AX)m (XB)_ (X'C) (AB) ~~~ (AG)9 (AB)~~ (AC) ma (AX) (A ), (XB) (AB), dunque si ha anche (AXf) (AC), (XC) (AC) (int. e, 111); vale a dire X è un punto interno al lato (AC), altrimenti se fosse fuori del segmento (AC) non sarebbero veriflcate le relazioni suddette (int. def. I, 61). Coroll. III. Se due punti Af, , dividono i due lati (AR) e (RB) di un triangolo ABR nel medesimo rapporto^ i segmenti (AB) e (A'B') hanno il me- desimo rapporto. Da A' conducasi la parallela a (BR), che deve incontrare (AB) in un punto A". Per la seconda parte del teorema si deve avere: (A"B) __ (A'R) (AB) (AR) ma (A"B) = (A'B'), perché A" B A' sono vertici di un parallelogrammo (def. I e teor. I, 44), quindi si ha: (A'B') ___ (A'R) _ ( R) (AB) - (AR) ^ (BR) Coroll. IV. Se A, B, C sono tre punti di una retta r e C è interno al seg- mento (AB), e se A', #, O sono i tre punti d'intersezione delle tre rette RA, RB, RC con una retta r' parallela a r, il punto C9 è intemo al segmento (A'tf).. Difatti si ha pel coroll. III. (A'R)_ (A'C).__ (A'B') _ (CBf) (AR)~~ (AC) "" (AB) *" (CB) (int. g 106) (flg. 31).

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Dunque (A'Cf) e (A*ff) sono proporzionali nella corrispondenza di propor- zionalità determinata dai segmenti (AC) e (AB). Ora essendo (AB)^ (AC)9 per dato ne consegue che i multipli e i summultipli di (AB) sono maggiori di quelli secondo lo stesso numero di (AC) (int. d, ti, 79), e perciò si ha (A'tf) (AC) (int. e, 106). Analogamente per le coppie (A'B\ (AB)', (CB), (CB). Dun- que, siccome le distanze di C1 da A' e #' sono minori di (AB), C' è interno al segmento (Aff) (int. def. I, 61) XL). 7. Definizione del piano e sue prime proprietà. Fasci intorno ai punti di esso. 46. Def. L La figura (def. I, II 2) che sì ottiene dal fascio di raggi, consi- derando come elemento il punto, si chiama sistema a due dimensioni o su- perficie piana o, più semplicemente, piano. Def. II. La parte di piano data da un settore angolare del fascio si chiama settore angolare o settore piano. Quando il settore angolare piano si considera come sostituibile da ogni altro settore ad esso identico in ogni unione con altri settori piani esso si chiama angolo piano *) del settore dato. Oss. /. Vi è dunque una differenza sostanziale fra il settore angolare del fascio e il settore angolare del piano, perché il primo ha per elemento il raggio, il secondo ha invece per elemento il punto. Vale a dire, facendo uso delle definizioni del n. 110, mentre il fascio di raggi va considerato come una figura ad una dimensione rispetto ad un raggio e ad una retta, il piano è invece una figura a due dimensioni rispetto al punto come elemento. Però siccome ogni settore di un fascio di raggi da un solo settore piano, e come vedremo fra breve, ogni settore piano da un solo settore di un fascio, così è per- messo scambiare l'uno con l'altro, salva però la loro differenza e le proprietà che da questa differenza dipendono ; come in casi analoghi possiamo scambiare distanza e segmento, settore di un fascio e angolo del fascio. Def. HI. Se tutti i punti di una retta appartengono al piano (def. I, 2), si dice che la retta giace o è situata nel piano XLI). XL) II teorema I sia coll'ass. II sia coll'ass. II' va dimostrato ugualmente ap- poggiandosi ai teoremi analoghi a quelli indicati nel testo e dati nelle note pre- cedenti. Soltanto è da osservare che poiché sia coll'ass. II sia coll'ass. II' non è an- cora escluso che la retta sia chiusa, e coll'ass. II non è escluso che due punti op- posti non possano determinarla (teor. II, 14), così noi riteniamo che nei lati del triangolo non vi siano punti opposti. Questa restrizione non occorre fare invece col- l'ass. II1, come non occorre farla anche coll'ass. II se per lato del triangolo conside- riamo il segmento minore determinato dai suoi vertici, non potendovi essere un trian- golo con un lato uguale alla metà della retta (teor. II, 14), Slmilmente per i corollari. 1) L'angolo piano o dunque la grandezza intensiva del settore piano (int. def. II e a, e, ni). XLI) Se non si è ancora data la definizione del fascio di rette si può dare qui, co- me quella figura determinata da tutte, le rette che uniscono i punti di una retta r con un punto 12 fuori di essa, compresa la retta parallela condotta da R alla retta r. Qui trovano poi posto le definizioni di settori angolari ed angoli del fascio dati al n. 38, come anche la def. del fascio di rette parallele. Si da poi la def. del piano.

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300 Teor. I. Se dai punti del piano si conducono le parallele a tutte le rette di un fascio che lo genera: i* esse sono incontrate da tutte le rette del fascio; 2. hanno tutti i loro punti in rette del fascio ; 3 si incontrano fra loro XLII). a) II piano dato dal fascio di raggi (Rr) (def. I) contiene un'altra retta r' parallela alla retta r (teor. I, 43). Date due rette a e /5 qualunque del fascio (Rr), se da un punto della prima conduciamo la parallela x alla retta r, essa incontra la retta jS (teor. I, 45) e perciò qualunque retta del fascio, perché an- che se jS è parallela alla retta r la retta oc incontra j5 all'infinito. E inversamente, ogni punto della retta oc congiunto con R da una retta che incontra la retta r (coroll. I, teor. V, 45); dunque la retta x giace tutta nel piano (def. III). Ma la retta a è una retta qualunque del fascio, e d'altra parte i punti del piano sono dati dalle rette del fascio (def. I); dunque tutte le parallele alla retta r, e quindi alla parallela o condotta da R alla retta r (coroll. teor. I e def. II, 26), condotte dai punti del piano, incontrano le rette del fascio (Rr) e giacciono nel piano (def. Ili) (fig. 29). b) Ma ogni retta x parallela alla retta r, che passa per un punto della retta RA, incontra la retta AB, perché x è parallela alla retta a, ossia RSf, (teor. I, 45). E inversamente, ogni punto X della retta AH è situato nel pia- no, perché conducendo da esso la parallela alla retta r, essa deve incon- trare la retta RA del fascio, e quindi giace nel piano '^M (a), dunque la retta Aff giace nel piano (def. Ili) (fig. 29). / /N^A Q B Oppure anche : La retta RX, incontrando la retta x parallela ad r, che incontra RA, incontra pure la retta r (coroll. I, teor. 45). Dunque ogni punto della retta AH giace in una retta del fascio (Rr) (fig. 29). Reciprocamente, ogni retta del fascio (Rr) incon- tra la retta Aff. Sia X il punto d'incontro della flg s* vetta data del fascio colla retta r ; la parallela con- dotta da X alla AB', ossia alla parallela RC condotta da R ad AH (coroll. I, teor. I e def. II, 26) deve incontrare la retta RA in un punto M (teor. I, 45), e considerando il triangolo XRM o il triangolo XCR, si vede che la retta .(AB') deve incontrare la retta RX (teor. I, 45) (fig. 32). Ora, il punto A si può riguardare come un punto qualunque della retta RA, perché se da un punto A\ qualunque della retta RA conduciamo la pa- rallela rt ad r, ogni retta del fascio (Rr) è una retta del fascio (RrJ e vi- ceversa (a) ; e quindi si può costruire un parallelogrammo analogo a quello ABA' , che abbia per centro il punto R e per vertice A1? di cui un lato è la retta rx e l'altro lato è parallelo a RC. La parallela dunque condotta da un XLII) Non facendo uso del punto all'infinito della retta, neppure come modo di dire, bisogna escludere in 1 e 3' il caso in cui le rette sono paralleli*. La dimostra- zione salvo la distinzione delle rette parallele è la medesima tenendo conto del teo- rema IV della nota XXXVIII.

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301 punto A qualunque della retta RA alla retta RC del fascio soddisfa alle pro- prietà 1 e 2 del teorema. Dato un punto Y qualunque del piano, la retta R Y è una retta del fascio generatore (def. I), che incontra la direttrice r in un punto X. Considerando il raggio RX come raggio RA, ne consegue che la parallela condotta da T a RC giace -tutta nel piano e viene incontrata da tutte le rette del fascio (Rr). Ma RC si può considerare come una retta qualunque del fascio, e quindi le parallele condotte da un punto T qualunque del piano alle rette del fascio (Rr) incontrano queste rette, e sono situate nel piano. Se RC fosse la paral- lela a condotta da R alla retta r, sappiamo già che la parallela condotta da Y a a ha la stessa proprietà (a). Ciò che vale pel fascio (Rr) vale evidentemente per ogni fascio che ge- nera il piano e che quindi si trova nelle stesse condizioni del fascio (Rr) (def. I). Le proprietà 1 e 2 sono dunque dimostrate (fig. 32). e) Rimane da dimostrare che le parallele condotte alle rette del fascio (Rr) si incontrano in un punto. Eccettuiamo il caso in cui sono parallele, perché allora si sa già che si incontrano in un punto all'infinito rispetto all'unità del campo finito (def. II, 26, conv. 28 e coroll. I, teor. Ili, 19). Sia data dunque una retta del fascio e da un punto A si conduca ad essa la parallela AB, che come si sa giace nel piano e incontra tutte le rette del fascio (o). Da un punto Y si conduca la parallela ad una altra retta RC del fascio. Siccome RC e RY incontrano la retta AB rispettivamente nei punti C e X (b), la parallela condotta da Y a RC incontra la retta AB (teor. I, 45) (fig. 32). Il teorema è dunque pienamente dimostrato. Coroll. I. Un punto all'infinito e uno del campo finito determinano una retta tutta situata nel piano. Difatti il punto all'infinito è dato da una retta del fascio (Rr) (def. I) e pel punto,del campo finito passa una parallela a questa che giace nel piano (b). Coroll. II. Dato un fascio (Rr) del piano9 ogni altra retta di esso deter- mina con R lo stesso piano. Se r è l'altra retta, essa è parallela ad una retta del fascio (Rr), e quindi incontra tutte le rette del fascio (Rr) ed è incontrata dalle rette di questo fascio XLIII). XHII) II coroll. I va espresso così: La parallela condotta da un punto del piano ad una sua retta giace tutta nel piano. a) La parallela condotta da R a una retta AB1 situata nel piano giace pure nel piano. Difatti considerando la retta RA e una retta RS' che incontra AI? nel punto ', tirando da A la parallela AB a RS essa giace nel piano (def. HI e teor. I), e quindi viene incontrata da tutte le rette del fascio (R r) generatore del piano e i suoi punti giacciono in rette del fascio (5). Ma couducendo da R la parallela ad AS', essa in- contra la retta AB in un punto C (nota XXXVII), dunque RC che è parallela ad AB* è una retta del fascio (Rr). b) Se s è la retta ed X il punto dati, sia RC la parallela condotta da R ad 0, che giace nel piano (a). La parallela condotta da X ad s è parallela anche a quella con*

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802 Teor. IL La parallela condotta da un punto R ad una retta r è retta limite del fascio (Rr). a) Sia Z un punto interno del segmento (Ag) parallelo a (RC), essendo AC e RS parallele fra loro. Sia X il punto d'intersezione della retta RZ colla retta AC, dico che A è interno al segmento (CX). Difatti dai triangoli XRC, XZA, si ha: (coroll.m.teor.1,45) e poiché (CR) = (A$) (teor. I, 44) e (AZ) (AS) (int. def. I, 61), è (AZ) (CR) (int. def. II, 61). Dunque (XZ) (XR) (int. e, 111). Considerando i triangoli RXXlt RZtf, essendo (XXJ parallelo a (RC) e col punto X\ sulla retta R , si ha (XXl)^(RC) (teor. I, 44), e quindi: 7TTT (corolL ni- teor- T' 45 " (^iAJ Ma (SZ) (S*A) = (XjX), e perciò ( #) (XR) ; dunque Z è interno al segmento (XR) (int. def. I, 61), perciò anche A è interno al segmenta (XC) (corali. II, teor. I, 45). Inversamente, se A è interno al segmento (XC) con lo stesso procedimento si dimostra che il punto d'intersezione Z di (RX) con A (teor. I) è interno al segmento (AS*) (flg. 32). b) Scegliendo un punto Z' nel segmento (ZS) la retta R2? incontra (XXJ in un punto interno X" (coroll. IV, teor. I, 45), e indicando con X1 il punto d'incontro di RZ" con la retta AC (teor. I), poiché X" è interno -al segmento (XXJ, il punto X è interno al segmento (CXf) (a). E inversamente, se X è compreso nel segmento (CX'), il punto X" è in- terno al segmento (XXJ, (a) e quindi anche Z' nel segmento (Z1^) (coroll. IV, teor. I, 45). Dunque quando (SZ) decresce indefinitamente (conv. 28 e int def. I, 95) il segmento (CX) cresce indefinitamente nel verso di (CA), perché qualunque sia Z in (A ), la retta RZ incontra la retta r in un punto X (teor. I), e reci- procamente. Il teorema è dunque dimostrato *) XLIV). dotta per R ad s (teor. IV, nota XXXVIII), ossia ad una retta del fascio (tfr), dunque essa giace tutta nel piano (teor. I). Il coroll. II va dato colla stessa dimostrazione, salva la distinzione delle due rette parallele indicata alla nota precedente. I) colle nostre definizioni di raggi e di rette parallele (def. I, II 26), che si appoggiano sull'esisten- za astratta dei punti ali' infinito secondo i principi svolti nell'introduzione, troviamo una confer- ma sperimentale dell1 esistenza delle rette e dei raggi paralleli ; in quanto che colle considera- zioni empiri che svolte al n. 27 abbiamo bensì veduto che il raggio parallelo o raggio limite dei fascio, ma non ne abbiamo profittato che per dare I1 ip. V e il primo assioma pratico. XLIV) II teorema II si dimostra nello stesso modo. Oss. L Si osservi che ad ogni ponto della retta r corrisponde nel fascio (Rr) una retta che passa per il punto dato eccettuata la parallela, e che ogni retta del fascio incontra la retta r. Per evitare le eccezioni sia nei teoremi come nelle dimostrazioni anche in un trattato elementare si può dire;

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Teor. HI. Ogni punto del piano è centro di un fascio di rette che sono situate nel piano e contengono tutti i punti del piano. Difatti le parallele condotte da un punto X qualunque alle rette del fascio (Rr) generatore del piano (def. I) incontrano tutte la y ^-------- retta r (teor. I). Scelto un punto A di r, la retta AX è \ / A parallela ad una retta RB del fascio (Rr), perché la yX, /y retta RX, essendo una retta del fascio, incontra la retta \ /' r, e quindi la parallela condotta da R alla AX incon- tra la retta r in un punto B (teor. I, 45), dunque tutte flg. le rette del fascio (Xr) appartengono al piano (Rr) (teor. I). Inversamente, ogni retta del fascio (Rr) incontrando la retta r è parallela ad una retta del fascio (Xr), e quindi è incontrata da tutte le rette del fascio (Xr), e ogni suo punto è situato in una retta di questo fascio (teor. I). Dunque ogni retta del fascio (Rr) e quindi ogni punto del piano (Rr), è situato nel piano (Xr). Se il punto X è all'infinito, tutte le rette del fascio di centro X sono parallele alla retta RX, le quali sono incontrate dalla retta r e da tutte le La prop.: due rette hanno un punto comune all'infinito significa: le due rette sono parallele. Questo punto all'infinito introdotto così è un punto improprio, e non come i nostri punti all'infinito, che godono le stesse proprietà degli altri punti (def. I e II, 26). Si ha poi (vedi nota V) : Teor. III. La retta è una linea aperta. Difatti se fosse chiusa, ad ogni punto Z della retta r corrisponderebbe una retta del fascio (Rr) passante per Z, e ad una retta limite RX del fascio corrisponderebbe un punto limite X della retta, potendo in tal caso considerare la retta come un seg- mento AB cogli estremi coincidenti (int. a, 63 e teor. Vili, 13). Ma la retta parallela nel fascio (Rr} alla retta r non incontra la retta r (nota XVI), mentre essa è retta limite dei fascio (teor. II). dunque la retta non è chiusa. È da osservare in relazione alla nota X che la dimostrazione del teor. Vili, 13 limitato alla retta è indipendente dagli altri teor. del n. 13. Coroll. La retta viene divisa da un suo punto in due parti uguali, (come il teor. a", 70 dell'introduzione,). Def. Se in un fascio di rette (Rr) si coinsiderano i raggi dati dalle parti in cui ft divide ciascuna retta del fascio, la figura risultante si chiama fascio di raggi. Teer. IV. Il fascio di raggi è un sistema ad una dimensione semplicemente chiuso rispetto al raggio quale elemento. Difatti vi sono in (Rr} dei raggi che incontrano la retta r, e i raggi opposti che incontrano la retta r' (vedi nota XXXVII), fra i quali vi sono i raggi della retta parallela, che appartengono al fascio (nota XLI). Oss. II. Dalla dimostrazione del teor. II risulta che i raggi del fascio che incon- trano la retta r a partire da un punto di essa in un dato verso hanno per raggio limite un raggio della retta parallela, mentre i raggi nel verso opposto, che incon- trano la retta r hanno per raggio limite il raggio opposto (def. I, 12). Distinguendo i raggi di una retta, possiamo dire che nel primo caso il raggio della retta r e il raggio parallelo nel fascio (Rr) hanno un punto all'influito e i raggi opposti un punto airinfinito opposto (oss. I). Oss. III. Pel teor. Ili valendo il teor. I, 14 coirass. II, non occorre più tener conto d'ora innanzi in queste note della differenza tra l'ass. II e l'ass. II\ (Vedi nota IV),

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304 rette del fascio (Rr), come ogni punto di esse è situato in una retta di questo fascio. Corali. I. Ciascuna retta del piano taglia tutte le rette di ogni fascio di esso. Ciò risulta dalla dimostrazione stessa del teorema, perché essa è paral- lela ad una retta del fascio (coroll. I, teor. I), e quindi incontra tutte le rette del fascio (teor. I). Coroll. IL Due rette del piano si incontrano in un punto. Se sono parallele si incontrano all'infinito (def. II, 26). Se non lo sono, presa sopra una di esse un punto X, essa appartiene al fascio del piano di centro X, e l'altra retta data è parallela ad una retta di questo fascio (coroll. I, teor. 1), e perciò incontra tutte le rette del fascio e quindi anche la prima retta data (teor. I). Teor. IV. Una retta avente due punti nel campo finito del piano giace tutta nel piano. Se A e B sono i due punti, conduciamo per A la retta RA e per B la retta parallela, per es. alla retta RS del fascio (Rr) ge- neratore del piano (def. I), la quale incontra RA in M (teor. I). Ogni retta che congiunge A coi punti della retta BM è una retta del fascio di centro A situata nel piano RS (teor. Ili e coroll. II, teor. I), perciò la retta AB giace nel piano. fig. 34 Oppure anche: Tirando da R la parallela ad AB, essa incontra la MB (teor. I, 45) ed è una retta del fascio di centro R colla direttrice BM (coroll. II, teor. I) e quindi anche pel teor. I la rètta AB giace tutta nel piano *). Teor. Y. Il piano è determinato da ogni sua retta e da un punto qua- lunque fuori di essa. Siano x e X il punto e la retta dati ; (Rr) il fascio primitivo che genera il piano (def. I). Si sa che i punti dei due fasci (Xoc), (Rr) coincidono (teor. Ili) e quindi anche i due piani (Xoc), (Rr). Coroll. I. Per una retta e per ogni punto fuori di essa passa un solo piano. Se r e R sono la retta e il punto dati, e se per essi passano due piani, questi devono essere determinati dal fascio (Rr), vale a dire devono coincidere (teor. Ili e coroll. II, teor I). Se il punto R è all'infinito vale la stessa proprietà. Coroll. II. Tre punti A, B, C non situati in linea retta determinano un solo piano, che viene determinato da ogni altro gruppo di tre dei suoi punti del campo finito, non situati in linea retta. Difatti per la retta r che congiunge due dei suoi punti dati e pel terzo punto passa un solo piano (coroll. I) che contiene le rette congiungenti l'ulti- mo punto coi primi due. i) Questa è la proprietà che viene assunta comunemeqte nei trattati elementari come assioma fondamentale del piano. :

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305 Scelti tre dei suoi punti qualunque DEF non situati in linea retta, la retta congiungente due qualunque di essi giace nel piano (teor. IV), e perciò il piano viene determinato da questa retta e dal terzo punto. Caroli. III. Due rette che hanno un punto comune A determinano un solo piano. Oppure : Due fasci di raggi con due raggi comuni coincidono. Difatti per determinare le due rette oltre al loro punto comune A occor- rono altri due punti che col primo determinano un solo piano, il quale contiene le due rette date. Coroll. IV. Due parallele determinano un solo piano. Siano r e r1 le due parallele, e scelta una trasversale (AB) comune, sia R il punto di mezzo di (AB). Il piano determinato da R con una delle due rette contiene tutte le parallele che dai punti di AB si possono condurre alle due rette. Ogni punto di AB o di ogni trasversale A'B' comune di r e /, che gia- ce nel piano (Rr) (teor. IV), genera con r e r lo stesso piano (teor. III). Il teor- ma è dunque dimostrato XLV) *). 8. L'identità del piB.no (Rr) intorno ai suoi punti del campo finito e a, quelli all'infinito. Proprietà delle perpendicolari nel piano. 47. Def. I. Chiameremo segmento limite assoluto all'inrinito di un settore angolare (ab) di un fascio (Rr) il segmento determinato dai punti AM, B^ li- miti assoluti dei raggi a e b rispetto al punto R (def. II, 32). Teor. I. A settori angolari uguali di un fascio (Rr), o di fasci diversi (Rr), (R'r'), corrispondono segmenti limiti assoluti aW infinito uguali, e inver- samente. Difatti siano À^RB^, A'^Rff^ i due settori angolari uguali, essendo A^ # ^oo ^oo punti limiti assoluti rispettivamente di R e R'. Scelti due punti Aì B sui raggi RA^ RBW1 e i punti A' e B' sui raggi jR'A'oo, R!B'V) rispettivamente ad ugnali distanze da K di quelle dei punti A e XLV) I teor. Ili, IV, e V e i loro corollari possono essere dimostrati nello stesso modo facendo uso della def. della nota XLIV; altrimenti bisogna modificare la forma, quando si tratta di rette parallele. 1) Limitando il teor. 1,45 a tutti i punti R ottenuti dai lati (AB), (AC), (BC) del triangolo ABC colla succesiva divisione per metà, e a quelli che si ottengono dai multipli di (AB) e (AC) sui lati AB e AG del triangolo, conducendo dai punti cosi ottenuti le parallele ai lati del triangolo e dei nuovi trian- goli formati dalle nuove rette, si ha una figura, che chiamo reticolo piano, nel quale anziché delle rette abbiamo dei gruppi di punti rettilinei determinati da due punti, e tali che i segmenti dei punti di cia- scuno di essi sono commensurabili fra loro, e dato un segmento (AB) del reticolo, appartengono ad esso i punti che lo dividono in un numero n qualunque di parti uguali. Questo reticolo gode le stesse pro- prietà che abbiamo fin qui trovate per il piano, vale a dire due punti del reticolo piano determi- nano un gruppo rettilineo situato nel piano, e due gruppi rettilinei se non sono paralleli si incontrano sempre in un punto del reticolo, in un tale reticolo si possono eseguire le costruzioni delle forme proiettive di 1. specie che dipendono dalle proprietà precedenti, ma non sempre valgono le proprietà metriche, ad es. nel reticolo può non esistere un gruppo rettilineo normale passante per un punto del reticolo ad un gruppo rettilineo di esso. Proiettando il reticolo sopra un piano qualunque si ot- tiene un altro reticolo, senza però che sia soddisfatta in generale la condizione che due segmenti di un gruppo rettilineo del nuovo reticolo siano commensurabili. 20

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306 B da R, si ha (AB) = (A'B') (teor. II, 15) e perciò i due triangoli sono uguali (teor. Ili, 17). Ma essendo AM e A'^, BM e B'^ punti corrispondenti nella corrispondenza d'identità dei due triangoli suddetti si ha (A00BV))^(A'aoB' a) (teor. I, 34). Inversamente, se si ha (AwBao) = (A'aoB'ao) i due triangoli AXRBM, A'^RB^ sono uguali (teor. Ili, 17) e quindi anche i due triangoli ARB, A'tfB' (teor. Ili, 16), vale a dire i due settori angolari A^RB^, A'^R'B'ao di essi sono uguali (teor. Ili, 15). Se i settori angolari dei fasci sono piatti (def. V, 38), i loro segmenti limiti assoluti all'infinito sono uguali alla metà della retta, perché i punti all'infi- nito dei loro raggi opposti sono punti opposti (def. III, 6 e def. II, 32). Se invece sono dati due segmenti A(X X(X Aìaoì A'^X'^A'^ uguali alla metà della retta nei campi limiti assoluti di R e R', scegliamo due punti Bx e B'^, sulle altre metà delle rette determinate dai due segmenti suddetti e ad ugual distanza da A100 e A'Joo. I settori angolari dei fasci (Rr)e(R'r') determinati dai segmenti A^X^A^B^ A'^X'^A'^B'^ sono uguali, e poiché lo sono anche le loro parti A^RB^ A'^R'B1^ i settori angolari rimanenti, cioè i due settori angolari piatti dati, sono pure uguali (teor. Ili, 15). CorolL I. Due settori angolari opposti al vertice in un fascio di raggi (Rr) sono uguali. Perché le due coppie rettilinee opposte da essi determinate sono uguali (def. I, 16 e teor. II, 17), e conscguentemente anche i loro segmenti limiti as- soluti all'infinito (teor. I, 34). CorolL II. Due settori angolari piatti qualunque di uno stesso fascio (R r), o di due fasci (Rr), (Rr'), sono uguali. Perché i loro segmenti limiti assoluti all'infinito sono uguali alla metà della retta. CorolL III. Un settore angolare (ab) di un fascio (Rr) percorso da a verso b è identico allo stesso settore percorso nel verso opposto. Perché tale è la proprietà del segmento limite 'assoluto all'infinito del settore (int. g, 99 o e, 104). Teor. II. Due fasci qualunque (Rr), (Rr') sono identici. I due fasci hanno per segmento limite assoluto l'intera retta, riguardata come segmento cogli estremi coincidenti in un punto qualunque di essa. Inversamente, date due rette A XXMA} CKXÌ ^ A' ^X* MA'\ ^X'loo limiti asso- lute dei punti R e R' (teor. Ili, 32), i due fasci (Rr) e (#r'), che esse determi- / nano mediante le coppie di rette RA^A^, RX^X^; $A'^A'^, RX'^X'lyo, sono divisi dalle rette RA00A1(X9 tfA'^A'^^ in due settori an- y^ golari piatti uguali (coroll. II, teor. I), anche se i set- tori angolari X^RA, , Xtx RAtM non sono uguali. Stabilendo in dati versi dei due fasci, per es. in quelli determinati dai punti AV)XgoAlgoXìoo e dai punti A'^X'^A'^X'^, la corrispondenza d'identità dei settori angolari piatti suddetti, a due punti Y e Z in uno di questi settori corrispondono due punti Y' e Z* dell'ai-

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307 tro settore a distanze da # uguali a quelle dei punti Y e Z da Ry e tali che YRZ= YÈZ', e quindi (YZ)=(Y'Z'). Se invece Y e Z sono situati nei due settori piatti suddetti del fascio (Rr') i punti corrispondenti Y' e Z' sono situati nei settori corrispondenti del fa- scio (Rr). Il raggio opposto RYlao a RY è situato nel settore piatto opposto (vedi la dim. del teor. II, 43), nel quale è situato il raggio RZ. A questo raggio corrisponde il raggio opposto KYlcx di RY nella corrispondenza suddetta d'identità, e perciò siJi^r^RZEE Y^RZ', e quindi essendo Yl^RYao = Y^^RY'^, si ha ZRY= Z^RY, da cui (ZY) = (Z'Y1) (teor. 11,42). Dunque si può stabilire fra i due fasci (Rr), (#V) una corrispondenza tale che ai segmenti dell'uno siano ordi- natamente uguali i segmenti dell'altro ; e perciò i due fasci sono identici (fig. 35). Caroli. I. Tutti i piani (Rr) sono identici. Perché tali sono due fasci che li determinano (def. I, 46), e la corrispon- denza d'identità dei due fasci da la corrispondenza d'identità dei due piani, i quali perciò sono identici (teor. Ili, 15). Coroll. IL II piano è identico intorno ad ogni sito punto del campo finito. Vale un1 analoga dimostrazione (teor. Ili, 46). Teor. Ili, II fascio (R r) è identico nella posizione delle sue parti e continuo. Che sia identico nella posizione delle sue parti, risulta dal fatto che a partire da un suo raggio in un verso è identico al fascio percorso nel verso opposto (teor. I). Che sia continuo deriva dalla definizione stessa del fascio, perché dato un settore angolare (ab) del fascio, vi è in esso un settore più piccolo (def. 1,38) e se un settore angolare (xx') è tale che x e x percorrono il fascio in versi opposti e (xx') diventa indefinitamente piccolo, scegliendo una retta r del piano del fascio che incontra i lati o? e o?' del settore, il segmento (XX1) sulla retta r diventa pure indefinitamente piccolo (def. I, 30), e al punto Y che esso deter- mina1 in r (int.i#, 96 o a, 101) corrisponde un raggio RY del fascio compreso in ogni stato del settore (xx1). Il fascio soddisfa adunque rispetto ai suoi angoli alle proprietà del siste- ma ad una dimensione identico nella posizione delle sue parti e continuo, sia in senso relativo come in senso assoluto. Coroll. Il piano è identico nella posizione delle sue parti intorno ad ogni suo punto del campo finito. Difatti i settori angolari uguali di un fascio (Rr) del piano col centro nel campo finito determinano settori angolari piani uguali (def. II, 46, e teor. Ili, 15). Teor. IV. I segmenti limiti assoluti all'infinito dei settori angolari retti di un fascio qualunque (Rr) sono segmenti retti. Dati tre punti A00B(XAly) di una retta nel campo limite assoluto di un punto #, e tali che (A00B00)^(B(x Alao)9 essendo^, AÌO* punti opposti, nel fa- scio (Rr), i settori angolari A^RB^ B00RAloo sono ciascuno uguali ad una quarta parte del fascio. E poiché due fasci qualunque (Rr), (Rr) sono identici (teor. II), sono uguali anche le loro quarte parti (teor. Ili, int. 6, 99, o a, 103 e d', 79), e quindi i loro segmenti limiti assoluti all'infinito essendo uguali (teor. I) sono segmenti retti.

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308 Coroll. In un fascio (Rr) vi è una sola perpendicolare ad una retta del fascio. Perché la retta data determina due settori piatti nel fascio, che sono di- visi per metà dalla perpendicolare alla retta data (def. V, 41). Teor. V. Dato un punto A fuori di una retta a, esiste una sola perpen- dicolare che la incontra e che contiene il punto A. Si consideri il fascio (Aa) e da A si conduca la parallela s alla retta a. Da A nel fascio (Aa), si può condurre una sola perpendicolare alla retta s (coroll. teor. IV), la quale è anche perpendicolare alla retta a (teor. VI, 41). Caroli. I. Per un punto A del piano passa una sola perpendicolare ad una retta a qualunque del piano (teor. V; coroll. II, teor. Ili, 46), Coroll. IL Due rette perpendicolari ad una terza nel piano (Rr) s,nopa- rallele fra loro. Difatti siano a e le rette perpendicolari alla retta e, A e B i loro punti d'incontro con e. Se b non fosse parallela ad a, la parallela ad a passante per B sarebbe un'altra perpendicolare alla retta e (teor. VI, 41), ciò che è assurdo (coroll. I). Teor. VI. Due raggi perpendicolari a due altri raggi nel* piano formano angoli uguali o supplementari. Possiamo supporre che i raggi dati oc e y e i raggi perpendicolari z e w appartengano al medesimo fascio, perché se così non fosse potremmo sempre considerare nel piano due raggi paralleli ai raggi perpendicolari passanti pel punto d'intersezione dei raggi oc e y (coroll. II, teor. Ili, 46), che formerebbero tra loro il medesimo angolo dei raggi perpendicolari (teor. I, 40). Se gli angoli (xz) e (yw) sono dello stesso verso, ed (xy) è un angolo acuto, si ha : (xy) -f- (yz) = (yz) -f- (xy) (teor. III, int. , 99 o a, 104) ed essendo gli angoli retti uguali fra loro (teor. IV e teor. I) si ha: (yz) -f (xy) = (yz) + (zw) da cui (xy) = (zw) (teor. Ili, int. g'", 73). Similmente se (xy) è un angolo ottuso. Se invece gli angoli (xy) e (zio) sono di verso opposto, indicando con io' il raggio opposto di w, gli angoli (xy) e (zw) sono dello stesso verso, e si ricade nel caso precedente. Ma (zio) è supplementare di (zw'), dunque il teorema è dimostrato. 48. Teor. L Ogni parallelogrammo che Jia un angolo retto ha tutti e quattro gli angoli retti. Sia MM^M'M\ il parallelogrammo con un angolo retto in M e quindi an- che in M, (def. I, 44 e teor. VI, 41). Siccome gì i angoli opposti del parallelogrammo M M. X- sono uguali (teor. II, 44), l'angolo in M' è pure retto. Ma (MM^) (M\M') sono paralleli, dunque M^M"^ è pure _ _ , perpendicolare alla retta M\M* (def. I, 44, teor. VI, M! r 41) (fig. 36). X1- Def. I. Un parallelogrammo (def. I, 44) che ha un angolo retto chiamasi rettangolo. flg- 36 Teor. II. Se due rette perpendicolari a due rette date nel piano sono parallele, le due rette sono parallele.

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309 Siano MM^ M1M\ le due rette perpendicolari alle rette date MM' e M1M\. Se la retta M M\ non fosse parallela ad MM\ la parallela condotta da Ml a MM* sarebbe un1 altra perpendicolare alla retta M^ passante per Ml (teor. VI, 41), il che è assurdo (coroll. I, teor. V, 47) (fig. 36). Teor. IL Un fascio di rette parallele è identico nella posizione delle sue parti e continuo. Difatti sia Xw il centro del fascio, e si tiri nel piano di esso una per- pendicolare AC ad una retta del fascio, la quale rie- _ sce perpend i colore a tutte le altre rette del fascio ^X (teor. VI, 41). Scegliamo sopra questa perpendicolare r due segmenti (AB e (BC) uguali, e pei loro estremi passino i raggi a, , e del fascio. g Dico che le striscie (ab), (bc) (def. X, 38) sono Bt/6 C1 uguali. flg 37 ' Difatti stabilendo una corrispondenza d'identità fra le rette a e , b e e in modo che ad ogni punto A' di a corrisponda il punto B di b e C1 di e situati ad uguale distanza dai punti A, B e C e nei raggi delle rette a, b, e secondo la direzione del punto Xn, le figure AA'Bff, BBCC sono rettangoli (teor. I), e quindi (AB) = (A' ), (BC) = (BC) (teor. I, 44). Ma pel punto passa una sola perpendicolare alla retta e quindi anche alle altre rette del fascio (coroll. I, teor. V, 47 e teor. VI, 41), dunque essendo A', BC perpendicolari a , i punti A', B', C* sono situati in una perpendico- lare alle rette del fascio. E poiché A, ff, C' sono punti corrispondenti qualunque nella corrispondenza suddetta, punti qualunque corrispondenti di a, , e sono in una perpendicolare alle rette del fascio. Scelti ora due punti X e Y di (ab), si conducano le perpendicolari alle rette del fascio per X e per F, che supponiamo siano le rette AB, A'B* stesse. Siano X' e Y i punti che distano da B e B quanto X e Y dai punti corri- spondenti A e A'. Da Y e Y' conduciamo le rette parallele alla direzione del fascio, le quali incontreranno (AB) e (A'B') nei punti interni Z e Z* (coroll. II, teor. IV, 44), pei quali si ha: (AZ) = (A Y) = (BZ') == (ff Y) (teor. I, 44). I triangoli XYZ, X*Y'Z' sono rettangoli in Z e Z* (def. II, 42), ed hanno i cateti uguali, dunque si ha pure (XY) = (X'T) (teor. II, 42; teor. IV e teor. 1,47). Si stabilisce così una corrispondenza d'identità fra le due striscie (ab), (bc), e quindi sono identiche (teor. Ili, 15). Le striscie del fascio in questa corrispondenza si comportano come i seg- menti che esse determinano sopra una retta perpendicolare qualunque alle rette del fascio. Il teorema è dunque dimostrato (fig. 37). Teor. III. L'uguaglianza delle striscie di un fascio di rette parallele è data dair uguaglianza dei segmenti determinati dalle striscie sopra una retta r qua- lunque del piano del fascio. Difatti se per il punto A d'intersezione della retta ABl con a (coroll. II, teor. Ili, 46) si conduce la normale Alalie rette del fascio (coroll. I, teor. V, 47 e

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310 teor. VI, 41) e , e C, sono i punti d'intersezione di AÈl colle rette b e C, essendo (AB) = (BC) si ha (ABl)^(BlCl) (teor. I, 45) (fig. 37). Def. II. Per misura delle striscie di un fascio di rette parallele si pos- sono considerare quindi i segmenti che esse tagliano sopra una trasversale qualunque nel campo finito del fascio. Def. IH. Se nella striscia di un fascio di rette parallele si considera come elemento il punto, la figura così ottennta si chiama striscia piana. Corali, n piano è identico nella posizione delle sue parti intorno ad ogni suo punto all'infinito (teor. Ili, def. Ili e teor. Ili, 15). Teor IV. I fasci di rette parallele sono uguali. Difatti scelte due rette r e r' che tagliano perpendicolarmente le l'ette dei due fasci, e stabilita fra le due rette r e r' una corrispondenza d'identità (teor. VI, 15), mediante questa corrispondenza possiamo stabilire una corrispon- denza d'identità fra i due fasci stessi (teor. III). Coroll. Il piano è identico intorno ad ogni suo punto ali' infinito (teor. IV, def. Ili e teor. Ili, 15). Def. IV. Una figura i cui punti appartengono al piano (def. II, 2) si chia- ma figura piana. Teor. V. Se una figura piana viene incontrata da ogni retta del suo piano in un solo punto, essa è una retta. Infatti due punti della figura determinano una retta che fa parte della figura stessa, per la condizione del teorema (def. II, 2). Se la figura avesse altri punti fuori di questa Vetta, ciascuno di essi determinerebbe con un punto di essa un' altra retta appartenente alla figura data, e quindi ogni retta del piano avrebbe più di un punto comune colla figura (coroll. Il, teor. Ili, 46), contro il dato XLVI). XLVI) Per le proprietà del n. Al bisogna procedere nel campo finito nei se- guente modo: Teor. I. Due settori angolari (angoli) opposti al vertice di un fascio (Rr) sono uguali. Il teor. fu dimostrato per quei settori angolari i cui raggi estremi incontrano la retta r (oss. I, 43 e nota XXXV). Si consideri ora un settore angolare del fascio (Rr) di cui un raggio estremo incontri la retta r in un punto A, e il secondo incontri invece la parallela r1 ad r (i cui punti distano ugualmente da R dei punti della retta r), nel punto C' (fig. 27) I raggi del settore ARO*) incontrano la retta AG', perché il fascio (Rr) coincide col fascio R, AG' (teor. Ili, 46 e nota XLV), e quindi per la dimostra- zione data al n. 43 si ha pure ARO'^A'RC (fig. 27). Coroll. I. Due settori angolari (angoli) piani opposti al vertice sono uguali. Ciò deriva immediatamente dall'identità dei settori angolari opposti di un fascio del piano col centro nel vertice dei settori angolari dati (def. II, 46 e nota XLI). .- Teor. IL Un fascio viene diviso da due suoi raggi opposti in due parti iden- tiche. Siano s e s' i due raggi opposti in una retta a del fascio (Rr) e sia r una retta parallela a tf del piano di esso (nota XLI). Tutti i raggi del fascio (Rr) che in- contrano la retta r, compresi s e s\ determinano una parte del fascio che ha per raggi estremi se*' (nota XLI; teor. II, 46 e nota XLV), e i raggi opposti danno I* altra parte del fascio. Queste duo parti sono identiche. Difatti ad ogni settore della prima corrisponde un

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311 9. Considerazioni sul sistema, dei punti limiti assoluti all'infinito dei raggi di un fascio (Rr) rispetto al centro B. 49. Consideriamo ora tutti i punti limiti assoluti dei raggi di un fascio (Rr) rispetto al punto R (def. II, 32). Tutti questi punti determinano un sistema JM di punti ad una dimen- sione, che corrisponde univocamente e nel medesimo ordine al fascio di raggi che lo determina (def. Ili, 42), e poiché questo corrisponde nello stesso modo ad una retta direttrice qualunque r del campo finito del piano (teor. Ili, 46) settore identico opposto della seconda (teor. I), in modo che scelti due punti X e Y della prima, facendo passare per essi i due raggi RX ed RY, e costruiti i due punti X' e Y' nei raggi opposti tali che (RX) = (RX), (RY)=(R'Y) i due triangoli XRYf X'RY, sono uguali per avere due lati e rangole compreso uguali (teor, II, 42 e nota XXXV); dunque (XF)= (X'F') (teor. Ili, 16 e nota XII), e perciò le due parti suddette del fascio sono uguali (teor. Ili, 15 e nota XII). Teor. III. Esiste una corrispondenza nel fascio di raggi di centro R tale: 1 che il punto R corrisponde a sé medesimo e che una retta AB e le rette ad essa parallele, considerate ciascuna in un verso, corrispondono a sé stesse considerate nel verso opposto; 2 che ai settori angolari del fascio corrispondono altri settori angolari uguali di esso; 3 che a due punti qualunque X e Y del piano del fascio corrispondono punti X9, Y' tali che (XY)=(X!Y). In due raggi del fascio si considerino due punti A e B ad ugnai distanza dal punto R, e indichiamoli rispettivamente con e A'; i due triangoli ARB, A'RB' sono uguali per avere i tre lati uguali (int. g, 99 e teor. Ili, 17 e nota XII). Mediante i due triangoli suddetti possiamo stabilire la corrispondenza d'identità (oss. Ili, 15 e nota XII) del teorema fra i due fasci R.AB e RrA'B^ i quali coincidono, cioè sono lo stesso t'ascio, una volta considerato in un verso, in quello cioè dato dal segmento (AB] per- corso da A verso -5, e l'altra nel verso opposto. a) Nella corrispondenza d'identità fra i due triangoli suddetti il punto R cor- risponde a sé stesso, e alla retta AB percorsa nel verso del segmento (AB) da A verso B (int, f\ 63) corrisponde la retta stessa percorsa nel verso opposto, in modo che ad un punto Xl qualunque della retta AB considerata nel primo verso corrisponde un punto Xl le cui distanze da A' e B' sono uguali a quelle del punto Xl da A e B (flg. 38). b) Ad un punto qualunque X del fascio R.AB corrisponde un punto X' ad ugual distanza da R nel modo seguente. Si determini il punto d'in- tersezione Xj della retta RX colla retta AB, che dapprima supponiamo non sia ad essa parallela (coroll. II, teor. Ili, 46 e nota XLV). Al punto Xl corrisponde in AB un punto X\ (a), e poiché il punto R corrisponde a sé stesso, RXl corri- sponde alla retta RX\, e quindi al punto X il punto X' a di- stanze da R e X\ uguali a quelle del punto X da Re X^ il quale punto è così pienamente determinato (teor. 1,8 e nota VII; int. def. I, 61, 6, 36 e nota III). Se invece RX è la retta s parallela alla retta AB per- flg ss corsa nel verso di (AB)^ ad essa deve corrispondere la retta ' parallela alla retta A'B1 ossia alla retta AB nel verso opposto, vale a dire le due

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312 il sistema o^ e la retta r si corrispondono pure univocamente e nello stesso ordine (int. /, 42). Il sistema OM è determinato da due dei suoi punti qualunque purché non siano punti opposti; e contiene il punto opposto di ogni suo punto. Si prova facilmente che a settori angolari uguali del fascio corrispondono segmenti uguali del sistema c^, e reciprocamente; e a settori (àb\ (a'b') del fascio tali che (ab)^-(a'b') corrispondono segmenti di a^ che stanno nella stessa re- lazione di disuguaglianza, e viceversa. Ogni punto del sistema a^ ha inoltre la proprietà che la somma delle rette s e s' coincidono colla parallela condotta da R alla retta AB, in modo che ad un punto T dell'una corrisponde un punto T1 dell'altra alla stessa distanza da R nel raggio opposto, perché nella corrispondenza d'identità determinata dai due triangoli ABR, A' R al settore angolare BRT che ha per raggio interno RA (nota XXXIII) deve corrispondere un settore ART che ha per raggio interno RA. il che non suc- cederebbe se T' coincidesse con T (teor. II, nota XLIV e int. 6, 36) (fig. 38). Ad ogni punto, ad es. A^ di RA corrisponde un punto A\ del raggio corrispondente RA\ ad ugual distanza da R, e la retta A^^ è parallela alla retta AB (teor. i', 45 e nota XL). Due raggi corrispondenti RXl e RX\ incontrano la retta AlA!l in due punti X% e X'2 ad ugual distanza da R (teor. I, 45, nota XL e oss. HI nota XLIV), dunque ad ogni punto della retta A1A\ corrisponde un punto della medesima retta (fig. 38). e) A due raggi x e y del fascio e non paralleli alla retta AB corrispondono due raggi x' e y' che formano lo stesso angolo. Difatti siano Xl e Yl i punti d'intersezione di x e y colla retta AB^ X*j e Y\ i punti corrispondenti ( ). I triangoli ARX^ A'RX'l sono ugnali, perché hanno due lati e l'angolo compreso uguali (teor. II, 42 e nota XXXV), cioè (AXl}^(AlX'l)'ì (RA) = (RA'\ X^AR = X?AR, dunque (RXl)=(RX'l) (nota XXXV, coroll. teorema III, 16 e nota XII). Analogamente si ha (R YJ = (R Y\) ; ma (Xt Yi) = (X^I^) (a), dunque i due trian- goli XlRYl X^RYi sono uguali per avere i tre Iati uguali (teor. Ili, 1? e nota XII), quindi anche i due angoli X^RY\ e X\R^'l (nota XXXV), e a due punti X e Y sui due raggi x e y corrispondono due punti X e Y1 (6), e i due triangoli XRY, X'RY' sono uguali per avere due lati e l'angolo compreso uguali, dunque (XY) = (X'Y) (coroll. teor. Ili, 16 e nota XXXV). d) Supponiamo ora che uno dei raggi, ad es. x sia il raggio * parallelo alla retta AB. Dal punto A conduciamo la parallela AT alla retta RA', sia T il suo punto d'in- contro colla parallela condotta da R alla retta AB, e dal punto A tiriamo la paral- lela AT alla retta RA, che incontri la retta TR nel punto T'.Dai due parallelogrammi AA'RT, A'ART si ha (RT)=(AA') = (RT) (teor. I, 44 e nota XXXIX), dunque Te T sono punti corrispondenti ( ). Di più, i triangoli ATR* AA'R; AA'Rt A'TR sono uguali per avere due lati e l'angolo compreso uguale (teor. II, 44 e nota XXIX), e perciò si ha TRA = RAA (coroll. teor. Ili, 16 e nota XXXV) e T*RA'=MAA. U ^RAA^RAA' (teor. Ili, 42), dunque fRA^ TRA (teor. IV, 15). Sia ora data una retta y qualunque del fascio; si conduca per T una retta che incontri le due rette y e RA nei due punti Y e Z, il che è possibile altrimenti tutte le rette nel piano del fascio che incontrano la retta y dovrebbero essere parallele alla retta RA contro l'ass. VI (nota XVI). Nelle rette corrispondenti a RT,y e RA corrispondono tre punti T*, Y e Z' ad ugual distanza da R (6), e in modo che si ha (TZ) ~(TZ') per l'uguaglianza dei trian- goli TRZ, TRZ? che hanno, per quanto si è detto testé, due Iati e l'angolo da essi compreso uguali, e (YZ)=(Y'Z') (e); quindi, anche per l'uguaglianza dei triangoli

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313 Sue distanze da due punti opposti qualunque del sistema è uguale alla metà della retta. Ma nonostante tutte queste proprietà che il sistema o ha in comune suddetti, qualunque sia la posizione del punto Y sulla retta TZ1 si ha (TY) = (TT). Dunque il teor. è in ogni caso dimostrato. Teor. IV. Un fascio di raggi (Rr) è identico nella posizione delle sue parti. Consideriamo un settore (ab) del fascio e due punti A e B in a e .6 ad ugual \ \x i distanza da #, che indicheremo anche rispettivamente con \A -*\^ At/ Bl e A . I due fasci R.AB e R.A^ sono identici (teor. Ili ; teor. Ili, 15 e nota XII). Ma essi sono lo stesso fascio conside- rato da a e da b in versi opposti, dunque il fascio a partire da un suo raggio qualunque a in un dato verso (ab) è uguale al fa- scio a partire da un altro raggio qualunque b nel verso opposto (ba). Il fascio a partire da un raggio oc compreso nel settore (ab) nel verso di (oca) o di (ba) è identico al fascio considerato da a nel verso di (ab) ; e slmilmente il fascio a partire da oc fifi- 39 nel verso di (ocb) o di (ab) è uguale al fascio partendo da b nel verso di (foe); ne consegue dunque, per quanto si è prima detto, che il fascio con- siderato dal raggio x in un dato verso è identico allo stesso fascio a cominciare dal raggio a? nel verso opposto. E perciò dato un settore angolare qualunque (ac) del fa- scio vi è cominciando da oc in uno o nell'altro verso un settore uguale ad (ac). Ma il raggio x si può ritenere come un raggio qualunque del fascio, perché si può sempre scegliere un settore (ab) nel quale esso sia compreso, comesi vede facil- mente, dunque il teor. è dimostrato (ini. def. I, 68 e 70 e oss. II, 81). Corali. Il piano è identico nella posizione delle sue parti intorno ad ogni suo punto (def. II, 46 e nota XLI, teor. Ili, 15 e nota XII). Teor. V. (*) II fascio è un sistema continuo. Difatti dato un settore (oca') ve n' è sempre uno più piccolo contenuto in esso ; per assicurarsene basta scegliere una retta r del piano del fascio come sua retta di- rettrice (teor. Ili, 46 nota XLI, XLV). E se è dato un settore i cui raggi estremi oc e oc' siano variabili in versi opposti, il segmento corrispondente sulla retta r ha la stessa proprietà, e determina un punto Y compreso fra i punti Xe X' (int. ip. VI e a, 96) al quale corrisponde un raggio y del fascio compreso fra x e x' (nota XLI). Le condizioni della continuità date nell'introduzione (vedi nota 8a del n. 99) sono soddisfatte e quindi il fascio è continuo. Oss. [. Se le ragioni didattiche permettessero di trattare del sistema identico nella posizione delle sue parti e continuo in senso astratto seguendo la via indicata nella oss. II, 81 dell'introduzione (vedi anche A. Il continuo rettilineo ecc. nota pag. 23). si troverebbe preparato il materiale per le proprietà comuni della retta, del fa- scio di raggi, della circonferenza, del fascio di semi piani ecc. senza che bisognasse dimostrare separatamente le stesse proprietà per ciascuna di queste figure. La costruzione della metà di un settore angolare, i cui raggi non sono opposti si può effettuare al punto a cui siamo arrivati per mezzo del triangolo isoscele coi due lati nei raggi del settore dato (teor. IV, 42 e nota relativa). Abbiamo però segnato il teor. V. con un asterisco perché vogliamo dimostrare le proprietà dei fascio che ci occorrono ulteriormente, indipendentemente dalla con- tinuità. Oss. li. In virtù del teor. V si può dire che il piano (def. II, 46 e XLI) è continuo* Teor. VI Un settore angolare (angolo) (ab) qualunque di un fascio percorso in un 'verso è uguale allo stesso settore (angolo) percorso nel verso opposto. Quando a e b non sono raggi opposti, ciò deriva dall'essere la coppia (ab) uguale alla coppia rettilinea (ba) (teor. II, 17 e nota XII), e quindi sono uguali anche i settori

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314 colla retta del campo limite assoluto determinata da due punti del sistema a , e che quindi contiene anche i punti opposti (teor. I, 30), nonostante che due flg. 40 e gli angoli del fascio da esse determinati (nota XLI e XXXV). Se a e b sono raggi opposti ad es: * e *', la proprietà suddetta risulta dalla corrispondenza del teor. Ili (teor III, 15 e nota XII) (flg. 38). Oss. III. Il teor, VI deriva anche come corollario dal teor. V (int. g, 99 opp. A. ali continuo rettilineo ecc. ). Caroli. Due settori (angoli) piatti piani sono direttamente e inversamente uguali. Perché tali sono i settori del fascio che li determina (def. II, 46 e nota XLI, teor. II e IV di questa nota, teor. Ili, 15 e nota XII). Teor. VIL Esiste una ed una sola retta che divide per metà un settore ango- lare piatto Gli angoli retti del fascio sono uguali. Siano a e a i raggi del settore piatto di vertice R. Scelta una retta XX' paral- lela alla retta aa', si stabilisca la corrispondenza d'identità data dal teor. III. Se o? e or sono raggi corrispondenti del settore piatto dato, e X e X' i loro punti d'intersezione colla retta XX', il triangolo XRX' è isoscele e il settore (asci) è uguale al settore (a'a?') Cteor. III). La bissettrice del settore XRX è evidentemente bisset- trice dei settori formati da due altri raggi corrispondenti (yy') e corrisponde a sé stessa, perché il suo punto Z d'in- contro con la retta XX è equidistante da X e X' (teor. IV, 42 e nota relativa) e quindi Z coincide con Z'. Dunque si ha (az) = (a'z), e poiché il fascio è semplicemente chiuso (XLIV) così vi è un solo angolo a partire da a nel verso axa' uguale ad un angolo dato (flg. 40). È chiaro poi che le rette che uniscono due coppie di punti corrispondenti si in- contrano nella bissettrice. Ad es. la reità AG incontra la bissettrice z in un punto 0 il quale coincide con O1, essendo (O'Z)^(OZ), (0'R) = (OR) (int. 6, 36 e def. I, 61 e nota III). Dati due settori angolari piatti, stabilita la loro corrispondenza d'identità (teor. VI) si corrispondono fra loro le bissettrici, ed il teorema è così dimostrato. Teor. Vili. Se due triangoli ABD^ AD C hanno un vertice A e un lato AD co- mune, gli angoli BAD e CAD uguali, i punti B, D, C in linea retta e (BD) = (DO), 1 due triangoli sono uguali. Di fatti pel punto G non passa alcuna altra retta che tagli AD e AB in due punti fi? e B' in guisa che sia (B' )=(ITC), perché si avrebbe (CD) =(CD') (CB) (CI?) e le rette BB1, DD' dovrebbero essere parallele (teor. I, 45), mentre si incontrano nel punto A (nota XVI). Teor. IX. Per un punto R si può condurre una sola perpendicolare ad una retta AB nel piano. Se il punto R è situato sulla retta AB il teor. è senz'altro il teor. VII (nota XXXVI). Se ciò non è, sia a la parallela condotta da R alla retta AB, e si tirino due raggi RA e RB che formino con i raggi R , RS opposti di a due angoli ARS, BR minori di un angolo retto ed uguali. La bissettrice del settore ARE è perpendi- cola in R alia retta a (teor. VII). Si prolunghi RB in RB' in modo che sia (RB) = (RB') e così sia (RA) = (RA') : Si ha 2TR ^ BÈ ' = AR . I trian- ASRf B' R si trovano nelle condizioni di quelli del teor. Vili; dunque .( AR) = (B*R), e perciò ASR = lsR; dunque AB' è pure perpendicolare alla retta a (nota XXXIII). B1 flg. 41

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315 tali sistemi siano identici (teor. li, 47) come lo sono diie rette (teor. I, 8), pure non mi è riuscito di dimostrare in ogni caso, e quindi debbo anche ritenere che non si possano dimostrare, le seguenti proprietà mediante gli assiomi e le ipotesi stabilite: 1 che a segmenti rettilinei (A^B*) (C^DJ corrispondano sempre settori angolari che stiano nella stessa relazione di disuguaglianza, sebbene ad essi pel teor. I corrispondano settori disuguali ; 2 che considerato un settore angolare come somma di più settori angolari consecutivi nel fascio, il segmento rettilineo corrispondente al primo settore sia pure somma in generale dei segmenti corrispondenti ai secondi . Sia C il punto medio di (AB); per esso passa la bissettrice del settore ERA (teor. IV, 42 e nota XXXVI), e perciò la retta RC è pure perpendicolare alla retta AB (nota XXXIII). Inversamente, data la retta RC perpendicolare in C alla retta AB, costruiti i segmenti uguali (BC) e (AC), si ha (RB) = (RA) perché i due triangoli BCR, ACR sono uguali per avere due lati e l'angolo compreso uguali (teor. II, 42 e nota XXXV), dunque anche (RB') = (RA). Siccome la parallela a incontra la retta AB' nel punto medio S, e il triangolo AR è isoscele, la retta a è perpendicolare alla retta AB', e quindi essendo (BS')= (AS) si ha BR!5'= ARS (teor. VII), e la retta RC è bisset- trice dell'angolo piatto determinato dai due raggi RS e RS', dunque la retta RC è perpendicolare alla retta a (fig. 41). Vi è dunque una sola perpendicolare condotta da R alla retta AB, altrimenti se ve ne fossero due distinte sarebbero ugualmente perpendicolari alla retta a, il che è assurdo (teor. VII) 1). Caroli. L La perpendicolare ad una retta nel piano è perpendicolare a tutte le rette parallele alla data. Sia r' la parallela alla retta AB la quale incontra la retta AB' in un punto Alf Si tiri la RAl e si conduca il raggio RBÌ tale che si abbia: AiRS^BiRS. (teor. IV) Per la stessa*ragione di prima la retta RC è perpendicolare alla retta A^^. Corali. II. Due rette perpendicolari ad una terza sono parallele. Vale la stessa dimostrazione del coroll. II del teor. VI data nel testo. Teor. IX. Due fasci qualunque di centri R e R' del pi'tno sono identici. Dal punto di me-/,zo M di (RK) si conduca la perpendicolare r ad RK ; ogni punto A di r congiunto con R e con R' da due segmenti (RA), (R'A) uguali fra loro, essendo i due triangoli RMA, R'MA uguali per avere due lati e l'angolo compreso retto uguali (teor. VII). Dunque le figure (Rr) e (fì'r), ossia i due fasci di centro R e R nel piano, sono uguali (teor, III, 15 e nota XII). Coroll. Il piano è identico intorno ad ogni suo punto e a partire da ogni sua retta in uno e nell'altro verso. Perché tali sono i fasci intorno ai suoi punti e i suoi angoli piatti (def. II, 46 e nota XLI). Oss. IL Non ricorrendo^ come abbiamo fatto nel testo alle ipotesi astratte, non possiamo dimostrare subito l'identità di due fasci di raggi e quindi di due piani qua- lunque; come non ancora abbiamo dimostrato nel solo campo finito l'uguaglianza degli angoli coi lati paralleli nello stesso piano e in piani diversi (nota XXXI). Oss. IIL 11 teor. VI del n. 47 sarà dato in una nota del n. 52, mentre quelli del n. 48 si dimostrano allo stesso modo coli'aiuto dei teoremi precedenti. 1) veggasi la dimostrazione di questa proprietà data al cap. IH, indipendentemente dal piano e per ogni sistema di geometria.

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3Ì6 La seconda proprietà è sufficiente per stabilire l'identità del sistema o colla retta. Da questa proprietà deriva quindi la prima, ma le abbiamo date separate perché dalla prima non deriva ancora la seconda. Se si potesse di- mostrare pel sistema ow il teor. VII del n. 13, allora da esso si ricaverebbe fa- cilmente la prima delle due proprietà anzidette. Ma la dimostrazione del teor. VII del n. 13 si appoggia sulla definizione della linea semplice (def. I, 13), la quale stabilisce che un punto limite di una serie di punti sulla linea lo è indipendentemente da essa nello spazio gene- rale (def. II, 10), il che non vediamo come possa essere dimostrato per il si- stema a, senza aggiungere all'ip. IV la proprietà che se una retta SA è limite di un'altra retta SX in un campo finito qualunque intorno ad S, lo è anche della stessa retta SX in ogni campo infinito e infinitesimo rispetto all'unità del campo dato, o intorno al punto S. Questa aggiunta all'ip. IV, e che ri- guarda il solo punto , può essere dimostrata poi per ogni altro punto X, se- guendo il procedimento indicato nella dimostrazione delPip. IV (teor. II, 31). Conv. Però rispetto al piano, o anche rispetto a due piani Euclidei (Rr) (Rr1), il sistema aM si comporta come se fosse una retta (teor. IV e VI, 39), dunque conveniamo intanto di chiamare il sistema JM linea retta all'infinito del piano Euclideo, quando ne faremo uso, il che è permesso facendo uso sol- tanto delle proprietà comuni del sistema a^ e della retta. Oss. I. Ci riserviamo di stabilire al cap. li un'ipotesi dalla quale deriva che il sistema OM è effettivamente una retta. Volendo trattare fino al cap. II del solo piano Euclideo, così per fascio col cen- tro nel campo finito e quindi anche per piano intenderemo sempre un fascio colla direttrice nel campo finito ; e in generale parlando di punti e di rette senz' altro, intenderemo che siano punti e rette del campo finito. io. Parti in GUI il piano viene diviso da una sua retta. Parte interna ed esterna di un triangolo. 50. Teor. L Nel fascio (R r) la retta r ed ogni retta ad essa parallela sono situate in una delle parti in cui il faccio mene diviso dalla retta parallela alla retta r. La retta o parallela ad r, che passa per R, divide il fascio in due parti identiche (coroll. II, teor. I, 47), le quali sono determinate dalle due parti uguali della retta all'infinito del fascio (conv. 49) che hanno per estremi i punti SM1 all'infinito della retta 7. I raggi determinati dai punti di r col punto R a partire da -R e da un dato raggio, ad es. dal raggio limite RS^ (teor. II, 46), si seguono in un dato ordine come i punti corrispondenti della retta r (def. I, 30), e quindi anche i punti corrispondenti su di una metà della retta all'infinito compresa fra i punti Sw e # . Dunque le due parti suddette del fascio sono date, l'una dai raggi che incontrano la retta r compresi i raggi limiti RS*, R , e l'al- tra dai raggi opposti (fig. 27}.

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317 Se r' è una parallela a r, e quindi anche a a, che passa per un punto Aì di un raggio RA situato in una delle parti suddette del fascio, la retta r' de- termina con R la stessa parte S^A^S1^ della retta ali' infinito XLVII). 05*. L La figura di tutti i punti del piano situati in una parte del fascio deter- minata da una sua retta, è una parte del piano (def. I, 46). Teor. IL I fasci del piano che hanno i centri sopra una medesima retta del campo finito vengono divisi da questa retta in due parti che giacciono ri- spettivamente nelle stesse due parti di piano. Siano R e R' i centri di due fasci situati in una retta a, ed r una paral- lela a a. La retta r può riguardarsi quale retta direttrice dei due fasci (teor. Ili, 46), anzi, pel teor. I, di una delle due parti di essi in cui vengono divisi dalla retta a. Se da un punto M, ad es. interno di (RA), si conduce la pa- rallela a a, essa incontra (RA) in un punto'interno (coroll. II, teor. I, 45), ed (RB) in un punto interno M ; e siccome flg' tì la parallela MM1 è situata nelle parti del fascio (R r) e (R'r) determinate da r e a, così esse hanno in comune tutti i punti della retta MM*, qualunque sia M interno al segmento (RA). Se invece M è nel prolun- gamento di (RA) da R verso A, non essendo possibili altri casi nel raggio RA limitato in R (int. , 36 e def. I, 7) vale la stessa proprietà. Dunque ogni punto della parte suddetta del fascio (Rr) è un punto di quella del fascio (Rr'), e inversamente per le stesse ragioni; dunque il teorema è dimostrato. Def. I. In conformità al teor. II diremo che il piano è diviso da una sua retta in due parti rispetto ad essa (oss. I). Coroll. L Le parti opposte del piano rispetto ad una retta sono diretta- mente e inversamente identiche. Perché tali sono le parti opposte determinate dalla retta in un fascio che ha il centro su di essa (coroll. II, teor. 1, 47 e def. I). Coroll. II. Ogni retta r è situata per metà nelle due parti di piano de- terminate da uri1 altra retta s non parallela alla prima. I punti all'infinito della retta s sono punti opposti, ed essi sono separati dalla coppia dei punti opposti all'infinito della retta r (teor. I, 29). Questi due punti col punto d'incontro B delle due rette (coroll. II, teor. III. 46) determinano le due metà della retta r situate da parti opposte della retta s (def. I, teor. II e I). XLVII) II teor. I va dimostrato nel seguente modo : Per la def. del fascio (Rr) (XLI) una delle parti determinate dalla retta a del fascio parallela alla retta r, contiene la retta r, mentre l'altra parte è data dai raggi opposti limitati in R che incontrano la retta r' i cui punti sono ad ugnai distanza di quelli corrispondenti di r dal punto R (flg. 27). Se RA è un raggio della prima parte e perciò limitato in R, un punto Al di esso è interno al segmento (RA)^ oppure A è interno al segmento (RA^, non essendovi nel raggio RA limitato in R altri casi possibili (int. 6, 36 e nota III). La parallela condotta da Al a a incontra la retta RE, essendo S un punto di r, in un punto Si interno al segmento (RB) oppure tale che B è interno al segmento (RBi) (nota XLI e coroll. II, teor. I, 45) e perciò il punto Si è situato sul raggio RB limitato ip J$; ed il teo è cos\ dimostrato,

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318 Caroli. III. Il segmento che unisce due punti situati da parti opposte del piano rispetto ad una retta incontra questa retta in un punto interno, ed in- versamente. Difatti la retta che unisce i due punti X e Y dati non è parallela alla retta data $ (teor. I), dunque la incontra in un punto S (coroll. II, teor. Ili, 46). Ma questo punto divide la prima retta in due raggi situati da parti opposte rispetto alla retta s(de I, teor. II e I); e quindi il punto S è interno al segmento (XY). La proprietà inversa risulta dall'essere SX e SY due raggi opposti, e quindi situati da parti opposte della retta s (def. I). Coroll. IV. Un settore angolare (ab) di vertice E può essere generato con- giungendo il vertice R coi punti di ogni segmento (AB) i cui estremi giaccio- no in a e b. Siano (AB) e (A'B') due segmenti i cui estremi sono in a e b. Sappiamo che il fascio di centro R può essere generato dalle due rette AB e A' (coroll. II, teor. Ili, 46), ma non sappiamo ancora se valga la proprietà suddetta, né di tale proprietà abbiamo fatto ancora uso, tranne nel caso che AB e A'B1 siano parallele (coroll. IV, teor. I, 45). Sia E un punto interno al segmento (AB) ; i raggi RA9 RB sono quindi da u n parti opposte del piano rispetto alla retta RE, e perciò A e B? sono situati da parti opposte rispetto alla retta RE. Dunque il segmento (A'ff) incontra la RE in un punto interno (coroll. III). Oppure anche: Al segmento (AB) corrisponde il seg- mento (A^B ) della retta all'infinito del settore (ab) (conv. 49), il quale corrisponde all'altro segmento (A' ), dimodoché ogni raggio che incontra (A^B^) incontra flg*tó anche il segmento (A'#) come incontra il segmento (AB) (fig. 43) XLVIII) ). 51. Teor. I. Le parti di piano determinate dai settori angolari di un trian- golo limitati ai lati opposti coincidono. XLVIII) Per il teorema II si da la stessa dimostrazione (nota XXXI). I coroll. I e III si dimostrano nello stesso modo, il coroll, II si dimostra invece così: la retta r incontra la retta s in un punto S (coroll. II, teor. Ili, 46 e nota XLV) e perciò appartiene al fascio di centro S. Ma i due raggi di r limitati in R sono situati nelle parti opposte del piano rispetto alla retta * (teor. II), dunque i! co- rollario è dimostrato. Pel coroll. IV. si da la prima dimostrazione del testo) !). i) Le proprietà dei coroll. I, II vengono date d'ordinario tacitamente o no come assiomi nei trattati di geometria elementare. Euclide, Baltzer eco. le sappongono tacitamente. Ad es. De Paolis (Elementi di geometria) li da nei postulati III, 3 e 4, IV, 3; V, i. Sa un i a e D'ovidio danno invece come postulati i coroll. i, II e HI (Elementi di geometria. 1886-post. 3, 4 e 5 pag. 15-16). Coi postulati sull'in- vertibilità di un angolo (ab), colla rotazione del piano intorno ad una sua retta qualunque fino a passare per un punto qualunque dello spazio (s* intende senza definizione quello a tre dimensioni vedi libro III), collo scorrimento del piano lungo una sua retta e colla rotazione intorno ad ogni suo punto in due direzioni opposte, si ammettono, facendo uso del postulato dei movimento senza defor- mazione (n. 37), i coroll. Il, IH del teor. i, il coroll. i del teor. il, il teor. Hi del n. 47 e il teor. il del n. 48, dimostrati anche nelle note precedenti senza r uso dell' infinito, tranne il coroll. I del teor. Il dei n. 47, che sarà dimostrato più tardi. Cosi si ammettono tacitamente o no altri postulati che in- vece noi dimostreremo.

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319 Sia ABC il triangolo e il settore CAB sia limitato dal lato (BC). Scelto un punto D sul lato (AB), il settore suddetto può es- sere generato anche dal vertice A e dal segmento (CD) (coroll. IV, teor. II, 50). Dato un punto Finterno a (CD), ed essendo F il punto d'intersezione di AE col lato (CB) (coroll. IV, teor. II, 50), siccome il settore ACB può es- sere generato dal segmento (AF), essendo D un pun- to interno di (AB), E è un punto interno di (AF) (coroll. IV, teor. II, 50). Ma (CD) è un segmento interno del flg'44 settore ACB; dunque la parte di piano determinata dal settore CAB limitato dal lato (AB) coincide colla parte di piano determinata dal settore ACB limitato dal lato (CB) (int. def. V, 57). Similmente si dimostra la stessa proprietà rispetto al terzo settore ABC (fig. 44) ). Def I. La parte di piano determinata dai settori angolari di un triango- lo limitata ai lati opposti si chiama parte interna del triangolo. La parte ri- manente del piano si chiama parte esterna. La figura costituita dai soli tre lati (AB), (AC), (CA) del triangolo si chia- ma perimetro o contorno del triangolo. Per punto interno o esterno al triangolo s'intende un punto della parte in- terna o esterna, ma che non è situato sul contorno che è comune alle due parti. Def. IL Se una figura ha tutti i suoi punti interni o esterni al triangolo, alcuni dei quali possono essere anche sul contorno del triangolo (def. I), la fi- gura si chiama interna o esterna al triangolo. Coroll. I. Una retta che passa per un vertice e per un punto interno del triangolo incontra il lato opposto in un punto interno (def. I e teor. I). Coroll. IL Due rette che passano per due vertici e per due punti interni dei lati opposti del triangolo si incontrano in un punto interno del triangolo. Difatti siano A e C i due vertici, D ed F i punti interni dei lati opposti. Il settore ACB può essere generato da C col segmento (AF), e poiché (CD) è interno a questo settore, esso incontra (AF) in un punto interno E (coroll. IV, teor. II, 50) (fig. 44). Coroll. III. Il segmento di due punti qualunque interni di un triangolo è interno al triangolo. Siano E ed E' i due punti interni del triangolo. Il segmento (AE) pro- lungato da A verso E incontra il lato opposto in un punto F(def. I), e il seg- mento (AF) che contiene E è interno al triangolo (def. II). Così il segmento (AE) prolungato da A verso E' incontra il lato opposto (CB) in un punto interno F'. Il settore FAF' è interno al triangolo, perché è parte del settore CAB (def. I). Il segmento (EF') è interno del triangolo FAF' (coroll. I), e il triangolo AEF' è interno al triangolo AFF* (int. ay 13 e def. I e II). Il segmento (BE') è interno al triangolo AEF' (coroll. I), dunque è interno al triangolo FAF' e perciò an- che al triangolo ABC (int a, 13 e def. I e II). (fig. 44). 1) Questo o il caso in cai al settore angolare non si può sostituire l'angolo, eccetto che non si voglia usare la parola angolo per indicare sempre il settore angolare (def. I, II, 39).

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320 Caroli. IV. Un triangolo coi vertici interni ad un altro triangolo o sui lati di esso, è interno al secondo triangolo. Difatti se il primo triangolo dato è Affa, i lati (AB'), (A'C1) (B'C) sono interni al triangolo .4 UC (coroll. Ili), ma la parte interna del triangolo A'BC è data dai raggi di ogni suo settore, ad es. A'ffCf, limitato al lato opposto (#' ?) (def. I), i quali sono interni al triangolo ABC (coroll. Ili), e perciò tutti i punti del triangolo A'B'O sono interni al triangolo ABC eccettuati quelli si- tuati sui lati di esso (def. I), e quindi il coroll. è dimostrato (def. II). Ose I. Un triangolo è determinato dalle tre rette dei suoi tre vertici (def. II, 9) e siccome due rette di un piano che si incontrano nel campo finito determinano in esso quattro settori angolari consecutivi due a due opposti (def. I. 50 e def, II, 46), così i tre lati del triangolo determinano due a due dodici settori angolari piani. Def. IH. I tre settori piani ABC, BCA, 'CAB del triangolo ABC si chia- mano settori (angoli) interni del triangolo; e lasciando da parte i settori angolari (angoli) opposti ai primi tre, i rimanenti sei settori (angoli) deter- minati nel piano dai tre lati (oss. I) si chiamano esterni al triangolo. Oss. II. Le rette del triangolo ABC separano dunque il piano in sette parti, cioè la parte interna, le tre parti opposte ai vertici degli angoli interni e le tre parti ri- manenti di questi angoli. Def. IV. Le parti del piano limitate ciascuna da un lato del triangolo e dai prolungamenti degli altri due nel verso determinato su di essi a partire dal vertice comune opposto al lato dato, le chiameremo parti opposte dei settori piani (angoli) interni rispetto ai lati. Coroll. V. Se un punto è esterno al triangolo, una sola delie-tré rette che lo congiungono coi vertici incontra il lato, opposto al vertice che essa contiene, in un punto interno. Se un punto E è interno al triangolo, vale a dire se è situato nella parte I interna al triangolo, le rette AE, BE, CE incontrano i lati (BC), (AG), (AB) in punti interni (coroll. I). Se invece il punto E è in una delle parti opposte ai vertici, ad es. nella parte II opposta al vertice A, la retta AE incontra il lato (BC) in un punto interno (coroll. I), mentre le rette BE, e CE non pos- sono incontrare i lati (AC) e (AB) in punti interni, altrimenti il punto E sa- rebbe un punto interno (coroll. II). La stessa cosa ha luogo se il punto E è situato in una delle parti opposte dei settori interni del triangolo rispetto ai lati (def. IV), ad es. nella parte II' opposta al settore BAC rispetto al lato BC (coroll. IV, teor. II, 50) (flg. 44). Teor. II. Se una retta del piano di un triangolo non passa per alcuno dei vertici e incontra un lato in un punto interno, incontra gli altri due l'uno in un punto interno e l'altro in un punto esterno. Scegliamo sopra uno dei lati, ad es. (BC), un punto F. Il settore piano FAC limitato dal segmento (FC) è tutto nella parte interna del triangolo dato (coroll. IV, teor. I), che si compone così delle parti interne dei due triangoli BAF, FAC. Il settore opposto ad AFC ha per lati i raggi FB e il prolungamento di AF a partire da F, e quindi non ha all'infuori del segmento (FB) alcun altro punto comune col settore adiacente AFB, per essere il fascio di centro F nel piano (teor. Ili, 46) semplicemente chiuso, come ogni altro fascio (teor. I, 30). Ogni retta dunque

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321 passante per Fé contenuta nel settore AFC e nel suo opposto al vertice incontra il lato (Aty in un punto interno (coroll. I, teor. I), mentre non può incontrare il lato (AB) che in uno dei suoi punti esterni (coroll. IV, teor. II, 50). Se in- vece la retta passante per F è interna al settore AFB e al suo opposto al ver- tice, essa incontra il lato (AB) in un punto interno e in un punto esterno il lato (AC). Ma ogni retta passante per F è contenuta in due dei settori oppo- sti suddetti, che formano intorno ad F tutto il piano (def. I, 30 e def. I, 46); il teor. è dunque dimostrato (flg. 44). Coroll. I. Se una retta che non passa per alcuno dei vertici del triangolo incontra due lati del triangolo in punti estemi, incontra anche il terzo lato in un punto esterno. Perché se incontrasse il terzo lato in un punto interno, incontrerebbe anche uno degli altri due lati in un punto interno. Teor. III. Se una retta ha un punto interno ad un triangolo, essa in- contra necessariamente il perimetro di esso in due punti. Difatti sia g la retta, E il suo punto intorno al triangolo ABC, e F il punto d'intersezione di AE col lato opposto (BC). Considerando i triangoli ABF, ACF, due lati dei quali sono lati del triangolo dato o parti di essi, la retta g incontrando il lato (AF) comune in un punto interno, incontra un altro lato di ciascuno di essi, che è un lato o è parte di un lato del triangolo dato, in un punto interno; dunque il teor. è dimostrato (fig. 44). Coroll. I segmenti che uniscono un punto O interno di un triangolo coi punti dei lati, contengono tutti i punti della parte interna del triangolo. Difatti tutti i segmenti suddetti sono interni ai triangolo (coroll. Ili, teor. I). Se O è un punto interno qualunque, la retta 00' taglia il perimetro del trian- golo in due punti, uno dei quali può essere anche un vertice, quindi il coroll. è dimostrato (def. I, 2 e def. I) XLIX) 1). 055. III. Osserviamo che gli angoli esterni di un triangolo (def. Ili) sono rispet- tivaménte adiacenti due a due ad angoli interni che hanno con essi il medesimo vertice *). XLIX) Le proprietà di questo numero vanno dimostrate nello stesso modo ricor- rendo agli stessi teoremi già dimostrati nelle note precedenti. Soltanto che se non si vuoi far uso dell'espressione di punto all'infinito di d-ie rette parallele, bisogna accennare nel teor. Ili al caso in cui la retta è parallela ad uno dei lati, ossia in cui il ponto d'incontro con questo lato non esiste. Ma osserviamo anche qui che l'introduzione dell'espressione suddetta anche in un trattato elementare serve a rendere più uniformi i teoremi stessi l). 1) Per poligono convesso intendasi quel poligono del quale ciascun lato incontra gli altri, che non hanno con esso un vertice comune, in punti esterni ad esso. Da questa definizione risulta che un lato divide il piano in due parti in una o nell'altra delle quali è situato tutto il poligono, ciò che si esprime anche dicendo che un lato del poligono convesso lascia dalla medesima banda tutti gli altri (def. H e coroll. ili, teor. ir, 50). Da ciò si deduce tosto che dato un poligono convesso At A% A$ ... An, i cui lati sonoAj A% *3 *4 ,-M An-l An, An Al una diagonale ad es. AI As lascia da una banda del piano i vertici A2, A3 ,... -* -! c dall'altra i vertici ^s-f-i .... An. Si deduce pure che i prolungamenti dei lati { As+1 A s ),.... ( An AI i sono situati rispettivamente nei settori adiacenti di ^,j_j4s A l , A2 A l .i s . Stabilite queste proprietà si dimostra facilmente coll'aiuto dei teor. di questo numero e specialmente del teor. ili il seguente teorema : , Se una retta del piano ai un poligono convesso, che non passa per alcuno dei suoi vertici e 21

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322 11. Angoli formati da due rette parallele con una traversale comune, Parti di una striscia piana rispetto ad una retta. 52. Oss. I. Date due rette parallele r e r' e una traversale comune che le incontra nei punti A e -4', sia R il punto di mezzo del segmento /(AA). La retta AA' divide il piano in due parti opposte e uguali, nelle quali sono situate le due parti opposte di r r - T-^J - 7- QT' rispetto ai punti A e A' (coroll. II, teor. II, 50). Sia il punto all'infinito di r ed r' situato da una parte dejla traversaiei neua quale sara. situato anche il raggio* . )C (fyfi _ 5U_ s che lo congiunge con #;e X' , sia il punto ogpostodi 1 VVA'4' "" Gli angoli X^AR, X'^ARfX'^ARY X^A'R indfchta- / moli rispettivamente con a e |3, a e jS*. Inoltre gli angoli flg. 45 opposti di a e jS col vertice in -4 indichiamoli con e y; e gli angoli opposti di a' e jS1 con o" e y'. Gli angoli a ey,]3 e 8; a' e y', efc' sxrao angoli adiacenti, come gli angoli a e jS, y e d; a' e jS. y' e 8*. Evidentemente gli angoli a e a, jS e jS, y e y, 8 e 5* sono situati per la loro definiz'one in parti opposte del piano rispetto alla retta AA', mentre gli angoli a e y, 6' e ', a' e y', )3 e 5 sono situati rispettivamente nella medesima parte di piano ri- spetto alla stessa retta AA' (fig. 45). Def. I settori angolari (angoli) a e jS, a' e f? secondo I1 indicazione dell'oss. I si chiamano interni] y e $ e y' e 5' es'.erm. a e jS', a e jS interni corrispondenti, y e S', y' e 5 esterni corrispondenti, jS e jS1, a e a' alterni interni, y e y', e 5' alterni esterni, a e ', jSr e y, a' e , )8 e y' aitimi corrispondenti L). incontra un lato di esso in un punto interno^ essa incontra un altro lato ed uno solo in un punto interno, e gli altri in un punto esterno. Una retta non può incontrare il contorno di un poligono convesso in più di due punti. Il contorno del poligono è dato dai suoi lati, e la parte interna è data da quella dei triangoli che hanno un vertice comune ed hanno per lati quelli del poligono. Si dimostra poi: se una retta ha un putito interno al poligono coMesso^ essa incontra necessariamente il con- torno del poligono in due punti. La proprietà che se una retta ha un punto interno ad un poligono convesso ed uno esterno, èssa incontra necessariamente il contorno di esso almeno in un punto, viene data da Sannia e D'Ovidio con un postulato il. e pag. 50). Efelide, Legendre ecc. la ammettono tacitamente, DePaolis(l.c. pa- gina 71 e 114) la ammette come cosa evidente senza postulato e senza dimostrazione appoggiandosi sul fatto che il contorno del poligono è una linea chiusa (vedi nota n. 60). La dimostrazione che da Fai- fofer (Elementi di Geom. p. 43, 1836) non o sufficiente, come egli stesso avverte; se manca la defini- zione della linea manca anche la base per la dimostrazione delle sue proprietà. (Vedi pref.j. L) Si può dare a questo punto la definizione di raggi e di segmenti paralleli del medesimo verso e di verso opposto, cioè: Def. I raggi di due rette parallele situati dalla stessa parte rispetto ad una retta a partire dai punti d'incontro con questa retta si dicono del medesimo verso^ men- tre se sono due raggi paralleli situati da parti opposte, si dicono di verso opposto. Con queste espressioni intendiamo semplicemente di stabilire la posizione dei raggi paralleli rispetto ad una loro trasversale. Teor. Due raggi paralleli dil medesimo verso o di verso opposto rispetto ad una loro trasversale A A1 lo sono rispetto a qualunque altra trasversale comune. ^'j un' altra trasversale comune. Possono darsi due casi : o A^ A{ sono dalla

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323 . Uguali denominazioni possiamo usare anche se le due rette r e r' non sono parallele. Teor. /. Gli angoli alterni interni e alterni esterni che due rette parallele fanno con una traversale sono uguali. Scegliendo un punto B sul raggio (AXM) della retta r, il punto B' simme- trico di B rispetto ad R sulla retta RB è situato sul raggio Rff opposto di RB contenuto nell'angolo X' JRA\ e quindi il punto B è sul raggio (A'X'M ) della retta r' (teor. I, II, 43). Ma i due triangoli BAR, B'A'R sono uguali, e quindi es- sendo BAR~a, A!R = a: si ha: Slmilmente si ha 0= ed essendo a = , 0 = y; a'dsrS*, /3' = r si ha anche : T = T-T ' (teor. IV, 15) Ind. Un angolo piatto lo indicheremo anche con la lettera ir. Teor. IL Gli angoli corrispondenti interni o esterni, che due rette paral- lele fanno con una trasversale comune, sono supplementari. Difatti si ha: ed essendo j3 = j3' ot-f-jS'ira' + jS-fr (def, II, 38). Similmente 5-fT' = y-i-7'=ir Teor. IlL 83 due rette r e r formano angoli alterni interni uguali con una trasversale comune, esse sono parallele. Siano infatti A e A' i punti d'incontro della trasversale con le due rette r e r t e siano 3fw, X'^; YM e Y'^ i punti all'infinito di esse, in modo che i segmenti (AX^Ì, (A Y^) di r e r' siano situati dalla stessa parte di A A1 (def. 1,50), e quindi i segmenti (AX'^), (A'Y'W) saranno situati nella parte opposta (coroll. II, teor. II, 50). Per ipotesi si ha: stessa parte rispetto alla retta AA' (def. I, 50 e nota XLVIII), oppure sono situati da parti opposte. Nel primo caso i raggi AAlt A'A\ sono dello stesso verso rispetto alla retta AA' (def.). I segmenti (AA'}, (A^'j) non possono avere alcun punto comune, al- trimenti i punti AI e A\ sarebbero da parti opposte rispetto alla retta AA' (coroll. Ili, teor. II, 50 e XLVIII), e quindi, come si vede facilmente, A e A sono essi pure dalla stessa parte della retta A1A'Ì; dunque i raggi A^, A\A' ed anche i raggi opposti, cioè AA19 A'A\i sono dello stesso verso rispetto alla retta A^V Per conseguenza, raggi paralleli di verso opposto rispetto alla retta AA' sono anche tali rispetto alla retta AjAV Se invece AI e A\ sono da parti opposte della retta AA\ A e A' lo sono rispet- to alla trasversale AJ^'J, e quindi i raggi A^A A'A\ sono dello stesso verso rispètto alla retta AA' e anche rispetto alla retta A^. Il teorema è dunque dimostrato.

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324 Se r non è parallela alla retta r si può condurre a questa retta una pa- rallela r'r dal punto A', e si dovrà avere X^AA'==X'^A vale a dire vi sarebbero due raggi (Y^A'), (X'^A') che formerebbero lo stesso angolo col raggio A'A intorno ad A' e nella stessa parte di piano rispetto alla retta AA' a partire dal raggio A'A, ciò che non può essere essendo il fascio di rag- gi un sistema semplicemente chiuso e per di più identico nella posizione delle sue parti (teor. I, def. I, 30 e teor. IH, 47). Dunque le due rette r e r' devono es- sere parallele, e perciò i punti X e Y^ X?^ e Y' devono coincidere LI). 53. Teor. I. Una retta che si appoggia ai lati di una striscia piana la di" vide in, due parti uguali. LI) Le dimostrazioni dei teor. I, II e III si possono rendere facilmente indipen- denti dai punti ali' infinito, osando altri punti, mentre facendo uso del punto impro- prio alT infinito (nota XLIV) le dimostrazioni resterebbero le stesse. Nel solo campo finito non si è ancora dimostrato in queste note che due an- goli coi lati paralleli dello stesso verso sono uguali, ciò che risulta facilmente dalla considerazione deir infinito (teor. I, 40). Questo teorema per angoli situati in un piano risulta dal teor. II. La dimostra- zione si può dare nel seguente modo: Siano BAC, J^AC' i due angoli e sia (AB] =fl= (A' ), (AAJ # (A'A\)9 e si congiun- ga A con A' ; si ha: BAA^BAÌ)'; CAA=VAÌt (teor. II) ma dunque BAC= VA^C' (nota XLVI e int. g , 73) (fig. 46). Per dimostrare questo teorema in generale basta dimostrarlo nello spazio a tre dimensioni (vedi libro III), perché due piani paralleli come sono AB'C\ ABC sono sempre contenuti, come vedremo, in uno spazio a tre dimensioni. E siccome nelle note contras- segnate dai numeri romani ci limitiamo al solo piano, così diamo qui la dimostrazione che bisognerebbe dare invece dopo la costruzione dello spazio suddetto. Data dunque la costruzione di questo spazio e definito il parallelismo di due piani si dimostra facilmente : 1.* che due piani paralleli sono tagliati da un terzo flg 46 piano in rette parallele, mentre due rette parallele sono situate in un piano (coroll. IV, teor. V, 46 e nota XLV). 2.* che segmenti paralleli compresi fra piani paralleli sono uguali. Poi si da la seguente dimostrazione. La rette AB* AB' ; AG^ A' C' sono situate rispettivamente in un piano (1 ), ed es- sendo (AAÙ = (A'A'Ù* si ha (AlA'l)^(AAf). II piano A^A\ B taglia il piano A'ffC' se- condo la retta A\B\ la quale è parallela alla retta A B !*). Immaginando condotto per AA un piano parallelo al piano A^BA^ si ha (AB) = (AB) (2 ), e perciò (BB1) # (4,-A'J (coroll. I, teor. II, 43 e nota XXXVIH) da cui (A1B)^(A\B'). Inoltre, i triangoli ABAV A'B'A\ sono uguali per avere i tre lati uguali (teor. HI, 17 e nota XII), e perciò i loro angoli corrispondenti "BAC, BAÌ!' sono uguali, come si voleva dimostrare (fig. 46). Valendo il teor. suddetto nel piano colla stessa dimostrazione si può dare qui il teor. VI del n. 47. ..

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325 Siano r e i* i lati della striscia che debbono essere paralleli (def. Ili, 47), e sia AAf la traversale che li incontra nei punti A e A'. Per dimostrare che le due parti X'^ AA'X'^ X^ A'AX^ sono identiehé, stabiliamo che siano corrispondenti quei punti che sono allineati col punto medio R di (AA), e sono simmetrici rispetto ad R (def. II, 35). Scelti due punti B e C' sui segmenti (AX^), (A'X'^), i -punti corrispondenti B' e C sono situati sui segmenti (A'X^) e (AX^) (teor. II, 43), e tali che si ha (#c) * C6*?) (coroll. I, teorTl, 43). Scelti due altri punti Xò Y della prima parte, i punti X' e T cor- rispondenti sono ad ugual distanza da R sui raggi op- posti di RX e di RY, e quindi i due triangoli RXY, RXY' sono uguali per avere i due lati e l'angolo compreso uguale, e perciò (XY) = (X*Y); dunque le due figure sono uguali (teor. Ili, 15) (fìg. 47). Def. L Le due parti della striscia in cui viene divisa da una retta le diremo opposte rispetto alla retta. Teor. II. Se dagli estremi A e Al di un segmento si conducono due raggi in una delle parti del piano determinate dalla retta del segmento, in modo che la somma degli angoli che essi formano col segmento (A A1) sia minore di due retti, i due raggi si incontrano in un punto. Se la somma degli angoli è maggiore di due retti, si incontrano i loro prolungamenti nella parte opposta del piano rispetto alla retta A A'. Indicando con F e Y^ i punti all'infinito della retta AA', e conducendo per A e A' due rette parallele r e r} il piano viene diviso dalle tre rette- r e e r' e AA in sei parti, due a due uguali, cioè: (teor. I, 52) X AA'XM=ìX' x A AX' (teor. I). Una retta s del piano passante pel punto A è situata per metà nelle due parti del piano separate dalla retta AA (coroll. II, teor. II, 50), cioè nelle due parti : + X'^A A'X' Se una metà della retta s è contenuta nell'angolo X'^AY'^ l'altra metà è situata nell'angolo opposto X^AY^. Essa incontra la retta r nel segmento (A'XM), situato entro questo angolo, perché esso può essere generato congiun- gendo il punto A coi punti di questo segmento (coroll. IV, teor. II, 50). L'altra metà della retta s non può certo incontrare la retta r' (teor. II, 30 e conv. 28). Se la retta s è per metà situata nel settore angolare Y^AX^ l'altra metà incontra per la stessa ragione la retta r' in un punto del segmento (A'X'J. Nel primo caso, essendo l'angolo formato dal segmento (A A') con la parte di s compresa nel settore angolare XMAYM minore di questo angolo, da con l'angolo X^A'Y'n una somma minore di due retti, perché si ha: X A Y + X A F o, = w (teor. II, 52)

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326 Nel secondo caso, l'angolo formato dal segmento (AA') col raggio di s compreso nel settore Y'^AX^ da coirangolo X^A'Y'^ una somma maggiore di due retti. Il teorema è dunque pienamente dimostrato, ritenendo che uno dei raggi sia precisamente (A'X^) situato sulla retta r' LII). 12. Segmenti e distanze di un punto dai punti di una rett$. Distanza di due rette parallele. 54. Teor. I. In ogni triangolo rettangolo gli angoli opposti ai cateti sono acuti. Sia ABC il triangolo rettangolo. Da A si conduca la perpendicolare AX alla retta AB (coroll. I, teor. V, 47), ed X sia un punto situato dalla stessa parte di C rispetto alla retta AB. Essendo BC parallela ad AX, i punti È e C sono situati dalla stessa parte rispetto alla retta AX (teor. I, 50). Sia inoltre Y un punto della retta AB dalla stessa parte di A rispetto a B. Se l'angolo BAC fosse ottuso, il raggio AG dovrebbe X essere contenuto a partire da A nel settore YAX, vale flg. tó a dire si potrebbe scegliere su di esso un punto O da parte opposta di C rispetto alla retta AX; e prolungato il raggio AC dalla parte opposta di A esso dovrebbe essere contenuto nel settore retto opposto a BAX e non nel settore adiacente. Dunque il segmento (OC) dovrebbe incon- trare la retta AX in un punto diverso da A (coroll. Ili, teor. I, 50) e le due rette AX e AC avrebbero due punti comuni, ciò che non è possibile (teor. II, 30 e conv. 28). Non può essere nemmeno che RAG sia retto, perché dal punto C si po- trebbero condurre due perpendicolari alla retta AB, ciò che è pure assurdo (coroll. I, teor. V, 47) (flg. 48) LUI). Def. I. Per segmento normale condotto da un punto R ad una retta r intenderemo quello determinato sulla perpendicolare passante per R alla retta r da # fino al suo punto d'incontro (piede) colla retta stessa. Per segmento obliquo intenderemo ogni altro segmento determinato da un punto della retta r col punto R. Teor. IL II segmento normale di un punto da una retta è minore di ogni segmento obliquo. Siano r la retta ed R il punto dati, (RM) il segmento normale, (RA) un seg- LII) Nel campo finito basta usare altri punti invece dei punti all'infinito per la dimostrazione dei teor. I e IL LUI) La dimostrazione del teorema I rimane tale e quale riferendosi agli stessi teoremi e all'ass. II', o usando l'ass. II anche al teor. Ili della nota XLIV e al teor. 1,14.

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327 mento obliquo. Non può essere intanto (RA) = (RM), per- y*JI che il triangolo ARM sarebbe isoscele (def. Ili, 9) e con- giungendo il punto di mezzo di (AM) con R si avrebbe un altra perpendicolare condotta da R alla retta r (teor. IV, 42), il che è assurdo (coroll. I, teor. V, 47). Sia AD una retta che incontra (RM) in un punto D interno, e prolunghiamo il segmento (RA) in AR', e con- flg. 49 duciamo da A i raggi perpendicolari AM', AM* rispetti- vamente alle rette AM e AD, dalla stessa parte del segmento (AD) rispetto alla retta AR (def. II, 50). Siccome l'angolo MAR è acuto (teor. I), i due raggi AM1 e AM'Ì sono contenuti nel settore angolare ottuso R'AM; dunque il raggio AM è contenuto nel settore angolare Mf^AD.'M èR!AM ^RAD, perché RAD ^ RAM e ^AM+MAR=RAD + DAR = ic; vale a dire il raggio AM1 è conte- nuto nel settore angolare KAM1^ Conduciamo ora da R il segmento normale (RD') alla retta AD. Poiché AM, RM; AM\, Rff sono parallele (coroll. II, teor. V, 47), si ha: R^AM\ = ARDtì RAM' ARM (teor. I, 40 o II, 52) e quindi (RM) è contenuto nel settore angolare ARD', dunque il punto D1 è fuori del segmento (AD) (coroll. IV, teor. II, 50). Ora, se (RM) fosse maggiore di (AR), nel segmento (RM) vi sarebbe un punto D tale che (RD) = (AR) (teor. I, 8; ini, def. I, 61 e b,73), e perciò essendo isoscele il triangolo ARD, il punto medio di (AD) congiunto con R ci darebbe un'altra perpendicolare pas- sante per R alla retta AD, il che è assurdo (coroll. I, teor. V, 47). Dunque ecc. (flg. 49). Coroll. L' ipotcnusa di un triangolo rettangolo è maggiore di ciascuno dei suoi cateti. Teor. III. I segmenti obliqui da un punto ai punti di una retta, equidi* stanti* dal piede,, della perpendicolare del punto alla retta, sono uguali. Siano A e r il punto e la retta dati, (AM) il segmento normale alla retta r, (AB), (AC) due segmenti obliqui, pei quali B e C sono equidistanti da M. I triangoli BMA, CMA sono uguali per avere due lati e l'angolo compreso uguali, cioè (MA) comune, (BM) EE (CM)9 BMA = CMA (teor. IV, 42) dunque (AB)~(AC) (teor. Il, 42), come volevasi dimostrare (fig. 26). Def. II. Il segmento (BM) compreso fra il piede M del segmento nor- male (AM) e il puntò B sulla retta r di un segmento obliquo (AB) si chiama proiezione ortogonale o semplicemente proiezione del segmento (AB) sulla retta r. Teor. IV. Le proiezioni di due segmenti obliqui uguali sono uguali. Siano (AB) e (AC) i segmenti obliqui uguali; (BM), (CM) le loro proie- zioni (def. III). Se B e C non sono equidistanti da 'M, sia (MCl)^(MB) (co- roll. I, teor. Ili, 4); il punto Ci sarà dalla stessa parte di C da, M. Si ha pure: (AB) = (ACt) (teor. Ili) e perciò essendo il triangolo CCaA isoscele (def. Ili, 9), mentre C e Cj sono dalla stessa parte di M, vi sarebbe un altra perpendicolare passante per A alla retta BC, il che è assurdo (coroll. I, teor. V, 47) (fig. 26). Teor. V. Se due punti R e R' hanno la medesima distanza rispettivamente

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328 da due rette r e /, i segmenti che essi determinano due a due coi punti di queste rette sono due a due uguali, e le figure cosi ottenute sono uguali. Si stabilisca una corrispondenza d'identità fra le due rette r e r' nella quale siano corrispondenti i piedi M e M1 delle normali condotte da R e R alle rette r e r' (teor. VI, 15), Se A e A' sono due altri punti corrispondènti sulle due rette r ed r', i due triangoli rettangoli RAM, KA'M' sono uguali per avere i cateti uguali (teor. IV e I, 47), dunque (AR) = (A'R). Dati due punti X e Y della figura (Rr), e se A e B sono i punti d'interse- zione delle rette RX e RY colla retta r, i punti T e F corrispondenti di X e Y sono situati sui raggi R'A', R'B' corrispondenti a distanze da R e A', R' e B' uguali a quelle dei punti corispondenti, e poiché si ha: ARB==ARBr si ha pure (XY)-(X'Y') (teor. II, 42). Dunque le due figure (Rr) e (RY) sono identiche (teor. Ili, 15). Caroli. I. Se due punti hanno la stessa distanza da una retta, le due fi- gure da essi determinate colla retta sono uguali. Caroli. II. Se due punti giacciono in una perpendicolar^ ad una retta nel piano e alla medesima distanza da essa, i segmenti che essi determinano con ogni punto della retta sono uguali. Teor. VI. I punti di una retta hanno la medesima distanza da una retta ad essa parallela. Siano r e r due rette parallele e siano (MM^ (MrM\) due segmenti nor- mali alle due rette. La figura M'Ml M\M\ è un rettangolo (coroll. II, teor. V, 47 e teor. I, 48), e quindi (MMl)~(MfM\) (teor. I, 44) (fig. 36). Def. IH. La distanza normale di un punto di una retta da una retta pa- rallela si chiama distanza delle due rette. Teor. VII. Se aumenta la proiezione di un segmento obliquo di un puntò ad una rettaì aumenta anche il segmento stesso; e inversamente. Siano A il punto e BC la retta dati, (AM) il segmento normale. Supponiamo infatti che a partire da (AB) la proiezione (MB) aumenti da M verso B. Se il segmento obliquo rimanesse costante, scelti due segmenti uguali (AB), (AB)), il triangolo BABl essendo isoscele, fra B e B} cadrebbe il piede di un'altra perpendicolare condotta da A alla retta MB, ciò che è im- possibile (coroll. I, teor. V, 47). Se il segmento (AB^) fosse minore di (AB), sic- come si avrebbe (A-Bj) (AB) (AM) (teor. II), fra*!? e desisterebbe almeno un punto B2 tale che (RB2) = (RBl) (coroll. I, def. I e teor. VII, 13), e quindi essendo isoscele il triangolo B^AB^ in (B^B^ cadrebbe il piede di un'altra perpendicolare del punto A alla retta MB, il che è assurdo (coroll. I, teor. V, 47). Dunque (RB}) deve essere maggiore di (AB) (teor. I, 8 e ini. b, 73). Se invece aumenta (AB) in un dato verso a partire da M, deve aumen- tare pure la sua proiezione, perché se questa diminuisce diminuirebbe per la dimostrazione precedente anche (AB), contro l'ipotesi (fig. 26) LIV). LIV) Nel campo finito i teor. I, li. Ili, IV, V e VI si dimostrano nello stesso modo ricorrendo agli stessi teor. indicati nelle dimostrazioni e nelle note relative. Il teor. VI vale per ora nel piano (oss. II, nota XLVI). Il teor, VII si può dimostrare indipen- dentemente dal teor. VII del n. 13 (che può essere dato più tardi vedi nota X), come sarà indicato nella nota LVH.

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A C" 329 13. Altre proprietà dei triangoli. 55. Teor. L Ogni lato di un triangolo è minore della somma degli altri due. Sappiamo già che un lato non può essere uguale alla somma degli altri due (teor. IV, 17); qui avremo una conferma di tale proprietà. " Basta dare la dimostrazione per il lato maggiore, perché ciascuno dei ri- manenti è evidentemente minore della somma degli altri due. Sia ABC il triangolo, (AB) il lato maggiore; e sup- poniamo che (AB) sia uguale o maggiore della somma degli altri due. In tal caso vi sono nel segmento (Al?) due punti C e C" (che nel primo caso coincidono) tali che (AC)EE(A 7), (BC) = (BC"). Se C cadesse in (C'B) al- lora si avrebbe (AB) = (AC') + (CB) e (CB) (C'B), e poiché (C"B)~(BC\ (AB) sarebbe minore di (AC) + (BC) contro l'ipotesi; dunque C cade nel segmento (AC*). Per un punto X del segmento (CC") (e nel primo caso pel punto C stesso) conduciamo la perpendicolare XX' alla retta AB. In essa non vi è alcun punto il cui segmento con A sia uguale ad (AC') o minore di (AC') (teor. II, 54). Né può esistere alcun punto P dalla parte opposta di A rispetto alla retta XX' pel quale il segmento (AP) sia uguale o minore di (AC'). Invero indicato con P il punto d'incontro della retta (AP) con XX\ Pf è interno al segmento (AP) (coroll. Ili, teor. II, 50), e siccome (AP1) (AX) (teor. II, 54), a maggior ra- gione è (AP') (AC*) e (AP) (AC). Così dicasi rispetto al punto B e al segmento (BC') minore od uguale a (BX). -Ora, dato il triangolo A5C, il punto C o dovrebbe giacere sulla perpen- dicolare XX\ o da una parte o dall'altra di questa perpendicolare. Sulla perpen- dicolare non può essere, come non può essere in nessuna delle parti del piano rispetto ad essa; e quindi è dimostrato che per l'esistenza del triangolo ABC, il lato (AB) deve essere sempre minore della somma degli altri due (fig. 50). Coroll. Ogni lato di un triangolo è maggiore della differenza degli allri due : Sia fig Se fosse (CA) (AB)-(BC) si avrebbe ciò che è impossibile. Né può essere perché sarebbe il che è pure assurdo.

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330 Teor. li. Due triangoli rettangoli che hanno un cateto e lfipotcnusa uguali sono uguali. Se nei due triangoli rettangoli ARM, A'I?M' in M e M1, sono uguali i cateti (RM), (RMr) e le ipotcnuse (RA) e (R'A1), anche (AM) e (A'M*) devono essere uguali. Supponiamo che nella corrispondenza d'identità stabilita per la dimostrazione del teor. V del n. precedente, ad A non corrisponda A' ma bensì un'altro punto A" situato dalla stessa parte di A' rispetto a M'. Si dovrà avere (RA) = (R'A") = (R'A'). Ma è assurdo che sia (R'A") = (R'A') (coroll. I, teor. V, 47), dunque A" coincide con A'. Teor. III. Due triangoli che hanno due lati e l'angolo opposto al maggiore uguali, sono uguali. Sia SC la retta del terzo lato, (AC) il la.to minore, ACS* l'angolo opposto al lato maggiore. Sia inoltre S il piede della perpendicolare condotta da A alla retta SC. Il lato dato (AB), maggiore di (AC) che è maggiore di (AS}9 è a più forte ragione maggiore di (AS) (ini. d, 61), dunque vi devono essere due segmenti obliqui (AB) e (AB') uguali, i cui punti in tfCsono a maggior distanza da S del punto C (teor. VII, 54 e teor. VII, 13). Un solo di questi segmenti è servi- bile, quello cioè il cui punto B in SC è da parte opposta di C rispetto ad S9 nel caso che l'angolo ACS sia acuto; mentre nel caso che sia ottuso bisogna considerare l'altro segmento obliquo. Difatti tanto nell'uno come nell'altro caso l'angolo ACBf è supplementare dell'angolo dato. Def. Anziché dire che due triangoli che hanno dati elementi (lati ed an- goli) uguali sono uguali, diciamo anche che vi è un solo triangolo che ha gli elementi dati, dimodoché il triangolo rappresenta così tutti i triangoli ad esso uguali. Teor. IV. Dati due lati e l'angolo opposto al minore di essi, esistono due triangoli disuguali aventi questi elementi, mi quali gli angoli opposti alValtro lato sono supplementari', od un solo triangolo, se il segmento normale al terzo lato del vertice comune ai lati dati, è minore del minore di essi, od uguale. Sia come prima SC la retta del terzo lato, (AC) il lato maggiore dei due dati, ACS l'angolo opposto al lato minore, ed S il piede della perpendicolare condotta per A alla retta SC. Se il lato opposto all'angolo ACS è maggiore di (AS) vi sono due segmenti obliqui (AB], (AB') uguali a questo lato (teor. -VII, 54 e teor. VII, 13). Quello giacente dalla parte di AC rispetto ad A S deve avere il punto B' compreso nel segmento (SC), perché (AB1) (AC) per dato (teo- rema VII, 54), e i due triangoli ABC, AB'C soddisfano alle condizioni del teo- rema. E siccome ABC = A S, così ABC e AB'C sono supplementari. Se il lato opposto all'angolo ACS è uguale ad (AS), vi è un solo triangolo ; se invece è minore di (AS) non vi è alcun triangolo (def.). Coroll. Due triangoli che hanno due lati e l'angolo opposto al lato mi- nore uguali, sono uguali se gli angoli opposti all'altro lato sono tutti e due acuti od ottusi. Perché nel triangolo ABC l'angolo ABC è acuto, mentre nel secondo ABC è ottuso. Teor. V. Se in un triangolo due angoli sono uguali, il triangolo è isoscele. Sia ABC il triangolo, ABC = ACB, e sia inoltre (AM) una mediana del

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331 triangolo (def. 111,42). I due triangoli ABM, ACM hanno il lato comune AM, e i due lati (BM), (CM) uguali, e di più uguali gli angoli opposti al lato comune AM. Tanto nel caso in cui (AM) è maggiore di (BM), o di (CM), quanto in quello nel quale è minore di (BM), o di (CM), i due triangoli sono uguali (teor. Ili e corolL, teor. IV), e perciò (AB)~(AC), vale a dire il triangolo AB C è isoscele (def. Ili, 9) (fig. 26). Oppure anche, seguendo Euclide: se fosse (AC) (A5), sia (BD) in (BA) uguale ad (AC). I due triangoli CBD, BOA sono uguali per avere il lato comune (BC) e i lati (BD) e (AG) e gli angoli in B e C uguali (teor. II, 42). Dunque BCD che è parte di BOA sarebbe ad esso uguale, il che è assurdo (int. b', 61). Teor. VI. In ogni triangolo ali* angolo maggiore sta opposto il lato maggiore. Sia ABC il triangolo dato, e sia CAB ABC (1) dico che si ha (BC) (AC) Si conduca (AD) che faccia con (AB) un angolo BAD uguale ad ABC e sia compreso nel settore CAB (int. def. I, 61); ed essendo D il punto d'incontro di AD con BC, D è interno al segmento (BC) (coroll. IV, teor. II, 50). Il trian- golo ABD è isoscele, e perciò (BD) = (AD) (teor. V). Ma nel triangolo ACD è (AC) (AD)-f (DC) (teor. I), e quindi (AC) (BD) + (DC) ossia (AC) (BC) (int. e, 68 e def. II, 61). Coroll. A lati uguali in un triangolo si oppongono angoli uguali. Questo corollario è una conseguenza del triangolo isoscele (teor. Ili, 42), ed è pure una conseguenza del teor. precedente quando si osservi che se gli angoli fossero disuguali i lati dovrebbero essere pure disuguali. Teor. VII. Vale la proprietà inversa del teor. VI. Se cioè (BC) (AC) si deve avere CAB ABÌ) Se fosse CAB=AtiD i lati opposti sarebbero uguali; né può essere perché il lato (BC) opposto al primo dovrebbe essere minore del lato (AC) opposto al secondo (teor. VI), contro l'ipotesi. Teor. Vili. In, due triangoli aventi due lati uguali, il terzo lato è mag- giore in quello nel quale gli sta opposto l'angolo maggiore, e reciprocamente. Se i due triangoli non avessero un Iato comune potremmo sempre im- maginare nel piano di uno di essi un triangolo uguale all'altro con un lato comune. Difatti siano ABC, AB'C' i due triangoli e sia: (AB) EE (AB'}, (BC) = (B'C), ABC À Indicando i due angoli ABC, A'B'C con e ' si ha :

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382 Nel piano del triangolo ABC immaginiamo un raggio limitato in 5, che formi col segmento (AB) l'angolo a partire dal segmento (AB) intorno al punto B nel verso dell'angolo ABC (teor. II, 47). Il raggio così determi- nato giace evidentemente nel settore angolare ABC, essendo * ?. Sia D il punto d'incontro di questo raggio con (AC), che deve essere interno al lato (A C) stesso (coroll. IV, teor. II, 50). Consideriamo sul raggio BD il seg- mento (#6")= ( C) = (5'C'); il triangolo ABC" giace nel piano del triangolo ABC (coroll. II, teor. V, 46) ed è uguale al triangolo A'B'C per avere con esso due lati e l'angolo compreso uguali (teor. II, 42), e quindi (AC") = (A'(7). 11 punto C" o cade nel punto D stesso, o sul prolungamento (BD), oppure entro di questo segmento. Nel 1 caso la dimostrazione del teor. è subito data, perché giacendo D entro il lato (A C) si ha: (AD) ~ (AC") = (A' C') (AC). (int. def. I, 61) Nel 2 caso congiungiamo C" con A e C. Il segmento (BCf) giace nel settore angolare CC"A, perché il punto D giace nell'interno di (A C); e d'altra parte il segmen- to (AC) giace nel settore BCC", essendo il punto D un punto del segmento (C''B), quindi nel triangolo CG"A l'angolo ACC' è minore di BCC'. 11 triangolo C"BC è isoscele per essere (BC'') = (BC); dunque (teor. IV, 42). Ma 'CCÌB è parte dell'angolo CCTA, quindi a maggior ragione è ACC" CC"A da cui (AC") (AC) (teor. VI) e quindi Nel 3 caso i segmenti (AC"), (CC") sono interni ai settori angolari CAB9 BOA, perché C" è interno al triangolo A C (coroll. I, teor. I, def. 1, 51) e quindi BCC" JSCA. Ma dal triangolo isoscele BCC1 si ha: Essendo E un punto del prolungamento di (BC) da B a C, gli angoli C e (fcE sono supplementari degli angoli BCC", CCTB, dunque Ma dunque Cr;CA (fcÈ TC (fCA (int. d, 61).

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333 L'angolo DCfy è parte di ACTC, dunque nel triangolo A C" C si ha: ÀCfC CrCA da cui (AC) (AC") (teor. VI) ossia (AC) (A'C') (ini def. II, 61). Inversamente, se si ha (AC)^ (ArC)1 vale a dire (AC) (AC"), gli angoli opposti a questi lati non possono essere uguali, perché per ciò che precede, sarebbe (AC) = (AfC}; dunque deve essere: ABC tfSìS (fig. 51). Teor. IX. In una dette parti in cui il piano è diviso da una sua retta non possono esistere due triangoli uguali aventi un lato comune sulla retta data. Siano ABC, ABC due triangoli coi vertici C e C" situati dalla stessa parte della retta AB. Gli angoli CAB, CAB sono per ipotesi uguali, e sono anche del medesimo verso a partire da AB. Ma il raggio ACf non può essere com- preso nel settore CAB, come il raggio AC non può essere compreso nel settore CAB, essendo il fascio di raggi semplicemente chiuso (teor. I, 30 e int. , 36). Dunque C A dovrà coincidere con CA. Analogamente CB dovrà coincidere con CB, e quindi C" con C, perché altrimenti AC e BC avrebbero due punti comuni, situati per di più dalla stessa parte di AB (teor. II, 30 e conv. 28). Teor. X. Due triangoli aventi un lato e gli angoli adiacenti ad esso uguali sono uguali. Siano ABC, A^C, i due triangoli, e sia (AB) = (A^), CAB = C^BV CBA= (V^Àj. Le metà del piano rispetto alle due rette AB e A^ ove giacciono i due triangoli sono uguali (coroll.I, teor. II, 50j, e quindi si può sta- bilire in esse una corrispondenza d'identità in modo che ad A corrisponda AÌ9 B a Br Ad un raggio qualunque AX passante per A corrisponde un raggio -Aj-Xi' passante per A^ i quali raggi devono formare coi raggi corrispondenti AB, A^BI angoli uguali. Così pei raggi passanti per B e B^. I raggi perpen- dicolari, condotti pei punti di mezzo M e Ml di (AB) e (A^B^ a questi seg- menti stessi, si corrispondono fra loro, e la corrispondenza dei raggi intorno ad A e A^ così pure quella intorno a B e Blt si stabilisce per es. mediante i segmenti uguali presi sui raggi perpendicolari a partire da M e Jfj. Supponiamo che al raggio C^A^ non corrisponda il raggio CA, ma un rag- gio C A; questo deve formare con AB un angolo CAB uguale all'angolo C-^A^B^ e quindi anche all'angolo CAB- Ma ciò non è possibile, se non quando C A coincide con CA. Analogamente il raggio corrispondente a C^ deve coincidere con CB. Al punto C d'incontro dei due raggi AC, BC corrisponde il punto Cì d'in- contro dei due raggi corrispondenti A^, B^. Difatti se (AC) non fosse ugua- le ad (AjCj), vi sarebbe in (AC) un punto O' differente da C tale che (AC')=(AC). Ma C unito con B darebbe il raggio corrispondente a B^ che coincide con BC; bisognerebbe dunque che AC e BC si incontrassero in due punti C e C dalla stessa parte di AB, il che è assurdo (teor. II, 30 e conv. 28). Teor. XI. La somma degli angoli di un triangolo è uguale alla somma di due angoli rotti.

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334 Sia ABC il triangolo AD la parallela condotta da A al lato BC. La retta AD non può essere situata nel settore angolare BAC altrimenti incon- trebbe (BC) in un punto interno (coroll. IV, teor. II, 50), e prolungando BA dalla B' parte di A rispetto a B in AB', si ha: X____D ItAÌ) = ABC, DAC = ACB (teor. I, 52) ossia AÌ) + IMC+ CAB = w (conv. 52) dunque ABC + BCA-\-^CAB = Tf. (fig. 52). Coroll. Un angolo esterno di un triangolo è mag- giore di ciascuno degli interni opposti LV). LV) II teor. I si dimostra nello stesso modo. Esso viene dato come assioma da Legendre, o viene dimostrato col teorema che un angolo esterno di un triangolo è maggiore di ciascun angolo interno opposto (Euclide) o colla proprietà che la som- ma degli angoli di un triangolo è uguale a due rotti (ad es. De Paolis). Si dimostra facilmente che la somma delle distanze di un punto fnterno al trian- golo da due vertici di un lato è minore della somma degli altri due lati, Questo teorema serve a dare un' altra dimostrazione del teor. VII dei n. pre- cedente, dal quale non dipende la dimostrazione del teor. I di questo numero. Dato il punto R e la retta r, si scelga nella perpendicolare RM un punto R tale che (RM) = (MR). Dati due punti A e Al dalla stessa parte di M si ha: (RA^ ^A^i (RA) = (R'A) (coroll. II, teor. V, 54) e supposto (MA) (MA{), A è interno al triangolo R'A^. (teor. I e def. I, 51) e quindi 2 (R'A) 2 (KA^ ossia (RA) (R'A^). Così non si fa uso del teor. VII del n. 13. Il teor. II si dimostra nello stesso modo, ma finora vale pei soli triangoli rettan- goli di un medesimo piano, perché non si sa ancora se angoli retti di piani diversi sia- no uguali. (Vedi oss. Ili, nota XLVI). Non volendo far uso qui del teor. VII del n. 13 (vedi nota X) bisogna posporre la dimostrazione dei teor. Ili e IV dopo le considerazioni sui punti d'intersezione di una retta con una circonferenza. Pel teor. V in questo caso bisogna dare la 2* dimo- strazione, e le stesse dimostrazioni per i teor. VII e Vili e così pei teor. rimanen- nenti IX, X e XI. Quest'ultimo teor. comesi vedrà, è caratteristico pel sistema Eu- clideo. (Vedi cap. II e 111 e n. 27 e 28). Legendre dimostra il teor. VI facendo uso del teor. 1 come assioma. Altri ad es. Euclide, Baltzer, Sannia e D' Ovidio, Faifofer, De Paolis ecc. dimostrano pri- ma il teorema inverso, appoggiandosi sulla proprietà data dal coroll. del teor. XI, la quale viene dimostrata da Euclide indipendentemente dal teor. XI (prop. XVI, Lib. I), che vale, come dissi, nel sistema Euclideo. Le nostre dimostrazioni dei teor. I-X sono indipendenti da tale proprietà, e valgono quindi anche negli altri sistemi. Non è poi a credere che la diin. di Euclide sia indipendente del tutto dal postu- lato delle parallele; la dina, della prop. XVI del libro 1 dovrebbe essere più ac- curata e tanto più in quei trattati nei quali questa proposizione precede ii po- stulato delie parallele. Nella figura relativa a questa proposizione (Vedi trad. di Betti e Brioschi) non basta che il punto F sia interno al settore angolare ABD per concludere che il raggio CF è interno al settore angolare ACD. Nel caso della 2a forma Riemanniana in cui pure due rette del piano si incontrano in un solo punto (30), può darsi invece che il raggio CF cada fuori dell'angolo suddetto, e quindi l'angolo ACF sia maggiore dell'angolo ACD, e bisogna quindi dire perché ciò non accade cogli assiomi premessi. È da osservare inoltre che finora il teorema Vili si riferisce a triangoli del me- desimo piano, mentre nel testo riguarda anche triangoli di piani diversi.

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335 14. Figure simmetricbe rispetto ad una retta XLVI). 56. Def. I. Due punti B,ff situati in una perpendicolare ad una retta a nel piano si dicono simmetrici rispetto alla retta a, se hanno la stessa distanza dalla retta a (def. I, 54) che si chiama asse di simmetria. Indicando con S il punto d'incontro della perpendicolare BE' colla retta a, B e B sono simmetrici rispetto al punto S (def. II, 35). E In generale due figure si dicono simmetriche rispetto alla retta a, se i punti corrispondenti A e A, B e #, C e C ecc. di esse sono simmetrici rispetto alla retta a (fig. 53). Coroll. Le partì in cui il piano mene diviso da una sua retta sono simmetriche rispetto alla retta i cui punti sono simmetrici di sé stessi (def. li, 50). Teor. I. Un segmento rettilineo ha per figura sim- metrica rispetto ad una retta un altro segmento uguale a 53 a^ Primo. Le rette dei due segmenti si incontrano in un punto delibasse di simmetria, e formano con esso il me- desimo angolo. Difatti sia dato un segmento (CB), e si consideri il segmento (CfB') che unisce i due punti simmetrici C e ff di C e B rispetto alla retta a. Se il punto C è in a, C coincide con esso (def. I), sia S il punto d'intersezione di (B#) con I due triangoli SBC, SB'^ sono uguali, perché hanno il lato (SC) comune, (BS) = ( S), e gli angoli in S retti (teor. IV e I, 47 e teor. II, 42). Se sul segmento (BC) è dato un punto D, e si conduce da D la normale alla retta a, che incontra (BC) in un punto Dr, D' è il punto simmetrico di D. Invero', se S è il punto d'intersezione della retta DD' con a, i due triangoli D Cj Z/tfCsono uguali, perché hanno il lato ( C) comune, gli angoli in S' retti, e gli angoli in C uguali, essendo SCB 'SCB' ; quindi (D ) = (D'S') (teor. X, 55). Dai due triangoli DtfC, D'SC' si ha: (DC)EE(D'C) e perciò (BD) = (B'D'} (ini/', ^v 73) dunque il segmento (BD) ha per simmetrico il segmento (B'D') uguale ad esso, e le rette BD e SU si incontrano in un punto C dell'asse di simmetria for- mando con esso angoli uguali (fig, 53). Teor. II. Due figure simmetriche rispetto ad una retta sono uguali. Difatti stabilita la corrispondenza fra i loro punti simmetrici, ad una coppia di punti qualunque di ciascuna di esse corrisponde una coppia di punti dell'altra colla medesima distanza (teor. Ili, 15). XLVI) Questo paragrafo va trattato nello stesso modo.

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15. Circonferenza, e cerchio Archi di circonferenza, Corrisponden* za fra, gli archi e gli angoli e i segmenti della retta all'infi- nito 57. Def. I. I punti dei raggi di un fascio ad una distanza data dal centro determinano un sistema ad una dimensione i cui versi sono dati da quelli del fascio generatore, che chiamasi circonferenza di cui il punto Ré il centro, e il segmento o la distanza data è il raggio. Coroll. I. La circonferenza è un sistema ad una dimensione semplice- mente chiuso. In ogni raggio del fascio vi è punto della circonferenza e per la definizione stessa ogni punto della circonferenza è situato in un raggio del fascio, men- tre questo è un sistema semplicemente chiuso ad una dimensione rispetto al raggio come elemento (teor. I, 30 e int. def. I, 62, e def. II, 63). Coroll. IL La retta limite all'infinito del piano è una circonferenza di raggio infinito (conv. 49). Def. IL II segmento determinato da due raggi opposti della circonferenza si chiama diametro. I due punti della circonferenza situati in un diametro sono i suoi estremi. Def. III. I diametri determinano una parte del piano che si chiama cerchio. Il cerchio, eccettuata la circonferenza, si chiama parte interna del cerchio. I prolungamenti dei diametri eccettuati gli estremi determinano la parte esterna del cerchio. La circonferenza si chiama anche periferia o contorno del cerchio. Oss. 1. Quando non vi sarà luogo ad equivoci per diametro intenderemo anche una retta passante pel centro. Spesso colla parola cerchio si indica invece la cir- conferenza. Def. IV. Ogni figura del piano i cui punti appartengono al cerchio (def. I, 2) si chiama interna al cerchio, altrimenti si chiama esterna. Def. V. Un settore angolare (angolo) del fascio avente il suo centro nel centro della circonferenza si chiama angolo al centro. Def. VI. Un segmentò di circonferenza si chiama segmento circolare o arco d'i circonferenza o di cerchio. Due punti della circonferenza determinano due archi che costituiscono la circonferenza (teor. I e int. e, 64). Per arco di due punti della circonferen- za si considera sempre il minore, se non occorre tener conto anche del mag- gióre, e se essi non sono estremi di un diametro. In questo caso per determi- nare uno di questi archi bisogna dare un altro punto di esso. LVII) Non volendo premettere per ragioni didattiche le considerazioni del n. 13, bisognerebbe darle qui, limitandole in modo da poter utilizzare per la retta e per la circonferenza il teor. VII di quel numero. Non occorre dare quindi la def. della li- nea semplice, basta far rilevare, come vedremo, che per la circonferenza valgono quelle proprietà sulle quali si appoggia la dira, di quel teorema. (Vedi la nota LVHI).

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337 Def. VII. Se un arco di circonferenza si considera soltanto come sostitui- bile da un altro arco uguale in ogni relazione con altri archi di circonferenza, esso si chiama lunghezza dell'arco dato '). Teor. I. Angoli al centro uguali, o di cui Vuno è maggiore dell'altro, determinano sulla circonferenza archi uguali, o di cui I9 uno è maggiore del- l'altro, e inversamente. Difatti siano BACÌ ìfA i due angoli al centro uguali ; E e C, J5' e C i pùnti della circonferenza. I due triangoli BAC, BACf sono uguali per avere due lati e l'angolo compreso uguali (teor. II, 42), quindi nei due archi circolari (BC)e (B'C) determinati dai due angoli si può stabilire una corrispondenza mediante gli angoli uguali in cui si possono scomporre gli angoli BAC, B'AC', tale che ài punti B e C corrispondano i punti B e C", ad un punto X del primo un punto X* del secondo, che abbia distanze dai punti B e C* uguali a quelle di X da B e C, vale a dire una corrispondenza d'identità fra i due archi, e quin- di i due archi (BC) e (ffC) sono uguali (teor. Ili e coroll. II, teor. II, 15). Dati invece i due archi uguali (BC), (B'C), i segmenti (BC) e (BC) sono uguali (teor. II, 15), e perciò sono uguali anche i due triangoli ABC, A'B'C' (teor. Ili, 17), e quindi anche i due angoli BAC, BAC (coroll. teor. I, 42, def. I e II, 38). Ad una parte di angolo al centro corrisponde una parte di un arco della circonferenza, e inversamente (def. I, V e VI) ; il teorema è dunque dimostrato. Coroll. I. Le circonferenze di ugual raggio sono uguali. Difatti il teorema vale anche se i due angoli BAC, B'AC sono angoli al centro di due circonferenze di ugual raggio. Teor. IL La circonferenza è un sistema ad una dimensione identico nella posizione delle sue parti, e continuo. La prima parte deriva immediatamente dal teor. Ili del n. 47 e dal teor. I. Per la continuità, osserviamo che dato un arco (BC) qualunque, in esso vi è sempre un pianto della circonferenza, perché tale è la proprietà del fascio .generatore (def. I) ; ed ogni arco (XX) che diventa indefinitamente piccolo (oss. I, 13) determina un punto Y della circonferenza compreso fra X e X', perché tale proprietà ha anche il fascio di raggi generatore (def. I; teor. Ili, 47 e def. I, 96 o def. I, 101). Def. Vili. Il segmento determinato dagli estremi di un arco circolare si chiama corda (teor. II, 30 e def. I, 6). Gli archi determinati dai due estremi diconsi sottesi dalla corda determi- nata dai detti estremi. Coroll. Un diametro divide la circonferenza in due parti uguali (co- roll. II, teor. I, 47). Teor. III. Ad archi uguali o maggiori della circonferenza o di circonfe- renze uguali, corrispondono corde uguali o maggiori, e inversamente. Difatti siano (AB) e (A' ) le due corde di circonferenze uguali di centro R e #, e siano a e a gli archi corrispondenti e a^ a. 1) La lunghezza del Parco di circonferenza è la grandezza intensiva dell'arco (int.def. ii,aec,m). 22

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Si ha pure 'ARB lSl?, e siccome i due triangoli ARB, ARE hanno i lati (RÀ), (#B); (#Ar), (KB') uguali, si ha (AB)^(A'Bf) (teor. Vili, 55). Se si ha invece (AB) (A'Br) si ricava a a LVin). 58. Tteor. /. Za circonferenza è una linea semplice. Difatti ad ogni punto della retta all'infinito (conv. 49) corrisponde un punto della circonferenza sul raggio che esso determina, e inversamente; e quando una serie di punti sulla retta all'infinito ha un punto limite X^ la serie di raggi corrispondenti del fascio col centro nel centro della circonfe- renza ha un raggio limite RX, e su di esso si ha un punto X della circonfe- renza; ma poiché l'arco e la corda diminuiscono indefinitamente coli1 angolo (int. def. I, 95; teor. II e teor. Ili, 57), X è un punto limite della serie corri- spondente dei punti della circonferenza (def. II, 10). E come ogni raggio del fascio è raggio limite di una serie di raggi in uno e nell'altro verso a partire dal raggio dato, tale proprietà ha pure luo- go per la ragione suddetta anche pel punto della circonferenza situato sul rag- gio dato rispetto alle serie di punti di essa situati sui raggi della serie cor- rispondente del fascio. La circonferenza è dunque una linea semplice (def. I, 13). Oss. L Come gli angoli intorno ad un punto R del piano servono alla misura degli archi di una circonferenza qualsiasi avente per centro il punto R (teor, I, 57) così gli archi di circonferenza servono a misurare gli angoli intorno al punto .R, indi- pendentemente dalla grandezza del raggio della circonferenza di centro R (teor. I, 57). Quindi ai segmenti della retta ali* infinito, che ci hanno servito alla misura de- gli angoli (oss. IH, 39 e conv. 49;, possiamo sostituire gli archi di una circonferenza qualsiasi col centro nel vertice degli angoli. Def. L L'arco di una circonferenza corrispondente ad un'unità angolare (def. II, 40), chiamasi unità circolare. Oss. IL L'unità circolare corrisponde all'unità infinita della retta, come que- sta all'unità angolare (def. 11,40), in modo che a due segmenti uguali ali' infinito cor- rispondono due archi uguali della circonferenza, e inversamente. Ma la retta all'in- finito è finita rispetto all'unità infinita, come il fascio rispetto all'unità corrispon- dente (conv. 28), dunque anche la circonferenza è finita rispetto all'unità circolare corrispondente* Def. IL Per unità circolare fondamentale o per unità circolare, non avendo bisogno di considerarne altre, intenderemo quella rispetto alla quale la circon- ferenza è finita (oss. II). Teor. IL Gli estremi di un arco infinitamente piccolo rispetto all'unità circolare hanno una distanza infinitamente piccola. Difatti ad un arco circolare infinitamente piccolo rispetto all'unità cir- colare corrisponde un angolo infinitesimo rispetto all'unità angolare (oss. I e teor I, 57) e quindi un segmento rettilineo all'infinito infinitamente piccolo ri- LVIII) Le definizioni e i teoremi di questo numero vanno dati ugualmente colle stesse dimostrazioni, appoggiandosi alle proprietà del fascio dimostrate nelle note XL1V e XLVI.

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339 spetto all'unità delle distanze infinite (teor. Ili, 39). Ma essendo l'angolo ai centro corrispondente infinitamente piccolo rispetto ali' unità angolare, gli estremi del segmento circolare devono avere una distanza infinitamente pic- cola rispetto all'unità delle distanze del campo finito (coroll. I, teor. Vili, 39) LIX). 59. Teor I. Una retta incontra la circonferenza in due, in uno o in nessun punto, secondochè la sua distanza dal centro è minore, uguale o maggiore del raggio. Intanto si osserva che non può avere tre punti ABC in comune colla cir- conferenza, perché i triangoli ABR, ACR, BCR isosceli (def. Ili, 9) determinerebbero tre perpendicolari diverse condotte dal centro R alla retta data, perché diversi sono per ipotesi i punti di mezzo dei segmenti (AB), (BC) e (AC) (teor. Ili, 42), ciò che è assurdo (coroll. I, teor. V, 47). Se il segmento normale (RM) alla retta data è mi- nore del raggio, scelto un segmento obliquo (RA) mag- giore del raggio, fra (RA)e (RM) vi è un segmento uguale fle M al raggio (teor. VII, 54 e coroll. I, def. I e teor, VII, 13). Un altro segmento obliquo uguale esisterà dall'altra parte di RM (fig. 54). Se invece (RM) è uguale al raggio non vi è alcun segmento obliquo ad esso uguale (teor. II, 54). E finalmente se (RM) è maggiore del raggio a maggior ragione non vi è alcun segmento obliquo uguale al raggio. Dunque ecc. Coroll. I. Una retta9 che ha un punto interno al cerchio incontra la pe- riferia di esso in due punti. Difatti sia P il punto interno, R il centro della circonferenza i(RP) è mi- nore del raggio (def. Ili, 57). Se (RP) è il segmento normale di -R alla retta data, la retta incontra la circonferenza in due punti; se (RP) è un segmento obliquo, il segmento normale essendo minore di esso (teor. II, 54) vale la stessa proprietà. Def. I. Se la retta incontra la circonferenza in due punti essa si chiama secante. Quando la retta ha un solo punto comune colla circonferenza dicesi tan- gente ad essa, e il punto comune punto di contatto della tangente. Coroll. IL In ogni punto della circonferenza la retta perpendicolare al rag- gio è tangente in esso alla circonferenza. Ciò risulta evidentemente dalla dimostrazione del teor. stesso. Coroll. III. Ogni retta passante per un punto della circonferenza, e che non è tangente ad essa^ la incontra in un altro punto. Sia r una retta qualunque passante per un punto A della circonferenza LIX) Secondo la nota LVIII si può dimostrare il teor. I nello stesso modo, limi- tando Toss. I alla prima parte, dando la def. I e tralasciando l'oss. II, la def. II e il teor. II. Non volendo dare in un trattato elementare la def. della linea semplice (def. I, 13) perché non necessaria, il teor. I dovrebbe esprimere le proprietà di que- sta linea relativamente alla circonferenza, in base alle quali si può dimostrare sia per ia retta come per la circonferenza il teor. VII, 13.

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340 e che non sia né tangente in A né coincida col diametro passante per A, il quale incontra già la circonferenza nel punto opposto di A. Sia (RM) il segmento normale alla retta r, che non può coincidere con CRA), altrimenti la tangente in A e la retta r avendo una normale comune coinciderebbero, contro I1 ipotesi (teor. II, 26 e coroll. II, teor. V, 47). Ma nel triangolo rettangolo AMR in M si ha (RM) (RA) (coroll. teor. II, 54), dunque la retta r incontra la circonferenza in un altro punto a distanza da M uguale a quella di A da M (teor. I). Coroll. IV. Tutte le rette equidistanti da un punto del piano sono tangen- ti ad una circonferenza, i cui punti di contatto sono i piedi delle perpendico- lari condotte ad esse dal punto dato, che è il centro della circonferenza. Teor. II. Una tangente al cerchio giace nella sua parte estema. Infatti sia s la tangente, A il suo punto di contatto colla circonferenza di centro R e di raggio r. Sia X il punto d' intersezione di un raggio RB con la retta * (coroll. II, teor. Ili, 46), essendo B un punto della circonferenza. Si ha sempre (RB) (RX) (teor. II, 54 e def. IH, 57). Teor. III. La perpendicolare condotta dal centro ad una corda la divide per metà. Difatti se A e B sono gli estremi della corda, R il centro ; il triangolo ARB è isoscele, e la perpendicolare condotta da R alla retta, essendo unica (co- roll. I, teor. V. 47), passa pel punto di mezzo di essa (teor. IV, 42). Coroll. Un diametro divide la circonferenza e il cerchio in due parti simmetriche rispetto al diametro. Difatti ogni corda perpendicolare al diametro viene divisa da esso per metà (def. I, 56). Teor. IV. La perpendicolare condotta nel punto di mezzo della corda alla corda stessa passa pel centro. Sia (AB) la corda. Se il centro C non fosse situato sulla perpendicolare MX condotta pel punto di mezzo M di (AB) ad AB, esso sarebbe situato da una parte o dall'altra di essa, per es. dalla parte di A (def. II, 50). Indicato con T il punto d' incontro del segmento (BC) colla retta MX (coroll. II, teor. Ili, 46) i triangoli ACB, AYB sono isosceli, e quindi: vale a dire AC deve coincidere con A Y (teor. I, 30) e quindi anche C deve coin- cidere con Y (teor. II, 30). Oppure: siccome è (BY) = (AY) e (AC)~(.Z?C) si avrebbe nel triangolo AYC (AY) + (YC)E=(Aa), ciò che è impossibile (teor. IV, 17 o teor. I, 55). Teor. V. Tre punti non situati in linea retta determinano nel piano di essi una circonferenza, la quale è determinata da tre qualunque dei suoi punti. Se A,J?,C sono i tre punti dati, le perpendicolari nei punti medi di (AB) e (BC) si incontrano sempre in un punto M, nò possono essere parallele, perché tali dovrebbero essere anche le corde (AB) e (BC) (teor. II, 48), il che non è. I due triangoli AMB, BMC sono isosceli, e perciò M è equidistante dai tre punti dati, vale a dire è il centro di un cerchio che passa pei tre punti. Ma la perpendicolare condotta nel punto di mezzo della corda (AC) passa

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341 per lo stessocentroJlf (teor. IV), e dValtrq,'parte immaginando un altro cerchio passante per i tre punti dati, le perpendicolari innalzate nei punti di mezzo delle tre corde (AB), (BC), (AC) si devono incontrare anche nel centro del nuovo cerchio (teor. IV), che è quindi M. (teor. II, 30 e conv. 28). Evidentemente, scelti altri tre punti A'ffC della circonferenza, le perpen- dicolari nei punti di mezzo delle corde (A' ), (A'C) passano per M (teor. IV); dunque il teorema è dimostrato. Def. IL Un triangolo che ha i suoi vertici sulla circonferenza dicesi tn- scritto alla circonferenza. Dicesi invece circoscritto se i suoi lati sono tangenti alla circonferenza. Teor. VI. Una corda è interna al cerchio. Difatti se (AB) è la corda, R il centro; il triangolo ABR è isoscele, e poiché se M è il punto medio di (AB), (MR) è il segmento normale di R alla corda, mentre (RA) e (RB) sono segmenti obliqui, ogni altro segmento obli- quo compreso nell'angolo ARB, è minore di (RA) e di (RB) (teor. VII, 54), e quindi è interno al cerchio (def. Ili e IV, 57) (fig. 54). Teor. VII. Un segmento cogli estremi interni al cerchio o sulla circon- ferenza è interno al cerchio. Siano X e Y i due punti : congiungiamoli col centro R. I due raggi (RA), (RB) che essi determinano, e sui quali essi giacciono, sono situati nell'in- terno del cerchio (def. Ili, 57). Il triangolo ARB è interno al cerchio impe- rocché la parte interna del triangolo è data da uno dei suoi settori ango lari, ad es. ARB limitato dal lato opposto (AB) (teor. I e def. I, 51), che è in- terno anche al cerchio (def. IV, 57), ina il segmento (XY) è interno al trian- golo (coroll. HI, teor. I, 51), dunque esso è .anche interno al cerchio (int. 0, 13) (fig. 54). Teor. Vili. Tutti i segmenti che congiungono un punto interno O al cerchio coi punti di esso, contengono tutti i punti della parte intema al cerchio, Difatti essi sono interni al cerchio (teor. VII), e congiunto il punto O con un altro punto intèrno si ottiene una corda della circonferenza stessa, che contiene due dei segmenti suddetti (coroll. teor. I). Coroll. Un triangolo i cui vertici sono sulla circonferenza o interni al cerchio stesso è interno al medesimo. Sia A' (? il triangolo, la parte interna di esso è data dai raggi del set- iore angolare, ad es. C! limitato dal lato (A'C), i quali sono tutti interni -al cerchio (teor. VII e def. IV, 57). '...- . Teor. IX. Uh triangolo rettangolo è inscritto in una circonferenza che ha per diametro V ipotcnusa. ' Sia ABC il triangolo rettangolo in A. Dal punto di mezzo M di un ca- teto, ad es. (AB), conduciamo la parallela ali' altro cateto, la quale incontrerà 41 ipotcnusa nel suo punto di mezzo (eoroll. I, teor. IV, 44). Dunque le perpendi- colari condotte dai punti di mezzo dei cateti si incontrano nel punto di mezzo :deiripotenusa, ed il teorema è dimostrato. Teor. X. La bissettrice dell'angolo di due raggi di un cerchio passa pel punto d'incontro delle due tangenti al cerchio negli estremi di essi.

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342 Siano (CR), (CR) i due raggi, A, A* i punti d'intersezione della bissettrice del settore angolare CR colla circonferenza. Le due semicirconferenze de- terminate dai punti A, A' sono simmetriche rispetto al diametro AA' (corali. teor. III). La tangente in C ha per simmetrica la tangente in Cf. Ma due rette simmetriche rispetto ad una retta si incontrano in questa retta (teor. I, 56), dunque ecc. Teor. XI. La distanza di un punto dai punti della circonferenza ha per minimo la distanza del punto dall'estremo ad esso più vicino del diametro passante pel punto dato, e per massimo la distanza dal? altro estremo. Vi sono due punti della circonferenza pei quali la distanza dal punto dato ha un valore dato compreso fra il massimo e il minimo. Sia (AB) il diametro passante pel punto dato P9 A il punto più vicino e B il più lontano. La circonferenza è simmetrica rispetto alla retta AB (corali, teor. Ili), e quindi basta occuparsi delle distanze del punto P dai punti di una delle due semi- circonferenze. Non può essere che vi sia un altro punto AI tale che sigi (PA)^{PA^f perché il, triangolo PAAl flg. 55 sarebbe isoscele, e la retta condotta pel punto di mezzo della corda (AAJ passando in tal caso pel centro R, le due rette PAV e PR avreb- bero due punti in comune, il che è assurdo (teor. IV;teor. II, 30 e conv. 28). Per la stessa ragione non vi possono essere due punti A19 Az (supposto an- che che A2 coincida con B) tali che sia (P4J = (PA2). Dato dunque sulla semicirconferenza AA1B un punto qualunque A19 che può coincidere anche con A o con B, non vi è nessun altro punto JTpef il quale Sia. (PAl)^(PX). Che essendo y una distanza compresa fra (PA) e (PB) vi sia un punto X (e per la dimostrazione precedente uno solo) pel quale sia PX) = r (def. I, 5) risulta dal teor. I, 58 e dal teor. VII del n. 13. Teor. XII. La tangente in un punto A alla circonferenza è retta limite della secante AX, quando X è un punto della circonferenza ed ha per punto limite in essa il punto A; ed è retta limite della tangente nel punto X. . Se l'arco (AX) diminuisce in un dato verso diminuisce anche la corda corrispondente (teor. Ili, 57). Se Fé il punto d'intersezione del raggio RX passante per X colla tangente in A, siccome (RA) è normale alla tangente (corali. II, teor. I), è (RY) (RA), e quando l'arco (AX) diventa indefinita- mente piccolo tale diventa I1 angolo ARY, e quindi anche (AY), perché il fascio può essere generato da R e dalla tangente in A (corali..n, teor. II, 46). Dun- que quando Parco e la corda diminuiscono indefinitamente, decresce indefi- nitamente anche la differenza fra (RX)~(RA) e (RY) (ass. IV) vale a dire (XY) diventa indefinitamente piccolo. Sia inoltre M il punto di mezzo della corda (AX), il raggio RM è la bissettrice dell'angolo ARX (teor. IV, 42); dunque l'angolo ARM diminuisce a più forte ragione indefinitamente col decrescere indefinito dell'angolo ARX e quindi dell'arco (AX). Ma ARMè, come si vede facilmente, uguale all'angolo del raggio AX col raggio della tangente situato dalla stessa parte di AR (teor. VI, 47), dunque l'angolo della secante colla tangente diminuisce indefinita-

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343 mente quando tale proprietà ha pure I1 arco (AX); e perciò la prima parte del teorema è dimostrata (def. I, 12). Slmilmente si dimostra la stessa proprietà per la tangente in X9 osser- vando che il punto Z d'incontro di essa colla tangente in A è sulla hissettrice dell'angolo ARX, e quindi Zò interno al segmento (AY) (coroll. IV, teor. II, 50), e d'altra parte l'angolo YZX, che è l'angolo delle due tangenti, essendo uguale all'angolo ARX (teor. VI, 47), diventa con esso indefinitamente piccolo. 0*5. J. La proprietà del teor. XII ci dice appunto che la circonferenza è una linea intuitiva perché soddisfa alle particolarità di queste linee (oss. emp. 36). 055. IL Se A' è un punto della circonferenza infinitamente vicino ad A nel verso di (AB), vale a dire se la corda (AA1) è infinitamente piccola, essa è nulla rispetto ai- Punita finita (ini ', 91), e perciò essa, rispetto a questa unità, si confonde con la tangente stessa in A. Una tangente alla circonferenza si può dunque ritenere relativamente all'unità finita come una retta che unisce due punti infinitamente vicini della circon- ferenza. Se A, A' sono questi due punti nel verso determinato nell'arco infinitesimo (AA'), la retta AA si dice tangente in A, mentre nel verso opposto è tangente in A't Sotto questo aspetto la circonferenza può quindi ritenersi come un poligono di infiniti lati infinitesimi rispetto all'unità finita, e tale che i lati consecutivi formano fra loro un angolo pure infinitesimo. Non si può invece dire che una tangente unisce due punti indefinitamente vicini, perché la tangente in un punto dato A è una retta costante nelle nostre considerazioni, mentre che di due punti indefinitamente vicini uno almeno è variabile (int, def. I, 95) LXX). 16. Punti comuni di due circonferenze nel piano. Soluzione di problemi con la, retta, e il cerchio 60. Teor. I. Se due circonferenze hanno un punto comune ne hanno un altro .simmetrico al primo rispetto alla retta che congiunge i due centri (asse centrale). Le due circonferenze sono simmetriche rispetto all'asse centrale ##, es- sendo R e R i due centri (coroll. teor. Ili, 59) ; quindi se hanno un punto comune A, esse hanno pure in comune il punto A' simmetrico di A rispetto alla retta RK. Se A cade nell'asse centrale, AT cade in esso, e le due circonferenze hanno in tal caso la tangente in A comune, che è perpendicolare come si sa all'asse centrale (coroll. II, teor. I, 59). Def. L Quando le due circonferenze hanno due punti comuni coincidenti LXX) Le proprietà di questo numero, tranne l'oss. II che va tralasciata, vanno trattate nella stessa guisa, riferendosi pei teoremi sui quali si appoggiano le dimo- strazioni a quelli delle note relative. LXXI) A questo paragrafo bisogna-aggiungere: Identità dei fasci e dei piani, perché in queste note (vedi oss. Ili, nota XLVI) fa soltanto dimostrata l'identità dei fasci di un piano, ma non quella dei fasci in piani diversi. - '

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ma situati sul!' asse centrale, si dice che esse si toccano nel punto A, che è il loro punto di contatto. Se le due circonferenze nel caso suddetto sono dalla stessa parte della tangente comune si dice che esse si toccano internamente; esternamente se $ono. da parti opposte. Teor. II. Se due cerchi si toccano internamente, quello che ha il raggio maggiore contiene quello di raggio minore. Difatti siano A e B i due centri, C il punto di contatto. Sia inoltre ( ?) (AC). Essendo B situato sul raggio (AC), il minimo dei segmenti che hanno per estremi il punto B e un punto della circonferenza di centro A, è precisa- mente (#C), che è il raggio del secondo cerchio; e siccome tutte le corde del primo cerchio passanti per B determinano il cerchio (teor. Vili, 59), ne con- segue che il secondo cerchio di centro B e di raggio (B C) è interno al primo cerchio (def. IV, 57). Teor. III. Se d è la distanza dei centri di due circonferenze di raggi r 1 se si toccano esternamente si ha tfa 2 se si toccano internamente si ha d ss r* r\ 3 se si tagliano si ha r-fr' d r' r; 4 Se non hanno alcun punto comune è r' r^ d o d r -\-r. E inversamente, se la distanza dei centri soddisfa alle relazioni 1, 2, 3 e 4, i cerchi si toccano esternamente^ internamente, si tagliano in due punti, ovvero non hanno alcun punto comune. Siano C e C* i centri delle due circonferenze, che indicheremo con le lettere stesse dei centri. L'asse centrale CC taglia la circonferenza C nei due punti A e B. Rispetto alla posizione del punto C possono darsi tre casi diversi : 1 esso giace nella circonferenza C, per es. in A; 2 esso giace fuori del segmento (AB), per es. dalla stessa parte di A da C; 3 esso è interno al segmento (AB) dalla stessa parte di A da C. Nel primo caso potrebbe giacere invece in B, come negli altri due casi potrebbe essere dalla stessa parte di B da C; ma si vede chiaramente che questi casi si riducono ai primi tre. Nel 1 caso si ha d = r, e quindi in ogni caso d r + r'. Vi sono due corde passanti per C simmetriche rispetto alP asse centrale uguali al raggio /, pur- ché sia però r"^2r (teor. XI, 59), e quindi le due circonferenze hanno due punti comuni che coincidono in B se r' = 2r, ossia si toccano int ernamente ; e perciò se r 2r si ha d ^ r' r essendo in tal caso d = r. Nel 2 caso i segmenti di C dai punti X di una delle due semicircon- ferenze di C simmetriche rispetto all'asse centrale, crescono dal segmento (CÀ) al segmento (CB), in modo che per una di esse vi è uno ed un solo segmento ,(CX) uguale al raggio r', purché sia: (1) (CM)4^ ( ? ) (teor. XI, 59).

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345 Se (C^A) O' ( ?.#) le due circonferenze hanno due punti comuni sim- metrici rispetto all'asse centrale e non coincidenti. Se invece r=z(CA), oppure r' = (CM5), esse hanno due punti coincidenti comuni in A o in B. Nel primo di questi casi le due circonferenze sono situate da parte opposte rispetto alla tangente comune, vale a dire si toccano ester- namente; nel secondo caso si toccano internamente (def. I). Nel 3 caso, cioè quando C è interno al segmento (A C), se le due circon- ferenze si toccano, esse si toccano internamente, perché C è interno al cer- chio C. Nel 2 caso si ha: e nel 3 caso (C' A) è sempre minore di r, perché (f è compreso nel segmento (CA) e per ipotesi è r" r. Nel 2 caso si ha da (1) d r^r^d+r oppure r + r' ^.d^r' r e nel 3 caso r' d+r e quindi d è in questo caso sempre minore di r + r, essendo d minore di r. Se i due cerchi non si tagliano nel 1 caso si deve avere: e quindi essendo d=zr: -Nel 2 casp (C1 A) / oppure (CB) r', ossia d / + r o d r' r. Nel 3 caso deve essere (CB) rr che ci da d r' r. Per la proprietà reciproca osserviamo che se ha luogo una qualunque delle quattro relazioni 1, 2, 3, 4, essa esclude le altre tre, e quindi se ha luogo una di esse i due cerchi devono essere nella posizione cui corrisponde la relazione data. Oss. I. Questa dimostrazione si appoggia sul teor, XI del n. 59, sulla proprietà che la circonferenza è una linea semplice (teor. I, 58) e sulle proprietà del triangolo isoscele. Essa è dunque indipendente da quella che un lato del triangolo deve essere maggiore della somma degli altri due, e perciò il teor. Ili stesso serve a dare un' al- tra dimostrazione di questa proprietà fondamentale della geometria. Teor. IV. Da un punto esterno al cerchio si possono condurre ad esso due tangenti. Sia infatti C il punto dato, C il centro del cerchio, ed r il suo raggio. Se t è una tangente passante pel punto C' e r è il suo punto di contatto, essa è perpendicolare al raggio CT (coroll. II, teor, 1, 59). E se esiste una tangente t ne esiste un'altra simmetrica rispetto alla retta C C (coroll. teor. Ili, 58); II trian- golo C TC è dunque rettangolo in T, e quindi è inscritto in una circonferenza di

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346 diametro CC' (teor. IX, 59). Indicando con M il punto di mezzo di (CC*), si hn (MC)==r'. Siccome r è anche la distanza d dei due centri, si ha r -f- r' / r' r o r -J- r' r r r' quindi la circonferenza di raggio r' e di centro M incontra la circonferenza data nei due punti di contatto delle due tangenti (teor. III). Oss. IL È chiaro invece per lo stesso teor. Ili che le due circonferenze suddette non si incontrano, se O è situato nell'interno del cerchio C. LXXII). Oss. IH. Nelle applicazioni pratiche della geometria non si possono scegliere naturalmente le distanze all'infinito per la misura degli angoli o degli archi di cir- conferenza, ma bensì si prendono in generale questi per la misura degli angoli, e quindi anche per le distanze ali'infinito, se si supponesse l'esistenza effettiva del- l'infinito secondo le nostre ipotesi nel mondo esterno (oss. emp. I). E ciò perché, am- messo 1*assioma pratico II, per la costruzione della circonferenza si ha un istrumento semplicissimo, cioè il compasso. Ma quello che non è possibile fare nella pratica, è però possibile astrattamente, ed è perciò permesso, anzi utile, come abbiamo visto e LXXII) I teor. di questo numero si dimostrano nello stesso modo.* Si da poi il teor. Fasci in piani diversi sono uguali. Siano R e R i centri dei due fasci, r e rr due raggi di essi. Si considerino in r e rr due segmenti uguali (RB) (Eff). Da una o dall'altra parte di RB e Rff nei piani dei due fasci vi sono i triangoli RAS, RAB i cui lati (RA), (R'A*) (AB) e (A'B*) sono uguali, perché i cerchi di raggi (RA) e (BA\ (HA) e (B'A') e di centri R e #, IC e J? nei due semipiani considerati, si incontrano in due punti A e A'. Ma i due triangoli ARB, A'R' sono uguali per avere i tre lati uguali (teor. Ili, 17 e nota XII), dunque ARB == A'Rff ; e siccome i due fasci sono determinati rispettiva- mente da R e AB, da Rr e AB\ (teor. Ili, 46 e nota XLV), essi sono dunque uguali (teor. Ili, coroll. II, teor II, 15 e nota XII). Coroll. Tutti i piani sono identici. Difatti lo sono due fasci qualunque di essi (teor. Ili, 15 e nota XII). I trattati elementari che non danno un postulato speciale (e parliamo dei migliori che noi conosciamo), ammettono senz'altro che una linea chiusa avente un punto in- terno e un punto esterno alla circonferenza o ad un'altra linea chiusa, di cui non si da in nessun luogo la definizione, debba necessariamente incontrare questa linea. Evidentemente questa è una nuova proprietà che non deriva immediatamente dalla def. di parte interna e di parte esterna. Siano infatti PI e P% il punto interno ed ester- no ; se la prima linea è nna retta e la linea chiusa è una circonferenza, o bisogna di- mostrare che tutte le rette che uniscono PI coi punti della circonferenza nel piano sono tutte le rette del piano che passano per P19 e quindi allora anche la retta P\P t incontra la circonferenza in un punto ; oppure bisogna dimostrare che la distanza del centro C dai punti della retta PiP2* essendo (CPJ rt ( 7P2) r vi è sempre almeno un punto X di PjP2 tale che (CX) =: r (teor. I, 58). Si dice che una linea divide una superficie quando un punto mobile sulla super- ficie non può passare da un lato all'altro della linea senza prendere la posizione di uno dei suoi punti. A parte che questa definizione è astrattamente indeterminata, perché non si è data prima la definizione della superficie e della linea; se un siste- ma di punti determina nel piano due parti di esso, runa interna l'altra esterna, ciò non significa che abbia luogo la proprietà che un punto mobile per passare da una all'altra debba prendere la posizione di un punto del sistema, o in altre parole che se una linea ha un punto interno ed uno esterno al sistema dato, essa debba avere un -punto almeno in comune con questo sistema. E se le due parti suddette di piano con- tengono tutti i punti del piano occorre una dimostrazione.

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tedremo meglio nei libri successivi, di scambiare I4 un metodo di misura con l'altro. Siccome nella pratica importa inoltre di risolvere i problemi della geometria cogli istramenti di cui possiamo disporre, dei quali i più semplici sono la riga e il compasso, cosi è necessario a questo scopo di imparare anche a risolverli con gli elementi del campo finito. Ma non è detto per questo che ciò sia necessario anche per le dimostrazioni delle proprietà sulle quali si basa la soluzione di questi problemi. I teoremi testé dimostrati servono appunto alla risoluzione grafica di molti pro- blemi. Per es. a dividere per metà un segmento dato, a condurre la perpendicolare ad una retta da un suo punto o da un punto fuori di essa, e quindi per costruire la pa- rallela ad una retta data; a costruire nel piano, dato un raggio, un altro raggio che formi col primo un angolo dato ; a costruire un triangolo dati i lati ; la bissettrice di un angolo, e va dicendo LXXIII). 17. Versi degli angoli, dei triàngoli e dei fasci del piano. Versi del piano. 61. Oss. I. I versi del fascio (Rr) e dei suoi settori angolari o angoli (def. I, II, 38) sono determinati dai versi della retta direttrice, e inversamente (def. I, 30). D'altra parte ogni fascio può essere generato dal suo centro e dalla retta all'infinito del piano (conv. 49). Teor. I. Due angoli opposti al vertice (ab), (a'b1) hanno il medesimo verso, mentre due angoli adiacenti sono di verso opposto. I due angoli determinano sulla retta all'infinito due segmenti opposti (AoJSJ, (A'^ J che sono diretti nel medesimo verso (couv. 49), mentre sono di verso opposto i due segmenti (A^B ), (A'^B ) (teor. HI, 29). Teor. IL Se due angoli (ab), (a'b') hanno un lato comune a e gli altri due lati sono situati dalla stessa parte o da parti opposte del lato comune, i due angoli sono dello stesso verso o di verso opposto. Infatti es i appartengono al medesimo fascio, perché hanno il vertice co- mune, e nel primo caso determinano lo stesso verso e nel secondo versi op- posti del fascio (int. f", 63). Oss. II. Dato un triangolo ABC, il suo perimetro è un sistema di punti ad una dimensione semplicemente chiuso, ed ha i due versi ABC e ACB (int. def. I, 62 e def. II, 63) Si sa che JÌCA, CAB determinano lo stesso verso di ABC, mentre CBÀ9 BAC determinano il verso opposto (int. d, dr 64). LXXIII) A questo scopo nei trattati di geometria elementare si tratta della circon- ferenza e dei punti d'intersezione di due circonferenze abbastanza presto, Euclide, ad es. fa uso del cerchio fin dalla prima proposizione (vedi pref.), ma l'uso pratico della circonferenza deve essere accompagnato dal rigore geometrico delle dimostra- zioni delle sue proprietà. Però anche seguendo il nostro indirizzo svolto in queste note, la trattazione del cerchio non viene di molto ritardata, e si possono poi trat- iare, come è indicato nell'oss. II, i problemi relativi alle proprietà già dimostrate, come fa anche Legendre dopo il secondo libro dei suoi Elementi. D'altra parte è da osservare che se ciò avesse da avere un gran peso nella geo- metria elementare, e non l'ha certamente nelle scuole classiche ove l'indirizzo del- l'insegnamento deve essere più razionale che pratico, bisognerebbe pure insegnare a costruire le figure dello spazio.

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348 Col verso del perimetro restano determinati anche i versi degli angoli del triangolo. Se il perimetro è percorso nei verso ABC gli angoli in A, B e C sono percorsi nel verso determinato da quello dei lati opposti, cioè : BAC, CBA, 'ACB (fig. 56). (1) Def. I. Siccome gli angoli in A, B e C percorsi nel ^__ v verso (1) determinano il medesimo verso del perimetro, possiamo dire che sono dello stesso verso, perché i fig M versi degli angoli suddetti possono sostituirsi uno al- l'altro nella determinazione del verso del perimetro, e rispetto a questa determinazione i versi di essi sono uguali (int. def. VI, 8; def. I e IV, 9) *). Se invece due angoli del triangolo determinano versi opposti del peri- metro, diremo che sono di verso opposto. Teor. III. In off ni triangolo ABC gli angoli ABC, BCA, CAB sono diretti nello stesso verso, mentre CBA, ACB, BAC sono dello stesso verso fra loro e di verso opposto rispetto ai primi tre. Difatti gli angoli CBA, BAC, ACB determinano il verso del contorno del triangolo ABC opposto a quello determinato dai primi tre (oss. II e def.t I). Def. IL I due versi in cui sono percorsi gli angoli del triangolo o il pe- rimetro si chiamano versi del triangolo. Teor. IV. Il verso ABC del triangolo determinato dai suoi angoli ABC, BCA, (SU? è opposto al verso ABC del perimetro. Difatti gli angoli suddetti determinano il verso A CB del perimetro (oss. II, def. I e II). Teor. V. I simboli ABC, BCAy CAB determinano lo stesso verso tanto per gli angoli come per il perimetro del triangolo di vertici A, B9 C; mentre ACB, CBA, BAC determinano il verso opposto. Difatti gli angoli 'ABC, BCA, CAB sono dello stesso verso, mentre sono di verso opposto gli angoli ACB, CBA, *BAG (teor. Ili e IV). Teor. VI. I versi di due fasci del piano sono uguali o sono opposti. Difatti gli angoli BA , ACB determinano ciascuno uno dei versi dei fasci di centro A e C, e questi versi sono uguali, perché uguali sono i versi degli an- goli che li determinano nello stesso modo (int. f", 63 e a", 60). I versi opposti dei due fasci sono pure uguali perché tali sono i versi degli angoli CAB9 BCA. Ma A e C sono due punti qualunque del piano, dunque ecc. Caroli. In fasci dello stesso verso o di verso opposto, gli angoli sono dello, stesso verso o di verso opposto. E inversamente. Angoli di verso uguale o di verso opposto determinano lo stesso verso o versi opposti nei fasci a cui appartengono. Difatti il verso di un fascio determina in modo unico il verso di ogni suo "settore angolare (int f'9 63). La proprietà inversa dipende dallo stesso fatto che un verso di un set- 1) Non vi o dunque alcuna contraddizione colla nota del n. 9 dell'introduzione.

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349 toro angolare determina in modo unico il verso del fascio a cui appartiene (def. I, 38 e int. f, 63). Teor. VII. I versi di due fasci, uguali (od opposti) al verso di un terzo fascio, sono uguali. Ciò deriva dal teor. e, 8 dell1 introduzione. Oppure anche: Siano a, ft 7- i tre fasci, e indichiamo con a e a', b e ', e e e' i loro versi. Se è a = e, b r= e si ha a = b. Difatti A, B, C siano i centri dei tre fasci, i versi dei tre fasci determinano i versi degli angoli del triangolo ABC(corolL teor. VI). Ma se gli angoli in A e B sono di verso uguale a quello dell'angolo in C, e se questo è ad es. ACB, i versi degli angoli in A e B sono BAC, CBAy che sono uguali fra loro (teore- ma III). Da ciò risulta pure : se a' = e', b' = e si ha a' = b'. I versi dei due primi fasci opposti a quello di centro C sono a' e ', e solamente a* e ', i quali sono uguali; dunque il teorema è dimostrato. Coroll. I versi di due fasci, l'uno uguale e l'altro opposto al verso di un terzo fascio^ sono opposti. Secondo le indicazioni precedenti a e b' (opp. a' e ) sono I1 uno uguale e l'altro opposto al verso e del terzo fascio, e sono opposti. Teor. Vili. Se dite angoli ABC, ABC di due triangoli ABC, A' C sono dello stesso verso o dì verso opposto, i due triangoli sono dello stesso verso o di verso opposto. Difatti il verso dell'angolo ABC e il verso dell'angolo AB'C determinano nello stesso modo i versi ABC, ABC? (def. I), e poiché i versi dei due angoli sono uguali, sono uguali anche i versi dei due triangoli (int. def. I, 9). Def. III. Se si considerano due fasci di centri R e R' e dello stesso verso o di verso opposto, diremo anche che il piano è dello stesso verso o di verso opposto intorno ai due punti R e #, oppure anche che il verso del piano intomo al punto R è uguale od opposto al verso del piano intomo al punto R. I versi del piano intorno ai suoi punti essendo uguali od opposti li pos- siamo chiamare versi del piano. Teor. IX. I versi del piano sono determinati da quelli di uno dei suoi angoli. Difatti i versi del piano sono determinati da quelli dei suoi fasci (def. IH), e siccome questi sono determinati da quelli di un solo fascio (teor. VI e VII) e quelli di un solo fascio da quelli di uno dei suoi angoli (coroll. teor. VI), il teor. è dimostrato. Caroli. Un verso del piano determina uguali versi dei suoi angoli. Difatti se il verso dato determinasse versi opposti in due dei suoi angoli, a questi dovrebbero corrispondere versi opposti del piano, e non il medesimo verso (def. III). Teor. X. Due triangoli ABC, A'BC con un lato comune BC sono dello stesso verso o di verso opposto, secondochè i vertici A e A sono situati dalla stessa parte o da parti opposte del lato BC. Difatti se A e A' sono situati dalla stessa parte rispetto a BC (def. II, 50),

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350 gli angoli ABC, ABC sono diretti nello stesso verso, e perciò lo sono anche i due triangoli. Avviene il contrario se A e A' sono situati da parti opposte rispetto al lato (BC) (teor. II e teor. Vili). Coroll. I. Se i lati di due angoli BAC, BAC si incontrano in due punti B e C di una medesima retta, sono dello stesso verso o di verso opposto, secon- dochè i loro vertici sono situati dalla stessa parte o da parti opposte rispetto alla retta BC. Coroll. IL Un verso della retta determina lo stesso verso nei fasci coi cen- tri situati da una stessa parte di essa, e versi opposti in quelli coi centri si- tuati da parti opposte (coroll. I e coroll. teor. VI). Coroll. Ili Lue angoli (ab), (a'V), i cui lati sono paralleli dello stesso verso o di verso opposto, sono dello stesso verso. Se invece due dei lati sono paralleli dello stesso verso e gli altri due di verso opposto, i due angoli sono di verso opposto. Difatti nel primo caso o hanno lo stesso segmento comune all'infinito od hanno sulla retta all'infinito (conv. 49) segmenti opposti che sono diretti nello stesso verso (teor. Ili, 29). Nel secondo caso i due segmenti ali' infinito dei due angoli sono di verso opposto, essendo adiacenti (def. Ili, 29). Coroll. IV. Due triangoli ABC, AI?C con un vertice comune A e con due lati (BC) e (B'C) sopra una medesima retta e dello stesso verso o di verso op- posto, sono dello stesso verso o di verso opposto. Un verso della retta BC determina il verso del fascio A. BC (coroll. II e teor, Vili) (fig. 57). Coroll. V. Se due lati di due angoli col vertice co- mune incontrano una retta in due segmenti (BC) e ( ) diretti nello stesso verso o in verso opposto, essi sono dello stesso verso o di verso opposto. $0,) Teor. XI. Se due triangoli ABC, A'B'C hanno i lati (BC), (B'C) sopra una medesima retta r dello stesso fig. 57 verso o di verso opposto, i due angoli BAC, 2?A'C* (e perciò anche i due triangoli), sono delle stesso verso nel i caso e di verso op- posto nel 2 , se i loro vertici A e A' sono situati dalla medesima parte della retta. Viceversa, se A e A sono situati da parti opposte di r. Nel primo caso gli angoli ifAC', IfAC' sono dello stesso verso (coroll. I, teor. X). Ma lo sono anche BAC e BA (coroll. IV, teor. X), quindi anche BAC e BAU (teor. VII e coroll. teor. VI) e i triangoli ABC, A'B'C* (teor. Vili). Analogamente si vede che sono di verso opposto se (BC) e (HO) sono di verso opposto. Se A e A' sono situati invece da parti opposte rispetto alla retta r (def. II, 50), gli angoli BAC?, ItAC? sono di verso opposto (coroll. I, teor. X), e perciò anche gli angoli BAC e B^ACf (coroll. IV, teor. X, teor. VII e coroll. teor. VI), e i triangoli ABC, A B'C (teor. VII)) LXXIV). LXXIV) Si può seguire lo stesso metodo anche non facendo uso della retta all'in- fluito. Che due angoli opposti al vertice (ab), (ar f) sono dello stesso verso risulta

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351 18. Figure congruenti e simmetriche nel piano 62. Teor. 1. La corrispondenza d'identità di due figure uguali nel piano è determinata da due angoli corrispondenti. Se ABCD....M, A'ffCr....M'.... sono due figure identiche, esse si corrispon- dono in modo che i segmenti delle coppie di punti corrispondenti, ad es. (AB), (A' ), sono uguali (teor. II, 15). Siano (ab), (a'V) i due angoli corrispondenti di vertici C e C*, e perciò uguali. Scegliendo sui lati a e b del piano due punti A e .#, e i punti A' e B' sui lati del secondo a distanze da C1 uguali a quelle di A e B da C, i due triangoli ABC, A' C' sono uguali (teor. Ili, 16). Sia D un punto della prima figura, e congiungiamolo col punto C, la retta CD incontra la retta AB in un punto E, e supponiamo che E sia ad es. interno di (AB). Nel segmento (A'Br) corrispondente vi è un solo punto E' interno ad (A'B1) tale che (AE) ~(A'Er). Se sulla retta VE' si considera un punto D' che abbia da C' ed E' le stesse distanze di D da C ed E (teor. 1,8), che è uno solo (ass. II, a, int. def. I, .iQ 61), il punto Df corrisponde al punto D. Costruendo fo un'altra coppia di punti corrispondenti M e M', i due triangoli DCM, JJCfM' sono uguali per avere due lati, l'angolo compreso in C uguali, e perciò ^xv e le figure rettilinee così costruite sono identiche teor. Ili, 15). E poiché la costruzione dei punti corrispondenti flgt 58 è a senso unico e reciproca la figura A'B'...M'.... cosi costruita coincide colla seconda figura data (fig. 58). ^Coroll. I. J^a corrispondenza d* identità di due figure uguali nel piano è determinata da due triangoli corrispondenti di esse. Siano infatti ABC, A'BCf i due triangoli, gli angoli ABC, A'tfC', sono corrispondenti ed uguali, e perciò la corrispondenza d'identità delle due fi- gure è pienamente determinata (fig. 58). dal fatto che b è compreso in una delle parti del piano rispetto alla retta aa' e quindi (ab) (ba\ (a'V), (Va) sono diretti nello stesso verso. Per dimostrare il coroll. Ili del teor. X basta darlo come coroll. del teor. XI. Si taglino i due angoli di vertici R e R' con una retta parallela alla retta dei due ver- tici; essendo (AB), (A^), i segmenti d'intersezione dati dai lati paralleli dello stesso verso si ha e (AB) e (AìBj sono dello stesso verso e quindi anche (AAJ, (BBJ (teor. II, 35). Se al e ! sono di verso opposto di a e , basta considerare l'angolo opposto al vertice che è dello stesso verso, e applicare la dimostrazione precedente (teor. VII, e coroll. teor. VI). Se a\ è dello stesso verso di a, e 6j di verso opposto di , basta coinsiderare l'angolo adiacente ( i 'i) che è dello stesso verso dell'angolo (ab) e di verso opposto dell'angolo (ai i), e quindi (ab) e (a^) sono di verso opposto (teor. VII). LXXV) Questo paragrafo va dato tale e quale tranne il teor. II.

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352 Coróll. II. Due figure identiche non possono avere tre coppie di punti corrispondenti comuni non situati in linea retta. Se avessero infatti tre coppie di punti corrispondenti coincidenti ad es.: -A, A'; B, Br: C, Cf, per la costruzione precedente coinciderebbero tutti gli al- tri punti corrispondenti delle due figure. Teor. H. Nella corrispondenza tra i punti del piano determinata da due delle sue figure uguali, la retta all'infinito corrisponde a sé medesima. Difatti ad una distanza infinita della prima figura corrisponde una di- stanza infinita della seconda (teor. I, 34 e conv. 49). Teor. III. Le figure rettilinee determinate da due gruppi di quattropwnti ABCD, A'B'CL? nel piano sono uguali, se i segmenti rettilinei che hanno per estremi i quattro punti dati sono ordinatamente uguali. Di questo teor. che è un caso particolare del teor. VII del n. 17 diamo qui un'altra dimostrazione *). Siano dati due punti X e T della prima figura; le rette AX e AT in- contrano la retta BC in due punti Z e W. Costruiti i punti corrispondenti Z1 e W nella retta B'C, i raggi A'Z'j A'W contengono i punti corrispondenti X' e Y le cui distanze da A' e Z'9 A' e W sono quelle dei punti X e Y rispettivamente dai punti A e Z, A e W. I triangoli ABC, A'B'C sono per dato uguali per avere i tre lati uguali (teor. Ili, 17), e quindi: flg 59 I triangoli ABZ, A'tfZ' sono uguali per avere due lati e l'angolo com- preso uguale (teor. II, 42), quindi (AZ) = (A'Z'}. Per la stessa ragione si ha (AW)=(A'Wr). E siccome (ZW) = (Z'W) i triangoli ZAW, Z'AW sono uguali per avere i tre lati uguali (teor. Ili, 17) e perciò: ZAW^Z^A^W'. Dunque i due triangoli XAY, X'AYr sono uguali per avere due lati e l' angolo compreso uguali, vale a dire (XY) = (X'Yf). Dunque ecc. (teor. Ili, 15). Teor. IV. Le figure rettilinee piane determinate da due gruppi di m punti sono uguali, se i segmenti rettilinei di m-3 di essi dai tre rimanenti sono or- dinatamente uguali. I due triangoli formati dai tre punti rimanenti siano ABC, A'BC?y che per avere i tre lati uguali sono uguali (teor. II, 17). Ad un punto X qualun- que nella corrispondenza d'identità determinata dai due triangoli suddetti (coroll. I. teor. I) corrisponde un punto X'. Sia invece X\ il punto corrispon- dente ad X nella seconda figura data, che ha per dato le stesse distanze da A' C' di X da ABC. Le due figure A'tfCX' A'B'CX', sono identiche (teor. Ili) dunque devono coincidere avendo tre coppie di punti corrispondenti coinci- denti (coroll. II, teor. I), vale a dire X' coincide con X\. Ripetendo lo stesso ragionamento per gli altri rc-4 punti, il teorema resta dimostrato. Oss. L Come pei segmenti uguali sulla retta (int. oss. I, 112) è anche qui da osservare che l'identità di due figure nel medesimo piano o in piani diversi è indi- l) Vedi nota 2, 17.

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353 pendente dai versi del piano o dei piani in cai sono situate, senza che ciò significhi che nella corrispondenza d'identità delle due figure non si tenga conto dell'ordine nel quale si seguono i loro punti corrispondenti. Teor. V. Gli angoli corrispondenti di due figure identiche in un medesimo piano sono diretti nel medesimo verso o in verso opposto, se lo sono due qua- lunque di essi. Siano ACBj AC'I? i due angoli corrispondenti, e supponiamo siano di- retti nel medesimo verso. Siano dati inoltre altri due angoli corrispondenti F^DF, F\IfF'; si vuoi dimostrare che anche questi angoli sono diretti nel medesimo verso. Congiungiamo C con D, e C con D'. L'angolo ACD è diretto nello stesso verso o in verso opposto dell'angolo ACB. La stessa cosa succede dell'angolo A C fi rispetto ali' angolo A'C'B', perché le due figure sono uguali ed uguali perciò debbono essere i loro angoli corrispondenti, vale a dire se il raggio CD è interno o esterno all'angolo AC#, anche il raggio corrispondente CfD' è interno od esterno all'angolo ACÌf. Si ha dunque che ACD, A^C^D' sono in ogni caso diretti nel medesimo verso, perché lo sono ACB, A'CfBr (coroll. teor. VI e teor. VII, 61). Oongiungiamo D con A, I)' con A'. I triangoli ACD, A'07)', sono dello stesso verso, perché lo sono ACD, A'CD' (teor. Vili, 61) e quindi anche gli angoli ADC; A C' (teor. Ili, 61). Gli angoli FDA9 F'D'A' sono ambidue dello stesso verso o di verso op- posto di CDA, C7)'A', quindi essendo questi del medesimo verso lo saranno anche FDAfF^IfA'. Finalmente gli angoli FDF, FrI?F\ sono ambidue dello stesso verso o di verso opposto degli angoli FDA, F'DT A ; ma questi sono dello stesso verso, dunque lo sono anche FDF , F'D'F\. Essendo dimostrata la prima parte del teor. rimane dimostrata anche la seconda. Def. I. Diremo che due figure identiche che hanno due angoli diretti nel medesimo verso o in verso opposto e quindi anche tutti gli altri, (teor. V) sono dello stesso verso o di verso opposto. Nel primo caso le due figure si chiamano anche congruenti e nel secondo simmetriche. Oss. IL Badiamo però che il verso di una figura, che non è un triangolo, non da in generale un verso del piano (def. Ili, 61), perché essa può contenere degli an- goli diretti in verso opposto. Coroll. I. Due figure congruenti o simmetriche ad una terza sono con- gruenti fra loro (def. I, teor. V; teor. VII e coroll. teor. VI, 61). Coroll. II. Due figure Vuna congruente e l'altra simmetrica ad una terza figura sono simmetriche fra loro. Teor. VL Due figure congruenti aventi due coppie di punti corrispondenti comuni coincidono. Indichiamo i due punti comuni delle due figure con A e B, oppure con A' e Br, secondochè si considerano come appartenenti alla prima o alla se- conda figura. Sia C un altro punto della prima; il punto corrispondente C' è tale che il triangolo A'tfC' è congruente al triangolo corrispondente ABC (teor. V). Il punto C* non può essere dalla parte del piano rispetto alla retta AB ove trovasi C (teor. IX, 55); neppure può essere situato dalla parte op- 23

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354 posta perché B' dovrebbe coincidere col punto simmetrico di C rispetto alla retta AB, e il triangolo A'B'C sarebbe di verso opposto al triangolo ABC, dunque ecc. Corali. Se due figure simmetriche hanno una coppia di punti corrispon- denti in comune, esse sono simmetriche rispetto alla retta congiungente i due punti. 19- Sistemi continui ad una dimensione di figure invariabili nel piano. 63. Def. I. Dai sistemi continui di segmenti invariabili sulla retta all'infi- nito (conv. 49 e def. IV, 36) si ottengono intorno ad ogni punto R del piano dei sistemi continui di angoli invariabili di centro R (teor. I, II e coroll., 39 e def. Ili, 36). Chiameremo un tale sistema, sistema circolare di settori ango- lari o di angoli, di cui # è il centro, e i settori angolari o gli angoli, rettori angolari o angoli al centro. Teor. I. Il centro del sistema corrisponde a sé stesso. Di fatti scelti due angoli corrispondenti (ab), (a'V), il vertice di (ab), che è R, corrisponde al vertice di (a'b1), che è pure R (def. II, III, 36 e teor. I, 16). Teor. IL Gli angoli al centro di un sistema circolare sono congruenti. Difatti tali sono i segmenti sulla retta all'infinito del sistema in essa de- terminato dal sistema circolare (def. I, teor. I, 36), ricordando che un verso della retta all'infinito da il verso degli angoli al centro del sistema (oss. I, 61). Coroll. I. Due angoli simmetrici di vertice comune non possono apparte- nere ad un sistema circolare (coroll. teor. I, 36), Coroll. II. I lati corrispondenti di due angoli al centro del sistema circo- lare formano lo stesso angolo. Ciò deriva dalla proprietà analoga dei segmenti all'infinito (teor. Ili, 36 e teor. I, 39). Teor. III. Due angoli al centro di un sistema circolare non possono avere una coppia di punti corrispondenti comuni, distinti dal vertice. Se avessero una coppia di punti corrispondenti comuni, distinti dal ver- tice R, avrebbero in comune anche i raggi RA, RA', perché R corrisponde a sé stesso, dunque i segmenti all'infinito dei due angoli che sono congruenti avrebbero una coppia di punti corrispondenti comuni, il che è assurdo (def. I e teor. I, 35). Teor. IV. Data una figura qualunque si può costruire un sistema conti- nuo di figure invariabili colla data le cui linee corrispondenti siano circonfe- renze col centro in ogni punto dato R. Scelto per es. un triangolo ABC, si congiungano i suoi vertici con R, e sia RC compreso nell'angolo ARE. Sia dato inoltre il sistema circolare di an- goli uguali ad ARE. Se in un angolo qualunque A1RBÌ del sistema si costrui- sce il raggio corrispondente ad RC, i tre punti corrispondenti A}9 Blf Cl di A, #,

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355 C hanno rispettivamente le stesse distanze da R, e danno un triangolo identico ad ABC, essendo (AB) = (À1B1)9 (AC) = (A1CÌ), (BC) = (B1C1) (teor. Ili, 17). Così se è data un'altra figura, a due punti dell'una corrispondono colla costruzione suddetta due punti colla stessa distanza, e perciò le figure corri- spondenti sono identiche (teor. IH, teor. I e coroll. II, teor. II, 15), e d'altra parte i punti corrispondenti nella corrispondenza d'identità delle due figure sono tali anche nel sistema continuo così costruito (def. Ili, 36). Def. IL Un sistema di figure identiche che soddisfa al teor. IV lo chia- meremo sistema circolare di figure invariabili, del quale è caso particolare il sistema circolare di angoli già definito (def. I). Coroll. Il centro R di un sistema circolare qualunque corrisponde a sé stesso. Difatti la linea dei suoi punti corrispondenti nel sistema si riduce al pun- to R stesso. Teor. V. Le figure di un sistema circolare sono congruenti. Se (AB), (A^) sono due segmenti corrispondenti di due figure del siste- ma, i due angoli ARB, A^B^ sono congruenti (teor. II), e perciò lo sono an- che i due triangoli ARB, A1RB19 (teor. Vili, 61 e def. I, 62). Indichiamo con a e b, al e 6, i raggi del fascio R passanti per A e B Al e Brf e siano BC, B^ due altre rette corrispondenti delle due figure, essendo i due punti C e Cl situati sulle rette a e alt I due triangoli ABC, A^B^ sono congruenti perché lo sono gli angoli RAB, RA^Bl ossia CAB, VM?i (teor. Vili, 61); dunque sono dello stesso verso anche gli angoli ABC, À^B^Cl (teor. Ili, 62). Ma ABC, A^Cl sono due angoli corrispondenti delle due figure del sistema, dun- que esse sono congruenti (def. I e teor. V, 62) (fig. 60). Oss. I. Due segmenti simmetrici rispetto ad un punto sulla retta non possono appartenere ad alcun sistema continuo di segmenti sulla retta (coroli. teor. I, 36), ma possono appartenere ad un sistema circolare del piano. 64. Def. I. Considerando un sistema continuo di segmenti invariabili sulla perpendicolare alla direzione di un fascio di rette parallele si ha un sistema di striscie invariabili (def. X, 38, def. fi e teor. IV, 48). Chiameremo un tale si- stema, sistema parallelo di strùcie, e la direzione delle rette del fascio dire- zione del sistema. Teor. I. Le striscie di un sistema parallelo sono congruenti e simmetriche. Perché riguardando i lati di esse come raggi di un fascio di rette pa- rallele di centro X^ esse sono dello stesso verso o congruenti perché tali sono anche i segmenti sulla retta perpendicolare direttrice del sistema (def. I e coroll. II, teor. X, 61). Se invece i lati di una striscia sono considerati nel verso di X* e quelli dell'altra nel verso del punto XtM che coincide con X^ rispetto ali'unità Eucli- dea, esse sono di verso opposto. Coroll. I. Due striscie del sistema parallelo non possono avere una coppia di punti corrispondenti in comune. Perché se ciò fosse, avrebbero in comune un raggio del fascio di centro

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356 X^, e quindi anche i segmenti corrispondenti sulla retta perpendicolare avreb- bero due punti corrispondenti comuni (def. I), il che è assurdo (teor. I, 36 e teor. II, 35). Oss. I. Tutta la striscia piana (ab) non determina alcun verso del piano appunto perché il punto X rispetto ali' unità Euclidea si può considerare tanto da una par- te come dalT altra rispetto ad una retta perpendicolare alla direzione del sistema. Oss. II. Se indichiamo con a e a\ /3 e /? i raggi di due rette parallele del siste- ma, limitati da due punti A e B di una perpendicolare r ad essi, in modo che a e ft a' e jS' siano diretti nel medesimo verso (def. 11,33), le due semistriscie (a/3), (a'jS') sono simmetriche rispetto alla retta r e quindi CajS). (]3 a') sono congruenti. Teor. II. Data una figura qualunque m è un sistema continuo di figure invariabili colla data, tali che le linee dei punti corrispondenti sono rette per- pendicolari ad una retta data, e le rette corrispondenti sono parallele fra loro. Si consideri un segmento (AB) cogli estremi nei lati a e b della striscia (ab), e da A e .B conduciamo le normali ai suoi lati fino ad incontrare in Al e Bl i lati al e ^ della striscia (a^) uguale alla prima. Il segmento (A^,) è uguale ad (AB) (teor. I, 44). Se è data una figura ABCD....M...., si può dunque immaginare un siste- ma continuo di figure identiche alla prima in modo che le parti corrispondenti nel sistema siano pure identiche. Def. II. Un sistema di figure identici1 e che soddisfa b e a al teor. II si chiama sistema parallelo di figure invaria- bili, o più semplicemente sistema parallelo, di cui il pre- cedente (def. I), è un caso particolare (fig. 61). Teor. ìli. Le figure di un sistema parallelo sono congruenti. fig. i Siano infatti ABC, A^C, due angoli corrispondenti delle due figure, e i punti A e C, Al e Cl siano sulla medesima perpendicolare alla direzione del sistema. Le striscie piane (ac), (a^) i cui lati passano rispettivamente per A e C, A, e Cl sono congruenti quando sono considerate dallo stesso punto X^ (teor. I), ossia dalla stessa parte di una perpendicolare comune ai Iati, e quindi anche i segmenti (AC) e (AjCj) (coroll. V, teor. X, 61). I punti B e Bl sono situati da una stessa parte di ogni perpendicolare, perché Ja retta BBl è essa pure per- pendicolare alla direzione del sistema, e due perpendicolari ad una terza sono parallele fra loro (coroll. li, teor. V, 47 e teor. I, 50). Dunque gli angoli ABC, AJ^C! sono congruenti (teor. XI, 61), e quindi anche le due figure corrispon- denti a cui appartengono (teor. V e def. 1, 62). 65. Def. I. Se un sistema continuo ad una dimensione di figure invariabili (def. Ili, 36) è situato nel piano, il sistema si chiama sistema piano continuo ad una dimensione di figure invariabili. Teor. I. Due figure di un sistema piano continuo ad una dimensione di figure invariabili sono congruenti. Difatti due angoli corrispondenti e consecutivi (def. Ili, 36) devono avere i lati e i vertici consecutivi, e quindi i punti all'infinito dei Iati determinano due segmenti uguali e consecutivi. Ma questi sono diretti Dello stesso verso (int

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357 #, 9), quindi lo sono pure i due angoli considerati (coroll. II, teor. X, 62), e perciò anche le due figure consecutive considerate (teor. V, 62). Ma il sistema si può ritenere composto da una serie di figure consecutive (def. I, def. II e III, 36), dunque due figure qualunque del sistema sono pure congruenti. Coroll. Due figure simmetriche non possono appartenere ad un sistema continuo di figure invariabili nel piano. Teor. IL Data una figura e una linea nel piano, la figura appartiene ad un sistema continuo ad una dimensione di figure invariàbili del quale la li- nea data è una linea di punti corrispondenti. Sia (A) la figura data, I la linea data, R un punto di I, che può apparte- nere eventualmente alla figura stessa. Consideriamo un segmento (RRJ di I e scomponiamo (RRJ in segmenti quanto piccoli si vuole (RR), (RR')... (RWRJ, in modo che i segmenti rettilinei (RR), (RK').... (RnRJ siano più piccoli di un segmento dato a (def. I, 36). Per l'identità del piano intorno ai suoi punti R e # (coroll. II, teor. II, 47) possiamo costruire intorno a R una figura (A) identica ad (A), e in modo che quando (RR') diventa indefinitamente piccolo tale diventi la distanza di due punti corrispondenti qualunque di (A) e (A1). A tale scopo se A è un punto di (A), conduciamo il raggio RA, e sia R'A' un raggio che abbia per limite #A, quando R ha per limite R (def. I, 36). Ciò è possibile, basta ad es. che il punto A'^ di RA si accosti indefinitamente al punto limite A^ assoluto di -RA (def. I, 12, conv. 49). La stessa cosa facciamo per ogni altro punto X della figura (A),in modo che i segmenti all'infinito degli angoli ARXy A'RX siano uguali, vale a lire che i due angoli siano uguali, ossia an- cora che i segmenti (A^XJ, (A'^X*) facciano parte di un sistema continuo di segmenti invariabili sulla retta all'infinito. Sul raggio #X* corrispondente a RX costruiamo il punto X' alla stessa distanza da del punto X da R, in modo che ogni altro punto Y del raggio R'X* si accosta indefinitamente ad un punto Y alle stesse distanze da R e X di Y* da R e X' (coroll. II, teor. IV, 12). Si ha che (AX) = (A'X')9 essendo (AR) = (A'R'Ì) (XR) = (XK) e ARX = A'tfX' (teor. II, 42j, e se Y e T sono due altri punti corrispondenti di (A) e (A') si ha pure (AT)=(AT); e si vede facilmente che XAY^XAY', e quindi an- anche (XY) = (X'yf). Dunque le due figure (A) e (A') sono identiche, e la corri- spondenza d'identità di esse si confonde colla corrispondenza del sistema co- struito pel tratto (RR) della linea I, e quindi ripetendo la stessa costruzione per ogni segmento successivo si ha il sistema richiesto (def. Ili, 36). Oss. I. Il teor. II si appoggia sulla esistenza della linea I. Astrattamente noi abbia- mo stabilita l'esistenza della retta e della circonferenza e quindi delle linee poligonali composte con tratti di esse ; empiricamente il teorema vale per tutte le linee intui- tive che vengono rappresentate graficamente nel piano da linee materiali (oss. emp. 36). Ma provata l'esistenza di una linea che soddisfi alla def. I, 36 vale il teorema saddetto anche per essa x). Def. IL Un sistema continuo ad una dimensione di sistemi invariabili con- l) Noi vediamo dunque che per i sistemi continui di figure invariabili e quindi congruenti (teor. i) non occorrono tutte le condizioni della linea intuitiva per le linee corrispondenti di punti del si- stema (def. 11,36 e nota relativa).

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358 tinui ad una dimensione di figure invariabili si chiama sistema continuo di figure invariabili a due dimensioni, e così via. Oss. IL Evidentemente le proprietà di questi sistemi si deducono da quelle dei sistemi ad una dimensione, e due figure qualunque dei nuovi sistemi sono sempre congruenti LXXVI). 20. Movimento reale delle figure nel piano, LXXVII). 66. Teor. I. Una figura che si muove Uberamente nel piano descrìve un si' stema continuo. Nel movimento di una figura ogni suo punto descrive una linea intuitiva, compresa nella def. I del n. 36 (oss. II, 36), e ad ogni posizione di un suo punto corrisponde una posizione della figura stessa (ass. II, pr.). Se AA^AZ.... Am, EB^.... Bm.... ecc. XX^... X** .... ecc. sono posizioni diverse dei punti A, J9, ecc. X ecc. della figura, non escluso il caso che esse coprano più volte una linea o un segmento di linea, e se (AAJ è il tratto di traiettoria percorsa dal punto A in un dato tempo, il punto B percorre nello stesso tempo un tratto (BB^ e ai punti del segmento (BBJ devono corrispon- dere i punti del tratto (AA^ (ass. II, pr.), quindi vi è la corrispondenza uni- voca e del medesimo ordine, e perciò il teorema è dimostrato (def. II, 36). Teor. II. Una figura può muoversi nel piano rimanendo invariabile. Difatti costruito un sistema continuo di figure invariabili ed essendo (A), (B), (C), (X) .... le linee intuitive dei punti corrispondenti che passano pei punti A, B, C....X.... della figura data (teor. II e oss. Ili, 62), si possono ob- bligare i punti ....A,B, C, ....X.... della figura data a muoversi lungo le linee di punti corrispondenti, in modo che i punti corrispondenti delle linee suddette siano posizioni corrispondenti dei punti della figura data (ass. II, pr.). Oss. I. Evidentemente, se il piano non godesse la proprietà di possedere dei si- stemi continui ad una dimensione di figure invariabili, come fu dimostrato nel pa- ragrafo precedente, una figura non potrebbe muoversi senza deformazione (def. II, 37). Coroll. Due figure, posizioni di una figura, che si muove rimanendo inva- riabile, sono congruenti. Perché tale è la proprietà di due figure di un sistema continuo di figure invariabile (teor. I, 65). LXXVI) La definizione del sistema circolare bisogna appoggiarla sulle proprietà del fascio, essendo esso un sistema identico nella posizione delle sue parti, ripe- tendo per esso le stesse considerazioni fatte per la retta (36). Nella dimostrazione del teor. I e del teor. II di questo numero basta osservare senza ricorrere ali'infinito che due angoli consecutivi devono essere dello stesso verso perché tali sono i seg- menti che essi tagliano sopra una retta che lascia dalla stessa parte i loro vertici (coroll. II, teor. X, 61 e int. a, 69). LXXVIJ) Questo paragrafo va trattato ugualmente ; si tralascino il teor. Ili e il il suo coroll. Come abbiamo avvertito nella prefazione, limitandoci in queste note al solo piano Euclideo, non accompagneremo più oltre il testo con queste note speciali.

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359 Def. I. Se il sistema è circolare (63) il movimento dicesi movimento di rotazione intorno al centro del sistema, che si chiama centro del movimento di rotazione. 055. II. Nel movimento di rotazione le traiettorie dei punti sono circonferenze col centro in quello del movimento, perché le linee dei punti corrispondenti sono in tal caso circonferenze col centro nel centro del movimento (teor. IV, 63). Teor. III. Il centro del movimento di rotazione rimane immobile. Difatti il centro del sistema circolare corrisponde a sé stesso (teor. I, 63). Def. II. Se il sistema è parallelo (64) il movimento dicesi di tralazione. La direzione del sistema si chiama direzione del movimento. Oss. III. Le traiettorie nel movimento di traslazione sono rette perpendicolari alia direzione del sistema (teor. II, def. I, 64). Teor. IV. Una retta nel movimento di traslazione si mantiene parallela a sé stessa. Perché tale è la proprietà delle rette corrispondenti di un sistema paral- lelo (teor. II, 64). Teor. V. Il movimento di traslazione è un movimento di rotazione infi- nitesima rispetto ali' unità infinita delle distanze. Difatti le rette parallele alla direzione del sistema parallelo sono circon- ferenze col centro nel punto all'infinito del sistema (teor. II, 32). Coroll. Nel movimento di traslazione rimangono fissi due punti, l'uno in senso relativo, l'altro in senso assoluto. Il primo giace ali' infinito nella dire- zione del movimento, il secondo è il centro del movimento. Difatti il centro di rotazione è fisso in senso assoluto (def. I, 37), perché ogni sua posizione coincide con esso (teor. I), mentre sappiamo che nel mo- vimento di rotazione non vi è altro punto fisso, vale a dire ogni punto all'in- finito si muove in tal caso di un segmento finito rispetto all'unità finita e quindi infinitesimo rispetto all'unità infinita. 67. Teor. 1.^Due figure congruenti si possono trasportare runa sull'altra mediante un movimento di rotazione. Le due figure siano dapprima due triangoli ABC, A^C^ Si conducano pei punti di mezzo di (AA'), (BE') le perpendicolari alle rette AA'f BB. Se queste perpendicolari coincidono in una retta a, esse passano pel punto d'incontro S dei due segmenti (AB), (A' )9 che sono simmetrici rispetto alla retta a (def. 1,56). Si ha A A' = 'BSB', essendo angoli oppo- sti al vertice o coincidenti, e quindi anche del me- desimo verso (teor. I, 61). Quando (AB) ruota intorno a S, il punto C si porta in un punto C\ tale che forma con AB' un triangolo congruente con ABC, e flg-62 quindi anche con A'B'C' (coroll. I, teor. V, 62), e perciò C\ coincide con C (def. I, 62; teor. X, 61 e teor. IX, 55). Se le due perpendicolari non coincidono e si incontrano in un punto S, i due triangoli ASB, A'SB' sono uguali per avere i tre lati uguali, e quindi si ha ASB = A'Stf. Questi angoli sono pure del medesimo verso, altrimenti, come A

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360 si vede facilmente le perpendicolari suddette dovrebbero coincìdere, e si ca- drebbe nel caso precedente. Ora, A'SB' non può essere tutto contenuto nel- 1' angolo ASB o inversamente, quindi A'SB' o è in parte interno ad ASB, op- pure è tutto esterno a questo angolo. In ogni caso gli angoli ASA1, BSB' sono uguali e del medesimo verso, e quindi come nel caso precedente si di- mostra che ruotando il triangolo ABC intorno ad S finché A si porta in A', i punti B e C si portano in B e C. Se il punto cade all'infinito, si ha un movimento di traslazione (rig. 62). La dimostrazione, vale anche nel caso di due figure piane qualunque. Oss. I. Nella corrispondenza d'identità di due figure congruenti qualunque nel piano vi è dunque un punto S che corrisponde a sé medesimo. Non è diffìcile* vedere che nel caso di due figure simmetriche vi è invece una retta s che corrisponde a sé medesima. Teor. IL Due figure simmetriche nel medesimo piano non possono traspor- tarsi r una sull* altra con un movimento senza deformazione. Difatti se ciò fosse possibile esse farebbero parte di un sistema di figure invariabili (def. II, 37), ciò che non è possibile (coroll. teor. I, 65). Oss. IJ. Sembra vi sia un caso che contraddica a questo teorema, vale a'dire il caso delle due semistriacie (ajS), (a'jS') dell'oss. II, del n. 65. Ma se è vero che una parte finita della semistriscia (a)S) può trasportarsi sulla semistriscia (a'/?), non significa però che tutta la semistriscia possa essere traspor- tata sull'altra, e quindi il teorema è vero in qualunque caso considerando tutto il piano. Teor. III. Una figura non può muoversi nel piano se si tengono fissi due dei suoi punti. Difatti due posizioni della medesima figura sono congruenti (coroll. teor. II, 66), e avendo due coppie di punti corrispondenti comuni, coincidono (teor. VI, 62). Teor. IV. Due figure simmetriche possono muoversi nel piano fino ad es- sere simmetriche rispetto ad una retta qualunque data di esso. Siano (A) e (A1) le due figure, r la retta data. Rispetto alla retta r con- sideriamo la figura (A') simmetrica alla figura (A) (def. II, 56); essa e con- gruente alla (A') (teor. VI, 62) e quindi la (A) potrà trasportarsi sulla (A") (teor. I).

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CAPITOLO IL II piano completo (o di Riemann). i- Determinazione del piano completo Ip. VII. 68. Def. I. Tutte le rette complete di un fascio (def. Ili, 27), considerando il punto come elemento, determinano una figura che si chiamavano completo. Oss. I. Per T ip. V il piano completo è il piano Riemanniano (oss. I, 26, def. 1,27). Due rette parallele del campo Euclideo, considerate nel campo completo, sono infinitamente vicine (teor. I, 24 e teor. II, 31 ; def. II, 26 e conv. 28). In senso asso- luto esse s'incontrano in due punti opposti (teor. II e def. II, 30). Oss. IL In questo capitolo quando nomineremo il piano senz' altro, intenderemo quello completo. Teor. I. Ogni punto opposto di un punto del piano completo giace nel piano. Difatti la retta del fascio generatore che passa pel punto dato passa an- che pel punto opposto (teor. II e def, II, 30 e def. I). Oss. III. Consideriamo un fascio (Rr) nel campo finito Euclideo e misurate le sue rette coir unità infinita (conv. 28), i punti limiti assoluti di esse rispetto al punto R (def. II, 32) sono situati in una linea o^ che per molte sue proprietà comuni con la retta abbiamo chiamata retta all'infinito del fascio (Rr) suddetto, senza alcun nocumento alle proprietà del fascio Euclideo stesso (49), avendo fatto uso soltanto delle sue proprietà comuni colla retta. Ma non sappiamo se a^, sia effettivamente una retta, anzi per le considerazioni svolte al n. 49 noi dobbiamo ritenere fino a prova con- traria che essa possa non essere una retta compatibilmente colle ipotesi I-VI stabilite precedentemente. Se ciò fosse, il fascio (Rr) e il fascio (ftrw), essendo r^ una retta li- mite assoluta di R, non sarebbero identici, e quindi la figura rettilinea determinata da due raggi passanti pel punto R nel campo Euclideo non si manterrebbe la stessa in questo solo campo considerando anche i punti airinfinito dei raggi stessi; ma essa sarebbe parte di un* altra figura rettilinea ottenuta applicando la costruzione della def. I del n, 9; la quale figura sarebbe pure determinata dagli stessi due raggi nel campo Euclideo. La considerazione dei punti airinfinito dei raggi suddetti equivarrebbe dunque ad una costruzione mediante la quale si otterrebbe da essi un11 altra figura rettilinea nel campo Euclideo intorno al punto R, di cui la prima sarebbe parte. Ma poiché noi possiamo trattare la geometria del campo finito indipendentemente dalle nostre ipotesi suir infinito e sull'infinitesimo, come abbiamo mostrato per il piano nelle note contrassegnate dai numeri romani, e d'altronde i due raggi colla costruzione della def. I del n. 9 determinano una sola figura (rettilinea, la quale, indipendentemente dai due raggi (oss. V, 15) è il piano (coroll. Ili, teor. V, 46)), cosi diamo la seguente ipotesi, con cui stabiliamo Tindipendenza del campo finito intorno ad un punto dato /S dai campi infiniti e infinitesimi intorno ad esso, cioè: Ip. VII. La figura rettilinea determinata da due rette qua-

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362 lunque passanti pel punto S in ogni campo finito intorno ad S rimane la stessa relativamente ali' unità di questo campo anche considerando i punti nei campi all'infinito o nei campi infini- tesimi intorno allo stesso punto S sulle due rette. Teor. II. L'ipotesi VII vale per ogni punto (dello spazio generale). La dimostrazione si da come pel teor. II del n. 31 appoggiandosi al teor. I dello stesso numero. Coroll. La linea limite assoluta di un punto R del piano Euclideo è una retta (ip. VII e teor. II). Oss. IV. Con questo coroll. non occorre più tener conto della conv. del n. 49. Teor. III. Una retta che ha due punti non opposti comuni col piano com- pleto giace nel piano, e viene incontrata da tutte le rette w del fascio generatore del piano. Sia (Rp) il fascio generatore del piano, e sia p la retta limite assoluta di R, la quale divide i raggi del fascio nei punti limiti assoluti di R (def. II e teor. Ili, 32); e sia r un' altra retta che incontri due .raggi a e b del fascio (Rp) in due punti X e Y all'infinito rispetto alla unità Euclidea (conv. 28). flg- Ogni retta del fascio (Rp) è una retta del fascio de- terminato dai raggi a e b nel campo Euclideo intorno ad R (coroll. teor. II). Il fascio (Rr) da pure luogo allo stesso piano Euclideo determinato dai raggi a e b (ip. VII e teor. II), e quindi ogni retta RW del fascio (Rp) coincide re- lativamente ali1 unità fondamentale (conv. 28) con una retta del fasciò (Rr), e quindi in senso assoluto ogni retta del fascio Euclideo (ab) rappresenta due rette dei fasci (Rp), (Rr), che se non coincidono in senso assoluto sono infini- tamente vicine (def. e teor. IV, 22). Ma se sono tali rispetto all'unità fonda- mentale coincidono anche rispetto all'unità infinita (ip. IV e teor. II, 31), dun- que è dimostrato che ogni retta del fascio (Rp) incontra la retta r relativa- mente all'unità infinita, e inversamente (fig. 63) J). Oss. V. La stessa cosa vale se la retta r incontra uno o tutti e due i raggi a e b del fascio di centro R in un punto infinitamente vicino ad R. Limitandoci come faremo in seguito ai soli campi Euclideo e completo relativamente alle unità di essi, non avremo bisogno dei campi infinitesimi rispetto a quello dell1 unità fondamentale (conv, 28). Oss. VI. Dalla dimostrazione stessa risulta che non si può dire che il teor. Ili valga in senso assoluto, ma soltanto relativamente all'unità infinita o Riemanniana (def. I, 28), il che ci basta per le ulteriori ricerche. Se si vuole che valga in senso assoluto, o bisogna dare una dimostrazione, o non potendolo colle ipotesi precedenti, bisogna che Tip. VII valga in senso assoluto anziché relativamente alle unità dei campi intorno ad S. i) Avremmo preferito di dimostrare direttamente questa proprietà come abbiamo fatto pel piano Euclideo coir aiuto del teor. I del n. 45, perché in fondo crediamo che gli assiomi l-v e r ip. V siano sufficienti a determinare completamente le proprietà del fascio Riemanniano, indipendentemente an- che dalla proprietà delTip, vi, come sono sufficienti per il piano Euclideo; ma non siamo riusciti a dare uua dimostrazione diretta. Non abbiamo fatto però molti tentativi in proposito (Vedi anche cap. in). Dando una tale dimostrazione non occorrerebbe invocare l'p. VII in questo caso, come ci sem- bra dover fare per stabilire che la linea a all'infinito del piano euclideo o una retta.

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Però non volendo trattare la geometria assoluta che per meglio stabilire il pas- saggio tra il sistema Riemanniano ed il sistema Euclideo relativi (def. 1 e oss. Ili, 27) possiamo supporre che due rette coincidenti rispetto alle due unità di questi sistemi lo siano anche in senso assoluto, eccettochè non sia stabilito che sono distinte in senso assoluto. Teor. IV. Ogni punto del piano completo è centro di un fascio che con- tiene tutti i punti del piano. Sia (Rp) il fascio generatore del piano (def. I), A un suo punto. Ogni punto di qualunque retta spassante per A nel piano (teor.Ili) è situato in una retta del fascio (#p), e inversamente ogni retta di questo fascio incontra la retta r (teor. Ili), quindi il fascio di centro A copre interamente il piano. CorolL Due rette del piano si incontrano in due punti. Siano r ed s le due rette, e siano A e B due punti di esse. Le rette del fascio di centro A incontrano tutte le rette del fascio di centro B e quindi la retta s in un punto, e perciò anche nel punto opposto (teor. I). Teor. V. Tre punti qualunque non in linea retta determinano il piano completo, che è determinato da tre qualunque dei suoi punti non in linea retta. Siano A, B, C i tre punti dati ; il piano del fascio A.BC contiene tutte le rette che uniscono due punti qualunque delle rette del fascio (teor. Ili), e quindi contiene tutte le rette dei fasci B. A C, C. AB. Ogni piano poi che contiene i tre punti A, B, C contiene anche le rette del primo, perché contiene le rette del fascio A. BC, e inversamente il piano A. BC contiene le rette di qualunque piano passante per i punti A, B, C. Difatti ogni altra retta di questo piano in- contra in due punti opposti ad es. le due rette AB, BC (coroll. teor. IV), che sono situate in ambedue i piani, e quindi la retta data è situata anche nel piano A. BC (teor. III). Teor. VI. Se una figura del piano è incontrata da ogni retta del piano in due punti opposti, essa è una retta. Dim. analoga a quella del teor. VI, 48. 2. Elementi polari e perpendicolari. 69. Def. L Diremo che due punti del piano completo sono coniugati quando sono estremi di un segmento retto (def. IV, 29). Teor. I. I punti coniugati di un punto (che lo sono anche del suo opposto) sono situati in una retta. Sia R il punto dato, ed X e Y due punti del piano, coniugati di R. La retta XY è situata nel piano (teor. Ili), ed i suoi punti determinano con n un segmento retto (teor. I, 31). Che la retta XY abbia la stessa proprietà rispetto al punto opposto di R risulta dalla definizione stessa di punti opposti (def. Ili, 6 e def. II, 30). Def. IL La retta del teor. I si chiama retta polare o polare del punto dato o del suo opposto, e questi si chiamano poli della retta.

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364 Oss. I La retta polare è una retta limite assoluta del punto dato nello spazio gè* nerale (def. II e oss. Ili, 2 e teor. Ili, 32). Caroli. I. Le polari di due punti coniugati passano rispettivamente pei due punti. Coroll. IL La polare di un punto della retta polare di un altro punto dato, passa per questo punto. Difatti un punto qualunque della retta a polare di A è coniugato di A. Coroll. III. Ogni retta passante per un punto A è retta polare di un punto B della retta polare di A. Se X è uno dei punti d* intersezione della retta passante per A colla retta a polare di A, e (XB) è un segmento retto, il punto B ha per retta polare la retta data AX (teor. I e def. li). Coroll. IV. La retta polare di un punto R divide il fascio di centro R e di centro R' opposto al primo in due parti identiche. Perché sono figure opposte (teor. Ili, 30). Teor. II. Ogni retta ha due poli opposti. Difatti le polari di due punti B e C della retta a data si incontrano in due punti opposti A e A' (coroll. teor. IV, 68), i quali sono coniugati di/? e C e quindi la retta a è polare di A e A'. Coroll. I. La retta congiungente i poli di due rette è la polare dei punti d'intersezione delle due rette. Difatti essa ha due poli pei quali passano le polari dei suoi punti (co- roll. II, teor. I). Def. III. Due rette ciascuna delle quali contiene i poli dell'altra si di- cono coniugate. Teor. III. Un punto A è vertice di infiniti triangoli i cui lati sono le po- lari dei vertici opposti. Se B e C sono punti coniugati della retta polare di A, il che è possibile per ogni punto della retta in due modi (def. I), la polare di B passa per A e C, e quella di C per A e B. Def. IV. Un triangolo che soddisfa al teor. Ili si chiama coniugato polare, 0 semplicemente polare. Coroll. I. I lati di un triangolo polare sono due a due coniugati ed uguali ad un segmento retto. Coroll. II. Due triangoli polari sono uguali in sei maniere diverse. Difatti se ABC, A'B'tf sono i due triangoli, BCA, CAB, ACB9 BAC sono uguali al triangolo ABC9 perché hanno sempre i lati uguali (teor. Ili, 17), e perciò anche al triangolo AB1 C. In altre parole si possono stabilire sei cor- rispondenze d'identità fra i due triangoli (oss. Ili, 15). Teor. IV. I segmenti di una retta del piano completo servono a misu- rare gli angoli intorno ai suoi poli. Difatti ai segmenti uguali della retta corrispondono angoli uguali intor- no ai suoi poli, perché i triangoli che ne risultano sono uguali per avere 1 tre lati uguali (teor. Ili, 17) e quindi anche gli angoli corrispondenti (teor. I, 42), e inversamente; mentre a segmenti disuguali corrispondono angoli che stan- no nella stessa relazione di disuguaglianza.

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365 Caroli. I. Le rette che congiungono un punto con due punti coniugati della polare di esso, sono ad angolo retto. Difatti due punti coniugati sono estremi di un segmento retto (def. I e def. Vili, 38). Corali. IL Gli angoli di due rette hanno rispettivamente due rette biset- trici perpendicolari fra loro. Dim. analoga a quella del teor. VII, 41 ; basta sostituire alla retta air in- finito la polare dei vertici degli angoli delle due rette. Teor. V. Due rette coniugate sono perpendicolari, e inversamente. Siano A e A', B e ff i poli delle due rette a e j5, per dato A e A' sono situati in ]5; B e B in a (def. III). Il segmento (AB) è dunque retto, e le due rette sono perciò perpendicolari nel loro punto d'intersezione, Inversamente due rette perpendicolari a e fi sono tagliate dalla polare dei loro punti d'incontro (coroll. teor. IV, 68) negli estremi di un segmento retto (teor. IV), i quali sono rispettivameute i poli di a e ft dunque ecc. (def. III). Coroll. I lati di un triangolo polare sono perpendicolari fra loro. Perché sono due a due conjugati (coroll. I, teor. III). Teor. VI. Le rette passanti per un punto A sonò perpendicolari alla retta polare di A, e inversamente. Sia A il punto dato, a la sua polare, /3 una retta passante per A che deve incontrare a in due punti opposti C, C*, (coroll. I, teor. IV, 68). I poli B e B di p sono situati in a (coroll. Ili, teor. I), e quindi sono estremi con A di un segmento retto, e perciò la retta j5 è perpendicolare in C e C* alla retta a (teor. IV). E inversamente, ogni perpendicolare ad una retta a è coniugata con que- sta retta (teor. V), e quindi essa passa pei poli di (def. III). Coroll. I. Le polari dei punti di una retta sono perpendicolari a questa retta. Difatti le polari dei punti di una retta sono rette passanti pei poli di questa retta (coroll. II, teor. I). Coroll. IL Per ogni punto passa una sola perpendicolare ad una retta che non sia la polare del punto. È la retta che congiunge il punto coi poli del la retta (teor. II; teor. II, 30). Coroll. IH. Due rette del piano completo hanno una perpendicolare comune. È la retta che congiunge i poli delle due rette (teor. II; teor. II, 30). 3. Identità del pia.no intorno ai suoi punti. 70. Teor. I. Tutti i fasci completi sono identici. Difatti siano R e #, p e pr i punti e le loro rette polari nei due piani (#pr); per l'identità delle rette p e p' (teor. I, 8 e ip. Ili) e per le distanze uguali elei punti R e R dalle loro polari, si può stabilire mediante il teor. Ili dei n. 17 e 16 una corrispondenza d'identità fra le due figure (J?p) e

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366 facendo corrispondere R a # e i punti di p ai punti di p'. Dunque le due fi- gure (#p), (#pf) sono identiche (teor. Ili e coroll. II, teor. II, 15). Corali. I. Tutti i piani completi sono identici (def. I, 68). Teor. IL Ogni fascio completo è identico nella posizione delle sue parti, e continuo. Difatti tale è la proprietà della retta polare dei centri del fascio (teor. IV, 69). Coroll. L Ogni retta di un fascio lo divide in due parti identiche. Perché i suoi punti d'incontro colla polare dei vertici del fascio sono pun- ti opposti (coroll. teor. IV, 68). Coroll. IL II piano è identico nella posizione delle sue parti intorno ad ogni suo punto. 4. Parti del piano completo rispetto ad una sua retta. Parte interna ed esterna di un triangolo. 71. Teor. L Ogni retta divide il piano in due parti uguali. I punti di una parte hanno per punti opposti quelli dell'altra. Difatti la retta data p ha due poli R e R. Le figure (Rp), (#p) costitui- scono T intero piano (def. I, 68). Ogni punto X di ciascuna di esse, per es. CRp), ha, come si vede facilmente, il suo punto opposto nella seconda, le fi- gure (#p) e (#p) sono dunque figure opposte (def. II, 30) e perciò uguali (teor. Ili, 30). Def. L Le parti di piano date da quelle di un fascio di centri R e ti determinate dalla loro retta polare p, si chiamano par^' del piano rispetto alla retta p. Oss. I. La retta polare p di un punto R può essere rap- presentata da una circonferenza nel campo finito Euclideo, il cui raggio dobbiamo supporre corrisponda ad un segmento retto (def. IV, 29). La metà (Up) del piano completo nella quale è situato il punto R viene rappresentata dal cerchio stesso (fig. 64). Se r è una retta qualunque del piano completo, essa in- contra la retta p in due ponti opposti X e X' (coroll. teor. IV, 68), e la retta RX deve passare anche pel punto X". Le metà fig. 64 delle rette passanti per R nella parte di (Rp) possiamo rap- presentarle mediante i diametri. Scelto un punto M della retta r, il punto SI' opposto giace nella parte opposta, che non è rappresentata nel disegno. La circonferenza suddetta può quindi rappresentare anche la retta airinfinito del piano Euclideo. È escluso in questa rappresentazione che la circonferenza possa essere considerata come la prima circonferenza all'infinito, perché una retta che unisce due punti all'infinito del campo Euclideo è tutta all'infinito, e quindi il campo Euclideo è in questa rappresentazione il campo infinitesimo intorno al punto R stesso. Coroll. Una retta non può essere tutta situata dalla stessa parte rispetto ad una retta. Sia p la retta che divide il piano in due parti, R e R i suoi poli. Se M

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367 è un punto di un'altra retta r situato in una delle parti suddette, ad es. (.Rp), il punto opposto M* giace nella parte opposta (#p). Teor. II. Una retta giace per metà nelle parti opposte del piano rispetto ad ogni retta di esso. Se colle indicazioniprecedentiXeX'sono i punti d'intersezione della retta r colla retta p (coroll. teor. IV, 68), ed M è un punto di r situato nella metà (2?p) del piano (teor. I), la metà della retta XMX' è tutta situata in questa parte. Basta osservare che tutti i punti della metà (#p) del piano formano con R un segmento minore di un retto, se non sono situati sulla retta p stessa (def. I, teor. I e def. II, 69). Se un punto Ml della metà (XMX9) della retta r fosse ad una distanza maggiore di un retto, in (MM^) vi dovrebbe essere un altro punto Y, distinto quindi da X e JT, tale che (RY) sarebbe un segmento retto (teor. VII, 13), vale a dire il punto Y sarebbe situato sulla retta p (teor. I e def. II, 69), ossia le due rette r e p avrebbero oltre X e X* il punto Y (e quindi anche l'opposto) in comune; il che è assurdo (teor. 11,30 opp. teor. II, 14) (fig. 64). Oss. II. Possiamo immaginare rappresentato nel disegno tutto il piano completo come indica la fig. 65. Se S e Sf sono due punti opposti a la loro polare; la metà delle rette situate nella parte (Sa) (teo- rema II) la indichiamo con tratto continuo, quella situata dalla parte opposta con tratto interrotto, in modo che si veda che due rette si incontrano in due punti opposti, ad es. A e A\ come indica la figura. Def. II. Quando due punti sono situati da parti opposte rispetto ad una retta nel piano si dice che sono flg. 85 separati da questa retta. Coroll I. Due punti opposti nel piano sono separati da una retta qua- lunque che non passa per essi. Oss. III. Vale il coroll. Ili del teor. II, 50 coll'analoga dimostrazione tenendo conto,del coroll. teor. IV, 68. Coroll. II. Un settore angolare può essere generato congiungendo il vertice C coi punti di ogni segmento i cui estremi sono sui lati del settore. La dimostrazione è analoga a quella data nel piano Enclideo (coroll. IV teor. II, 50). 72. Teor. I. Le parti di piano determinate dai settori angolari di un trian- golo limitate dai lati opposti coincidono. Come nel piano Euclideo (teor. I. 51). Oss. I. Valgono le stesse def. I e II del n. 51. Valgono pure i coroll. I, II, III e IV del teor. I, 51 colle stesse dimostrazioni. È da osservare che nel piano completo tre rette determinano non sette regioni ma otto, e che queste sono tutte dei trian- goli. Indicando con A'I?C' i punti opposti d'intersezione delle tre rette due a due, e considerando che i lati di un triangolo sono sempre i segmenti minori (def. II, 9), e quindi per la formaz'one del triangolo non sono nemmeno uguali alla metà della retta (teor. II, 30 gli otto triangoli sono : ABC, A'BC, ABrC, ABC' A'B'C', ABfC\ ABC\ A'B'C che sono due a due opposti ed uguali (def. I e teor. Ili, 30),

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368 Teor. II. Ai punti interni di un triangolo sono opposti i punti interni del triangolo opposto. I due triangoli ABC, A' C sono uguali (teor. Ili, 30), e quindi ad un punto E del lato (BC) è opposto un punto E' del lato ( C) (teor. IV, 29), e perciò al segmento (AE) è opposto il segmento (A'E*) (def. II, 29) situato nel- settore ffA'Cf. Dunque se D è un punto interno del triangolo ABC in (AE), il suo opposto D' giace in (A*E,) (teor IV, 29) nell'interno del triangolo ABC (def. I, 51 e oss. I). Coroll. Se un punto D è esterno ad un triangolo e non è interno al triangolo opposto, una sola delle tre rette che lo congiungono coi vertici incontra il lato opposto in un punto interno. Vale l'analoga dimostrazione del coroll. V, del teor. I del n. 51. Teor. IH. Se una retta del piano di un triangolo che non passa per al- cuno dei vertici incontra un lato in un punto interno (e in uno esterno) incon- tra gli altri due l'uno in un punto interno (e in uno esterno) e l'altro in punti estemi. Vale la stessa dim. del teor. analogo del piano Euclideo (teor. II, 51), ri- cordando che una retta non può mai incontrare il lato di un triangolo in due punti interni, perché bisognerebbe che questo lato fosse maggiore della metà della retta, contrariamente a ciò che fu stabilito (def. I, 9 e def. II e oss. 6). Ose. II. Valgono pure colla stessa dimostrazione il coroll. I del teor. II, il teo- rema III e il relativo corollario del n. 51. Teor. IV. I lati di un triangolo polare dividono il piano in otto triangoli polari. Difatti i tre lati si incontrano due a due in 6 punti due a due opposti, cioè A,A'', #,#; C,C*, e i triangoli ABC, ABC, ABC, ABC; A'B'C', A Cf, ABC, AB'C sono polari per avere i tre lati uguali ad un segmento retto (coroll. I, teor. Ili, 69). 5- Segmenti e distanze normali. Proprietà dei triangoli rettangoli. 73. Def. I, La perpendicolare condotta da un punto P ad una retta r la incontra in due punti opposti M e M'; i segmenti (PM) e (PM') si chiamano i segmenti normali del punto P alla retta r; M e M' i piedi di essi o della perpendicolare. Le distanze (PM) e (PM') si chiamano distanze normali di Palla retta r, od anche semplicemente distanze. Gli altri segmenti, o le altre distanze, date con P dagli altri punti di r si chiamano segmenti, o distanze, obliqui. Oss. 1. Se la retta r è la polare di P, tutti i suoi punti danno con P un seg- mento retto (teor. I e def, II, 69), e sono normali ad r (teor. VI, 69). Parlando dun- que senz'altro di segmenti normali e obliqui di un punto P ad una retta intenderemo evidentemente che non si tratti della polare di P,

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369 Teor. I. I segmenti normali da un punto ad una retta sono supplemen- tari, e se sono uguali ad un segmento retto, la retta è polare del punto dato. Difatti per le indicazioni precedenti MPM' è metà della retta (def. Ili, 6). Se (PJf)i=(PJf), ossia se (PM) e (i-M') sono segmenti retti, la polare ir di P passa per M e M1, e le due rette r e tr sono ambidue perpendicolari alla retta PM in M e M\ ciò che è impossibile se sono distinte (coroll. II, teor. VI, 69). Teor. II. Dei segmenti normali di un punto P ad una retta r il minore è il minimo e il maggiore è il massimo tra i segmenti obliqui. Di due segmenti obliqui è maggiore quello che ha il suo punto in r più lontano dal piede del seg- mento normale minimo, o più vicino a quello del segmento normale massi- mo, e inversamente. Siano X e X1 i punti d'incontro della retta r colla polare ir di P; (PX) e (PX1) sono segmenti retti (teor. I e def. II, 69). I punti X e X* sono i poli della retta PM normale alla retta r, perché la retta PM e la retta r sono coniugate (teor. V, 69). Sia (PM) il segmento normale minimo; se nel seg- mento (MX) vi fosse un punto A tale che (PA) (PM), in (AX) vi sarebbe un punto Al tale che (PA^) sarebbe uguale a (PM) (teor. VII, 13), perché (PX) essendo retto è maggiore di (PM) (teor. I), e quindi anche di (PA) (int. d, 61). Ma il triangolo PMAl sarebbe isoscele e quindi per P passerrebbe un'altra perpendicolare alla retta r (teor. IV, 42), il che è assurdo (coroll. II, teor. VI, 69). Se (PM) è il minimo, evidentemente (PM') è il massimo. Facilmente si vede che sussiste anche la seconda parte del teorema (vedi dim. teor. VII, 54) (flg. 66). Teor. IH. I segmenti obliqui di un punto ai punti di una retta, equidi- stanti dai piedi della normale del punto alla retta, sono uguali e formano lo stesso, angolo colla perpendicolare. Come nel campo Euclideo (teor. Ili, 54). 055. II. Vale la stessa def. II del n. 54. Teor. IV. Le proiezioni di due segmenti obliqui uguali sono uguali. Come nel campo Euclideo (teor. IV, 54). Oss. III. Vale pure nel piano completo colla stessa dimostrazione il teor. V del n. 54 coi suoi corollari. Non vale invece qui il teor. VI dello stesso numero (oss. I, 26). Teor. V. Non vi può essere nel piano completo un quadrangolo coi quat- tro angoli retti. Supponiamo che vi sia, e sia ABA'B*. Le rette A A, B essendo perpen- dicolari ad AB devono passare per i poli R e R' di AB, ed essendo pure perpendicolari alla retta A'I?, esse passano pei poli di AB' (teor. VI, 69). Ma i poli delle due rette AB, AB1 sono distinti come lo sono le due rette (teor. II, 69), dunque le rette AA, BB' avrebbero quattro punti comuni, il che è assurdo (teor. II, 30). 055. IV. Osserviamo che questa dimostrazione è indipendente dalla somma degli angoli di un triangolo. 24

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370 Teor. VI. Due triangoli rettangoli che hanno un cateto e l'ipotcnusa uguali sotio uguali. Come nel campo Euclideo (teor. II, 55). Oss. V. È da osservare soltanto che vi sono anche dei triangoli rettangoli nei quali un cateto è maggiore deir ipotcnusa. Infatti se r ed R sono una retta e un punto fuori di essa ed (RM) è il segmento normale massimo, preso un punto A della retta r, ARM è un triangolo rettangolo in Af, ma (RA) che è Pipotenusa è minore del ca- teto (RM) (teor. II). Def. IL Se a e jS sono due rette e AB la perpendicolare comune (coroll. Ili, teor. VI, 69) C e C, D e U i punti d'intersezione di AB con a e ft questi punti determinano in AB quattro segmenti consecutivi, due a due opposti e due a due supplementari. Essi si chiamano segmenti normali delle due rette. Teor. VII. Due rette hanno due segmenti normali supplementari, che sono il segmento minimo e il segmento massimo fra i loro estremi rispetto all'una e aWaltra retta, e che misurano gli angoli delle due rette. Se (CD) è il segmento normale minore alle due rette a e ]3, (CD) è la distanza minima di C rispetto alla retta jS, e di D rispetto alla a. Vi sono certo dei segmenti (EF) minori di (CD) i cui estremi sono in a e jS, perché le rette si incontrano in due punti (coroll. teor. IV, 68), ma (EF) non può essere insieme per E e per F il segmento minimo dalle rette jS ed a. Se il punto d'intersezione si considera come due punti E ed F coincidenti sulle due rette, in questo caso il segmento (EF) è nullo, ma non si ha più la retta EF. Che poi i segmenti normali misurino l'angolo delle due rette è chiaro per il fatto che se X è uno dei punti d'intersezione delle due rette, CD è la retta polare del punto X (teor. IV, 69). Coroll. I. Due semirette hanno un solo segmento normale, che da la di- stanza minima o massima tra i punti delle due semirette secondochè il segmento normale è minore o maggiore di un retto. Coroll. II. I segmenti normali di due rette coniugate sono segmenti retti, e inversamente. Difatti le due rette sono perpendicolari (teor. V, 69). Inversamente, se un segmento normale a due rette è retto, esse sono perpendicolari (teor. IV, 69) e quindi sono coniugate (teor. V, 69). Oss. VI. Il teor. I del n. 54 va costituito col seguente: Teor. Vili. Se in un triangolo rettangolo un cateto è minore di un seg- mento retto, l'angolo opposto è acuto; è ottuso se il cateto è maggiore di un segmento retto. Sia AMP il triangolo rettangolo in M, e sia M1 il punto opposto di M9 (PM') (PM). Il punto R medio di (MM') è situato nel segmento (PM*), ed è un polo della retta MA (teor. I). Ora, la retta RA è perpendicolare alla retta MA (teor. VI,69), e siccome è (MP) (MR\ il segmento (AP) è interno al settore MAR (coroll. II, teor. II, 71), e perciò MAP è minore dell' angolo retto MAR. Nel triangolo PAM', che è rettangolo in M*, ove (PM*) è maggiore di un segmento retto, l'angolo PAM' è invece ottuso (fìg. 67).

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371 Coroll. Se ti cateto di un triangolo rettangolo è un segmento retto, anche Vipotenusa è un segmento retto. Gli angoli che il cateto e l'ipotcnusa formano con l'altro cateto sono retti. Difatti il secondo cateto è la polare del vertice opposto (teor. I ; teor. VI, 69). 6. Figure simmetricbe rispetto ad una retta nel piano completo. 74. Oss. L Con dimostrazioni analoghe valgono i teor. IX e X del n. 55. Oss. IL Vale la stessa definizione di figure simmetriche data nel piano Eu- clideo rispetto a una retta a (def. I, 56). È da osservare che due punti A e A' rispetto ad una retta a sono doppiamente simmetrici, cioè rispetto ai due punti d'intersezione della retta AA' con la retta a. Teor. L Un segmento ha per figura simmetrica rispetto ad una retta un altro segmento uguale al primo. Le rette dei due segmenti si incontrano in due punti dell'asse di simmetria, e formano con esso angoli uguali. La dim. è analoga a quella del teor. I del n. 56. Oss. III. Vale pure colla stessa dimostrazione il teor. II del n. 56. 7. La circonferenza Punti comuni di due circonferenze. 75. Oss. L Vale anche nel piano completo la definizione della circonferenza data nel campo Euclideo intorno ad un punto di esso (def. I, 57). È soltanto da notare che i punti di una circonferenza distano ugualmente anche dal punto opposto del centro, e che quindi una circonferenza nel piano completo ha due centri, e perciò anche due raggi e due cerchi. Conv. L Per centro e per cerchio di una circonferenza intenderemo sempre quelli rispetti ai quali il raggio è minore. Oss. IL Se il raggio è uguale ad un segmento retto, la circonferenza, diventa come si sa, la retta polare del centro (teor. I, def. I, 69). Teor. I. I punti di una circonferenza sono equidistanti dalla retta polare del centro. La distanza infatti di ogni punto della circonferenza dalla polare del centro è misurata sul raggio della circonferenza passante pel punto dato, che è perpendicolare alla polare anzidetta (teor. VI, 69), quindi è uguale alla diffe- renza del raggio da un segmento retto (teor. I, def. II, 69). Oss. III. Nel piano Euclideo vale la stessa proprietà rispetto alla retta ali' infi- nito del piano, che si può ritenere come retta limite assoluta del centro (oss. I, 39). Oss. IV. Valgono con analoghe dimostrazioni tenendo conto della def. I, i teoremi dati sulla circonferenza e sui punti comuni di due circonferenze dei n. 57-60, salvo che invece della retta all'infinito, laddove di essa si fa uso, si adoperi la polare del centro della circonferenza. Non vale però il teor. IX e non occorre qui il teor, XII del n. 59f Né fa bisogno il teor. Ili del n, 57 che si appoggia al teor. Vili, 55 e che

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372 abbiamo ancora da dimostrare *). Il teor. 1,58 si può dimostrare però indipendente- mente dal suddetto teorema riferendosi al teor. II, 57. Oss. V. Ad una circonferenza di centro C e di raggio r corrisponde un' altra circonferenza dello stesso raggio e col centro nel punto opposto di C, che contiene i punti opposti della prima. Una retta che incontra una delle due circonferenze in un punto incontra l'altra nel punto opposto ed una tangente in un punto, all'una è pure tangente all'altra nel punto opposto, e rispetto ad essa le due circonferenze giacciono da parti opposte. 8- Altre proprietà dei triàngoli del piano completo. 76. Teor. I. In ogni triangolo la somma di due lati è maggiore del terzo. Sia ABC il triangolo, (AB) il lato maggiore. Per gli altri due lati il teo- rema è evidente. Supponiamo che sia (AB) (AC) + (BC). I due cerchi di centri A e B e di raggi (AC) e (BC) si incontrerebbero in un punto C, mentre essendo (AB) = d, (AC) = r, (BC) = r', si avrebbe: d r + r ciò che è impossibile (oss. IV, 57 e teor. II, 60). Se (AB) = (AC) -4- (CB), C è sulla retta AB (teor. IV, 17); dunque bisogna che sia (AB) (AC) + (CB). Coroll. Ogni lato del triangolo è maggiore della differenza degli altri due. Oss. I. Valgono colle stesse dimostrazioni i teor. VI e coroll., teor. VII, teor. Vili del n. 55. Def. I. Dato un triangolo ABC, i poli A19 B^ Cl dei suoi lati situati dalla stessa parte dei vertici opposti ai lati determinano un yrf' triangolo che chiameremo triangolo reciproco o supple- mentare del triangolo dato. Teor. IL Un triangolo è reciproco del suo reciproco. Difatti A)B)C sono i poli dei lati B^, C^A^ A^ del triangolo reciproco (coroll. II, teor. I, 69), e ad es. A è situato dalla stessa parte di Al rispetto a B , perché flg. ^ Al è dalla stessa parte di A rispetto a BC, e quindi è situato nella parte A a, ossia A. B del piano (fig. 68). Oss. IL Nel disegno (fig. 68) i punti B e C sono situati nella parte (Aarì del pia- no, ma la dimostrazione vale anche nel caso che uno o tutti e due siano situati nella parte opposta (-4'a), essendo A' opposto di A. Teor. III. Gli angoli di un triangolo sono misurati dai segmenti supple- mentari dei lati del triangolo reciproco. Indichiamo con X( 6 , X( \ i punti d'incontro dei lati (AB), (AC) del triangolo ABC colla retta polare a di A, prolungati, se occorre, a partire da A. I poli Bl e o\ di AC e AB sono situati in a, e la loro distanza è supple- l) Vedi oss. i, 76.

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373 nlentaredì quella dei punti X * \ XW. Difatti se 1* angolo BACÒ acuto, allora B^ACl comprende l'angolo BAC, se invece è ottuso allora B^AC^ è compreso nell'angolo BAC. Tanto nell'uno come nell'altro caso non si ha mai (5,^) = (X( * X ac ), e quindi (^Ci) è supplementare di (XWXW) (fig. 68). Teor. IV. ue triangoli che hanno gli angoli uguali sono uguali. Siano ABC, A'B'C i due triangoli, e A^B^C^ A'1ffìC'ì i loro triangoli reciproci. Gli angoli dei primi sono misurati dai segmenti supplementari dei lati dei secondi, e quindi per l'ipotesi del teorema i due triangoli reciproci hanno i lati uguali e perciò sono uguali, e con essi i loro angoli corrispondenti che misurano i lati dei triangoli dati (teor. Ili, 17 e teor. Ili), dunque essendo uguali i lati di questi triangoli, i triangoli stessi sono uguali (teor. Ili, 17). Oss. III. Questa è un'altra proprietà del piano completo che lo contraddistin- gue dal piano Euclideo, perché in questo non basta l'uguaglianza degli angoli perché i triangoli siano uguali, come risulta dal teor. I, 45 e dal teor. I del n. 40. Teor. V. In ogni triangolo ciascun angolo aumentato di due retti è mag- giore della somma degli altri due. Difatti se ABC è il triangolo, A^^ il suo reciproco, si ha: (A}BÌ) (B,CÌ)^-(C1A}) (teor. I). e quindi (teor. Ili) ir BOA 2ir ( ABC -f CAB). da cui: BCA + ABC + CAB. Teor. VI. In ogni triangolo la somma dei tre lati è minore di quattro segmenti retti. Si consideri il triangolo ABC, ove A' è il punto opposto di A, si ha: (A1 C) + (BA) (BC) (teor. I) quindi (BC) + (C A] -f- (AB) (A C) + (CA) + (AB) + (BA) (def. I, 5 e ini e, 99). Ma (A'C) + (CA)~(AB) + (BA) = K, dunque il teor. è dimostrato. Teor. VII. In ogni triangolo la somma degli angoli è maggiore di due e minore di sei retti. Difatti nel triangolo reciproco A^B^ di ABC si ha: ossia (teor. Ili) Sic ( ABC + BCA -f CAB) 2 vale a dire ABC -f BCA -f- 'CAB ir. La seconda parte è evidente quando si consideri che nel triangolo nes- suno dei suoi angoli può essere uguale a ir. Oss. IV. Mentre dunque nel piano Euclideo la somma degli angoli di un trian-

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374 golo è uguale a due retti (teor. XI, 55), nel piano completo è sempre [maggiore di due retti. Teor. Vili. La somma degli angoli di un triangolo polare è uguale a tre angoli retti. Perché i tre lati sono due a due coniugati e perciò perpendicolari (co- roll. 1, teor. Ili e teor. IV, 69). .9 I versi degli angoli dei triangoli e dei fasci del piano Versi del piano Figure congruenti e simmetriche Sistemi continui di figure invariabili. 77. Oss. I. Valgono nel piano completo i teor. del n. 61, tranne il coroll, III del teor. X, colle stesse definizioni e dimostrazioni, tenendo però conto che un fascio ha due centri e un angolo due vertici, e che nei teoremi suddetti essi vanno conside- rati soltanto rispetto ad un centro e ad un vertice e che il fascio stesso, o il mede- simo angolo, considerato da centri o vertici opposti, ha versi opposti. Pel teor.. I ba- sta ricorrere alla dimostrazione di esso data nella nota LXXIV. Abbiamo però nel piano completo quest'altro teorema: Teor. L Se in un triangolo si scambia un numero dispari di vertici coi pun- ti opposti, si ottiene un triangolo di verso opposto; se invece si eseguisce un numero pari di scambi, si ottiene un triangolo dello stesso verso del triangolo dato. Siano dati infatti due triangoli ABC, A'B1 C* opposti. Gli angoli-SC.A, BOA sono di verso opposto (coroll. I, teor. X, 61 e oss. I), quindi i due triangoli ABC, ABC sono di verso opposto (teor. Vili, 61 e oss. I), così lo sono ABC A'BC, dunque ABC e ArBC sono dello stesso verso (teor. VII, coroll. teor. VI, teor. Vili, 61 e oss. I). Ma A'B C e AB'C sono di verso opposto, dunque lo sono an- che ABC, A'B'C. Coroll. Due triangoli opposti sono di verso opposto. Oss. II. Valgono gli stessi teoremi sulle figure identiche, congruenti, e simme- triche colle medesime dimostrazioni tranne il teor. II del n. 63. Vale però anche que- sto teorema : Teor. IL Due figure opposte sono simmetriche. Difatti due triangoli e quindi anche due angoli opposti corrispondenti sono di verso opposto, e perciò le figure opposte sono simmetriche (teor. V, def. I, 62 e oss. II). Oss. III. Nel piano completo valgono pure le stesse proprietà dei sistemi con- tinui di figure invariabili, date nel campo Euclideo del piano; soltanto manca il siste- ma parallelo che diventa nel piano completo un sistema circolare, e quindi anche si hanno le stesse proprietà del movimento reale delle figure piane senza deforma- zione, tranne il movimento di traslazione.

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375 10. Piani limiti assoluti di un punto. 78. Teor. I. Tre punti del campo limite assoluto di un punto A determina- no un piano situato nel medesimo campo. Siano -X"oo, YO,, Z^ i tre punti dati; le rette X^YW XXZW, Y^Z^ sono si- tuate tutte nel campo limite assoluto di A (teor. Ili, 32), e siccome tutte le rette del piano X^YJS* si appoggiano alle tre rette, ciascuna in due punti opposti (coroll. teor. IV, 68), così deriva che ognuna di queste è retta limite assoluta di A, e perciò ogni punto del piano X^Y^Z^ è situato nel campo suddetto, vale a dire tutti i suoi punti determinano un segmento retto col punto A.

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CAPITOLO III 1). Altre considerazioni sul sistemi di Euclide, di Lobatschewsky e di Rientrami. I- Assioma, delle parallele nel sistema di Lobatschewsky. - Perpendi- colare ad una retta, che la incontra e pasxa per un punto fuori della retta nei tre sistemi di geometria, indipendentemente dalle proprietà del fascio di raggi e del piano. 79. Oss. I. Oltre agli assiomi I-V che valgono nei tre sistemi di geometria (def, I 27), per caratterizzare il sistema di Lobatschewsky bisogna dare l'assioma delle pa- rallele conformemente alla def. I del n. 27, come pel sistema Euclideo l'abbiamo data nella nota XVI, mantenendoci nel solo campo finito (nota, I) e indipendentemente dal piano 2). Ass. VI. La retta che unisce un punto X di una retta data r con un pun- to R fuori di essa ha una retta limite (def. I, 12), allorquando il punto X percorre tutta la retta in uno dei suoi versi, ed ha un'altra retta limite di- stinta dalla prima allorquando la percorre nel verso opposto. Oss. IL Dai teor. I, 4, teor. Vili, 13 e dal coroll. I, della def. I, 13 risulta che la retta è aperta, e quindi vale per essa il teor. I, 14, Def. I. Le due rette limiti suddette si chiamano parallele del punto R alla retta r. 80. Oss. I. Per assioma delle parallele nel senso Euclideo considereremo ora quello analogo al suddetto, ammettendo però che le due rette limiti coincidano, come abbiamo dimostrato, sia colla def. II, 26 sia coli' ass. della nota XVI (teor. II, 46 e no- ta XLIV). Def. I. Fra i segmenti determinati dai punti Xdi una retta con un pun- to R fuori di essa si dice massimo (o minimo) ogni segmento (RA) pel quale i segmenti (RX), ove i punti X appartengono ad un segmento a sufficiente- 1) Di questo capitolo per le ragioni dette n U'oss. Il del n. 27 non ci serviremo nella seconda parte del nostro libro. 2) Colle nostre ipotesi astratte è escluso il sistema di Lobatschewsky intorno ad un punto qua- lunque dello spazio generale {oss. ir, 27 e teor. ir, 31). Premettendo invece le ip. V e Vi {27 e 30) e li- mitando le ip. 1 e li alle coppie di punti con una distanza della stessa specie o infinitesima di 1 or- dine rispetto all'intera retta (int. def. I, 94) in modo che nel campo infinitesimo di 2 ordine intorno ad ogni punto S esista un solo punto per il quale passano delie rette assolute, è reso possibile in questi campi infinitesimi e in quelli di ordine superiore il sistema di Lobatschewsky. Ma in questo caso esisterebbero punti e rette di categorie diverse, di modo che non vi sarebbe la stessa uniformità come colle ipotesi adottate.

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377 mente piccolo sulla retta da una parte e dall'altra di A e coli' estremo A9 sono minori (o maggiori) di (RA). Teor. I. Data una retta nei sistemi di Euclide e di Lobatschewsky, esiste una sola perpendicolare che la incontra e contiene un punto qualunque fuori di essa. Il segmento normale è il solo minimo. Siano AB la retta ed R il punto dati. Considerando la retta AB in un dato __ verso, ad es. in quello dato dal segmento (AB) (int. hli rl-a j ind. I, 64), vi è un raggio r passante per R che è li- mite dei raggi che passano per R e incontrano la retta AB (ass. VI, oss. II, 78 ; oss, I). Similmente nel verso opposto si ha un raggio analogo r". flg- * Quando un raggio RX9 essendo X sulla retta, si accosta indefinitamente al raggio r'9 (RX) non può mantenersi costante, al- trimenti X dovrebbe accostarsi indefinitamente ad un punto in r' ad ugual distanza da R (coroll. II, teor. IV, 12), il quale dovrebbe appartenere anche alla retta AB (teor. V, 10), il che per l'assioma delle parallele non è possibile. Né può (RX) da un suo stato (RXJ mantenersi minore di un segmento dato, per- ché X avrebbe in r' un punto limite ad una distanza minore di (RX), e un tale punto sarebbe anche sulla retta AB. Dunque (RX) diventa indefinitamente gran- de, perché deve diventare più grande di ogni segmento dato. Scelto quindi un segmento (RA), da r' a (RA) il segmento (RX) diminui- sce, mentre aumenta da (RA) verso r", anche se da (RA) verso r" diminuisce ancora. Vi deve dunque essere almeno un segmento minimo (def. 1). Infatti se (RB) è maggiore di (RA) (un tale segmento come abbiamo detto deve esiste- stere), se (RA) non è il minore dei segmenti (RX) il cui estremo X è in (AB), vi saranno altri punti A19 A2, Am,... pei quali (RA) (RAJ (RA^ X- A ) E se (RAm) non è ancora un minimo, la serie AAÌ... Am ... avrà un elemento limite Y che non può conincidere con B e tale che (RY) sarà minore dei segmenti pre- cedenti e maggiore dei segmenti immediatamente seguenti, di quei segmenti almeno che hanno i loro punti Xin un segmento (YY) in (AB) sufficientemen- te piccolo, eccetto che essi non siano tutti uguali in (YY) a (RY), il quale caso si presterebbe ancora meglio al nostro ulteriore ragionamento. In segmenti sufficientemente piccoli (YY') e (YY\) da parti opposte di Y in AB vi devono essere almeno due punti X e X19 tali che (RX)=(RXl), per- ché se per es. scelto il punto Xiu (YY') si avesse (RXf) (RX) in (YB)9 essen- do B un punto qualunque della retta AB nel verso del segmento (YY')9 vi sa- rebbe un punto Xl tale che (RXJ = (RX) (coroll. I, def. I e teor. VII, 13). E un segmento (RXr) (RX)9 per quanto si è detto, deve sempre esistere. Il triangolo XRX' è isoscele, e perciò il punto medio M di (XX') da una perpendicolare passante per R alla retta AB (teor. IV, 42 e nota XXXVI). Se vi è un' altra perpendicolare, sia M2 il suo piede e sia (M^MJ = (MjML2) (teor II, 4). Il punto M.z è il piede di un' altra perpendicolare perché i due trian- goli M2M1R, M-zM^R sono uguali per avere il lato (M^R) comune, i lati uguali (M^MJ e (M-tMj e le coppie M^R, M-2M,R uguali (teor. IV 42 e nota XXXVI). Se (M3M2) = (M2M^ nel verso da M2 a M19 i due triangoli MSM2R, M^M^R sono ugnali per la stessa ragione, dunque (RM3) (RMJ, e (RM3) è pure per-

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378 pendicolare alla retta AB. Così costruendo i segmenti (M3M4\ (M* M5) ecc. (Mn-iMn) uguali a (M^M^ si ha (RMn) = (RMì),e RMn è perpendicolare alla retta AB. Ogni punto X della retta nel verso dato a partire da Ml è compreso in un segmento (Mn-\Mn) (ass. II, e oss. IV, 4), dunque (RMn) ha per limite r' coli'aumentare indefinito di n, il che è impossibile essendo (RMn) costante. Dunque è assurdo che vi siano due perpendicolari. Si vede ora facilmente che il minimo (RY) deve coincidere con (RMJ. Di- fatti se Y non coincide con M19 esso sia ad es. compreso in (AMV). Scelto in un segmento (YY') ^(YMl) un punto X dalla parte opposta vi è un punto X' tale che (RX) = (RX')j e quindi essendo isoscele il triangolo XRX' il punto di mezzo di (XX') ci darebbe un' altra perpendicolare. Teor. IL 1. Indipendentemente daW assioma delle parallele se i punti di un segmento (AB) di una retta sono equidistanti da un punto R fuori di essa, tutti i punti della retta sono equidistanti dal punto R ; ed ogni retta passante per R che incontra la retta r è perpendicolare a questa retta ; 2. se la retta è chiusa, la distanza è u~i segmento retto se due punti opposti non determinano la retta, e la metà di essa se la determinano. 1) Siccome (AR) e (BR) sono uguali, il punto di mezzo M ci da una perpendicolare MR alla retta AB (teor. IV, 42 e nota XXXVI). Ora, sia C un punto di (AB), ad es. nel seg- mento (MB). La retta RC è pure perpendicolare ad AB, perché si possono scegliere due punti X e Y ad ugual distanza da C e compresi nel segmento (AB), basta che sia (CY) (CB). Costruito un segmento (CB^ = (CB) (co- roll. I, teor. III, 4), (RB^ è pure perpendicolare ad AB, 70 e quindi anche RB per l'identità dei triangoli BCR, B^CR. Slmilmente per RA. Si consideri ora il segmento (BAl)^(BA); dall'uguaglianza dei triangoli ARB, A^RB si ha (RA) = (RA^ (corali, teor. Ili, 16). Così se Y è un punto qualunque di (BA^), e si considera il segmento (BYJ = (BY) nel segmento (BA\ si ha (RY) = (RYl). Dunque tutti i-punti del segmento (BAJ sono equidistanti da R, e le rette che li con giungono col punto R sono perpendicolari alla retta AB. La stessa cosa vale per il segmento uguale ad (AB) che ha per secon- do estremo A nel verso da A a B (teor. II, 4). Ora, tanto nel caso che la retta sia aperta quanto in quello che sia chiu- sa (teor. I, 4), un punto qualunque della retta è punto di uno dei segmenti uguali ad (AB) consecutivi sulla retta a partire da A e da B, e perciò la pri- ma parte del teor. è dimostrata. 2). Se la retta è chiusa e se due punti opposti non determinano la retta, (che è il caso da noi prescelto pel sistema assoluto Riemanniano (ip. V e VI)), allora la retta RA incontra la retta AB nel punto opposto A', e si ha (RA) = (RA'); e poiché (ARA') è metà della retta, (RA) è un segmento retto (def. IV, 29). Nel secondo caso del sistema Riemanniano nel quale due punti opposti determinano la retta, il punto A' coincide con A, e (RA) è metà della retta, che

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379 si può chiamare anche in questo caso segmento retto, in relazione agli angoli del fascio di rette. Oss. IL Vale pure indipendentemente dalle proprietà del piano il teor. I, 31. Teor. III. Se un segmento normale da R ad una retta chiusa r è retto, tutti i punti di r sono equidistanti da R. Sia (RM) il segmento normale uguale ad un segmento retto, esso è mi- nimo o massimo, se i punti di r non sono a distanza costante da R, perché il segmento supplementare del minimo (def. m, 29) è in tal caso un massimo. I punti ad ugual distanza da M in r sono ugualmente distanti da R (teor. IV, 42, nota XXXVI e coroll. teor. Ili, 16). Essendo (RM) retto lo è an- che il segmento supplementare (RM*), essendo M e M' punti opposti sulla ret- ta (def. Ili, 6) indipendentemente che essi coincidano o no; e quindi se (RM) è per es. minore di (RA), (RA') è maggiore di (RM'). Ma se (AM) = (MB) in r, si ha (RA) = (RB), dunque fra B e A' vi è un punto X tale che (RX) = (RM), ed il teor. è dimostrato (teor. I, 31 e oss. II). Teor. IV. Nel caso che la retta chiusa r non abbia un segmento normale uguale ad un segmento retto, per un punto R fuori di essa passa una sola normale che incontra la retta r. Là dimostrazione di questo teorema è analoga a quella del teor. I. Sia (RM^) un segmento normale il quale dovrà essere minore di un segmento retto, e (#M\) il segmento opposto. Eseguendo la costruzione indicata pel teor. I nel- l'ipotesi che vi sia un'altra perpendicolare RM29 si ha: (M.M^n (MÌM'1) (MM1) (n-f 1) (int. e', 81 e oss. IV, 4) essendo (RMn) = (RMn+i) = (RMl) minori di un segmento retto. Ma (RM\)è maggiore di un segmento retto, e quindi in (MnM\)t (M\Mn+i) vi dovrebbero essere almeno due punti X e Xì tali da essere (XR) e (RXJ retti (coroll. I, def. I e teor. VII, 13), contro il dato (teor. I, 31 e oss. II). Dunque non può essere che vi siano due segmenti normali situati in rette distinte. Nella stessa maniera che pei sistemi di Euclide e di Lobatschewsky (teor. I) si dimostra che il segmento normale minore di un segmento retto è il solo minimo, e quindi il segmento supplementare il solo massimo l). i) Abbiamo dati questi teoremi, oltre che per dimostrare delle proprietà comuni ai tre sistemi di geometria indipendentemente dal piano, anche perché forse con esse e con quella del teor. i, 43, opportunemente modificata, si ha la via per dimostrare la proprietà del teor. iv, 46 del piano in tutti i sistemi di geometria, come noi siamo riusciti a fare senz' altri assiomi per il sistema Euclideo, basandoci però sulle proprietà delle parallele di questo sistema (teor. i, 45). Abbiamo però dimostrato le altre proprietà del piano di Riemann ed anche quella anzidetta am- mettendo Tip. vii per un solo punto. Per il piano di Lobatschewsky veggasi il n. seguente.

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2. Osservazioni sul piano di Lobatschewsky Altre proprietà che con- traddistinguono il sistema Euclideo supponendo date le pro- prietà comuni dei tre piani. La somma degli angoli del triangolo nel sistema di Lobatschewsky. 81. Def. 1. Per fascio di raggi incompleto nel sistema di Lobatschewsky in- tendiamo il sistema ad una dimensione di raggi che uniscono i punti di una retta r con un punto R fuori di essa, compresi i raggi paralleli. Oss. I. Mediante considerazioni analoghe a quelle svolte nella dimostrazione del teor. Ili della uota XLVI, ma più brevi, si dimostra che i due raggi limiti paralleli condotti da un punto ad una retta r formano lo stesso angolo colla perpendicolare che passa per R e incontra la retta r (teor. I). Pel fascio incompleto vale anche il teor. I, 43, soltanto che la retta r' (flg. 27) non è una parallela alla retta r, ma una retta che non incontra la retta r (no- ta XVI). Le parallele condotte da R ad r lo sono anche alla retta r' per l'identità delle due figure Rr, Rr'. Costruito un altro fascio incompleto col centro in R e con una trasversale (AB) che si appoggia alle due rette precedenti r e r\ scelta in modo che sia (RA) = (RB)^(RB') (teor. I, 80 e fig. 27), si ha un fascio completo. Il fascio completo ci da il piano e resta da dimostrare la proprietà del teor. IV, 46 (def. I, 46), che quindi noi qui ammettiamo *). Con considerazioni analoghe a quelle svolte per dimostrare il teor. IH della nota XLVI e a quelle per la dimostrazione del teor. IV della stessa nota, si dimo- stra che il fascio completo di Lobatschewsky è identico nella posizione delle sue par- ti e continuo, donde si ricava che da un punto di una retta si può condurre nel pia- no una sola perpendicolare alla retta stessa fint. 6, 99). Per questa proprietà del fascio completo se ne dimostrano alcune della circonferen- za, specialmente quella che riguarda le distanze di un punto dai punti di una cir- conferenza, come pure si può dimostrare la proprietà relativa ai punti d"1 interse- zione di due circonferenze, in modo analogo a quello tenuto nel sistema Euclideo. Osserviamo anche qui che il teor. I, 58 non dipende dal teor. Ili dello stesso nu- mero che si appoggia al teor. Vili, 55 che va dimostrato più lardi. Dall'ultimo teo- rema si deduce la costruzione di triangoli uguali con due vertici corrispondenti in punti qualunque dati nel medesimo piano e in piani diversi; da cui si deduce ap- punto T identità di tutti i fasci completi e di tutti i piani (nota LXXII), come pure l'identità delle parti in cui un piano viene diviso dalle sue rette. Così si dimostra la proprietà fondamentale che in un triangolo ogni lato è mino- re della somma degli altri due, sia col metodo seguito nel sistema Euclideo (teor. 1,55) sia con quello usato nel sistema Riemanniano. Nello stesso modo si dimostrano gli altri teoremi del n. 55 tranne il teor. XI, valendo però anche nel sistema di Lobat- schewsky il suo coroll. che si può dimostrare indipendentemente de esso come fa Euclide e tenendo conto dell' oss. della nota LV. Teor. L Se un quadrangolo piano ha i quattro angoli rettif è esclusa r ipo- tesi Riemanniana, e i suoi lati opposti sono uguali. La prima parte del teorema fu già dimostrata trattando del piano com- pleto (teor. V, 73), la quale proprietà vale anche nella seconda forma del si- 1) Vedi nota precedente.

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381 stema Riemanniano ; è escluso quindi che la retta sia chiusa, e perciò vale incondizionatamente la proprietà del coroll. del teor. XI del n. 55 (oss. I). Sia AA1BBÌ il quadrangolo, e supponiamo che sia (AB) (A^). Pre- so in (AB) il segmento (AK) = (A^,), nel quadrangolo ,/ ' AA^BiK gli angoli in A e Aj sono retti e perciò uguali, A M1 M C . "" - u________Q.a quindi AKBÌ = A K (teor. VI, 17). Ma l'angolo A^B^K è minore di un retto, mentre AKB^ essendo esterno al -i-* triangolo KBBl dovrebbe essere maggiore di un retto, i, il che è assurdo. Dunque deve essere (AB) = (A^), e A M, |M2 analogamente (AAJ = (BBJ. Teor. II. Se un quadrangolo piano ha quattro an- flg'7I goli retti, ogni quadrangolo piano che ha tre angoli retti ha anche il quarto angolo retto. Sia AjBA^ il quadrangolo con quattro angoli retti. La retta MMl che unisce i punti di mezzo di due lati opposti, ad es. (AB), (A,^) è perpendicolare ai due lati (teor. VI, 17). Il quadrangolo AMA,!/! ha pure quattro angoli retti, e quindi la retta che unisce i punti di mezzo di (AH) e (AjM^ riesce perpendicolare alle rette AB e A-Jìi. Dividendo dunque (AB) e (A^) per metà, e così via, le rette che congiungono i punti di divisione corrispondenti sono perpendicolari alle rette AB e A^. Con un procedimento analogo a quello usato nella dimostrazione del teor. I, 45 si dimostra che ogni retta che unisce due punti dei segmenti (AB) e (Aj^) ad ugual distanza da A e Aj è perpendicolare alle rette AB e AjJE^. Costruendo poi sulle rette AB e AlBl nei versi di B ad A, di #x ad Al il quadrangolo CC,AtA tale che sia (AC) = (A^), esso è identico al quadrangolo AA^B. Difatti i triangoli CAAj, BAA^ sono uguali (coroll. teor. Ili, 16), e quindi (CA1)^(BAÌ) e CAtA = BA^A, e perciò anche CAlC1 = 5A1jB1. I trian- goli BA-iB-v CA1C1 sono uguali per avere i lati (A^J, (CjAj); (BAj), (AjC) uguali e la coppia da essi compresa uguale, dunque l'angolo A C è retto. Così è retto ACC^ (teor. VI, 17), e quindi (CC^^AAJ (teor. I), dunque i due rettangoli BB^AA-^ AA^Cj sono uguali (teor. VII, 17). Se N è un punto qualunque della retta A , per es. dalla parte di C ri- spetto ad A, vi è sempre un numero n tale che (AB) n (AN) Conducendo dunque da N la perpendicolare alla AB, essa è perpendicolare anche alla retta A^Br Ciò vale pure per le rette A A,, BB^ Dato ora un quadrangolo qualunque XXY'Y che abbia tre angoli retti, per es. quelli in X, Y e X', sulla retta AB sia (AB) = (XY), e si tirino per A e B da una parte del piano i segmenti normali (AAJ, (BBJ uguali ad (XX*) e (YYf), e da At il segmento normale (A^) ad A A! che è dalla stessa parte di AJ2. Il quadrangolo AAl B\B è uguale al quadrangolo XX' Y'Y, perché i triangoli AAX , XX'Y; ABBflt XYY' sono uguali per avere due lati e la coppia compresa uguale (teor. Ili, 16), e quindi (A^J = (XY1), (BAl)^(YX'\ e anche AÌ#Z?i = X^YY', vale a dira i due triangoli A^BB'l9 X'YYr sono uguali,

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382 e perciò (A^'J = (X1 T) (coroll. teor. Ili, 17), dunque i due quadrangoli sud- detti sono uguali (teor. VII, 17). Se il punto #! non coincidesse col punto B19 vale a dire se l'angolo in B^ del quadrangolo AA^^ non fosse retto, dovendovi essere per la costruzione precedente un quadrangolo AA'^J? coi quattro angoli retti, il punto A\ non coinciderebbe con Alf e quindi neppure B\ con B19 e perciò da B'l si po- trebbero condurre due perpendicolari alla retta AA19 contro il teor. I del n. 80 (flg. 71). Teor. III. Se un quadrangolo piano ha quattro angoli retti, vale V ipotesi Euclidea. Nella figura descritta precedentemente possiamo riguardare le rette AB, AlBl come due perpendicolari qualunque alla retta AAX. La retta BAl forma con le due rette suddette i due angoli ABAlt BA^ uguali, perché sono uguali i triangoli BAAìf AlBBl per avere i tre lati uguali. Ma la retta BAl si può considerare come una traversale qualunque alle due rette AB, A^B,, perché è sempre diagonale di uno dei rettangoli prece- dentemente costruito di cui due lati sono sulle rette AB, A^. Di più, i triangoli ABA19 BAB^ sono uguali per avere due lati e la coppia compresa uguale, e perciò è BAB^ = ABAV dunque il triangolo ARB è iso- scele (teor. V, 55 e oss. I). Tale è per le stesse ragioni il triangolo AlRBl. I due triangoli ARB, A^Rl?, sono uguali per avere i tre angoli e un lato uguali, e perciò (AR) = (RBJ, (BR) = (RAl). Le due figure R. AB, R.A^Bj sono iden- tiche, e quindi due punti corrispondenti X e Xì in AB e A^ sono allineati con R e ad ugual distanza da R. Ma ciò vale per il punto di mezzo di ogni trasversale BAl delle due rette AB e A^B19 dunque la retta AB è parallela alla retta ArBr nel senso di Euclide e secondo la forma dell' assioma dato nella nota XVI (flg. 71). Data ora una retta r qualunque del piano ed un punto P pure qualunque fuori di essa, conduciamo da P il segmento normale (PPj) alla retta r, e scegliamo un punto A tale che abbia rispetto alla retta A^ un segmento normale (AAX) uguale a (PPJ. Basta a tal uopo condurre da A la normale ad A^, (teor. I, 80) e prendere (AAj) = (PP,). Le due figure A. A^ e Pr sono identiche (teor. V, 54 e oss. I), e quindi vi è una sola parallela per P alla retta r che corrisponde appunto alla parallela AB condotta da A alla retta A^,. Il teor. è dunque dimostrato. Teor. IV. Se tre punti di una retta data sono equidistanti da un'altra retta nel piano, vale l'ipotesi Euclidea. Sia AB la retta data, A, B, C i tre punti di essa che in un piano passante C Mi A M B O Per essa SODO equidistanti da tre punti A', ff, C di un altra retta A'B' ; in modo che per dato A', , C sono i piedi delle normali di A,B,C alla retta r\ e (AA1) = o1 fi - w Nel quadrangolo AA'BB' si ha ^AB = Ì?BA (teor. VI, 17). Uno dei tre punti A, B, C deve essere contenuto nel segmento

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383 degli altri due, e sia A compreso nel segmento (E C). Nei quadrangoli AA'CC, B8CC si ha: ^^ ^ ^ Ma si ha pure BBC= AAB, dunque AfAB^ifCA^^AC^ vale adire le rette A' A, B B, C* C sono perpendicolari alla retta AB. Avendo il quadrangolo AABB quattro angoli retti, il teorema è dimo- strato (teor. Ili) (fig. 72). Teor. V. Se in un triangolo rettangolo la somma degli angoli è uguale a due retti, in ogni altro triangolo la somma è uguale a due retti, e vale la ipotesi Euclidea. Difatti sia ABA^ il triangolo rettangolo in A colla somma degli altri due angoli in B e A ^ uguale ad un retto. Si costruisca il triangolo BA^Bl in modo che BA^Bl^ABA^ A^BBl^BA^A. I due triangoli BAAÌ e A^B sono uguali in tutti e tre i sistemi di geometria per avere un lato e i due angoli adiacenti uguali (teor. X, 55, oss. I, 74 e oss. I), e perciò si ha (AB) = (A^B^ (AA^^ (BBJ, e BAAl = BB^Al. Nel quadrangolo ABA^ gli angoli in A e in B^ sono retti ; cosi è retto l'angolo in AÌ9 perché si ha per dato ABAÌ +- AA^B = ir, e poiché ABAl = BA^BV si ha B^B -\- BA^A n. E per l'uguaglianza dei due triangoli ABB^ 1A1A aventi i tre lati uguali, l'angolo in B è pure retto. Ma in tal caso vale l'ipotesi Euclidea (teor. Ili), dunque il teor. è dimo- strato (teor. XI, 55). Oss. II. Senza ricorrere al teor. XI, 55 colla figura costruita nella dimostrazione del teor. II si proverebbe dapprima che in ogni triangolo rettangolo la somma è uguale a due retti, e poi in un triangolo qualunque ABC tirando da uno dei vertici A qualunque di esso la perpendicolare al lato opposto (HO. Teor. VI. Nel caso della retta aperta la somma degli angoli di ogni triangolo è uguale o minore di due retti. ia ABC il triangolo e la somma degli angoli di esso sia ir-f-a. Si congiun- ga A col punto di mezzo E di (GB) e si prolunghi di (ED) = (AE). I due trian- goli AEC, DEB,sono uguali e perciò la somma degli angoli del triangolo ABD è pu- re ir+a. L'angolo BAC è stato diviso nelle parti BAE, EAC, e nel triangolo ABD si ha ^BDÀ = DAC, quindi l'angolo BAD o l'angolo BDA è minore della metà di BAC, od uguale a questa metà nel caso che il triangolo BAC sia isoscele, e CI? la base (def. Ili, 9). Continuando la stessa operazione nel triangolo ABD^ dividendo cioè per metà il lato opposto all'angolo minore, e così via nei nuovi triangoli ottenuti, nei quali la somma degli angoli è uguale a rc-f-a, si arriva ad un triangolo nel quale si trova un angolo più piccolo di % a, e quindi la somma degli altri due dovrebbe essere maggiore di due retti, il che è assurdo __ per il coroll. I del teor. XI, 55, che vale indipendente- mente dal teor. XI stesso e incondizionatamente nei si- ng' ra stemi di Euclide e di Lobatschewsky. Dunque a deve es- sere o nullo o negativo. Coroll. La somma degli angoli del triangolo nel sistema di Lobatstfieivslvy è minore di due retti,

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384 Difatti la somma degli angoli non può essere maggiore di due retti (oss. II, 79). E se fosse uguale a due retti, tirando dal vertice dell'angolo maggiore la normale ad un lato si ha un triangolo rettangolo che, come si vede facil- mente per la ipotesi fatta avrebbe pure la somma degli angoli uguale a due retti, contro il dato (teor. V). Oss. HI. Si dimostra senza difficoltà che dato un raggio e un punto P fuori di esso si può condurre per P un altro raggio che in- contri il raggio dato e formi con esso un angolo più piccolo di ogni angolo dato, quando la retta è aperta. E considerando quindi tre rette due a due parallele nel sistema di Lobatschewsky senza che siano tutte e tre parallele fra loro, come lati di un triangolo coi vertici all'infinito, la somma degli angoli di un tale triangolo è uguale a zero. Oss. IV. Il triangolo di Lobatscheswky può essere rappresentato nel triangolo Euclideo nel modo indicato dalla fig. 74, mentre il piano di Lobatschewsky può essere rappresentato dai punti interni di una circonferenza in modo che si conservino gli angoli intorno al punto A centro della circonferenza, ed ogni corda, eccettuati gli estremi, rappresenti una retta nel piano di Lobatschewsky. I segmenti uguali in un raggio (BX^) sono rappresentati da segmenti che tvanno diminuendo verso X , e la serie di essi a partire da B ha per segmento limite il seg- mento (BXJ. flg. 74

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III. LO SPAZIO A TRE DIMENSIONI. CAPITOLO I. Lo spazio Euclideo a tre dimensioni. Costruzione della stella e dello spazio a, tre dimensioni. Prime loro proprietà. 82. Def. I, Sia dato un piano ir, e un punto P fuori di esso (oss. II, 2). Congiun- giamo il punto P coi punti del piano ir; le rette che così si ottengono, considerate quali elementi, determinano una figura che chiamasi stella di la specie, o sem- plicemente stella; P centro e ir piano direttore di essa. La indicheremo col simbolo (Pir) 1). Def. IL Se invece della retta si considera quale ele- mento il raggio limitato al punto P, la figura costituita da tutti i raggi limitati al punto P sulla retta suddetta conserva il nome di stella, e i suoi elementi si dicono raggi della stella. flg. 75 Oss. I. Per la stessa definizione ogni retta ed ogni fascio e quindi ogni piano della stella determinano un punto e una retta del piano ir. Teor. I. Due rette (o due raggi) di una stella determinano un fascio appartenente ad essa. Difatti due punti del piano determinano una retta r che giace nel piano (teor. IV, 46). Inoltre essendo il fascio determinato dal punto P con la retta (def. Ili, 27 o def. I, 30), e siccome ogni retta del fascio incontra la retta r (se è parallela la incontra all'infinito), ogni retta del fascio appartiene alla stella. Def. IH. Come il piano si è chiamato sistema a due dimensioni rispetto i) Nel campo finito Euclideo bisogna tener conto anche delle rette parallele a quelle del plano ir, eccetto che non s* introduca il punto ali* infinito improprio (nota XLIV). 25

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386 ai suoi punti (def. I, 46), altrettanto possiamo dire della stella di la specie ri- spetto ai suoi raggi o alle sue rette. Def. IV. Se nella stella consideriamo il punto quale elemento, la figura risultante si chiama spazia a tre dimensioni o semplicemente spazio. Lo in- dicheremo colla lettera S od anche col simbolo (Pie). Def. V. Ogni retta di w determina con P un piano che appartiene allo spazio S. Diremo perciò che il piano è situato o giace nello spazio S e passa pel punto P. Tutte le rette di rc determinano dunque tutti i piani di S pas- santi pel punto P. Inversamente, per definizione, ogni retta e ogni piano pas- sante per P in S intersecano ir rispettivamente in un punto e in una retta (oss. I). Oss. li. I primi enti dello spazio sono dunque il punto, la retta e il piano, e si chiamano perciò enti fondamentali. I punti e le rette li indicheremo in generale rispettivamente con lettere italiche maiuscole e minuscole, e i piani con lettere greche. Teor. IL Una retta che ha due punti comuni con lo spazio vi giace per intero. Infatti siano A e B i punti che la retta ha in comune 'con lo spazio S. Congiungiamo il punto P con A e B mediante due rette a e b che incontra- no il piano ir in due punti A', B' (oss. I); il piano PAB giace interamente nello spazio (def. V), e siccome la retta AB giace in questo piano (teor. IV, 46), giace anche nello spazio S (def. I, 2 e ini a, 13) (fig. 75) *). Teor. III. Un piano che ha tre punti comuni con lo spazio non situati in linea retta vi giace per intero. Siano A, B, C i tre punti che determinano il piano (coroll. II, teor. V, 46). Le rette AB, BC, CA giacciono nel piano e nello spazio S (teor. II). Una retta qualsiasi del piano incontra queste tre rette ciascuna in un punto che giace in S (coroll. II, teor. Ili, 46), e quindi essa stessa sarà situata intera- mente nello spazio S (teor. II) ; dunque in S giacerà anche P intero piano (de- finizione V). Coroll. I. Se i tre punti sono situati all'infinito^ il loro piano giace tutto all'infinito. Difatti le rette che con giungono due a due i tre punti giacciono all'infi- nito (coroll. teor. VII, 23 e oss. 31), come pure ogni altra retta che le incon- tra, vale a dire ogni altra retta del piano. Teor. IV. Lo spazio può essere generato da un piano e da un punto qualsivogliano di esso, purché il punto non giaccia nel piano. Gli spazi (Pw), (P'w) coincidono, perché ogni retta che congiunge un pun- to di ir con P giace nello spazio (Pw) (teor. II), e perciò ogni punto di (Pw) (def. IV) è un punto dello spazio (Pw). E inversamente, P è un punto dello spa- zio (Pw), perché la retta PP incontra il piano w in un punto P19 essendo Pf un punto dello spazio (Pw) (oss. I). Dato un punto R qualunque di (Pw), la retta i) servendoci della retta come forma fondamentale è evidente che bisogna dimostrare anche questo teorema, il quale fa intravedere da solo, e senza la oss. Il e la def. Il del n. 2, la possibilità degli spazi geometrici a più di tre dimensioni, ammettendo l'esistenza di un punto fuori del piano.

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387 PR incontra in un punto JBj che può essere all'infinito. La retta PR nel piano PP^j incontra la retta P^ in un punto (coroll. II, teor. Ili, 46), dunque R è un punto dello spazio (Prv), vale a dire ogni punto di (Prc) è un punto di (P ). Lo stesso accade degli spazi (P ), (Pir). Difatti se A', B, C sono tre punti non in linea retta di ir, le rette PA', PZ?', PC incontrano il piano ir in tre punti A,B,C perché A',I?9C giacciono nello spazio (Pir), e perciò il piano w è contenuto nello spazio (P*') (teor. Ili), ed ogni retta che congiunge P con un punto di è situata tutta nello spazio (Pir) (teor. II). Si conclude che coinci- dono anche gli spazi (PV), (Pie') e perciò anche (Pir), (P ) (int. nota 2, 13). Coroll. I. Quattro punti qualunque non situati in un piano determinano lo spazio a tre dimensioni, che viene determinato da quattro qualunque dei suoi punti non situati in un piano. Difatti il piano ir è determinato da tre dei suoi punti (coli. II, teor. V, 46 e def. IV). Se A'BCfP' sono quattro punti qualunque dello spazio (Pir), lo spazio P'.A' C' coincide col primo. 2. Intersezioni di rette e piani nello spazio. 83. Teor. I. Una retta ed un piano dello spazio hanno un solo punto comu- ne se la retta non giace nel piano. Siano TT ed r il piano e la retta dati. Per costruire lo spazio basta sce- gliere il piano TT e un punto P sulla retta r (teor. IV, 82). In tutte le rette dello spazio (Prc) passanti per P vi è anche la retta r, e siccome ogni retta di esso incontra il piano ir in un punto (oss. I, 82), il teorema è dimostrato. Teor. IL Due rette indipendenti non si incontrano. Infatti esse sono determinate da due coppie di punti ; e quattro punti in- dipendenti non sono situati in un piano, e perciò le due rette non si incontrano (int. def. II, 10; coroll. IH, teor. V, 46). Def. I. Due rette dello spazio non situate nel medesimo piano le chiame- remo sghembe. Teor. III. Due piani dello spazio si incontrano in una retta. Questo teorema si dimostra in modo analogo al precedente o in quest'al- tro modo. Siano a, a i due piani. La figura comune ad essi viene incontrata da una retta qualunque di a in un punto, nel punto cioè d'intersezione della retta col piano a (teor. I), dunque è una linea retta (teor. VI, 48). Teor. IV. Tre piani che non hanno una retta comune si incontrano in un solo punto. Siano a, a', a" i tre piani ; i due primi incontrano a" in due rette, le quali hanno un punto comune (coroll. II, teor. Ili, 46), che appartiene ai tre piani (ini a, 13).

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388 Oss. I. I tre piani possono anche avere una retta comune, Teor. V. Da un punto si può condurre una sola retta trasversale che in- contri due rette sghembe date. Il punto determina con le due rette due piani che si intersecano in una retta (teor. Ili), la quale incontra le due date e passa pel punto dato. È chiaro che se il punto fosse situato sopra una delle due rette vi sarebhero infinite trasversali comuni alle due rette, vale a dire tutte le rette congiungenti il punto dato coi punti dell' altra retta. Teor. VI. Tre rette due a due sghembe hanno un sistema ad una dimen- sione di trasversali comuni, che corrisponde univocamente e nel medesimo or- dine alla retta. Infatti per ogni punto di ciascuna di esse passa una sola retta che sega le altre due (teor. V, ass. II, a e ip. I; int. def. 1,62 e def. Ili, 42). Def. IL Le figure formate da tutti i piani che uniscono una retta r coi punti di un'altra retta s che non la incontra, riguardando il piano come ele- mento, si chiama fascio di piani, la retta r il suo asse, s la sua direttrice. I versi del fascio sono dati da quelli della retta direttrice. Teor. VII. Tutti i piani dello spazio passanti per ogni sua retta r deter- minano un solo fascio. Vale a dire se s è la retta direttrice, data un'altra retta qualunque ?', essa da un altro fascio di asse r che coincide col primo. Difatti un piano che passa per r e incontra s incontra anche la retta s\ e reciprocamente (teor. I), dunque ecc. Coroll. 1 piani di un fascio contengono tutti i punti dello spazio. Teor. Vili. Un fascio di piani è un sistema ad una dimensione semplice- mente chiuso. Se a è l'asse del fascio, e se A è il punto d'incontro di esso con un piano it^ogni piano del fascio incontra il piano ir in una retta passante per A (teor. Ili) ; e inversamente data una retta nel fascio di rette in ir e di centro A, essa deter- mina con a un piano che appartiene al fascio (teor. VII). Ad ogni retta del fa- scio in w corrisponde un piano del fascio di piani intorno ad a, e reciproca- mente ; dunque il fascio di piani è semplicemente chiuso, perché tale è anche il fascio di rette nel piano (teor. I, 30 e int. def. II, 63). Def. III. Come si può prendere quale elemento del fascio nel piano il raggio o la semiretta limitata al centro, così nel fascio di piani possiamo con- siderare come elemento il semipiano limitato ali' asse (def. II, 50 e coroll. II, teor. I, 47). In tal caso il fascio si chiama anche fascio di semipiani. 3. Piano ali' infinito Rette e piani paralleli. 84. Teor. I. Il campo limite assoluto dello spazio intorno ad un suo punto è un piano completo, e si può ritenere come piano limite assoluto di un punto qualunque del campo finito rispetto aW unità di questo campo,

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889 II piano determinato da tre punti Aw, BMÌ C^ limiti assoluti di un punto P è situato nel campo limite assoluto di P (def. IV, 32 e teor. 78). Siccome i lati del triangolo A^B^C^ sono situati nei piani dello spazio determinati da P coi tre punti A^ B^, C (oss. IV, 68) e ogni retta situata nel piano A^B^C^ incontra due lati di essi in due coppie di punti opposti (coroll. teor. IV, 68), le rette che queste coppie determinano con P sono nello spazio, e perciò la loro retta, essendo situata nel piano delle rette suddette, giace nello spazio. La seconda parte del teor. deriva dal teor. IV, 32. Coroll. Si può ritenere che il campo ali' infinito dello spazio rispetto al" l'unità Euclidea sia un piano. Difatti le parallele assolute condotte da un punto A alle rette di una stel- la di centro P (def. II, 32) coincidono colle parallele relative (teor. II e def. I, 32), e quindi possiamo ritenere che rispetto ali' unità Euclidea i punti limiti delle rette dello spazio siano nel piano limite assoluto di ogni punto dello spazio. Def. I. Chiameremo un tal piano, piano all'infinito dello spazio rispetto all'unità Euclidea (oss. 31). Oss. I. Siccome rispetto all'unità Euclidea delle distanze (conv. 28) ogni retta ha un solo punto ali' infinito, così rispetto a questa unità il piano ali1 infinito soddisfa al caso in cui due rette complete non possono avere due punti comuni, che noi abbia- mo escluso in senso assoluto coirip. VI (oss. II, 30). 85. Def. I. Una retta e un piano si dicono paralleli quando il punto all'in- finito della retta giace nella retta all'infinito del piano (def. I, 84). Teor. L In un piano parallelo ad una retta vi sono infinite rette parai" lele alla retta data. Tutte le rette cioè del piano che passano pel punto all'infinito della retta. Def. II. Due piani si dicono paralleli quando hanno la medesima retta all'infinito. Oss., I. Ad un sistema di rette parallele di un piano corrisponde un sistema di rette parallele del piano parallelo, le quali colle prime hanno un medesimo punto co- mune all'infinito. Teor. II. Da un punto si possono condurre infinite parallele ad un piano, e queste sono situate nel piano parallelo condotto dal punto al piano dato. Difatti ogni parallela condotta dal punto al piano ha il suo punto all'in- finito sulla retta all'infinito del piano, e queste parallele sono situate nel piano determinato dal punto e dalla retta all'infinito del piano dato. Teor. III. Due piani paralleli vengono intersecati da un terzo piano se- condo rette parallele. Infatti le rette s e s' d'intersezione del terzo piano coi due piani paral- leli si incontrano in un punto, cioè nel punto comune ai tre piani (teor. IV, 83), che è ali' infinito, cioè nel punto d'intersezione del terzo piano colla retta al- l'infinito dei due piani paralleli. Coroll. L Se una retta è parallela ad un piano, ogni piano passante per essa incontra il piano dato in una retta parallela alla data. Coroll. IL Se una retta è parallela ad un piano, la parallela condotta ad essa da un punto del piano giace in questo piano.

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Teor. IV. Due rette parallele intersecano due piani paralleli in quattro punti che sono vertici di un parallelogrammo. Le due rette sono situate in nn piano (coroll. IV, teor. V, 46) che inter- seca i due piani dati in due rette parallele (teor. Ili), e quindi il parallelo- grammo è costituito da queste due rette e dalle due date (def. I, 44). Teor. V. Se due piani passano per due rette parallele, essi si intersecano in una retta ad esse parallela. Difatti il punto ali1 infinito delle due rette parallele è comune ai due piani, e quindi è il punto all'infinito della loro retta d'intersezione. Teor. VI. Per un punto si può condurre uno ed un solo piano parallelo a due rette date situate o no in un piano. Basta congiungere il punto colla retta determinata dai due punti all'in- finito delle due rette. Se le due rette sono situate in un piano e il punto giace in questo piano, il piano parallelo coincide col piano delle due rette. Coroll. I. Per una retta si può condurre uno ed un solo piano parallelo ad un'altra retta che non incontra la prima. Esso passa per la retta e per il punto al]' infinito dell'altra retta. 05*. IL Costruzione di enti paralleli con elementi del solo campo finito. Siccome si sa costruire la retta parallela, che da un punto si può condurre ad una retta data, mediante la retta e il cerchio (oss. Ili, 60), così con questo mezzo si possono costruire rette e piani paralleli nel campo finito dello spazio. Per esempio, per costruire il piano parallelo condotto da un punto ad un piano, basta condurre pel punto due parallele a due rette del piano dato, e le due parallele determineranno il piano richiesto. Oss. III. Quando parliamo di una figura dello spazio intenderemo che i suoi punti appartengano allo spazio senza che tutti i punti di questo siano punti della figura data. Teor. VII. Se una figura dello spazio viene incontrata da ogni sua retta in un punto, essa è un piano. Infatti la retta di due punti A,B della figura per dato appartiene tutta intera alla figura data. In una retta dello spazio che non incontra la retta AB deve esservi per ipotesi un punto C della figura, e perciò le rette A C, BC giacciono in essa. Dunque anche il piano ABC appartiene tutto intero alle figura data, perché ogni retta del piano ha con essa più d'un punto comune. La figura non può avere un altro punto P fuori del piano AJ5C, perocché le rette che unissero il punto P coi punti del piano ABC giacerebbero nella figura, e per conse- guenza questa non sarebbe altro che lo stesso spazio, ciò che è contro il dato. Coroll. I. Se una figura dello spazio ha con tutti i piani di esso una retta comune, essa è un piano. Infatti da ciò si deduce che ogni retta dello spazio incontra la figura data in un punto. Teor. VIIL Se una figura formata da rette è tale che le sue rette si in- contrano due a due senza passare per un medesimo punto, essa è un piano o una figura piana. Difatti siano date tre rette della figura che si incontrano due a due, e perciò determinano un piano; tutte le rette situate fuori di questo piano non

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391 incontrano le tre rette in un punto (teor. IV, 46), e quindi tutte le rette della figura appartengono al piano. 4. Identità dello spazio intorno ai suoi punti del campo finito e del campo infinito Parti in cui lo spazio viene diviso da un suo piano. 86. Teor. I. Lo spazio è identico intorno ad ogni punto del suo campo finito. Lo spazio può essere generato dal piano e dal punto A oppure da un altro punto A' (teor. IV, 82) *), quindi le rette che congiungono il punto A coi punti del piano ir^ determinano l'intero spazio. Siccome possiamo riguar- dare ir come piano limite assoluto di un punto qualunque del campo finito (teor. I, 84), facendo corrispondere nelle due stelle di centri A e A' i centri stessi e le rette che congiungono gli stessi punti all'infinito, ad ogni triangolo di vertice A corrisponde nell'altra un triangolo identico, e quindi scelti due punti Xy Y nella prima stella, ad essi corrispondono due punti X\ Y nelle due rette corrispondenti alle rette AX, AY della seconda; e poiché i due triangoli AXY9 A'X'Y' sono identici per avere due lati e l'angolo compreso ugnali, si ha (XY)=i(X'lT). Dunque le due stelle sono figure identiche (teor. I, teor. Ili e coroll. II, teor. II, 15). Teor. IL Le stelle dello spazio aventi i loro centri nel campo finito sopra un piano vengono divise da questo piano in due parti identiche, che giacciono nette stesse due parti dello spazio. Un piano a della stella di centro A ha una retta all'infinito^, la quale divide, il piano all'infinito trw in due parti identiche opposte (teor. I, 71), e si sa pure che due punti opposti X^ X' sono situati da parti opposte rispetto alla retta a^ e che un'altra retta b^ è situata per metà nelle due parti op- poste alle rette aw (teor. II, 71). Con giungendo le parti ff *' del piano ir^ opposte rispetto alla retta aw col punto A si hanno le due parti della stella di centro A determinata dal piano a, che sono identiche per l'identità di * e ir'' e per l'identità delle distanze di A da punti di ir' e n'^. Queste due parti delle stelle di centro A deter- minano due parti dello spazio (def. IV, 82). fig 76 Sia ora B un altro punto del piano a, e indichiamo con b la retta AB. Scelto un raggio ad arbitrio AX della parte (Av^ dimo- striamo che ogni punto X di esso giace nella parte ( *' ,). Difatti il piano AXB, cioè |5, viene tagliato dalla retta b in due parti, una delle quali è situata nella parte (An^) ed ha una semiretta all'infinito #' , avente per estremi i te" 1) La dimostrazione del teor. IV, 82 è indipendente dal fatto che 11 piano generatore sia o no al- r infinito (teor. 1, def. I, 84). Alcune proprietà di questo paragrafo sono assunte tacitamente o no nei trattati elementari come assiomi.

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392 due punti ali1 infinito della retta b. Il punto ali* infinito del raggio Jt è sì tuato in (teor. II, 50), e quindi giace nella parte (Bn'^) della stella di centro B. Coincidendo le due parti (Aie' ), (^ir' ), coincidono anche le parti opposte (Aw'oo), (Sic' ), ed il teorema è dimostrato (teor. Ili, 15) (fig. 76). Def. I. Queste parti si chiamano parti dello spazio opposte al piano. Def. IL Diremo perciò che lo spazio viene divùo da un piano in due parti opposte al piano. Coroll. I. Le parti in cui lo spazio è diviso da un piano sono identiche. Perché ognuna di queste parti si ottiene congiungendo i punti di una delle metà del piano ir^, determinate dalla retta ali'infinito del piano dato, con un punto qualunque del campo finito del piano. Teor. III. Una retta ed un piano paralleli ad un piano dato sono dalla stessa parte di questo piano. Nel piano jS sia data una parallela alla retta b la quale è situata tutta da una stessa parte della retta b (teor. I, 50) ; siccome le parti del piano ]8 separate dalla retta b appartengono alle due parti della stella di centro A rispetto al piano a, il teorema nella I parte è dimostrato. Ed è dimostrata pure la seconda parte, giacché le rette di ogni piano parallelo ad un piano dato sono parallele a questo piano (def. I e II, 85). Teor. IV. Le due parti di un piano in cui viene diviso dalla sua retta d"1 intersezione con un altro piano ad esso non parallelo, giacciono nelle parti dello spazio opposte al secondo piano. Il piano j3 taglia il piano a nella retta , i cui punti all'infinito F , y^ appartengono alle due rette a^, b^. Ma i due punti Y^, y dividono la retta b^ in due parti uguali che giacciono da parti opposte nel piano * rispetto alla retta aw (teor. 11,71); quindi la retta b divide il piano j8 in due parti che giacciono nelle due parti opposte dello spazio rispetto al piano a. Coroll. I. Le parti di una retta determinate su di essa dal suo punto di incontro con un piano non parallelo alla retta^ giacciono nelle parti dello spazio opposte al piano. Basta considerare due segmenti a e a' o le parti di una retta sul piano j8 limitata in A (coroll. H, teor. II, 50) (fìg. 76). Coroll. II. Il segmento di due punti, che giacciono da parti opposte rispetto ad un piano, incontra il piano in un punto interno al segmento, e inversamente. Difatti la retta dei due punti incontra il piano in un punto S che determina sulla retta due parti situate da parti opposte rispetto al piano, nelle quali sono situati i due punti dati. Ma le due parti della retta sono opposte rispetto al punto S d'intersezione col piano, dunque esso è interno al segmento dei due punti dati X e Y. La proprietà inversa deriva dall' essere SX e SY raggi opposti e perciò situati da parti opposte del piano.

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393 5. Uette e piani perpendicolari. 87. 0 5. Il piano ir^ all'infinito dello spazio è uà piano completo (teor. I, 84). I raggi che due punti coniugati ali' infinito di irw determinano con un punto A del cam- po finito sono ad angolo retto (def. I, 69 e def. I, 39), e due rette dello spazio i cui punti all'infinito sono coniugati sono perpendicolari (def. V, 40). Def. I. Una retta ed un piano si dicono perpendicolari se il segmento normale del punto all'infinito della retta alla retta all'infinito del piano è retto (def. II, 73; teor. I e def. I, 84). Teor. L II punto all'infinito della retta è il polo della retta all'infinito di ogni piano ad essa perpendicolare (teor. I, 73 e def. I). Caroli. I. Le rette parallele ad una perpendicolare ad un piano sono pure perpendicolari al piano. Difatti esse hanno il medesimo punto all'infinito. Coroll. IL Tutte le perpendicolari ad un piano sono parallele. Difatti hanno lo stesso punto all'infinito. Coroll. III. Tutti i piani paralleli ad un piano perpendicolare ad una retta sono perpendicolari alla retta. Perché essi hanno la stessa retta all'infinito. Coroll. IV. Tutti i piani perpendicolari ad una retta sono paralleli. Difatti essi hanno la stessa retta all'infinito. Coroll. V. Una retta perpendicolare ad un piano è perpendicolare a tutte le rette del piano. Difatti se è data una retta , del piano ,, i suoi due poli A^, A'w sono coniugati a tutti i suoi punti (teor. I, II, 69). Se si congiunge un punto A con la retta a e coi due punti Awf A'M si ha un piano a, ed una retta a perpendicolare ad esso (def. I), Ogni retta passante ad es. per A nel piano o, ha due AL punti all'infinito Bao9 che sono coniugati rispetto ad AB e A'*,, dunque la retta b è perpendicolare alla retta a (def. V, 40) (fig. 77). flg 77 Coroll. VI. Tutte le rette perpendicolari ad una retta condotte da un punto di essa o fuori di essa sono situate in un piano (def. V, 40; teor. 1,69). Coroll. VIL Da un punto A di una retta o fuori di essa si può condurle uno ed un solo piano perperdicolare. Difatti la retta polare del punto all'infinito della retta a data, congiunta col punto A da uno ed uno solo piano perpendicolare alla retta stessa (def. I). Costr. L Per costruire questo piano con elementi del solo campo finito, se il punto A è situato sulla retta, basta condurre in due piani passanti per a le due normali ad a in A ( oss. Ili, 60), le quali determinano il piano richiesto. Se invece A è situato fuori di a basta nel piano Aa condurre da A la normale alla retta a che la incontra in un punto P. Il piano normale nel punto P alla retta conterrà evidentemente il punto A richiesto.

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394 Caroli. VIIL Da un punio dì un piano o fuori ài esso si può condurre al piano una sola perpendicolare. Difatti i poli della retta all'infinito del piano congiunti col punto dato determinano una sola retta normale passante per questo punto al piano. Costr. IL Per costruire questa retta con elementi del solo campo finito, se il punto giace nel piano dato, basta scegliere due rette del piano passanti pel punto, e condurre da esso i due piani perpendicolari alle due rette (costr. I). Questi due piani si intersecheranno nella retta normale richiesta, essendo normale alle due rette prescelte. Se invece il punto è fuori del piano dato, basta costruire due piani passanti pel punto e perpendicolari a due rette del piano (costr. I); questi due piani si interse- cheranno nella retta richiesta. Def. IL II punto d'incontro della normale col piano chiamasi piede di essa. Def. III. Due piani si dicono perpendicolari se i segmenti normali delle loro rette all'infinito sono retti (def. II, 73) x). Teor. IL Le rette ali' infinito di due piani perpendicolari sono coniugate (def. Ili, 69, coroll. II, teor. VII, 73 e def. III). Caroli. I. Tutti i piani paralleli ad un piano perpendicolare ad un altro piano sono perpendicolari a questo piano. Come il coroll. Ili, teor. I. Coroll. IL Per una retta passa un solo piano perpendicolare ad un piano dato. Difatti il piano cercato ha per retta all'infinito la congiungente il punto ali' infinito della retta coi poli della retta all'infinito del piano (teor* VI, V, 69). Coroll. III. Il piano normale condotto da una retta ad un piano contiene tutte le rette normali al piano che passano pei punti della retta. Costr. III. Costruendo una di queste normali è pure costruito il piano normale cercato. Def. IV. Il segmento del piano che contiene i piedi delle normali con- dotte al piano dai punti di un segmento fuori di esso, si chiama proiezione or- togonale o semplicemente proiezione del segmento dato sul piano. Teor. HI. Ciascuno di due piani perpendicolari contiene infinite rette perpendicolari aWaltro. E inversamente. Ogni piano che passa per una retta normale ad un altro piano è normale a questo piano. I due piani essendo perpendicolari, le loro rette all'infinito, che indi- chiamo con aw1 , devono essere coniugate, vale a dire ciascuna di esse passa pei poli dell'altra (def. Ili, 69). Siano Aa*, ossia a, Ab , ossia jS, i due piani dati. La retta che congiunge il punto A coi poli della retta 5W è situata nel piano a ed è perpendicolare a jS, così tutte le rette del piano a ad essa pa- 1) Si potrebbero dare per definizione dell'ortogonalità fra una retta ed un piano e due piani le proprietà dei teoremi i e il, ma oltreché queste contengono un numero maggiore di condizioni, avrebbero lo svantaggio di limitarsi al solo spazio a tre dimensioni, e quindi per ogni spazio bisognerebbe ripe- tere sotto altre forme queste definizioni, mentre quelle da noi date valgono indipendentemente dal numero delle dimensioni delle spazio in cui sono contenuti gli enti ortogonali.

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i'aìlele (corali. 1, teor. I). Analogamente la retta che congìunge il punto A coi poli della retta a^ è situata sul piano jS ed è normale al piano ; così tutte le rette del piano ]3 ad essa parallele. Il teorema inverso dopo questa dimostrazione è evidente (def. I, III, e teor. VI e V, 69). Teor. IV. Dati due piani, vi sono infiniti piani normali ad entrambi e tali che per ogni punto dello spazio ne passa unOj ed uno solo. Questi piani normali hanno per retta all'infinito la congiungente i poli delle rette all'infinito dei due piani, e quindi per ogni punto dello spazio e per questa retta passa un solo piano. Costr. IV. Questo piano si ottiene costruendo le due normali passanti pel punto ai due piani dati (costr. II). Coroll. I piani normali a due piani dati sono perpendicolari alla loro retta d'intersezione. Difatti la retta congiungente i poli delle rette all'infinito dei due piani dati è la polare del punto d'intersezione delle due rette (coroll. I, teor. II, 69 e def. I). Teor. V. Date due rette dello spazio vi è una sola direzione perpendico- lare alle due rette. Difatti la retta che congiunge i due punti all'infinito delle due rette ha due poli, che danno una sola direzione normale alle due rette (teor. II, 69 e def. I). Per ogni punto dello spazio passa una sola retta perpendicolare alle due rette. Costr. V. Per costruirla basta condurre dal punto i piani perpendicolari alle due rette ^costr. I) che si taglieranno nella retta richiesta. Coroll. Una retta perpendicolare a due rette è perpendicolare ad ogni piano ad esse parallelo (def. I, 85). Teor. VI. Vi è una sola retta normale a due rette sghembe che le incontra. Siano a e b le due rette. Se si congiunge a coi poli della retta congiun- gente i punti all'infinito delle due rette date, si ha un piano normale al piano parallelo condotto per a alla retta ; perché la retta all'infinito del primo piano, passando pei poli della retta all'infinito del secondo piano è coniugata a questa retta (def. II, 85, teor. VI e V, 69). Costr. VI. Per costruire questa normale con elementi del solo campo finito, si conduca per una delle rette il piano parallelo ali' altra (coroll. teor. VI, 85), e per le due rette i piani normali a questo piano (costr. Ili), i quali si devono incontrare nella normale cercata, perché essa è contenuta in piani normali alle due rette e nei quali esse sono rispettivamente situate. Teor. VII. Per un punto dello spazio passano infinite terne di rette due a due perpendicolari. Difatti se si congiunge un punto A coi vertici di ogni triangolo polare del piano all'infinito (def. IV, 69) si ottengono tre rette due a due perpendicolari. Costr. VIL Per costruire con elementi del solo campo finito una di queste terne

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396 scelta una di queste rette, basta condurre da A il piano normale a questa retta, e su di esso considerare due rette fra loro perpendicolari passanti per A, che con la prima daranno la terna richiesta. 6. Distanza, di un punto da un piano, di due piani paralleli, di una retta ed un piano paralleli, di due rette. 88. Teor. I. Il minimo della distanza di un punto fuori di un piano ai punti di questo piano è la distanza del punto dal piede della sua perpendicolare al piano. Siano ir e P il piano e il punto dati, S il piede della normale condot- ^ ta dal punto P al piano (coroll. Vili, teor. I, 87). jS|______t Nel triangolo PSA rettangolo in Sl'ipotcnusa (PA) è ^ sempre maggiore del cateto (PS) qualunque sia il punto A \^^^ nel piano ir (coroll. teor. II, 55) (fig. 78). ''^~~^'~^p Ose. È da osservare che la distanza del punto P dai punti : /^ di una retta del piano ir va sempre aumentando a partire dal B piede della perpendicolare alla retta condotta ad essa dal punto P (teor. Vili. 54), e considerando due segmenti qualunque (PA), figi 78 (PB) determinati dal punto P e da due punti A e B del piano ir, il loro piano interseca il piano ir lungo una retta e quindi se è (PA) (PZ?), in (AB) vi è un punto X almeno pel quale il segmento (PX) è compreso fra i segmenti (PA) e (PB) (coroll. I, def. I, e teor. VII, 13), Def. I. La distanza minima di un punto da un piano dicesi distanza del punto dal piano. I segmenti con un estremo nel punto P e l'altro estremo nel piano, che non sono normali al piano , si dicono obliqui. Teor. II. I segmenti obliqui aventi uguali proiezioni sono uguali e for- mano lo stesso angolo con la normale. Di due siffatti segmenti è maggiore quello che ha il suo estremo sul pia- no a maggiore distanza dal piede della normale. Se C è un'altro punto in modo che (SC) = (SA), i due triangoli PSA, PSC sono uguali, perché ambidue sono rettangoli in S ed hanno i due lati che com- prendono l'angolo retto uguali, cioè: (PS), (SA), (PS), (SC), dunque si ha pure (PA) = (PC) e CPS = APS. Se (SB) (SA) si può prendere su (SB) un punto Cf tale che sia (SC) = (SA), e si ricava (PC)==(PA). Ma (PB) (PC?) (teor. VII, 54), quindi (P#) (PA). Coroll. I. Vale il teorema inverso. Coroll. II. I punti di una circonferenza sono equidistanti da un punto qualunque della perpendicolare inalzata dal suo centro al suo piano. Infatti tutti i punti equidistanti da S sono equidistanti da P come pure da tutti i punti della perpendicolare condotta da S al piano, cioè della retta SP. Coroll. III. Tutti i punti di un piano equidistanti da un punto fuori di esso sono situati in una circonferenza che ha per centro il piede della perpen- dicolar e condotta dal punto al piano. Siano A e B due dei punti del piano * equidistanti dal punto P fuori di

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397 ir, ed S il piede della normale condotta da P al piano. I triangoli PSA9 PSB sono rettangoli in S, hanno un cateto comune e le ipotcnuse uguali ; dunque i triangoli sono uguali (teor. II, 55). Teor. III. Tutti i punti, da ciascuno dei quali sono equidistanti i punti di una circonferenza, sono situati sulla perpendicolare inalzata dal centro della circonferenza al suo piano. Difatti sia P un punto fuori di questa perpendicolare, S il centro, A e E due punti della circonferenza ; S il piede della normale condotta da P' al piano di essa. I triangoli rettangoli SAP, S'BP non possono avere le ipotcnuse (AF), (BP) uguali, perché in generale (S'A) non è uguale ad (tfJ5), non essendo S il centro della circonferenza,, e perché due triangoli rettangoli non possono avere un cateto e Tipotenusa uguali senza essere uguali (teor. II, 55) (fig. 78). Teor. IV. Se due punti A e A' hanno la medesima distanza rispettiva- mente da due piani a, e a', i segmenti che essi determinano coi punti di questi piani sono due a due uguali, e le figure da essi formati sono identiche. Siano S e S* i piedi delle normali condotte dai punti ai due piani a e a'. Facciamo corrispondere nelle due suddette figure al punto A il punto A', e sta- biliamo nei due piani una corrispondenza d'identità in modo che S1 corrispon- da ad 5 (teor. II e coroll., teor. Ili, 47). Siano (AC\ (A'C) due segmenti corrispondenti nelle figure (Aa), (Aa), es- sendo C e C punti di a e a. I due triangoli ASC, A'S'Cf sono rettangoli in S e /S", (AS) = (A' Sf), (SC)=(S'C) per la corrispondenza d'identità stabilita in a e ar, dunque i due triangoli sono identici e si ha (AC) = (AfC) e CAS = CfAÌ? Se X e T sono punti di (Aa)9 ad essi corrispondono due punti X' e Y di (A'a ) ad uguali distanze da A' tali che i triangoli AXY, A'X'Y' sono identici, quindi (XY) = (XfYr). Dunque le due figure (Aa), (A'a) sono identiche (teor. Ili, 15). Coroll. L Se due punti hanno la medesima distanza da un piano, i seg- menti che essi determinano rispettivamente coi punti dei due piani sono due a due uguali, e le due figure da essi formate sono identiche. Coroll. II. Se due punti giacciono in una perpendicolare ad un piano e e alla medesima distanza da questo piano, essi hanno la medesima distanza da ogni punto del piano. Teor. V. Le distanze dei punti di una retta da un piano ad essa paral- lelo sono uguali. Le normali condotte dai punti della retta al piano sono parallele (coroll. II, teor. 1,87) e sono situate in un piano (coroll. Ili, teor. II, 87), e perciò i loro piedi sono situati sulla retta d'intersezione di questo piano col piano dato, la qua- le è parallela alla retta data (coroll. I, teor. Ili, 85). I segmenti normali dei punti della retta al piano sono dunque uguali (teor. IV, 85 e teor. I, 44). Def. IL La distanza dei punti di una retta da un piano ad essa paral- lela chiamasi distanza della retta dal piano. Coroll. La distanza di una retta da un piano ad essa parallelo è la mi- nore distanza dei punti della retta da quelli del piano (teor. I). Teor. VI. Le distanze dei punti di un piano da un altro piano ad esso parallelo sono uguali. Pifatti le normali ad un piano IF sono tali anche rispetto ad un piano parai"

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398 lelo ir' a ir (coroll. IV, teor. 1,87). Siano A e B due punti del piano , la retta AB è parallela al piano w', e quindi le distanze dei punti A e B dal piano sono uguali (teor. V). Def. III. La distanza considerata nei segmenti normali dei punti di due piani paralleli (def. I, 5 e teor. VI) si dice distanza dei due piani. Coroll. La distanza di due piani paralleli è la minore distanza dei punti di un piano dai punti dell'altro piano (teor. I). Teor. VII. Due coppie di piani paralleli aventi la medesima distanza sono due figure identiche. Siano aft a fi le due coppie di piani e siano uguali le loro distanze. Fac- ciamo corrispondere ad un punto A di a un punto A' di a ; i segmenti deter- minati dal punto A coi punti di jS formano una figura identica a quella dei segmenti determitati da A' coi punti di f? (teor. IV). E stabilendo una corri- spondenza d'identità anche nei piani a e a' in modo che i punti A e A' di a e a' si corrispondano, due altri punti corrispondenti hanno la stessa proprietà dei punti A e Ar, e il teorema è perciò dimostrato (teor. Ili, 15). Teor. Vili. Le figure rettilinee determinate da due gruppi di quattro punti ABCD, A'BCD' sono identiche se i segmenti rettilinei *che hanno per estremi i punti dati sono ordinatamente uguali. Diamo qui un' altra dimostrazione di questo caso del teor. VII del n. 17 valevole in generale *). Siano ABCD i quattro punti (Liti non situati in un piano, poiché altrimenti le figure sarebbero piane (teor. IV, 46 e def. IV, 38), e siano inoltre A' CD' i loro punti corrispondenti e X e Y due punti della prima figura. Le rette XD, YD incontrano il piano ABC in due punti Z e W(teor. 1,83). Stabilita la corrispondenza d'identità de- tcrminata nei piani dai quattro triangoli dei quattro flg TO punti, indichiamo con E ed F i punti d'intersezione della retta ZW coi lati AB, BC. In A'B' e BC esistono i punti E' ed F' corri- spondenti, tali che si ha (DE) = (D'E'), (DF) = (D'F'),DEF=ffEfFr. E sicco- me i punti corrispondenti Zr e W nel piano A'ffCf ai punti Z e W determi- nano rispettivamente con E', B due triangoli identici ai triangoli che Ze W de- terminano con E e D, essendo (EZ)=(ErZt)ì (EW) = (E' W), si ricava (DZ)~(D'Z') (DW) = OD' W) oltre che è (ZW) = (^ W). Quindi i due triangoli DZW, TtZ W sono identici, da cui ZDW= ZWW ; e perciò essendo (DX)=(D'X*),(DY)= (ti Y') si ha (XY) = (X'Y) (fig. 79). 89. Teor. I. Il segmento normale a due rette sghembe, avente i suoi estremi sulle due rette, da la distanza minima da un punto di una qualunque delle due rette a un punto dell' altra. Dalle due rette si conducano i due piani ad essi rispettivamente paral- leli ; il segmento normale alle rette avente i suoi estremi in esse lo è pure ai due piani (coroll. teor. V, 87), ed essendo esso il segmento minimo tra i segmenti dei punti dei due piani, lo è anche tra i punti delle due rette (coroll. teor. VI). \) 41 13 considereremo il caso generale, come abbiamo fatto pel piano (teor. IV, 62).

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399 Oss. I. Nel piano completo due rette hanno due distanze normali comuni, che abbiamo chiamato distanza minima e massima delle due rette (teor. VII, 73). In tal caso però la minima è tale pei due estremi del segmento normale alle due rette ma, siccome si incontrano in due punti opposti, si è visto che vi sono dei segmenti, aventi i loro estremi sulle due rette, minori del segmento normale ma che non lo sono però per entrambi gli estremi. Nei presente caso invece non esiste alcun altro segmento (A^) minore od egua- le al segmento (AB). Teor. IL I segmenti obliqui aventi i loro estremi in due rette sghembe ad ugnai distanza dagli estremi del segmento normale comune sono uguali, e for- mano gli stessi angoli con le due rette. Siano a e b le due rette date, a e i piani passanti per esse e ad esse ri- spettivamente paralleli, (AB) il segmento normale. Siano inoltre i punti C e D della retta b e i punti E ed F della retta a equidistanti rispettivamente da B e A. Dimostria- mo dapprima che (EC) = (FD), Siano C e D'i piedi delle f 5^ ^ normali condotte da C e D al piano a, i quali sono si- fe tuati sulla parallela b' condotta da A alla retta b (co- flg. so poli. Ili, teor. II, 87 e coroll. I, teor. Ili, 85). Si ha (coroll. II, teor. 1,87; teor. 1,44) (CCr) = (AB)=(DDt). Ora i due triangoli ECA, FD'A sono uguali, perché hanno due lati e la coppia compresa uguale, cioè (C'A) = (AD') (teor. IV, 85; coroll. II, teor. I, 87 e teor. I, 44), (EA) = (AF), EAC' = FAD' (teor. II, 17), dunque si ha (CE) = (D'F) (coroll. teor. Ili, 16). I due'triangoli ECfC, FD'D sono pure uguali, perché sono rettangoli in C e V ed hanno i cateti ordinatamente uguali, cioè (CE) = (I/F), (CC1) = (DIX), dunque (EC)=(FD), come volevasi dimostrare. Per dimostrare la seconda parte del teorema, osserviamo che i due trian- goli AEC, AFD sono uguali per avere i lati uguali, cioè (AE) = (AF), (FC) = (FD), e inoltre (AC) = (AD) essendo segmenti obliqui rispetto alla retta6, le cui proiezioni sulla retta b sono uguali (teor. Ili, 54). Dunque AEC = ^AFÌ). Analoga- mento BCE=JlDF, e. v. d.*) (fig. 80). 055. II. Se due segmenti obliqui sono soltanto uguali, non si può concludere che i loro estremi siano equidistanti dagli estremi del segmento normale alle due rette. Difatti se S è il piede della normale condotta da D alla retta a, il punto non coin- cide con A, e prendendo su a un punto F" tale che (FS) = (SF), si ha (FD) = (F*D) = (JBC), ma non per questo si ha (AF) = (AF) = (AE). Coroll. I. Se a e d, b e b' sono le parti di due rette sghembe a partire dagli estremi del loro segmento minimo (AB), le figure (ab), (a'b')9 oppure (ab') (a'b), sono identiche. Difatti prendendo i punti EeCinaebei punti E' e C in ar e b' ri- spettivamente ad ugual distanza dai punti Ae B,\e due figure rettilinee ABEC, ABE'C sono identiche, perché i segmenti determinati dai primi quattro punti 1) Premettendo la teoria degli angoli e dei triedri a quelle delle distanze, il teor. si potrebbe di- mostrare cosi. Dal triangolo isoscele CAD si ha cosi si ha : _ _ perché retti. Di più i diedri JEABC, FABD sono opposti all'asse AB, dunque sono uguali, e perciò i due triedri A. BCE.A. BDF sono uguali e quindi acche gli angoli EAC, FAD. Dunque i due triangoli EAC, PAD sono identici avendo (EA)^(FA), (AC)^(AD) e l'angolo compreso uguale.

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400 sono uguali ai segmenti determinati dagli altri quattro (teor. VII, 17 o teor. Vili, 88). Oss. III. Dati due segmenti obliqui uguali di due rette sghembe, che con una di esse formano angoli uguali, essi formano angoli uguali anche con la seconda retta ; e la retta che unisce i punti di mezzo dei segmenti determinati dai loro estremi sulle due rette è la perpendicolare comune (teor. VI, 17). Teor. III. Due coppie di raggi che hanno lo stesso angolo e la medesima distanza sono identiche. Siano ab, a'V le due coppie di raggi, a e J8, a e $ i piani che passano ordinatamente per un raggio di una coppia e riescono paralleli all'altro, (AB), (AB') i due segmenti normali. Nei piani a e a conduciamo per A e A' i rag- gi fy e b\ paralleli e dello stesso verso dei raggi b e V; si deve avere (àb^=. (db\) (coroll. I, teor. I, 40). Siano C e C', F ed F" due coppie di punti ad ugual distanza rispettiva- mente da B e #, A e A sui raggi b e b', a e d. Conduciamo per C e C* le pa- rallele ad (AB) e (AB') fino all'incon- tro in Cj e C\ dei due raggi 6T e b\ j^si ha (ACJ = (AC,')i essendo per dato (BC) = (ffC) (coroll. II, teor. I, 87, teor. I, 44). I triangoli A^F, À F sono uguali avendo fig. si due lati e l'angolo compreso uguali, dun- que (^F) = (C\F'). 1 triangoli F^C, F'Cfl sono pure uguali perché rettangoli in (f e Cl e per avere i cateti uguali; dunque si ha (FC) z=(F'C). Si ha inoltre (AC) = (AC)9 (BF) =( ), perché per es. A e A hanno la stessa distanza dalle rette b e b1 e i segmenti (AC\ (A C1) hanno su b e b' proiezioni uguali. Dunque i quattro punti ABCF, ABCF* hanno due a due la stessa distanza, e quindi determinano due figure rettilinee identiche (teor. VII. 17, opp. teor. Vili, 88) nelle quali le coppie di raggi (aè), (a'br) e i loro estremi A e A sono punti corrispondenti. Coroll. Due coppie di rette sghembe che hanno gli stessi angoli e la mede- sima distanza sono identiche. Oss. IV. Due coppie di raggi che hanno lo stessso angolo o una stessa distanza non sono in generale identiche, perché nel primo caso i segmenti normali ai raggi delle due coppie in generale sono disuguali, nel secondo caso perché non hanno in gene- rale lo stesso angolo. 7. Angoli di raggi, rette, semipiani e piani. 90. Angolo di un raggio e di una retta con un piano. Oss. I. Sia dato un raggio a e un piano |3 e supponiamo dapprima che l'estremo A del raggio sia situato sul piano. Siano inoltre A^ e b^ il punto e la retta all'infinito del raggio e del piano dati. La distanza del punto AM dai punti della retta ha un minimo e un massimo che vengono misurati a partire da AM sulla perpendicolare condotta da A^ alla retta 6^; e sono le distanze del punto A^ dalla retta (teor. VII, 73) (fig. 82).

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401 Scelta un* altra retta VM e un altro punto A'^, se la distanza minima, o la mas- sima, del punto A' dalla retta ' è uguale a quella del punto A* dalla retta w, le figure piane formate dalle due rette b^ e V coi due punti AW e A M sono iden- tiche, vale a dire la distanza dei punti della retta w dal punto A^ sono uguali ri- spettivamente alle distanze dei punti corrispondenti della retta 'w dal. punto A^, intendendo per punti corrispondenti delle rette bw e 'M quelli equidistanti in un dato verso dal piede del segmento normale minimo o mas- simo condotti ad esse da Aw e A'^ (teor. Ili, 15). Ma se un segmento obliquo avente i suoi estremi in A B e o*, è uguale ad un segmento obliquo avente i suoi estremi in A^ e b' M, in generale le due figure (A^b^), (A' V^ per questo solo fatto non sono identiche, vale a dire le di- stanze dai due punti A^ A'* dalle due rette bMf b'M non sono uguali. Per angolo del raggio a col piano jS non si può dun- que prendere quello che esso forma con un raggio qualun- que b del piano limitato peres. in -4, se si vuole che Tan- flg- tt golo fra il raggio e il piano possa essere considerato come elemento di confronto fra due figure identiche. Se si ha un altro piano jg1 e un altro raggio a' e se b' è un raggio di f? che for- ma con a' lo stesso angolo di a con 6, non possiamo concludere per ciò che si è detto prima che gli angoli formati dai raggi a e a' con tutti i raggi dei loro piani corrispondenti j5 e fS siano uguali, anzi si può dire che in generale non lo sono. Ma se invece come misura dell' angolo del raggio a col piano /3 consideriamo la distanza minima del punto A^ dalla retta e così per il raggio a' col piano |5', se le due distanze minime di A* e A dalle loro rette corrispondenti bM e b'w sono uguali, sono altresì ordinatamente uguali gli angoli che i raggi a e a' formano coi raggi dei plani corrispondenti jS e |3\ e perciò te figure (aj3) e (a^) sono identiche (fig. 82). Dunque : Def. I. Per angolo di un raggio con un piano intenderemo 1' angolo che viene misurato dalla distanza minima del punto all'infinito del raggio alla retta all'infinito del piano. Teor. I. L'angolo che un raggio fa con un piano è quello che esso rag- gio fa con la sua proiezione sul piano. Difatti la normale condotta dal punto Aw alla retta bx passa pei poli di questa retta, e quindi il piano determinato dal raggio a e dalla normale sud- detta è il piano normale del raggio a al piano (coroll. II, teor. II, 87), e se d è l'intersezione di questo piano col piano jS, d è la proiezione del raggio sul piano, e l'angolo (ad) è misurato dalla distanza minima di AM e b^ Coroll. L'angolo di un raggio con un piano è il minore dei due angoli che il raggio fa con la retta della sua proiezione sul piano. Difatti il secondo angolo è misurato dalla distanza massima di A^ di bx e le distanze minima e massima sono supplementari (teor. VII, 73). Teor. II. V angolo che un raggio fa con la sua proiezione in un piano è l'angolo minimo che il raggio fa con tutti i raggi del piano. Perché la distanza del punto A^ da ogni punto della retta b^ che non sia il piede del segmento normale minimo, è maggiore di questo minimo (teor. VII, 73). Coroll. V angolo che il raggio fa col prolungamento della sua proiezione sul piano è massimo. 26

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402 Def. IL Per angoli di una retta con un piano intendiamo quelli che sono misurati dalle distanze minima e massima dei suoi due punti opposti al- l'infinito dalla retta all'infinito del piano. Oss. II. Siccome queste distanze sono situate sulla perpendicolare condotta da uno o dall'altro dei punti ali' infinito della retta alla retta ali'infinito del piano, ne consegue che esse prese insieme danno quattro retti e danno precisamente la misura degli angoli che la retta data fa con la sua proiezione sul piano dato. Oss. III. La def. I vale evidentemente anche quando il raggio non ha il suo estremo sul piano. In tal caso due figure date ciascuna in questo modo, saranno evidentemente identiche se il segmento compreso tra I9 estremo del raggio e il punto d'incontro del suo prolungamento o di esso col piano sarà uguale nelle due figure. Probi. Costruire con elementi del campo finito un raggio che passi per un punto P e formi un angolo dato con un piano. Basta condurre dal punto dato P la normale al piano (coroll. Vili, teor. IV, 87) e per questa far passare un piano che sarà normale al dato (teor. III, 87), e lo inter- secherà secondo una retta passante per il piede A della normale suddetta. Se si con- sidera un raggio di questa retta limitato in A e se da A nel piano normale suddetto si conduce un altro raggio che formi col primo l'angolo dato (osa. Ili, 60), tirando dal punto P il raggio parallelo, questo sarà uno dei raggi richiesti. Da questa costru- zione risulta che il problema ammette infinite soluzioni. 91. Diedro e angolo diedro. Def. I. Un fascio di piani incontra il piano all'infinito ir^ in un fascio di rette, che ha per centri i punti all'infinito X^X'M opposti dell'asse del fascio. E ai semipiani del fascio corrispondono i raggi o semirette del fascio nel piano ,, limitati ai due punti X^ Xr00. Ai settori angolari di due semirette a^, b^ del fascio corrispondono due parti del fascio di piani determinati dai due se- mipiani a e j3, che si chiamano diedri, e che insieme presi costituiscono l'in- tero fascio. Per diedro di due semipiani intenderemo sempre quello che corrisponde al settore angolare più piccolo delle loro semirette all'infinito, eccetto che ì due diedri dei due semipiani siano uguali. I due semipiani si chiamano facce ; l'asse del fascio, spigolo del diedro. Se un diedro si considera come sostituibile ad un altro identico in ogni relazione con altri diedri, esso si chiama angolo diedro 1). Se a e sono le facce di un diedro, lo indicheremo col simbolo (ojS). Def. II. Come le due semirette a^, 6W considerate in torno al punto X^, o X'^ determinano due settori angolari piani che insieme presi costituiscono il piano completo, quando si considera il punto come elemento, così due semi- piani di un fascio determinano due parti dello spazio intorno all'asse del fascio che si chiamano pure diedri; ed anche in questo caso per diedro di due se- mipiani intenderemo la parte dello spazio che corrisponde al diedro nel fascio. Oss. I. Usiamo la stessa parola in uno e nell'altro caso perché ogni diedro del fascio determina un diedro dello spazio, e reciprocamente, sebbene in sostanza siano enti diversi, per essere l'elemento nel primo il semipiano, nel secondo il punto; il primo è un ente ad una dimensione, mentre il secondo è a tre dimensioni (int. 110). Teor. I. Un diedro è costituito dai semipiani che congiungono T asse coi ?) L'angolo diedro o la grandezza intensiva del Diedro (int. def. ir, a e e, HI).

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403 raggi di un angolo i cui lati sono sulle facce di esso (coroll. II, teor. II, 71 e def. I e II). Teor. IL Un diedro è tagliato da piani paralleli secondo angoli uguali. Difatti i piani paralleli tagliano le facce del diedro secondo raggi paral- leli (teor. Ili, 85). Quelli situati in una faccia sono diretti nel medesimo verso, perché hanno lo stesso punto all'infinito (def. II, 33), e quindi i settori ango- lari in cui viene tagliato il diedro dalla serie di piani paralleli sono uguali (teor. I. 40). Coroll. Due semipiani qualunque sono tagliati da piani paralleli in raggi che hanno lo stesso angolo. Difatti sono intersecati in raggi paralleli, e quelli di un semipiano sono diretti nel medesimo verso. Teor. III. Ad angoli uguali nel piano all'infinito corrispondono diedri uguali nei fasci di piani i cui assi passano pei vertici degli angoli dati. Siano oo, b^ alo5 , , le due coppie di lati dei due angoli all'infinito, X^ X'^ Xlao, X*100 i loro vertici, che sono coppie di punti opposti ; oc e ac siano gli spigoli di due diedri aventi ali' infinito i due angoli dati. Si stabilisca una corrispon- denza d'identità fra i due angoli, in modo che a X^ e X'^ corrispondano i punti Xlao e -X*100, e sia data una corrispondenza d'identità fra i due spigoli x e o?! dei due diedri, nella quale A e A siano due punti corrispondenti. Il piano ir si può considerare per l'unità finita come un piano limite asso- luto di ogni punto del campo finito, e quindi anche di A e di Al (teor. I, 84). Scelti due punti Y e Z nel primo diedro e congiunti con Aì essi danno due raggi AYj AZ che determinano all'infinito due punti Y^, Z dell'angolo (a^b^}. Co- struiti nell'angolo ( joofy ) i punti corrispondenti Ylao, Z^ si ha: (3^^) = (^ioo^ioo)' I triangoli YXAZM, Y^A^Z^ sono identici (teor. Ili, 34) e quindi Y^AZ^ = Y^A^^ (teor. Ili, 42), dunque costruiti nei raggi A1Y1009 A Z^ i punti Y^ dal punto Aì ad uguali distanze di quelle dei punti Y e Z da A, i triangoli AYZ, A^Z^ sono uguali per avere due lati e l'angolo compreso uguali (teorema II, 42) e quindi (YZ)^(Y1Z1)Ìdunque i due diedri sono figure identi- che (teor. Ili e coroll. II, teor. II, 15). Coroll. I. Lue angoli disuguali (# , ) (^ioo^i ) determinano intorno a due rette cc e sclf passanti per i loro vertici, diedri disuguali oc. a^b^ a?,. loo#1ao. Basta immaginare l'angolo (a^b'*} contenuto in ( ) ed uguale all'an- golo ( Ioo*ioo) II semipiano ocfl^ è compreso nel diedro oc.aj)^^ e siccome il fascio di piani e semipiani è semplicemente chiùso (teor. Vili, 83), si ha oc.ajtì^ #?.#00 w,e quindi x.aj)v #.alw 100 (int. def. II, 61). Coroll. IL Due diedri colle facce rispettivamente parallele sono uguali o supplementari. Teor. IV. Due diedri uguali determinano ali''infinito angoli uguali. Siano #. , x.altnb^ i due diedri,e supponiamo che sia (a^b^) (aìnbl xt). In tal caso i due diedri non sarebbero uguali (coroll. I, teor. IH), dunque ecc. Teor. V. L'angolo diedro è misurato dalla distanza normale delle due semirette aW infinito delle facce del diedro. Difatti gli angoli diedri di un fascio di piani pei teoremi precedenti si possono confrontare (misurare) mediante gli angoli del fascio determinato dal

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404 primo nel piano all'infinito. Ma gli angoli del fascio in questo piano, che è un piano completo (teor. I e def. I, 84) si possono confrontare per mezzo dei seg- menti che essi determinano sulla retta polare dei centri del fascio (teor. IV, 69). Scelte inoltre due semirette a^ w di un angolo, se Aw, B^ sono i loro punti d1 intersezione colla retta polare dei vertici dell'angolo, (A^ J è il segmento normale alle due semirette (def. II, 73), che da la loro distanza normale. Teor. VI. Un fascio di piani è identico nella posizione delle sue parti e continua. Perché tale è la proprietà della polare del punto ali1 infinito dell'asse del fascio. Teor. VII. Un diedro (afi) è identico atto stesso diedro considerato nel verso opposto. Perché tale è la proprietà di un segmento rettilineo (int. , 99 o e, 104). Def. HI. Se si taglia un fascio di piani, o un diedro, con un piano nor- male all'asse o allo spigolo, il fascio di rette, o l'angolo, che ne risulta si chiama sezione normale del fascio o del diedro. Teor. Vili. Se due diedri sono uguali o disuguali, le loro^sezioni normali sono uguali o disuguali, e inversamente. Congiunto un punto A dello spigolo di un diedro coi due punti A^ B^ estremi del segmento normale delle due semirette # ,, , . si ha un piano normale allo spigolo nel punto A, perché la /retta A^B^ è la polare del punto all'infinito di questo spigolo (teor. I, 87), e quindi se i segmenti normali alle coppie di semirette all'infinito delle facce dei due diedri sono uguali, i due angoli delle sezioni normali sono ______^ uguali (def. I, 39). flg. ss Se invece sono uguali le sezioni normali, ciò significa che i segmenti normali alle coppie di semirette all'infinito delle facce sono uguali, e perciò i due diedri sono uguali. Inoltre a diedri maggiori o minori corrispondono ordinatamente sezioni normali maggiori o minoli (fig. 83). Def. IV. Per angolo di due semipiani qualunque s'intende quello misu- rato dal segmento normale delle loro semirette all'infinito (coroll. I, teor. VII, 73). Teor. I. L'angolo di due semipiani è il minimo, o il massimo, degli angoli che un raggio di uno di essi fa con un raggio dell'altro, e reciprocamente. Difatti siano a e j5 i due semipiani, a* , 6W le loro semirette ali' infinito, (A^^) il segmento normale. Il segmento normale (A^B*) delle due semirette, anche se non hanno gli estremi comuni, da la distanza minima tra i punti di una retta e i punti dell'altra, se è minore di un segmento rotto, o la distanza massima se è maggiore di un retto (coroll. I, teor. VII, 73 e def. IV) (fig. 83). Oss. IL Si possono scegliere due punti C^Ao il cui segmento sia minore di (A^ ), ma non sia minore né pel punto né pel punto D dai punti dell'altra retta; ne consegue che anche nei due semi piani vi sono raggi e e d il cui angolo è minore dell'angolo dei semipiani, ma non è il minimo né per e rispetto ai raggi dei semi- piano a, né nello stesso tempo per d rispetto ai raggi del semipiano . Coroll. L'angolo supplementare dei due semipiani è nel primo caso il massimo e nel secondo il minimo fra i raggi dei due semipieni.

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405 f. V. I diedri che hanno lo stesso spìgolo, e tali che le loro facce sono situate in due piani, e le facce dell'uno sono opposte a quelle dell'altro ri- spetto allo spigolo comune, si chiamano diedri opposti. Teor. X. Due diedri opposti sono uguali. Difatti essi hanno all'infinito due angoli opposti al vertice che sono uguali (teor. II, 40 e oss. I, 69). Def. VI. Per diedri e angoli di due piani a e intendiamo i diedri e gli angoli dei semipiani ( ), (ba')y ( '6'), ( ' ); essendo a e a\ b e b' i semipiani determinati in a e /3 dalla loro retta d'intersezione. 05*. III. Si ha: (a e rispetto alla loro misura è: Il minore, o il suo opposto, degli angoli diedri di due piani si chiama anche an- golo diedro o semplicemente angolo dei due piani; se sono tutti uguali basta evi- dentemente considerarne uno soltanto. Teor. XI. I diedri di due piani hanno due piani dissettori perpendicolari fra loro. Difatti gli angoli delle due rette Ioo, 100 ove sono situate le semirette aao a' ' all'infinito di a e a',/3 e fi hanno due bissettrici (cor. II, teor. IV, 69), che unite col punto A danno i piani bissettori dei diedri dei due piani, che sono fra loro perpendicolari (teor. II, 87). Probi. Costruire con elementi del campo finito un semipiano che faccia un an- golo dato con un altro semipiano colla stessa retta limite. Da un punto A della retta limite x del semipiano dato basta condurre un piano normale ad essa, che lo intersecherà in un determinato raggio a. In questo piano normale si conduca poi un altro raggio b pel punto ^l,che formi con a l'angolo dato (oss. III. 60). Il semipiano determinato dalla retta x e dal raggio b sarà il richiesto. Da ciò si vede che il problema ammette due soluzioni. 8. Identità dello spazio intorno ai suoi punti all'infinito e alle sue rette. 92. Teor. I. Lo spazio è identico intorno ad ogni suo punto all'infinito. Siano X^Y^ due dei suoi punti all'infinito. Tagliamo le stelle che hanno i vertici in X^ e YM con due piani perpendicolari alle loro direzioni. L'iden- tità fra le due stelle si può stabilire mediante l'identità dei due piani e fa- cendo corrispondere i vertici fra loro. Teor. II. Tutti i fasci di piani non paralleli sono identici. Difatti le rette all'infinito che li misurano sono identiche (teoiv V, 91; coroll. Ili, teor. VI; coroll. I, teor. II, 69 e teor. I, 8). Coroll. Lo spazio è identico intorno ad ogni sua retta del campo finito. Teor. III. Un fascio di piani paralleli è identico nella posizione delle sue parti e continuo.

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406 Difatti scelta una perpendicolare alla direzione dei piani, ai segmenti uguali delle perpendicolari corrispondono parti uguali del fascio, e in versa- mente (teor. IV, 85). La dimostrazione di questa uguaglianza è analoga a quella data per i fasci di rette parallele (teor. Ili, 48). E le proprietà quindi dei seg- menti della perpendicolare alla direzione dei piani si cangiano in altre pro- prietà del fascio. Teor. IV. Tutti i fasci di piani paralleli sono identici. Perché tali sono le rette che li misurano. CorolL I. Lo spazio è identico intomo ad ogni sua retta ali9 infinito. 9- Angoloide Triedro. 93. Def. I. La figura rettilinea determinata da n raggi abc... uscenti da un punto P si chiama angoloide oppure ennispigolo. I raggi , b, e,... sono gli spi- goli, il punto P il vertice, i settori (ab], (oc),... formati dai suoi raggi le facce, e i diedri formati dalle facce i diedri dell'angoloide. Il diedro formato dalle due facce (ab) e (bc), o il suo angolo, lo indiche- remo col simbolo abc oppure cba. L'insieme delle facce dell'angoloide considerate come settori piani (def. II, 46), si chiama superficie dell'angoloide. Def. IL Se l'angoloide ha tre soli spigoli , b, e, esso chiamasi triedro o trispigolo. Lo indicheremo col simbolo abc. Se P è il vertice e ABC tre punti degli spigoli, lo indicheremo anche con P.ABC. Siano abc i tre raggi uscenti da un punto P dello spazio, A^B^C^ i loro punti all'infinito. Le facce del triedro sono misurate dai lati del triangolo A^ A ) C*, (def. L 39). Gli angoli di questo triangolo misurano invece i diedri del triedro (def. II, 91). La parte interna ed esterna del triàngolo A^B^C^ ci da la parte dello spazio interna ed esterna al triedro (oss. 1, 72). Def. III. Come nel triangolo abbiamo i prolungamenti dei lati che con essi costituiscono le tre rette del triangolo, così nel triedro abbiamo i prolunga- menti delle facce che con queste costituiscono i tre piani del triedro. Come ogni vertice del triangolo è opposto al lato degli altri due, così ogni spigolo del triedro lo diremo opposto alla faccia degli altri due. Ogni diedro del triedro è opposto alla faccia opposta al suo spigolo. Gli spigoli d'un triedro sono i prolungamenti di quelli di un altro triedro; i due triedri si dicono opposti al vertice. Essi hanno all'infinito due triangoli opposti. Teor. I. Le parti di spazio racchiuse dai diedri abc, bcaf cab di un triedro abc limitate dalle facce opposte coincidono. Questo teorema deriva tosto da quello analogo del piano completo (teo- rema I, 72 e def. II). Coroll. I. Un angolo collo stesso vertice del triedro e i cui raggi sono in-

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407 terni al triedro o siala superficie ài esso, e senza giacere tutto in ma, giace nell'interno del triedro (oss. I, 72 e def. II). Coroll. II. Due punti interni ad un triedro, o di due facce di esso, deter- minano un segmento interno al triedro (corali. IV, teor. II, 50 e caroli. I). Coroll. III. La parte interna di ogni triangolo avente i suoi vertici nel- l'interno di un triedro, o almeno su due facce, è interna al triedro. Coroll. IV. Due piani che passano per due spigoli e per due punti interni delle facce opposte del triedro si incontrano in un raggio della parte intema, e inversamente (oss. I, 72, def. II). Oss. I. Come tre rette nel piano air infinito determinano otto triangoli le cui parti interne prese insieme costituiscono l'intero piano, così tre piani passanti per un punto dello spazio determinano otto triedri le cui parti interne costituiscono l'intero spazio. Teor. 11. Ai raggi interni di un triedro sono opposti i raggi intemi del triedro opposto (teor. II, 72 e def. II). Coroll. I. Se un raggio passante pel vertice di un triedro è esterno al triedro e non interno al triedro opposto, uno solo dei tre piani che lo congiun- gono cogli spigoli incontra una faccia opposta in un raggio interno (coroll. teor. II, 72). Coroll. II. Una retta che non incontra uno spigolo o incontra due facce del triedro compreso anche l'opposto, in punti interni e la terza in un punto esterno, oppure incontra le tre facce in punti esterni l). Basta considerare il piano che passa pel vertice del triedro e per la retta data. Se il piano incontra il triedro in due raggi esterni, le sue rette sono anche esterne al triedro e ali1 opposto, e il coroll. è dimostrato. Se invece lo taglia in due raggi interni, i prolungamenti sono interni al triedro opposto, e quindi anche in tal caso il teor. è dimostrato. Oss. IL Può darsi che i punti interni della retta appartengano rispettivamente ai due tiedri opposti, anziché ad uno solo ; in tal caso la retta incontra la superficie di ciascuno dei due triedri in uu solo punto interno. Teor. III. Un piano passante pel vertice del triedro o incontra interna- mente due facce ed esternamente la terza faccia, oppure incontra tutte e tre le facce esternamente (teor. Ili e oss. II, 72 e def II). Teor. IV. In ogni triedro la somma di due facce è maggiore della terza (teor. I, 76). Coroll. Ogni faccia di un triedro è maggiore della differenza delle altre due (coroll. teor. I, 76). Teor. V. In un triedro alla faccia maggiore sta opposto il diedro mag- giore, e inversamente, al diedro maggiore sta opposta la faccia maggiore (oss. I, 76). Coroll. I. Se due diedri di un triedro sono uguali, le facce opposte sono uguali. 1) 11 postulato dato per es. da Sannia e d'Ovidio I. e. pag. 405. Se per un punto interno a una faccia di un angoloide convesso (ma non su uno spigolo) si tira una retta, che non stia nel piano di quella faccia, questa retta incontrerà la superficie dell* angoloide in un altro punto e in uno solo deriva senz'altro dal teorema analogo da noi dato (nota, 51) per un poligono convesso considerato nel piano all'infinito, che vale anche nel piano completo.

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408 E inversamente. Se due facce sono uguali i due diedri opposti sonò uguali (teor. Ili, 42; teor. V, 55, oss. 1, 76). Def. IV. Se il triedro ha due facce uguali, dicesi isoedro. La terza feccia si chiama base. Ad ogni triangolo equilatero all'infinito corrisponde un triedro che ha tutte e tre le facce e tutti e tre i diedri uguali; esso si chiama equiedro. Se il triangolo all'infinito del triedro è coniugato polare (def. IV, 69) gli angoli delle facce dei diedri sono retti (def. I. 39), e in tal caso il triedro dicesi equiedro rettangolo, o trirettangolo. Teor. VI. In un triedro isoedro il piano che unisce la òissettrice della base con lo spigolo opposto è perpendicolare alla base, e trisseca il diedro delle facce uguali. Ciò deriva dalle proprietà del triangolo all'infinito del triedro isoedro, che è isoscele (teor. IV, 42 e def. II; teor. V, 69 e teor. II, 87). Teor. VII. In due triedri che hanno due facce uguali, la terza faccia è maggiore in quel triedro in cui le sta opposto il diedro maggiore, e inversa- mente (oss. I, 76). Def. V. Al triangolo reciproco o supplementare di un triangolo dato nel piano all'infinito (def. I, 76) corrisponde il triedro reciproco o supplementare al triedro dato. Oss. IL Dato il triedro abc, per ottenere il triedro reciproco per la def. VI basta condurre dal vertice del primo i raggi perpendicolari ai piani delle facce e dalla stessa parte dello spigolo rimanente. Teor. Vili. Se un triedro è supplementare ad un altro, questo è supple- mentare al primo (teor. II, 76). Teor. IX. Gli angoli delle facce e dei diedri di un triedro sono uguali ri- spettivamente agli angoli dei diedri e delle facce del triedro supplementare (teor. Ili, 76). Teor. X. In un triedro ciascun angolo diedro aumentato di due retti è maggiore della somma degli altri due (teor. V, 76). Teor. XI. In ogni triedro la somma della facce è minore di quattro an- goli retti (teor. VII, 76). Teor. XII. In ogni triedro la somma degli angoli diedri è maggiore di due e minore di sei retti (teor. VII, 76). Teor. XIIL Lz somma degli angoli diedri e dette tre facce di un triedro trirettangolo è uguale a tre retti (teor. Vili, 76). 10. Triedri uguali. 94. Teor. I. I triedri che hanno gli spigoli paralleli e diretti nel medesimo verso sono uguali. Difatti un triangolo all'infinito da luogo per ogni punto del campo finito dello spazio ad un triedro, e siccome il piano alii1 infinito può ritenersi come

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m piano lìmite assoluto rispetto ad ogni punto del campo finito (teor. I, 84), così tutti questi triedri sono uguali. Teor. IL Due triedri che hanno le facce uguali sono uguali. Perché i loro triangoli all'infinito avendo i tre lati uguali sono uguali (teor. Ili, 17 e def. II, 93). Teor. III. Due triedri che hanno i diedri uguali sono uguali (teor. IV, 76 e teor. Ili, 15). Teor. IV. Due triedri che hanno due facce e il diedro compreso uguale sono uguali. Perché i loro triangoli all'infinito avendo due lati e l'angolo compreso uguali sono uguali (teor. II, 42 e oss. I, 69). Teor. V. In triedri uguali a facce uguali stanno opposti diedri uguali, e inversamente. Deriva dalla proprietà analoga dei triangoli all'infinito dei due triedri (teor. I, 42). Teor. VI. In una delle parti in cui lo spazio è diviso da un piano non esistono due triedri uguali aventi una faccia comune nel piano dato (oss, 1, 74). Teor. VII. Due triedri che hanno due diedri e la faccia comune ad essi uguali sono uguali (oss. I, 76). Teor. Vili. Due triedri opposti al vertice sono uguali. Perché i loro triangoli all'infinito essendo opposti sono uguali (teor. 111,30). Teor. IX. I triedri trirettangoli sono uguali in sei maniere diverse. Perché i loro triangoli all'infinito hanno la stessa proprietà (coroll. II, teor. Ili, 69). Teor. X. I piani delle facce di un triedro trirettangoto dividono lo spazio in otto triedri trirettangoli (teor. IV, 72). Tetraedro. 95. Def. L La figura rettilinea determinata da quattro punti dello spazio non situati in un piano (def. I, 9) chiamasi tetraedro. I punti dati sono i ver- tici, i segmenti e i triangoli determinati da essi gli spigoli e le facce del te- traedro. Per spigoli e per facce intenderemo anche le rette e i piani deter- minati dai quattro vertici. Per triedri del tetraedro intenderemo quelli de- terminati dagli spigoli limitati in uno qualunque dei vertici, e per diedri del tetraedro quelli dei suoi triedri. Def. II. Un vertice dicesi opposto alla faccia degli altri tre; così uno spigolo è opposto a quello che contiene i due vertici non situati su di esso. Ind. I. Il tetraedro dei punti A, B, C, D lo indicheremo col simbolo ÀBCD. Def. III. La figura costituita dalle facce (triangoli) del tetraedro si chia- ma superficie o contorno del tetraedro. Teor. I. Le parti dello spazio interne ai quattro triedri del tetraedro li- mitate dalle facce opposte coincidono.

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410 La parte interna del triangolo ABC è situata nell'interno del triedro D. ABC del tetraedro ABCD (coroll. IH, teor. I, 93). Sia P un punto interno al triangolo ABC; il segmento DP è interno allo stesso triedro. Sia P un punto di questo Segmento, basta dimostrare che esso è interno ad uno qualunque de- gli altri tre triedri del tetraedro. Il raggio AP è situato entro l'angolo CAB (teor. I, 51), e quindi l'angolo DAP è interno al triedro A. BCD (coroll. I, teor. I, 93), e perciò anche il segmento AP è interno ad esso. Dunque il punto P giace nella parte interna del triedro A. BCD, e per la stessa ragione anche degli altri due triedri del w tetraedro (fig. 84). Def. IV. Le parti interne dei triedri di un tetraedro costituiscono ciò che si chiama la parte interna del te- traedro. La parte rimanente dello spazio, compresa la su- perficie, si chiama parte esterna del tetradero *). Def. IV. Per punto interno o esterno al triangolo s'intende un punto della parte interna o esterna, ma non situato sulla superficie. Se una figura ha tutti i suoi punti interni o esterni al tetraedro, anche se ne ha alcuni sulla superficie di esso, dicesi interna od esterna al tetraedro. Coroll. Le parti interne dei diedri dei triedri del tetraedro, limitate dalle facce di esso, coincidono (teor. I, 93). Coroll. II. Il segmento di due punti interni del tetraedro o di due facce di esso, giace nell'interno del tetraedro. Siano X, Ydue punti, l'angolo A .XY giace nell'interno del triedro A . BCD (coroll. I, teor. I, 93). Se X', y' sono i punti d'intersezione dei raggi AX e A Y colla faccia BCD, il segmento (X'Y') è interno a questa faccia (coroll. Ili, teor. I, 51). Ma il triangolo AX'Y è interno al triedro A. BCD (coroll. Ili, teor. I, 93), dunque (XY) è interno al tetraedro (int. a, 13). Coroll. III. La parte interna di un triangolo che ha i suoi vertici interni al tetraedro o sulla superficie di questo ma non sulla stessa faccia, è interna al tetraedro stesso. Siano X, Y, Z i vertici del triangolo; i lati sono interni al tetraedro (co- roll. II) e così anche i segmenti che hanno i loro estremi su di essi (coroll. Ili, teor. I, 51). Ma questi contengono tutti i punti della parte interna del trian- golo (coroll. I, teor. Ili, 51), dunque ecc. Oss. I. I quattro piani del tetraedro dividono lo spazio in 15 parti che si chia- mano regioni: e cioè le quattro interne ai quattro triedri del tetraedro da essi for- mati, le quattro parti date dai triedri opposti, le sei parti date dai diedri opposti agli spigoli e finalmente le rimanenti parti opposte alle facce. Teor. IL Un piano che non passa per alcun vertice del tetraedro e incon- tra uno spigolo in un punto interno : i) Senza alterare i teoremi seguenti relativi a queste parti, esse potrebbero essera definite in modo che non vi appartenesse la superficie del tetraedro, come abbiamo fatto per il cerchio (def. Hi, 57), ma bisognerebbe farlo altora anche pel triangolo e quindi pel triedro (def. 1,51 ;oss. I, 72 ; def. li, 93).

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ili U* o incontra internamente altri due spìgoli òhe col primo passano per il medesimo vertice; 2. o incontra altri tre spigoli in punti intemi, uno dei quali è opposto al primo spigolo, e gli altri due sono opposti fra loro. Sia ABCD il tetraedro, e (AB) lo spigolo che è incontrato in un punto interno da un piano .La retta d'intersezione colla faccia ABC interseca un'al- tro lato di questo triangolo in un punto interno(teor. 111,51),peres. (AC);essa incontrerà quindi (BC) in un punto esterno. La retta d'intersezione col trian- golo ACD taglia (AG) in un punto interno, e perciò incontrerà un'altro lato del triangolo in un punto interno per es. (AD) e il lato rimanente (DC) in un punto esterno. La retta d'intersezione colla faccia BCD incontrando i due spigoli (BC), (DC) in punti esterni interseca anche il terzo spigolo in un punto esterno (coroll. teor. Ili, 51). Se invece il piano taglia lo spigolo (BC) in un punto interno, non in- contra lo spigolo (AC). Per avere un caso diverso dal primo bisogna che nel triangolo BCD incontri il lato (CD) e non il lato (SD) in un punto interno (il che è possibile), allora esso incontra necessariamente il lato (AD) del triangolo ADC, e perciò il piano interseca internamente le coppie di spigoli opposti (AB), (CD);(BC), (ÌM) (fig. 84). Coroll. I. Separati i vertici del tetraedro in due gruppi, un piano può in- contrare internamente soltanto gli spigoli che uniscono i vertici di un gruppo con quelli dell'altro; e quando esso incontra internamente uno spigolo e non contiene alcun vertice, rispetto ai suoi punti d'intersezione interni cogli altri spigoli, i vertici si separano sempre in due tali gruppi. Questo risulta evidentemente dalla dimostrazione precedente. I gruppi pos- sibili sono dunque dei tipi: (A)(BCD), (AB)(CD). Coroll. IL Se un piano incontra i tre spigoli passanti per un vertice qualunque del tetraedro in punti esterni, esso incontra tutti gli spigoli in punti esterni. Teor. III. Se una retta g che non incontra alcuno degli spigoli del te- traedro, incontra una faccia in un punto interno Pìf essa interseca un'altra fac- cia in un punto interno e le altre in punti esterni. Il piano Ag incontra la faccia ABC secondo la retta AP^ la quale deve tagliare (BC) in un punto interno P'2 (coroll. IV, teor. II, 50). Il piano Ag interseca pure la faccia BCD secondo una retta che passa per P '2 e deve in- contrare un altro lato di questo triangolo in un punto interno, per es. (CD) in in P\. II piano Ag incontra altresì la faccia ACD secondo il segmento APr Il triangolo AP\P'Z è interno al tetraedro, e la retta g, avendo con un lato di esso, cioè (APJ, un punto interno deve intersecare un altro lato per es. (APJ in un punto interno P (teor. Ili, 51), e quindi incontrerà in un punto interno un'altra faccia del tetraedro. Inoltre, tagliando essa esterna- mente il lato (P^Py, incontra esternamente la faccia BCD. Dico che non può incontrare la rimanente faccia in un punto interno. Difatti se indichiamo con P' il punto d'intersezione della retta P\P'2 col lato BD del triangolo BCD, P" è esterno al segmento (BD) (teor. HI, 51), e quindi il raggio AP" è esterno

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all'angolo BAD (caroli. IV, teor. II, 50), e poiché il punto d'intersezione dì g colla faccia ABD è sulla retta AP", il teorema è dimostrato (fig. 84). Coroll. I. Una retta che incontra tre facce in punti esterni incontra an- che la quarta faccia del tetraedro in un punto esterno. Teor. IV. Una retta che ha un punto interno al tetraedro incontra la su- perficie di esso in due punii. Sia X il punto che .una retta g ha internamente al tetraedro ABCD. Unia- mo A con X fino all'incontro in X' colla faccia opposta BCD ; X* deve essere nel- l'interno della faccia (BCD) (teor. I)- Sia Y il punto d'intersezione di BX con (Z)C); Y è interno a (DC) perché X' è interno alla faccia BCD (teor. I, 50 e coroll. IV, teor. II, 50). Il tetraedro ABCY ha col primo la faccia AB C comune e inoltre le facce AYC, BOY sono parti delle facce ADC, BDC. La retta g avendo nella faccia ABY un punto interno, incontra un'altra faccia in un punto in- terno, se non taglia alcun spigolo, dunque anche una faccia del tetraedro dato in un punto interno, ed il teor. è dimostrato (teor. Ili) *). Teor. V. Non vi sono due tetraedri uguali aventi una medesima faccia e coi vertici opposti situati dalla stessa parte della faccia comune. Siano ABCD9 A'BCD i due tetraedri aventi la faccia comune BCD: Se i vertici A e A' fossero situati dalle stessa parte rispetto al piano BCD9 si avreb- bero due triedri, per es. B. ACD, B . A'CD uguali aventi due spigoli BC9 BD comuni e gli altri due spigoli BA, BA' situati dalla stessa parte della faccia comune, ciò che non è possibile (teor. VI, 94). 12. Versi delle stelle, dei diedri, triedri e tetraedri. Versi dello spazio. 96. Def. I. Nella stella (P ) (def. I, 82) i versi del piano direttore (def. Ili, 61), determinano i versi della stella. Oss. I. Come piano direttore di ogni stella considereremo qui il piano ali' infinito. Teor. I. I versi della stella sono determinati da quelli di un suo diedro. Perché tale è la proprietà dei versi del piano ali' infinito rispetto a quelli di uno dei suoi angoli (oss. I; teor. IX, 61 e oss. I, 77). Coroll. Un verso di una stella determina versi uguali dei suoi diedri (co- roll. teor. IX, 61 ecc.). Teor. II. Un verso di un diedro (a/J) determina i due versi di una stella a cui appartiene, secondo che lo si considera dall'uno o dall'altro punto al- V in finito del suo spigolo. Difatti un verso del piano all'infinito non viene determinato dal verso di un angolo (a J)^) senza che sia stabilito quale dei vertici di esso si consi- dera (oss. I, 77). i) Anche questo teorema si ammette con un postulato o tacitamente nei trattati elementari. Come si o dimostrato lo stesso teorema per un poligono convesso nel piano (nota, 51), cosi si può, se- guendo un metodo analogo, dimostrarlo per un poliedro convesso.

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413 Conv. Col simbolo abc, intenderemo non solo un diedro di una stella, vale a dire collo spigolo limitato da un punto, ma eziandio il verso del diedro con- siderato dalla faccia (ab) alla faccia (bc). Teor. III. I diedri abc, bea, cab del triedro abc hanno lo stesso verso. I diedri acb, cba, bac sono dello stesso verso fra loro e di verso opposto ai primi tre (oss. I; teor. Ili, 61 e oss. I, 77). Def. IL I versi dei diedri del triedro si chiamano versi del triedro, e si indicano coi simboli abc e acb9 se a,b, e sono gli spigoli. Cogli stessi simboli indichiamo i versi della superfìcie del triedro, che corrispondono ai versi del perimetro del triangolo ali'infinito (def. II, 61 e oss. I, 77). Teor. IV. Il versò abc del triedro determinato dai suoi diedri abc, bea, 'cab è uguale al verso acb della superficie (teor. IV, 61 e oss. I, 77). Teor. V. I simboli abc, bea, cab determinano tanto pei diedri come per la superfìcie del triedro lo stesso verso, mentre acb, cba bac determinano il verso opposto (teor. V, 61 e oss. I, 77). Teor. VI. Se due diedri di due triedri di una stella sono dello stesso ver- so, i due triedri sono dello stesso verso (teor. Vili, 61 e oss. I, 77). Teor. VII. Se due diedri abc9 a'b'e' di due triedri abc, a'b'c' sono dello stesso verso o di verso opposto lo sono pure i due triedri dati. Difatti il verso abc di un diedro è un verso del triedro abc (def. II). Teor, Vili. Due triedri abc, abd aventi il medesimo vertice e una faccia comune sono dello stesso verso o di verso opposto, secondochè gli altri spigoli non comuni di essi sono situati dalla stessa parte o da parti opposte rispetto alla faccia comune. Difatti nel primo caso sono diretti nello stesso verso, perché lo sono i loro triangoli all'infinito. Similmente nel secondo caso (teor. X, 61 e oss. I, 77). Coroll. I. Due triedri A.BCD, A'. BCD i cui spigoli incontrano un piano negli "stessi tre punti B,C,D, sono dello stesso verso o di verso opposto secondo che A e A' sono o non sono situati dalla stessa parte del piano BCD. Difatti nel primo caso i triedri C. ABD, C. A'BD e quindi anche i loro die- dri A. BCD. A. BCD sono dello stesso verso nella stella di centro C. Gli stessi diedri considerati invece nella direzione opposta dello spigolo, cioè nelle stelle di centri A e A' sono di verso opposto ai primi due (teor. II), ossia hanno lo stesso verso dei diedri opposti in C, i quali sono dello stesso verso (oss. I; teor. I, 61, oss. I, 77). Dunque i versi dei due triedri A. BCD, A'. BCD sono dello stesso verso perché lo sono due dei loro diedri (teor. VII). Coroll. II. Un verso di un piano determina versi uguali nelle stelle i cui centri sono dalla stessa parte del piano, e versi opposti nelle stelle i cui cen- tri sono rispetto ad esso da parti opposte (def. II e teor. I). Teor. IX. I versi di due stelle, uguali (od opposti) a quello di una terza stella, sono uguali. Ciò deriva dal teor. e, 8 dell'introduzione. Ma come pel teor. VII, 61 dia- mo un'altra dimostrazione. Siano P^P^P" i centri delle tre stelle, e le stelle P e P* siano dello stesso verso o di verso opposto colla stella P". Tagliandole col piano ir^, le due figure d'intersezione di w^ colle stelle P e P", p e P" soqq

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414 dello stesso verso o di verso opposto (coroll. teor. I, oss. I), e quindi P e JP* sono dello stesso verso (teor. VII, coroll. teor. VI, 61, oss. I, 77; oss. I, teor. I e II). Coroll. Due stelle l'una dello stesso verso V altra di verso opposto con una terza sono di verso opposto. Teor. X. Due triedri abc, ab'c' aventi uno spigolo e il vertice comune e le due facce (bc), (Ve') in un medesimo piano e dello stesso verso o di verso op- posto, sono dello stesso verso o di verso opposto. Difatti se gli angoli (bc), (b'c') sono diretti nello stesso verso del fascio in- torno al vertice comune e nel piano comune, i triangoli A^B^C^ A^tf^C^ all'infinito dei due triedri sono dello stesso verso. Se gli angoli (bc), (Ve') sono invece di verso opposto lo sono anche i versi dei triangoli ali1 infinito, (co- roll. IV, teor. X e oss. I, 77), e in tali relazioni sono anche i versi dei due triedri. Teor. XI. Due triedri A. BCD, A. C'D' collo stesso vertice A,eicui spi- goli incontrano un piano in due triangoli BCD, BCH diretti o no nello stesso verso, sono dello stesso verso o di verso opposto. Difatti il verso dei due triangoli nel primo caso da il medesimo verso del piano (teor. IX, 61) e quindi anche della stella di centro A (coroll. II, teor. Vili) e perciò dei due trie- dri (coroll. teor. I e def. II). Nel secondo caso i versi dei triangoli essendo opposti, lo sono anche quelli dei due driedri (fig. 85). Teor. XII. Due triedri A. BCD, A'. BC'D' sono dello stesso verso o di verso opposto se le loro sezioni BCD, flg. 85 B'C'D' con un piano sono dello stesso verso e se i loro vertici sono o no situati dalla stessa parte del piano *. Se invece i due triangoli BCD, JffCD' sono di verso opposto, i due triedri nel primo caso sono di verso opposto e nel secondo sono dello stesso verso. Difatti nel primo caso i triedri A. BCD, A'. BCD sono dello stesso verso (coroll. I, teor. Vili). Ma A. BCD, A'. B'CD' sono pure dello stesso verso (teor. XI), dunque lo sono anche i triedri A. BCD, A. S'eri? (teor. IX, teor. I e def. li), (fig. 85). Coroll. I. Due triedri abc, a'b'cr aventi due spigoli bc, b'c' sopra un piano e gli angoli (bc), (b'c') del medesimo verso, sono dello stesso verso o di verso opposto, secondochè gli spigoli a e d sono o no situati dalla stessa parte del piano. Se invece (bc), (b'c1) sono di verso opposto, nel primo caso i due triedri sono di verso opposto e nel secondo dello stesso verso. Difatti se D e D' sono i vertici dei due triedri, scelti su #, , e; a', b',c' i punti A,B, C; A',B, C, i triedri A.BCD, A'.gCfD' sono nel primo caso dello stesso verso, e perciò anche i diedri A.BD , A.ìflTC (teor. Ili e II) e per con- seguenza sono dello stesso verso le due stelle di centri D e D' (teor. I), dunque anche i due triedri D. ABC. D. A'B'C. Analogamente negli altri casi (tig. 85). Coroll. IL Due triedri abc, a'b'c' con due spigoli b e br nella medesima retta e di verso opposto, e tali che gli spigoli e e d si incontrino in un punto C ed a e d siano situati dalla stessa parte del piano bb'cc, sono di verso qp-

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415 posto. Se invece a e a' sono situati da parti opposte rispetto al piano suddetto, i dite triedri hanno il medesimo verso. Se b e ti sono diretti nel medesimo verso, nel primo caso lo sono anche i due triedri e nel secondo caso sono di verso opposto. Difatti nel caso precedente se b e 6' sono sulla medesima retta e di ver- so opposto e D e D' sono i vertici dei due triedri, gli angoli (bc), (6'c*) sono di versò opposto nel triangolo DIfC (teor. Ili, 61). 1 triedri abc* a'b'c', se a e a' sono dalla . stessa parte del piano DLFC sono di verso opposto; al- trimenti sono ugualmente diretti (coroll. I). Similmente se b e b' e (bc) e (Ve') sono dello stesso verso (fig. 86). Teor. XIII. Se si fauno scambio di numero dispari fra gli spigoli di un triedro e i loro prolungamenti si ottiene un triedro di verso opposto al dato ; se si fa invece uno scambio di nu- mero pari il triedro ottenuto è dello stesso verso del dato (teor. I, 77 ; oss. I, teor. I e def. II). Coroll. I. Gli otto triedri formati da tre piani che si incontrano in un punto del campo finito si separano in due gruppi di quattro; quelli di un grup- po sono dello stesso verso, quelli di gruppi differenti sono di verso opposto. Coroll. II. Due triedri o due angoloidi opposti al vertice sono di verso opposto (teor. II, 77). Coroll. III. Se gli spigoli di un triedro sono paralleli a quelli di un al- tro triedro, e inoltre uno o tutti e tre gli spigoli delV uno sono dello stesso verso di quelli deW altro, i due triedri sono ugualmente diretti; negli altri casi sono di verso opposto. Perché tale è la proprietà dei triangoli all'infinito dei triedri (teor. I, 77). Teor. XIV. I versi dei triedri A. BCD, B. ADC, C. DAB, D. CBA del te- traedro ABCD sono uguali. Basta dimostrare che il verso così determinato del triedro A. BCD è il medesimo di uno qualunque degli ultimi tre, per es. di B. ADC. I due triedri A.BCD. B. ADC hanno due spigoli (AB), (BA) giacenti nella retta AB e di verso opposto; inoltre gli spigoli (AC), (BC) sono situati nel medesimo piano e si incontrano nel punto C, e di più i rimanenti spigoli (AD) e (BD) sono situati dalla medesima parte del piano ABC. Dunque essi sono diretti nel medesimo verso (coroll. II, teor. XI e teor. V), e perciò il teor. è dimostrato. Se A. BCD indica il verso dei triedri del triedro in A, esso è contrario al verso della superficie indicato dallo stesso simbolo. La medesima osservazione vale anche per gli altri tre triedri (fig. 84). Def. III. I versi dei triedri di un tetraedro si chiamano versi del tetraedro. Coroll. I versi del tetraedro sono determinati dai versi di uno qualunque dei suoi diedri (def. II). Ind. L Un verso del tetraedro determinato dai punti A,B,C,D può essere indicato col simbolo ABCD, il quale con una regola facile a intravvedersi da i yer$i dei triedri di egfso, cioè A, BCDr B. ADC, C. DAB, D, CBA' Se questi sim-

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BCAD, CDABj DBAC ADBC, D'UBA, CABD DACB, ABCD, BDCA CBDA, BADC, ÀCDB 416 boli indicano i versi dei diedri dei triedri e non della loro superficie, il verso del diedro del primo triedro che ha per spigolo A C lo indicheremo col sim- bolo BCAD. Inversamente, dato questo verso del diedro suddetto, da esso de- duciamo subito il verso della faccia opposta ad A del tetraedro, cioè BCD e quindi anche quello del triedro in A cioè A. BCD. Oss. IL Dato un gruppo ordinato, o una permutazione, di un gruppo naturale di elementi, si ottengono con lo scambio di posto di elementi consecutivi tutti i 'gruppi ordinati o tutte le permutazioni degli elementi dati (int. e, 48). Quelle che si otten- gono con uno scambio pari di posti si chiamano permutazioni pari, quelle che si ot- tengono invece con uno scambio dispari si chiamano permutazioni dispari. Teor. XV. Le permutazioni pari nel simbolo A BCD di un tetraedro danno uno di suoi versi, e quelle dispari il verso opposto. Essendo i triedri A. BCD, B. ADC, C. DAB D . CBA diretti nel medesimo verso (teor. XIV), i diedri di questi triedri che sono di- retti nel medesimo verso e che danno perciò un verso del tetraedro, sono: (1) Quelli che danno il verso contrario del tetraedro sono: DCAB, BDÀC, CBAD CDBA, ACBD, DABC (2) BACD, DBCA, ADCB ABDC, CABD* BCDA. I simboli BCAD, CDAB ecc. indicano lo stesso verso del simbolo ABCD del tetraedro, mentre i simboli DCAB, BDAC ecc. indicano il verso contrario. I gruppi (1) e (2) lasciando la lineetta superiore, sono i gruppi di permu- tazioni pari e dispari delle quattro lettere. Teor. XV. Se due triedri A . BCD A' . BCV di due tetraedri ABCD A'B'CfD' sono dello stesso verso o di verso opposto, i due tetraedri sono del me- desimo verso o di verso opposto. Come pel teor. Vili, 61. ; Def. IV. Invece di dire che due stelle di centri P e P* sono dello stesso Verso o di verso opposto, diremo anche che lo spazio è dello stesso verso o di verso opposto intorno ai due punti P e P'; e siccome i versi delle stelle sono uguali od opposti, così i versi dello spazio intorno ai suoi punti sono uguali od opposti. Possiamo quindi dire che i versi della stella determinano i versi dello spazio. Teor. XVII. I versi dello spazio sono determinati da quelli di un diedro di un suo triedro qualunque. Difatti i versi dello spazio sono determinati da quelli delle sue stelle,

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417 ma questi sono determinati a loro volta da quelli di una stella, e finalmente quelli di una stella da quelli di un solo diedro (teor. I). Corali. Un verso dello spazio determina uguali versi dei suoi diedri cogli spigoli limitati in un punto* Dim. analoga a quella del corali, teor. IX, 61. Teor. XVII. Un verso di un diedro (ajS) determina i due versi dello spa- zio, secondochè lo si considera da uno o daU'altro punto all'infinito dello spi- golo (teor. II). Ose. III. In questo paragrafo si avrebbe potuto seguire un metodo analogo a quello usato nel piano (61J. Dimostrati i teor. I, III, IV, V, Vili pei triedri di una stella come pei triangoli del piano, si osserva che dato il verso dèlia superficie di un triedro del tetraedro, ad es. A.BCJ) è determinato pure il verso della superfìcie degli altri tre triedri, cioè B.ADC ecc. Questi triedri si chiamano dello stesso verso, come si è fatto pel trian- golo (oss. II e def. II, 61) (fig. 84). Osservando poi che col simbolo B.ACD si otten- gono appunto i versi opposti dei triedri suddetti, che sono uguali per la def. data, e poiché i versi dei triedri sono determinati dai loro diedri (teor. IV), si deduce la proprietà del teor. II, cioè che ogni diedro ha due versi opposti secondo che lo si considera in una o nell' altra direzione. Si da poi il teor. che due stelle qualunque sono di verso uguale o di verso op- posto con una dimostrazione analoga a quella del teor. IV, 61, come anche il teor. IX con una dim. analoga a quella del teor. VII, 61 ricorrendo al tetraedro. Dato il teor. XVI (analogo al teor. Vili, 61) vanno dati il coroll. I del teor. Vili, e nello stesso modo, il coroll. II, i teor. X, XI, XII e coroll. e finalmente la def. IV. e i teor. XVII e XVIII !). 13. Versi delle figure identiche Figure congruenti e simmetriche, 97, Def. Due punti aventi la medesima distanza da un piano e situati sulla stessa normale a questo piano si dicono simmetrici rispetto al piano, che si chiama piano di simmetria. E due figure si dicono simmetriche rispetto ad un piano quando i punti dell'una sono simmetrici ai punti dell'altra. Coroll. L Le due parti dello spazio in cui esso viene diviso da un piano sono simmetriche rispetto a questo piano. Difatti ogni punto A di una parte ha per simmetrico un punto dell'altra parte; per costruirlo basta condurre dal punto A la perpendicolare al piano, ed essendo S il piede della perpendicolare, prendere su di esso un segmento (SA') = (SA). Il punto A sarà il punto richiesto. Teor. L Un segmento ha per figura simmetrica rispetto ad un piano un altro segmento uguale ad esso, e le rette dei due segmenti si incontrano in un punto del piano di simmetria. Se sono date due coppie di punti simmetrici A,A, B,B' le due rette AA\ I) Questo metodo è consigliabile rimanendo nel solo campo finito. ?7

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418 BE' sono perpendicoari al piano di simmetria a, e perciò sono fra loro parallele e situate in un piano normale al piano a (coroll. Ili, teor. II, 87) che ha per traccia sul piano a la retta RS con giungente i piedi S e R delle normali AA.'9 BE'. Ma le rette A A', BB* sono perpendicolari alla retta RS (coroll. V, teor. 1,87), dunque i segmenti (AB\ (A'B') sono simmetrici nel piano normale rispetto alla retta RS (teor. I, 56). Ma due punti X e X' dei due segmenti simmetrici rispetto alla retta RS sono simmetrici anche rispetto al piano a, perché ciascuna normale alla retta RS nel piano suddetto è pure normale al piano a (coroll. Ili, teor. II. 87). Dunque il teorema è dimostrato (fig. 87). Teor. IL Ad ogni piano è simmetrico rispetto ad un piano dato un altro piano che interseca il primo in una retta del piano di simmetria. Difatti alle rette di un piano sono simmetriche le rette di un'altra figura, che si incontrano a due a due nei punti simmetrici a quelli in cui si incontrano le rette corrispondenti del piano dato; quindi essa è un piano (teor. Vili, 85). Le rette simmetriche dei due piani si incontrano nei punti della retta d'in- tersezione dei due piani, che è situata perciò sul piano di simmetria. Teor. III. Due figure simmetriche rispetto a un piano sono identiche. Perché le coppie di punti corrispondenti simmetrici hanno la medesima distanza (teor. II). Teor. IV. Due triedri (e quindi anche due tetraedri) simmetrici rispetto ad un piano sono di verso opposto. Sia infatti BCD un triangolo del piano di simmetria a, A e A' due punti simmetrici rispetto al piano a; i due triedri A.BCD, A'.BCD sono identici e di verso opposto (coroll. teor. Vili, 96). 98. Teor. I. La corrisponti enza fra due figure identiche è pienamente deter- minate da due triedri corrispondenti. Siano àbc, a'b'c' i due triedri uguali di vertici A e A. Prendendo su a c tre punti B,C,D e sugli spigoli corrispondenti a',6',c', tre punti B',Cf,D' ad una distanza dal punto Ar uguale a quella dei punti corrispondenti B,C,D dal punto A9 si hanno due tetraedri ABCD, A'KCD' uguali fra loro (teor. VII, 17, opp. Vili, 88). Sia E un punto delle prima figura, e congiun- giamolo con A mediante una retta che incontra la faccia opposta BCD in un punto X. Siccome la figura nel piano BCD deve essere identica a quella nel ne viene che in questo piano vi sarà un punto X' corrispondente ad X (teor. I, 62). Prendendo sulla retta A'X' una distanza (A'Er) uguale ad (AE) e in modo che (E'X') = (EX), il punto E' sarà il punto corri- spondente al punto E (fig. 88). Coroll. I. La corrispondenza d'identità di due figure identiche è deter- minata da due tetraedri corrispondenti. Se ABCD, A' CfD' sono i due tetraedri, i triedri A.BCD, A'.B'CD' sono identici, dunque ecc, C' fig. 88 piano corrispondente

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419 Corali. IL Due figure identiche non possono avere quattro punti corri- spondenti comuni non situati in un piano. Teor. II. Netta corrispondenza tra i punti dello spazio determinata da due delle sue figure identiche il piano all'infinito corrisponde a sé stesso. Difatti ad una distanza infinita della prima figura corrisponde una di- stanza infinita nella seconda (teor. I, 34). Teor. III. I triedri corrispondenti di due figure identiche sono dello stesso verso o di verso contrario se due qualunque di essi sono del medesimo verso 0 di verso opposto. Siano A. BCD, A. ffCflf due triedri corrispondenti delle due figure che supponiamo dapprima diretti nel medesimo verso. E siano dati inoltre due altri triedri corrispondenti qualunque E. FGH^ E'. F'G'H' di vertici E ed E'. 1 triedri E. BCD E'. CD' sono ambidue dello stesso verso o di verso contrario rispetto ai due triedri dati, perché E e E1 sono ambidue dalla stessa parte o da parti opposte dei punti A e A' rispetto ai piani BCD, B'CJJ. Dunque i due triedri E. BCD, E'. BCD' sono del medesimo verso, perché lo sono i due triedri dati (teor. IX, 96). Siano FGH, F'G'ff i triangoli d'intersezione dei due triedri E.FGH) E'.F'G'H' rispettivamente coi piani BCD, CD'. I triangoli FGH, F'G'H1 sono dello stesso verso o di verso opposto dei due triangoli BCD, BCD' (teor. V, 62, teor. Vili, VII, 61). Nel primo caso i triedri E.FGH, A. BCD sono dello stesso verso o di verso opposto secondochè E ed A sono o no dalla stessa parte del piano BCD (teor. XII, 96). Lo stesso avviene dei triedri E'.F'G'H' e A'.B'CfD' per l'identità delle due figure, dunque i due triedri E.FGHj E'.F'G'H' essendo dello stesso verso o di verso opposto dei triedri A.BCD, A'B'CfDf, che sono ugualmente diretti, sono dello stesso verso. Analogamente nel secondo caso. Essendo dimostrata la prima parte del teorema, rimane dimostrata anche la seconda. Def. I. Due figure identiche i cui triedri corrispondenti uguali hanno il medesimo verso si dicono dirette nello stesso verso oppure anche congruenti, nel caso contràrio si dicono di verso opposto o simmetriche. Oss. Badiamo però che il verso di una figura, formata da più di quattro punti A*BtCJ) ..., dato mediante un suo simbolo ABCD.. . non può dare in generale uno dei versi dello spazio, perché essa può contenere anche dei triedri di verso opposto da quelli di un'altra figura indicata con lo stesso simbolo. Coroll. I. Due figure congruenti o simmetriche ad una terza sono con- gruenti fra loro. Coroll. II. Due figure V una congruente .e l'altra simmetrica ad un terza sono simmetriche fra loro. Questi coroll. derivano immediatamente dal teor. precedente e dal teor. IX del n. 96. Teor. IV. Se due figure congruenti dello spazio hanno tre punti corrispon- denti comuni non situati in linea retta, coincidono ; e se hanno due punti comuni, hanno in comune tutti i punti della reità dei due punti. I tre punti comuni considerati come appartenenti alla prima figura indi- chiamoli con A,B,C, e con A',B\C' come appartenenti alla seconda figura. Sia inoltre J) un altro punto }ella prima figura? che sarà situato in una delle due

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420 parti dello spazio rispetto al piano ABC. Dato il punto D' corrispondente a D, il tetraedro A'B'C'D' essendo congruente al tetraedro ABCD, D e IX dovranno essere situati dalla stessa parte del piano ABC (coroll. I, teor. Vili, XVI, 96), ciò che è impossibile (teor. V, 95), dunque i punti D e D' devono coincidere. Per l'ul- tima parte osserviamo che, se A(A), B(B) sono i punti corrispondenti comuni, alla retta AB dell' una corrisponde la retta A'B1 dell1 altra, ossia AB corrisponde a sé medesima nelle due figure. Di più scelto un punto X di AB, il punto cor- rispondente deve avere la stessa distanza dai punti A' e Br che X da A e B e, siccome A e A', B e B coincidono, così X e X' coincidono (coroll. teor. V, 15). Teor. V. Se due figure simmetriche hanno tre punti corrispoìidenti comuni, hanno comuni tutti i punti del piano di essi* e sono simmetriche rispetto a quesio piano. Difatti siano ABCD...M, A'B^CD'.^M' le due figure; le parti di esse situate nel piano ABC coincidono (coroll. II, teor. I, 62). La simmetrica alla figura ABCD......M rispetto al piano ABC9 essendo dello stesso verso della figura A'B'C'D'...M', coincide con questa (teor. IV), dunque il teorema è dimostrato. Teor. VI. Le figure rettilinee determinate da due gruppi di m punti sono identiche, se i segmenti rettilinei di m-4 di essi dei rimanenti, e di questi quat- tro sono ordinatamente uguali. Supponiamo che i due gruppi di quattro punti siano ABCD, A'B'CD'. Se è dato un punto X qualunque nella prima figura, nella corrispondenza d'iden- tità determinata dalle due figure ABCD, A'ffCff gli corrisponde un punto X* (cor. I, teor. I). Sia invece-X^ il punto della seconda figura data che ha le stesse distanze di A' C'D' di X da ABCD. I punti X' e Xl devono coincidere, perché non vi possono essere due punti distinti aventi le stesse distanze da quattro punti dati. Difatti dato un punto Z, ve n' è un altro solo colle stesse distanze dai tre punti ABC e simmetrico al piano ABC (def. 97, teor. IV, 88 e teor. V, 95). Dato un quarto punto D non situato nel piano ABC, se Z e Z? aves- sero anche la stessa distanza dal punto D, la retta ZZ' dovrebbe essere per- pendicolare al piano BCD (def. 97 e coroll. Vili, teor. II, 87), e quindi i due piani ABC, BCD essendo perperdicolari alla retta ZZ* sarebbero paralleli (coroll. IV, teor. I, 87), il che è impossibile (def. II, 85 e coroll. I, teor. V, 46). Il teorema è dunque dimostrato. H. Cono e Cilindro. 99. Def. I. Il sistema ad una dimensione delle rette che congiungono un punto P coi punti di una circonferenza C^ all'infinito di centro A^ (75) chia- masi superficie conica circolare o superficie conica ; e le rette, generatrici. I versi della superficie conica sono dati da quelli della circonferenza CM. Le rette che congiungono i punti del cerchio racchiuso dalla circonferenza C^ determinano la parte della stella di centro P racchiusa dalla superficie conica, che si chiama cono circolare o cono. Il punto P è il vertice, la retta PA^ l'asse, la circonfereza Cw la direttrice della superficie conica e del cono,

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421 Un piano passante per l*asse dìcesì piano diametrale del cono. Oss. I. Spesso si adopera la parola cono per indicare la superficie conica, quando non vi è luogo ad equivoci. Teor. I. La superficie conica ha all'infinito due circonferenze opposte dello sfesso raggio. Se A è il centro di C , il punto opposto A' è centro di una circonferenza C^ dello stesso raggio opposta alla prima, vale a dire i cui punti sono oppo- sti a quelli della circonferenza C^ (oss. V, 75), e perciò sono situati nelle rette passanti per P (coroll. teor. II, 30). Coroll. I. Il cono si compone di due parti opposte al vertice. Ciascuna di esse ha ali1 infinito una delle due circonferenze e C^. Def. IL Queste due parti del cono si chiamano falde del cono. Oss. IL Rispetto all'unità Euclidea delle distanze (conv. 28 e oss. 31) queste due circonferenze coincidono (coroll. I, teor. Ili, 19 e coroll. teor. I e def. I, 84). Teor. IL Le generatrici del cono formano lo stesso angolo coli* asse di esso. E inversamente : Le rette che formano con una retta data il medesimo angolo e incontrano questa retta in un punto P, costituiscono un cono. Difatti l'angolo di una generatrice con Tasse è misurato dal raggio della circonferenza Cw (def. I, 39). Inversamente, i punti all'infinito delle rette sono in due circonferenze op- poste coi centri nei punti all'infinito dell'asse. Def. III. La parte di superfìcie del cono determinata da due generatrici, e che corrisponde ad un arco della circonferenza C^, si chiama settore conico. Teor. III. Le proprietà della circonferenza ali' infinito si estendono sen- z'auro alla superficie conica, sostituendo ai punti e agli archi della circonfe- renza le generatrici e i settori della superficie conica. Si vede infatti che il fascio di raggi avente per centro il centro della circonferenza C^ si comporta colla circonferenza nello stesso modo che il fascio di semipiani avente per asse l'asse del cono si comporta colla superficie del cono (vedi teor. I, 57 e oss. IV, 75). Teor. IV. Un piano passante per i vertici del cono non può avere con esso più di due generatrici comuni (teor. I, 59 e oss. IV, 75). Def. IV. Se il piano incontra il cono in due generatrici, esso si chiama piano secante, e l'angolo delle due generatrici angolo di sezione. Oss. III. L'angolo di sezione corrisponde alla lunghezza della corda della cir- conferenza C* (def. Vili, 57, def. I, 5). Def. V. Ad una tangente al cerchio C^ corrisponde nel cono un piano che ha una sola generatrice comune col cono e che si chiama piano tangentef mentre la generatrice- si chiama generatrice di contatto. Coroll. I. Ogni piano passante pel vertice e per un punto interno al cono incontra la superficie di esso in due generatrici (coroll. I, teor. I, 59 ; oss. IV, 75 e def. I). Coroll. IL II piano tangente lungo una generatrice è perpendicolare al

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422 piano che passa per la genèratrice e per fosse (tornii, ti, teor. I, 59; oss. IV, 75, teor. V, 69; coroll. II, teor. VII, 73 e def. Ili, 87). Corali. III. Ogni piano passante per una genèratrice del cono lo incontra in un'altra genèratrice (coroll. Ili, teor. I, 59; oss. IV, 75 e def. I). Coroll. IV. Tutti i piani che formano lo stesso angolo con una retta e incontrano questa retta in un medesimo punto P sono tangenti ad un cono. Le generatrici di contatto sono le rette d? intersezione dei piani suddetti coi piani normali condotti ad essi dalla retta data (coi*. IV, teor. I 59 ecc.). Coroll. V. Le falde del cono giacciono da parti opposte rispetto ad un suo piano tangente. Una tangente della circonferenza è pure tangente alla circonferenza C' , e la lascia da parte opposta (oss. V, 75 e def. II). Coroll. VI. Una retta non può avere più di due punti comuni col cono. Difatti il piano che congiunge la retta col vertice non ha più di due ge- neratrici comuni. Teor. V. Il piano perpendicolare condotto per l'asse ad un piano secante passa per la bisettrice delV angolo di sezione, e inversamente (teor. Ili, e IV, 59 oss. IV, 75, teor. V, 69, teor. II, 87 e def. I). Coroll. Un piano diametrale divide il con.o in due parti stmmetriche (co- roll. teor. Ili, 59 ecc). Teor. VI Tre raggi uscenti da un punto non situati in un piano deter- minano un cono, che è determinato da tre qualunque dei suoi raggi (teor. V, 59 e oss. IV, 75). Teor. VII. Il piano che unisce l'asse colla retta d'intersezione di due piani tangenti divide per metà T angolo dei piani che passano per r asse e per le generatrici di contatto (teor. X, 59, oss. IV, 75). Oss. IV. Si potrebbero enunciare analogamente i teoremi relativi alle figure in- terne ed esterne ad un cono, ricavandoli da quelli dello cerchio del piano completo, dedotti questi a loro volta da quelli del cerchio nel piano Euclideo. Così per quelli sulle intersezioni di due coni aventi lo stesso vertice, che si ri- cavano da quelli sulle intersezioni di due circonferenze. Teor. Vili. Un piano normale ali' asse del cono lo taglia in un cerchio. Difatti sia S il punto d'intersezione del piano normale ir coli'asse, e sia- no B e C i punti d'intersezione con due generatrici qua- lunque b e e. I triangoli ABS, PCS (P è il vertice del cono) sono rettangoli in S9 hanno il cateto (PS) comune ed è inoltre BPS=C!PS (teor. li), dunque anche il terzo an- golo è uguale, e perciò (BS) == (SC), (BP) = (PC) (teor. X, 55) e quindi i punti d'intersezione del piano w colle genera- trici del cono sono equidistanti dal punto S (fig. 89). flg gg Teor. IX. Il sistema di rette generato da una circon- ferenza e da un punto P sulla perpendicolare inalzata dal centro nel piano di essa è una superficie conica. Difatti i triangoli PBS, PSC sono rettangoli in S, hanno il cateto (PS) co- mune e gli altri cateti (BS), (CS) uguali per dato, dunque sono uguali gli an- goli BPS, CPS, e perciò le generatrici determinano all'infinito due circonferenze

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423 opposte C^ Cfw che hanno er òentrì i pùnti opposti ali*infinito dell'asse (def. I, 39). Teor. X. Da una retta passante pel vertice ed esterna al cono passano due piani tangenti al cono (teor. IV, 60 e teor. Vili). 100. Def. L Se C è un circolo, e al la normale condotta dal suo centro al suo piano, ogni punto di a, determina con C un cono circolare (teor. IX). Se il punto P cade all'infinito si ha un caso particolare della superficie coni- ca, che si chiama superficie cilindrica. La parte della stella di rette parallele racchiusa dalla superficie cilindrica dicesi cilindro. Oss. Valgono per il cilindro i teoremi dati per il cono, tenendo però presente che il cilindro è un cono col centro all'infinito, e adoperando per cerchio direttore un cerchio in un piano perpendicolare all'asse. Il cerchio all'infinito si riduce in tal caso ad un punto, cioè al punto opposto del centro PM. II cilindro può essere perciò considerato anche come l'insieme dei cer- chi di raggio uguale, i cui piani sono perpendicolari ali* asse e i cui centri sono si- tuati sull'asse. 15. Superfìcie sferica, e sfera. 101. Def. I. Tutti i punti equidistanti da un punto P costituiscono una fi- gura che si chiama superficie sferica. I segmenti determinati dal punto P coi punti della superfìcie sferica si chiamano raggi, il punto P centro della su- perficie. Oss. L Come la stella è a due dimensioni rispetto ai suoi raggi (def. Ili, 82), così la superficie sferica si può chiamare a due dimensioni rispetto ai suoi punti. Coroll. Il piano limite aW infinito può essere considerato come una super- ficie sferica di raggio infinito e col centro in un punto del campo finito (teor. I e def. 1. 84). Def. IL Due punti della superficie sferica situati in raggi opposti della stella col centro nel centro della superficie si chiamano opposti, e diametro il segmento di essi. Def. HI. Tutti i diametri o tutti i raggi della superficie sferica costitui- scono una parte dello spazio (def. I, 2), che si chiama sfera. La sfera tranne la sua superficie si chiama parte interna della sfera. I prolungamenti dei raggi, eccettuati gli estremi danno l parte esterna dello spa- zio rispetto alla sfera. Oss. IL Spesso si adopera la parola sfera per indicare la superficie sferica, seb- bene siano enti diversi, quando ciò non genera equivoci. Così pure per diametro si intende la retta che congiunge due punti opposti della sfera. Def. IV. I piani passanti pel centro della sfera si chiamano piani dia- metrali. Coroll. Ogni piano diametrale taglia la sfera in un cerchio. Infatti tutti i punti distanti dal centro del raggio sono in un cerchio (def. I). Teor. I. Ogni retta non può incontrare la sfera in più di due punti.

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424 Infatti per la retta e pel centro si conduca un piano, esso taglia la supef ficie in una circonferenza, la quale ha al più due punti comuni con la retta data (teor. I, 59), i quali punti appartengono anche alla sfera (oss. II, int. a, 13), Def. V. Un segmento che ha i suoi estremi sulla sfera dicesi corda. Teor. IL Un piano qualunque taglia la sfera m un cerchio, o in un pun- to, o in nessun punto, secondochè la sua distanza dal centro è minore, uguale o maggiore del raggio. Sia P il centro della sfera, ir il piano dato, r il raggio, S il piede della normale condotta da P al piano ir. Il segmento (PS) da la distanza del punto al piano ed è il minore seg- mento fra i segmenti determinati dal punto P coi punti del piano (teor. I, 88) Se dunque nel piano TT è situato un punto A della superficie sferica differente da S si dovrà avere (PA) (PS). Ma in tal caso tutti i punti distanti da P del segmento (PA) nel piano ir sono situati in una circonferenza di centro S e di raggio SA (cor. Ili, teor. 11,88). Se invece è il cerchio d'intersezione col piano ir si riduce al punto S. E finalmente se è (PA) (PS) il piano ir non ha nessun punto comune con la sfera (flg. 89). Teor. III. Un piano diametrale incontra la sfera in un cerchio di rag- gio massimo. Difatti nel caso precedente si ha sempre (PA) (SA) essendo l'ipotenusa del triangolo rettangolo maggiore dei cateti (cor. teor. II, 54). Def. VI. Un cerchio della sfera situato in un piano diametrale si chiama perciò cerchio massimo della sfera. Def. VII. Una tangente ad una circonferenza massima sì chiama anche tangente alla sfera nel medesimo punto, che si chiama punto di contatto della tangente colla sfera. Teor. IV. Le tangenti in un punto della sfera sono situate in un piano perpendicolare al raggio che passa pel punto dato. Difatti nel secondo caso del teor. II, ogni piano diametrale passante per PS incontra il piano ir in una retta s, che contiene il punto S, la quale essen- do perpendicolare a PS è tangente alla circonferenza massima situata nel pia- no diametrale (coroll. II, teor. I, 59). Ora, se si considerano due tangenti in un punto S della sfera, il piano di queste ha per distanza dal centro il raggio della sfera, perché PS è perpendicolare al piano, dunque ecc. (coroll. VI, VII, teor. I, 87). Def. Vili. Il piano che contiene le tangenti alla sfera in un punto, si chiama piano tangente alla sfera nel punto dato, che è il punto di contatto. Teor. V. La sfera giace tutta da una parte di un suo piano tangente. Difatti ali' infuori del punto di contatto ogni punto del piano tangente a

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425 è a distanza maggiore del raggio, e a maggior ragione ogni punto situato dalla parte opposta di R rispetto ad a (coroll. II, teor. IV, 86). Teor. VI. Il piano perpendicolare nel punto di mezzo di una corda alla corda stessa passa pel centro della sfera, e inversamente. Sia (AB) la corda, M il suo punto di mezzo. Il triangolo PAB è isoscele, e quindi PM è perpendicolare alla corda (AB), e per essa passa anche il piano normale condotto da M alla corda (AB) (coroll. V, VI, teor. I, 87). Coroll. Un piano diametrale divide la sfera in due parti simmetriche ri- spetto ad esso. Difatti scelto un punto Aì il punto simmetrico A' rispetto al piano dia- metrale ir è situato sulla sfera, perché la corda perpendicolare condotta da A al piano ir viene divisa da ic per metà (def. 97). Teor. VII. Quattro punti non situati in un piano determinano una sfera, che è determinata da quattro qualunque, dei suoi punti non situati in un piano. Siano ABCD i quattro punti dati, i piani perpendicolari ai segmenti (AB), (BC), (CD) passanti pei punti di mezzo di essi si incontrano in un punto M ugualmente distante dai quattro punti dati (coroll. II, teor. IV, 88), e come si vede facilmente non possono incontrarsi né in una retta, né in un punto all'infinito. La sfera che ha per centro il punto dato e per raggio la distanza di esso dai punti ABCD è l'unica sfera che passa pei quattro punti dati, perché se ve- ne fosse un' altra, essa avrebbe pel teor. VI lo stesso centro e lo stesso raggio. Da ciò risulta che dati altri quattro punti A' 'Clf sulla sfera non situati in un piano, essi determinano lo stesso centro e quindi la stessa sfera. Teor. Vili. Da un punto della parte esterna della sfera passano infinite tangenti alla sfera che sorto uguali e situate in un cono, il cui asse è il dia- metro passante pel punto dato. Sia C il centro della sfera, O il punto dato, e quindi OC il diametro passante pel punto dato. Per questo diametro si consideri un piano qualun- que ohe tagli la superficie in un circolo massimo, al quale si possono condurre due tangenti da O (teor. IV, 60) simmetriche rispetto al diametro CO (coroll. teor. Ili, 59). Se conduciamo per CO un altro piano, otteniamo su di esso col medesimo centro una circonferenza identica alla prima (coroll. I, teor. I, 57), e perciò le due tangenti a questa circonferenza dal punto O fino ai loro punti di contatto sono uguali alle prime due, e formano il medesimo angolo col diame- tro CO. Siccome in questo modo si ottengono tutte le tangenti da O alla sfera, il teorema è dimostrato (teor. II, 99). Coroll. I. I punti di contatto delle tangenti condotte da un punto alla sfera sono situati in una circonferenza, il cui piano è normale ali' asse del cono tangente col vertice nel punto dato. Difatti il piano dei punti di contatto di tre tangenti è normale al diame- tro 00, asse del cono (cor. Ili, teor. II, 88), e contiene tutti i punti di contatto delle tangenti suddette (coroll VII, teor. I, 88). Def. IX. Questa circonferenza si chiama curva di confatto del cono con la sfera. Coroll. IL I piani tangenti di un cono tangente alla sfera sono tangenti alla sfera stessa nei punti della curva di contatto (teor. IV).

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426 Caroli. IIL Da una rei fa si possono Condurre dite piani tangenU alta sfera che formano il medesimo angolo col piano diametrale passante per la retta data (teor. X, 99). Oss. III. Le proprietà della superficie sferica sono dunque come si vede le stesse di quelle del piano completo, le quali noi abbiamo trattate senza uscire dal piano e senza far uso della sfera coli* aiuto delle nostre ipotesi astratte (cap. Il, libro II). Due punti sulla sfera determinano un circolo massimo, il cui piano passa pel centro, e non determinano più questo circolo se sono opposti. La relazione fra le facce e i diedri di un triedro si cangiano senz* altro in re- lazioni fra i lati e gli angoli dei triangoli tracciati sulla sfera e formati con archi di circoli massimi. Le figure che nello spazio Euclideo a tre dimensioni rappresentano il piano com- pleto con tutte le sue proprietà sono dunque la sfera e la stella di raggi (def. II, 82). Il piano ali' infinito, considerato rispetto all'unità Euclidea, o la stella di rette, rap- presenta la seconda forma Riemanniana (oss. II, 30). 16. Intersezioni di due e tre sfere. 102. Def. I. Se due sfere hanno uno stesso piano tangente in un punto co- mune A, e sono situate ambedue dalla stessa parte del piano, si dice che si toccano internamente; se sono situate da parti opposte si dice invece che si toccano esternamente. Oss. I. Nel primo caso una delle due sfere, cioè quella che ha il raggio minore è contenuta neir altra. Teor. I. Se due sfere hanno un punto comune non situato sulla retta dei centri (asse centrale) le due sfere hanno in comune una circonferenza col cen- tro neWasse centrale e il cui piano è perpendicolare aWasse stesso. Siano C e C1 i centri delle due sfere, r ed r' i loro raggi. Condotto pei centri un piano qualunque, esso divide le due sfere in parti simmetriche rispet- to ad esso (coroll. teor. VI, 101); e il punto comune dovendo essere situato da una parte di questo piano se non è sul piano, ha un punto simmetrico rispetto ad esso, che sarà pure situato in ambedue le sfere. Scelti quindi tre punti A,B,C comuni alle tre sfere, il loro piano interseca le due sfere in due circonfe- renze che hanno tre punti comuni, e perciò coincidono (teor. V, 59). Il piano di questa circonferenza è normale alla retta C(7, perché i punti C e C sono equidistanti dai punti di questa circonferenza {teor. Ili, 88). D'altronde le due sfere non possono avere altri punti insieme fuori del piano ABC, perché al- trimenti coinciderebbero (teor. VII, 101). Coroll. I. Ogni piano diametrale incontra la circonferenza comune alle due sfere in due punti simmetrici rispetto aWasse centrale. Difatti il piano diametrale incontra il piano della circonferenza in una retta che è normale all'asse centrale, perché il secondo piano è normale a quest'asse (coroll. V, teor. I, 88), la quale retta è un diametro della circon- ferenza.

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42? Teor. lì. Date due sfere di raggi r ed r (essendo r'-^_r e d la distanza dei centri). 1." se si toccano esternamente, si ha d=sr+r' 2. se si toccano internamente, d = rt r 3. se si tagliano r -f- r' ; d r' r 4. se non hanno alcun punto comune, si ha r r d opp. d r' 4- r. E inversamente. Se la distanza dei centri soddisfa alle relazioni precedenti 1, 2, 3, 4, te */ ?re si toccano esternamente, internamente, si tagliano o non si tagliano. Difatti se conduciamo un piano diametrale comune, esso le taglia in due circonferenze massime, le quali sussistendo le relazioni del teorema si toche- ranno internamente o esternamente in un punto dell1 asse centrale o si ta- glieranno in due punti simmetrici rispetto a quest'asse o non si incontreranno (teor. Ili, 60 e teor. I). Siccome il teorema vale per queste due circonferenze, qualunque sia il piano diametrale, esso vale anche per le due sfere. Teor. III. Tre sfere che non si tagliano in una stessa circonferenza e non si toccano in un medesimo punto si incontrano in due punti simmetrici rispetto al piano dei tre centri (piano centrale), o in due punti coincidenti, o in nessun punto. Nel secondo caso hanno una tangente comune normale al piano centrale nel punto comune. Siano C, C*, C" i tre centri ; il piano centrale divide le tre sfere, ciascuna in due parti simmetriche (coroll. teor. VI, 101), e quindi se esse hanno un pun- to comune A avranno in comune anche il punto simmetrico A' rispetto al pia- no centrale. Se avessero un altro punto B in comune, il piano AAB incontrerebbe le tre sfere in circonferenze aventi tre punti comuni e perciò coincidenti in una sola circonferenza (teor. V, 59). Se il punto A è situato nel piano centrale lo è pure il punto A'. Condu- cendo per CA il piano normale al piano centrale, la tangente in A al cerchio massimo della sfera C contenuta in questo piano è perpendicolare al raggio CA e quindi anche al piano centrale. La stessa cosa vale per le altre sfere, e quindi la normale condotta in A al piano centrale è taugente in tal caso alle tre sfere. 17. Sistemi continui di figure invariabili. 103. Sistema circolare intorno ad una retta. Def. I. Dai sistemi continui di figure invariabili nel piano ali1 infinito (def. I 65 e oss. Ili, 77) si ottengono intorno ad un punto P dello spazio dei sistemi continui di figure invariabili che chiameremo sistemi sferici, di cui P è il centro (def. Ili, 36, oss. Ili, 101).

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428 Def. IL Da un sistema circolare dì angoli intorno ad un punto fiw otte- niamo intorno alla retta PR^ un sistema di diedri invariabili, che chiameremo sistema circolare di diedri; la retta PR^ è rosse di cui è dato il verso, e i diedri sono i diedri all'asse del sistema (teor. Ili, IV, 91). Teor. I. Vasse del sistema corrisponde a sé stesso (teor. I. 63 e oss. Ili, 77). Teor. IL II sistema circolare di diedri può essere generato dall'asse e da un sistema continuo qualunque di segmenti invariabili sulla polare del punto all'infinito delVasse. Difatti il sistema circolare intorno ad un punto del piano all'infinito viene generato dal punto e dalla sua polare (def. I, 63 e oss. Ili, 77). Teor. III. Un sistema circolare intorno ad un asse in un dato verso è pure un sistema circolare rispetto allo stesso asse nel verso opposto. Difatti intorno al punto opposto # di R^ abbiamo al l'in fin ito un sistema circolare di angoli identici ed opposti a quelli di centro R* (oss. I e III, 77). Teor. IV. I diedri ali' asse di un sistema circolare sono congruenti. Perché tali sono gli angoli del sistema circolare ali' infinito (teor. II, 63, oss. Ili, 77), e i versi di esso danno i versi dei diedri del sistema circolare intorno all'asse. Coroll. I. Due diedri simmetrici intorno al medesimo asse non possono appartenere ad un sistema circolare (coroll. I, teor. II, 63 e oss. Ili, 77). Coroll. IL Le facce corrispondenti di due diedri all'asse del sistema cir- colare fanno lo stesso angolo (coroll. II, teor. 1, 63 e oss. Ili, 77). Teor. V. Un piano perpendicolare all'asse taglia il sistema circolare in un sistema circolare di angoli intorno al punto d'intersezione del. piano col- l'asse. Difatti gli angoli sezioni di un piano perpendicolare all'asse misurano i diedri del sistema (teor. Vili, 91). Teor. VI. Due diedri di un sistema circolare non possono avere un punto corrispondente comune. Se avessero un punto corrispondente comune, avrebbero anche in comune il semipiano che unisce il punto coll'asse, e ciò non può essere (teor. Ili, 63 e oss. Ili, 77). Teor. VIL Data una figura qualunque si può costruire un sistema con- tinuo di figure invariabili i cui punti corrispondenti siano in una circonferenza col centro in una retta data e col suo piano perpendicolare a questa retta. Scelto un segmento (AB), sia (a]3) il diedro determinato da questo seg- mento co)!'asse a ; da A e B conduciamo i segmenti (AS\ (BS^)9 normali ad , e immaginiamo il sistema circolare di asse a e coi diedri uguali al diedro (ajS). Sia quindi (a'fS) un altro diedro del sistema, e in esso i due punti Ar e B distanti da S e Sl quanto A e B sulle normali alla retta a. I due triedri S.S^B, S.S^'B' sono identici perché hanno due facce e il diedro compreso uguali, e perciò (AB) = (A'B?). La serie di punti (A) è situata sulla circonferenza di centro S nel piano normale condotto da S all'asse (coroll. VI, teor. I, 87). In questo modo data una figura qualunque ABCD...M... si costruisce un sistema continuo di figure invariabili, perché la distanza delle coppie di punti

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429 corrispondenti sono uguali, e i punti corrispondenti nella corrispondenza di identità delle figure sono tali anche nel sistema (def. Ili, 36). Def. III. Un tale sistema di figure lo chiameremo sistema circolare di fi- gure invariabili o semplicemente sistema circolare, del quale è un caso partico- lare il sistema circolare di diedri suddescritto. Teor. Vili. Ogni punto delV asse di un sistema circolare qualunque cor- risponde a sé stesso. Difatti nella dimostrazione precedente (AS) ha per corrispondente il seg- mento (A'S)y e quindi S corrisponde a sé stesso. Teor. IX. Le figure di un sistema circolare sono congruenti. Se Tasse del sistema si considera come appartenente ad una figura, esso corrisponde a sé stesso in tutte le figure. Se (AB), (A,^) sono due segmenti corrispondenti di due figure del sistema si congiungano con un punto P dell' as- se. I triedri P.P^AB, P.P^A'^ sono congruenti, perché lo sono i due diedri P . APE, P . ÉPB' (teor. IV). E quindi essendo congruenti due triedri corrispondenti delle due figure, alle quali si intende unito anche T asse del sistema, esse sono congruenti flg- * (teor. Ili, 98), e quindi lo sono anche senza 1' asse del sistema (fig. 90). Teor. X. Le rette e i piani corrispondenti di un sistema circolare formano lo stesso angolo coir asse. Difatti i loro punti all'infinito sono in una circonferenza col centro nel punto all'infinito dell'asse, e le rette corrispondenti all'infinito dei piani cor- rispondenti toccano una circonferenza col medesimo centro (def. II, 63, oss. Ili, 77 e def. II); oppure perché formano coll'asse figure congruenti. Coroll. I. Se una retta incontra Passe, le sue rette corrispondenti nel si- stemarono le generatrici di un cono circolare coWasse neW asse del sistema e col vertice nel punto situato sull'asse (teor. II, 99). Coroil. II. I piani corrispondenti ad un piano sono tangenti ad un cono circolare coWasse neWasse del sistema e col centro nel punto d'intersezione del piano dato colasse (coroll. IV, teor. IV, 99). Teor. XI. Le rette corrispondenti hanno la stessa distanza daWasse. Sia a l'asse e g una retta qualunque, (AB) il segmento normale ad am- bedue (teor. VI, 88). Le rette corrispondenti di AB incontrano l'asse nello stesso punto A (teor. Vili), e formano rispettivamente con le rette corrispondenti a g e con a figure congruenti (teor. X e teor. VI, 87). Teor. XII. Le tangenti della circonferenza descritta da punti corrispon- denti del sistema circolare sono rette corrispondenti. Le linee di punti corrispondenti AA^.^BB^... in un sistema circolare sono circonferenze col centro sull'asse e i cui piani sono normali ali'asse (teor. III). Ad ogni corda (AAm) di una circonferenza corrisponde una corda (A'A'm) uguale della stessa circonferenza, perché gli angoli a.(AAm\ a.(A'A'm), sono uguali (teor. IV), e siccome Ja tangente nel punto A è Jijnite della secante (teor. XII,

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430 59), ne consegue che le tangenti nei punti corrispondenti A e A' della circonfe- renza sono rette corrispondenti. Teor. XIII. Due figure simmetriche rispetto ad una retta in un piano appartengono ad un sistema circolare intorno alla retta data come asse. Siano dati per es. due triangoli simmetrici ABC, ABC, rispetto alla retta AB. Il sistema di semipiani intorno alla retta AB forma pure un sistema cir- colare, e i punti C e C appartengono ad una medesima circonferenza del si- stema che ha per raggio il segmento normale del punto C o C' alla retta AB, e per centro il piede di esso. I punti della circonferenza uniti coi punti A e B, che corrispondono a sé stessi, danno un sistema circolare di triangoli in- torno alla retta AB al quale appartengono i due triangoli dati. 104. Sistema parallelo. Def. I. Se la retta a è all'infinito, tutti i piani passanti per essa sono paralleli, e scelta una retta s perpendicolare alla direzione di essi, i segmenti di s servono a misurare le parti del fascio determinate dai piani di esso (teo- rema VI, 88). Considerando sulla perpendicolare un sistema continuo di seg- menti invariabili si ha un sistema continuo di parti del fascio suddetto, che si chiama sistema parallelo, e la direzione dei piani del sistema, direzione del sistema. Le parti di un fascio di piani paralleli le chiameremo zone. Teor. I. Vasse del sistema parallelo corrisponde a sé stesso. Difatti siano (aj5), ( ! )' due zone corrispondenti, la retta (ccjS) corrisponde alla retta fojSj), che è Tasse del sistema (fig. 91). Teor. IL Le zone del sistema parallelo sono congruenti. Perché tali sono i segmenti che le misurano sulla perpendicolare alla di- rezione del sistema (teor. I, 36 e def. I), Teor. III. Due zone del sistema parallelo non possono avere due punti corrispondenti comuni fuori deW asse del sistema. Difatti esse avrebbero anche comuni due piani corrispondenti coincidenti, cioè il piano congiungente il punto dato coli'asse del fascio (teor. II, 36 e def. I). Teor. IV. Data una figura essa appartiene ad un sistema continuo di fi- gure invariabili tali che i punti corrispondenti sono situati in perpendicolari ad un piano dato, e le rette e i piani corrispondenti sono paralleli fra loro. Si consideri un segmento (AB) e siano a e /S i piani paralleli passanti . ^A per A e B al piano dato, e immaginiamo il sistema paral- /* ; Nv lelo delle zone uguali ad (ajS). Sia foft) un' altra zona A i NB del sistema e siano AVB^ i punti d'intersezione delle nor- mali condotte da A e B coi piani c^ e ft. Il quadrangolo ___ ABA1B1 è un parallelogrammo (teor. IV, 85), e quindi B, (AB) e (AÌ Ì) sono uguali e diretti nello stesso verso. Se ----- è data la figura ABCD...M... si può dunque costruire in questo modo un sistema continuo di figure identiche alla prima, le cui parti corrispondenti nel sistema sono pure identiche. I piani cor- rispondenti sono paralleli perché lo sono le loro rette corrispondenti (fig. 91). Def. IL Un sistema che soddisfa al teor. JV lo chiameremo sistema pa- LA, v

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431 rallelo di figure invariabili o semplicemente sistèma parallelo, del quale il primo (def. I) è un caso particolare. Teor. V. Le figure di un sistema parallelo sono congruenti. Gli spigoli di due triedri corrispondenti aoc^ afi^ di due figure del sistema sono rispettivamente paralleli e del medesimo verso, e quindi i due triedri sono dello stesso verso (coroll. Ili, teor. XIII, 96), e perciò anche le due figure (teor. Ili, def. I, 98). 105. Sistema generale ad una dimensione. Teor. I. Data una figura e una linea I nello spazio, la figura appartiene ad un sistema continuo ad una dimensione di figure invariabili del quale la linea data è una linea di punti corrispondenti. Per la dimostrazione si procede in modo analogo a quello seguito nella dimostrazione del teor. II, 65. Oss. I. Vale qui la stessa oss. del n. 65. Teor. IL Due figure di un sistema continuo ad una dimensione di figure invariabili sono congruenti. Difatti due triedri corrispondenti e consecutivi hanno gli spigoli e perciò anche le facce, consecutivi, e quindi i punti d'intersezione con un piano che la- scia da una parte i due vertici dei triedri determinano due triangoli cogli an- goli consecutivi e perciò del medesimo verso; vale a dire i due triedri sono eonguenti. Ma se lo sono due triedri lo sono anche le due figure (teor. Ili, 98) e perciò anche due figure qualunque del sistema (teor. I, def. II e III, 36). Coroll. Due figure simmetriche non possono appartenere ad un sistema continuo di figure invariabili. Oss. IL Qui vale la def. II e la oss. Il, del n. 65 per i sistemi continui di figure invariabili a più dimensioni. Movimento reale delle figure nello spazio. 106. Teor. I. Una figura che si muove comunque nello spazio descrive un sistema continuo* Come nel piano (teor. I, 66). Teor. IL Una figura può muoversi liberamente nello spazio rimanendo invariabile. Come nel piano (teor. II, 66) con l'analoga osservazione. Coroll. Due posizioni di una figura, che si muove rimanendo invariabile sono congruenti. Difatti le figure di un sistema continuo di figure invariabili sono con- gruenti (teor. II, 105). Def. L Se il sistema descritto da una figura è circolare (103), il movi- mento dicesi movimento di rotazione intorno all'asse del sistema, che ma asse del movimentò di rotazione,

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432 Oss. I. Nel movimento di rotazione le traiettorie dei punti sono circonferenze i cui piani sono normali all'asse col centro nell'asse stesso (teor. VII, def. Ili, 103). Teor. IV. I punti dell'asse nel movimento rimangono fissi. Perché corrispondono a sé stessi nel sistema (teor. Vili, 103 e def. I, 37). Teor. V. Ogni retta che incontra l'asse si muove in un cono circolare col vertice neir asse stesso, ed ogni piano che non passa per r asse inviluppa un cono. Il vertice del cono è il punto d' incontro della retta e del piano col- Tasse, che è anche asse del cono (corolL I, II, teor. X, 103). Def. li. Se il sistema secondo cui avviene il movimento è parallelo (104), il movimento di cesi movimento di trattazione. Teor. VI. Le traiettorie nel movimento di traslazione sono rette perpen- dicolari alla direzione del sistema (teor. IV, def. II, 104). Def. III. La direzione delle traiettorie chiamasi direzione del movimento. Teor. VII. Una retta e nn piano nel movimento di traslazione rimangono paralleli a sé stessi (teor. IV, 104). Teor. Vili. Il movimento di traslazione è un movimento di rotazione in- finitesima rispetto all'unità delle distanze del campo infinito. Difatti le rette perpendicolari alla direzione del sistema parallelo si pos- sono considerare quali circonferenze col centro situato sull'asse del movimento, cioè all'infinito (teor. II, 32). CorolL Nel movimento di traslazione si possono considerare fissi un punto ed una retta, l'uno in senso relativo l'altra in senso assoluto. Il punto giace al- r infinito nella direzione del movimento, la retta è l'asse del movimento stesso. Difatti l'asse di rotazione è immobile in senso assoluto, mentre sappiamo che nel movimento di rotazione non vi è altro punto fisso fuori dell'asse. Ciò vuoi dire che ogni punto all'infinito rispetto all'unità finita si muove in que- sto caso di un segmento finito, vale a dire infinitesimo rispetto all'unità infinita. Def. IV. Se il sistema secondo il quale avviene il movimento è sferico (def. I, 103) il movimento chiamasi di rotazione intorno ad un punto. Teor. IX. Una figura non può muoversi se si tengono fissi tre dei suoi punti non situati in linea retta. Difatti due posizioni di una medesima figura sono congruenti (corolL, teor. II) e quindi non possono aver più di due punti corrispondenti comuni (teor. IV, 98). Teor. X. Due figure congruenti si possono trasportare l'una sull'altra mediante una traslazione ed una rotazione, oppure mediante due rotazioni. A Siano ABCD...M..., AlBlC^Dl...Ml... le figure date. La figura ABCD...M... si trasporti parallelamente a sé stessa finché A venga a cadere in Ar I punti ABCD...M si tra- sportano in punti B'0/...M'... in modo che la figura A B C fi ...M'... è congruente alla figura ABCD...M... e quindi anche alla figura A1J5r1CfllX1...Jf1... (coroll. teor. II). Le due figure A1B1C1D1...M1..., A^C'D'.^M'... deter- minano all'infinito due figure congruenti, le quali si possono trasportare 1' una sull'altra mediante una rotazione intorno ad un punto S^ (teor. I, 67 e oss. Ili,

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433 7*7), dunque le due figure suddette nella stella di centro Al possono traspor- si Tuna sull'altra mediante una rotazione intorno all'asse A^. Oppure: * Se conduciamo dal punto di mezzo O di (AAJ una normale ad (AAJ, fa- cendo una rotazione intorno a questa retta finché A venga a cadere in A^ la prima figura si trasporta in una figura A^B'" C" D"'...M*"... congruente alla fi- gura A^B^Dj....^..., la quale si potrà trasportare con una rotazione intorno ad un asse passante per Al nella figura A^B^D^M^.^ come abbiamo fatto per la figura A^CU^.M'.... Oss. li. Nel primo caso nella corrispondenza d'identità frale due figure date, il punto Sa, corrisponde a sé stesso, e quindi anche la direzione delle rette da esso de- terminata; vale a dire ad una retta della prima figura parallela ad AS^, corrisponde nella seconda figura una retta ad essa parallela; e quindi ai piani dell'una perpen- dicolari alla suddetta direzione corrispondono piani paralleli dell'altra figura. Senza difficoltà si dimostra che vi è una retta parallela alla direzione suddetta che corri- sponde a sé stessa. Teor. XI. Lue figure simmetriche non piane non si possono trasportare V una sull'altra. Difatti se ciò fosse possibile, esse farebbero parte di un sistema continuo di figure invariabili, il che non è (coroll. teor. II, 106). Oss. II. Due casi sembrano in contraddizione con questa proprietà, e cioè il die- dro di due semipiani A2B2, e le zone date da due piani paralleli. Ma anche queste eccezioni non sono che apparenti. 1. Sia dato un diedro (A2B2), un piano a normale all'asse s^ S il punto di in- contro di a con s^ co la normale condotta da S al semi- piano B2. Sia A'2 il semipiano simmetrico di A2 rispetto al piano s^. Il piano o divide i diedri (A2B2)f (A'2 '2) in .due parti opposte al piano a, che indichiamo rispettiva- mente con (ctgft)), (a'2J5'2); (a%/?'2), (a"f2j8"'2), in modo che (a2 ), (a"2/3"2), e quindi (a'gjS'o), (a"'2]3"'2) siano dalla stessa parte di a. Eseguendo una rotazione intorno alla retta #, la parte (a'gjSy si porta dopo mezza rotazione nel diedro (a'zp'^i mentre la parte (c^/y si porta nella parte (a"f2j3'"2). I diedri (ag X (a'"2jS'"2) sono congruenti, e perciò (jS"'2a' '2), (a*2j3'2) sono pure congruenti. Facendo una rotazione intorno ad sl la parte (j8'"2a'"2) si porta nella parte (a2J3'2), e così (j3"2a"2) in (a^). Vale a dire (a2jS2) si porta in (jS'sCt^) e (a'2j3'2) in (^a*), ossia il diedro (A2B2) si trasporta nel die- dro (B2A2). Ciò sembra in contraddizione col corollario anzidetto, ma la contraddizione sparisce quando si pensa che un diedro fornisce i due versi dello spazio secondo la direzione in cui si considera Tasse del diedro (teor. XVIII, 96), o in altre parole i due semipiani A2.B2 sono le facce di due diedri di verso opposto, e perciò i due diedri (^2^2)* (-#2^2) rispetto alle due direzioni opposte dell'asse sono dello stesso verso ossia congruenti. Un altro caso si presenta, se si eseguisce invece una traslazione secondo la di- rezione parallela a a ; (a?/^) si trasporta su (a2{$2) scorrendo su sé stesso. Ma è da osservare, come abbiamo fatto per la striscia piana (oss. I, 67), che non è tutto (a2 2) che viene a coincidere con (a'2jg'2) ma soltanto una parte di esso; una parte cioè qualunque data nel campo finito (fig. 93). 2. Se finalmente si ha una zona di piani paralleli, si può ripetere rispetto ad essa quanto abbiamo detto rispetto alla striscia piana.

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434 Teor.XIL Due figure simmetriche in un piano possono trasportarsi t'und sull'altra nello spazio. Possiamo trasportarle nel medesimo piano fino ad essere simmetriche ri- spetto ad una retta (teor. IV, 67). Ma due figure simmetriche rispetto ad una retta in un piano appartengono ad un sistema circolare che ha per asse la retta data (teor. XIII, 103), dunque con un movimento di rotazione intorno a questa retta potremo trasportare una figura sull'altra. Teor. XIII. Una figura dello spazio non può muoversi in esso se si ten- gono fissi tre dei suoi punti. Perché due posizioni diverse della figura essendo congruenti (coroll. teor. II), avrebbero tre punti comuni, il che è assurdo (teor. IV, 98). Teor. XIV. Due figure simmetriche non piane si possono muovere nello spazio fino ad essere simmetriche rispetto ad un piano qualunque. Dim. analoga a quella del teor. IV, 67. Coroll. Se il piano a passa per tre punti di una figura, le due figure sim- meeriche rispetto ad esso hanuo tutti i punti dì a comuni (coroll. II, teor. I 62).

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CAPITOLO II. Spazio completo a tre dimensioni. Stella e spazio completo Prime loro proprietà. Intersezione di rette e di piani. 107. Def. I. ingiungendo i punti di un piano completo con un punto fuori di esso, il sistema di rette complete che si ottiene si chiama stella completa, il cui centro è il punto dato. Se come elemento si considera il punto, la stella completa ci da una fi- gura che chiameremo spazio completo, o Riemanniano, a tre dimensioni. Oss. I. In questo paragrafo, quando non vi saranno equivoci, anziché spazio com- pleto diremo solamente spazio. Oss. II. Tralasciamo quelle definizioni date nello spazio Euclideo che valgono sen- z* altro anche per lo spazio completo. Teor. L Ogni punto opposto ad un punto dello spazio giace nello spazio. Difatti nella retta della stella generatrice dello spazio che passa per il punto dato è contenuto anche il punto opposto (def. Ili, 6 e coroll. teor. II, 30). Teor. IL Una retta che ha due punti non opposti nello spazio completo vi giace per intero. Come nello spazio Euclideo (teor. II, 82) riferendosi al teor. Ili, 68. teor. I IL Un piano che ha tre punti in comune con lo spazio non situati in linea retta vi giace per intero. Come nello spazio Euclideo (teor. Ili, 82) badando che due rette nel piano completo si incontrano in due punti opposti (coroll. teor. IV, 68). Oss. III. Due dei tre punti non possono essere opposti, altrimenti i tre punti sarebbero situati in linea retta. Teor. IV. Lo spazio completo può essere generato da un piano e da un pun- to qualunque di esso, purché il punto non giaccia nel piano. Come nello spazio Euclideo (teor. IV, 82) tenendo conto della distinzione che deriva dal teor. I, 68 e dal teor. I precedente. Coroll. Quattro punti qualunque non situati in un piano determinano uno spazio completo a tre dimensioni, che viene determinato da quattro qualunque dei suoi punti. Oss. IV. Se due dei quattro punti fossero opposti, allora il piano di uno di essi e degli altri due passerebbe anche per il punto opposto del primo (teor. I, 68). Teor. Y. Una retta ed un piano dello spazio hanno due soli punti oppo- sti comuni, se la retta non giace nel piano.

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436 Come nel campo Euclideo (teor. I, 83). Basta osservare che se una retta incontra un piano in un punto, essi si incontrano anche nel punto opposto (corali, teor. II, 30 e teor. I, 68). Teor. VI. Due rette indipendenti dello spazio non si incontrano. Come nel campo Euclideo (teor. II, 83). Teor. VII. Due piani dello spazio si incotrano secondo una retta. Come nel campo Euclideo (teor. Ili, 83). Bisogna appoggiarsi nella seconda dimostrazione al teor. VI, 68, anziché al teor. VI, 48. Teor. Vili. Tre piani che non hanno una retta comune si incontrano in due punti opposti. Come nel campo Euclideo (teor. IV, 83). È da osservare che se tre piani hanno un punto comune hanno anche comune il punto opposto (teor. I, 68). Oss. V. Valgono colle stesse dimostrazioni il teor V, VI, la def. II, i teor. VII e coroll., Vili, e la def. Ili del n. 83, i teor, VII e coroll, e Vili del n. 85. 2. Figure polari. 108. Teor. I. I punti coniugati eli un punto dato, o del suo opposto, sono si- tuati in un piano. Sia # il punto dato, e X9 Y^Z tre punti coniugati di #(def. I, 69). Il piano XYZ è situato nello spazio, e i suoi punti sono equidistanti da #(teor. I, 78). Def. I. Il piano che soddisfa ni teor. I si chiama piano polare del punto dato e del suo opposto; e questi punti si chiamano poli del piano. Oss. 1. Il piano polare è un piano limite assoluto del punto dato nello spazio generale rispetto ali' unità Euclidea (conv. 28 e teor. 1,78), ed è il piano all'infinito di ogni punto del campo finito Euclideo dello spazio a tre dimensioni intorno al punto dato fteor. I, e def. I, 84). Corali. I. I piani polari di due punti coniugati passano rispettivamente per i due punti. Coroll. II. Il piano polare di un punto del piano polare di un altro punto passa per questo punto. Coroll. III. Ogni piano passante per un punto è piano polare di due punti opposti del piano polare del punto dato. Difatti il piano dato incontra il piano polare del punto in una, retta, la quale nel piano polare ha due poli (teor. II, 69), che sono i poli del piano (def. I). Coroll. IV. Ciascun piano passante per un punto taglia il piano polare del punto in una retta, la quale è polare del punto nel piano dato. Difatti nel piano dato i punti della retta sono coniugati al punto dato (def. II, 69). Def. II. Due piani, uno dei quali contiene i poli dell'altro, si dicono co- niugati. Oss, IL Anctie il seccmclo contiene i poli del primo (coroll. JU),

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437- r. ìl. t piani polari dei punti dì una reità passano per un" altra retta, e i piani polari dei punti di questa passano per la prima. Difatti due punti A e B hanno due piani polari a e jS che si incontrano in una retta (teor. VII, 107). Scelti due punti O e P non opposti di questa retta, essi hanno i loro piani polari co e ir che passano per i punti A e B (coroll. IF, teor. I). E siccome ogni punto della retta AB è situato nei piani w e ir, così il suo piano polare passa pei punti O e P, e perciò per tutta la retta OP (teor. III# 68); dunque il teorema è dimostrato. Def. III. Due rette che soddisfano al teor. II le chiameremo rette polari coniugate o semplicemente rette polari o anche coniugate. Coroll. I. I punti di due rette p olari sono coniugati. Ossia : i segmenti i cui estremi sono su due rette polari sono retti. Difatti ogni punto di una retta ha il suo piano polare che passa per la retta polare della prima, e i punti del piano polare sono tutti coniugati al polo (def. I). Defé IV. Un punto ed una retta si dicono coniugati se la retta giace nel piano polare del punto. Coroll. IL Se una retta passa per un punto, la retta polare giace nel pia* no polare del punto. Coroll. III. Un punto coniugato ad una retta giace sulla polare della retta data. Coroll. IV. Un piano che passa per una retta a incontra la retta pò- *" lare a' di a nei poli di a nel piano dato. Perché nel piano dato i punti d'incontro con a' sono coniugati ai punti di a (def. II, 69 e coroll. I). Teor. IH. Ogni piano polare ha due poli opposti. Scelti tre punti A,B,C nel piano non situati in linea retta, i loro tre pia- ni polari non si incontrano in una retta, perché sarebbero in una retta anche i tre punti ABC (teor. II), dunque si incontrano in due punti opposti (teor. Vili, 107), che sono i poli del piano dato (coroll. Ili, teor. I). Teor. IV. I poli dei piani passanti per una retta sono situati sulla retta polare della prima. Siano a e /3 due piani passanti per la retta a, A e B due punti di a. I piani polari di A e B passano pei poli di a e jS (coroll. il, teor. I). Ma si in- contrano nella polare della retta data a (teor. VII, 107; teor. II), dunque il teorema è dimostrato. Coroll. I. Se una retta giace in un piano, la retta polare passa pel polo del piano. Def. V. Un piano e una retta si dicono coniugati, se la retta passa pei poli del piano. Coroll. II. Un piano coniugato ad una retta contiene la retta polare della prima (teor. II e def. V). Coroll. HI. Un punto di una retta, nel piano che lo unisce colla retta coniu- gata, ha questa retta come retta polare (def. II, 69 e coroll. I, teor. II). Coroll. IV. Un piano è coniugafo con tutte le rette polari delle sue rette.

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438 Scelta infatti una retta del piano, il piano ha i suoi poli sulla, retta po- lare di essa, dunque ecc. (def. V). Teor. V. Un punto A è vertice di infiniti tetraedri le cui facce sono i piani polari dei vertici opposti. Questi tetraedri scmo tanti quanti i triangoli coniugati polari di un piano. - Difatti dato un punto A e un triangolo BCD polare nel piano polare di A (def. IV, 69), i vertici del tetraedro ABCD sono i poli della facce opposte, per- ché ad es. il piano polare di B passa per A e per la polare di B nel piano BCD, cioè CD (teor. I e def. I).. . Def. VI. Un tale tetraedro lo chiameremo tetraedro coniugato polare, o semplicemente tetraedro polare. Coroll. Gli spigoli opposti di un tetraedro polare sono rette polari (def. III). 3. Identità dello spazio intorno ai suoi punti e alle suo rette. Parti in cui esso viene diviso da un suo piano. 109. Teor. I. Le stelle sono identiche, Difatti siano A e B due punti qualunque, a e 0 i loro piani polari. I seg- menti determinati da un punto coi punti del suo piano polare sono uguali ad un segmento retto (teor. I, 108, def. I, 69); quindi stabilita una corrispon- denza d' identità fra i due piani a e jS e fatto corrispondere il punto B al punto A, le due figure (Aa), (J9/3) sono identiche, perché a due punti dell'una corrispondono in tal modo due punti dell1 altra colla medesima distanza (teor. Ili, teor. I e coroll. II, teor. II, 15). Teor. II. I fasci di piani sono identici. Il fascio di piani determinato da una retta a e dalla sua polare riempie tutto lo spazio (coroll. teor. VII, 83 e oss. V, 107). Sia data un'altra retta 6 e la sua polare b'. Siccome i punti di due rette polari hanno distanze uguali (coroll. I, teor. II, 108) stabilita una corrispondenza d'identità in a e b e in a' e b', ne consegue facilmente che a due punti di (#af) corrispondono due punti di (bb') colla medesima distanza. Le due figure (aa')t (bb') sono identiche (teor. Ili, 15). Coroll. Lo spazio è identico intorno ad ogni sua retta. Teor. III. Il piano polare del centro di una stella la divide in due parti identiche, e i punti dell9una sono opposti a quelli dell9 altra. Sia a il piano, A e A' i suoi poli. I punti del piano distano ugualmente dai punti A e A' perché sono coniugati con A e A' (teor. I. 108, def. 1, 69), e i punti d'intersezione d'ogni retta passante per A, A' col piano sono situati nei punti di mezzo delle due metà della retta determinate dai punti A e A1. Il piano divide le stelle di centri A e A' in due parti, e quindi anche lo spazio. Facendo corrispondere A ad A', e i punti del piano polare a sé medesimi, le due figure (Aa),(A'a) sono identiche, perché scelti due punti della prima, nella seconda corrispondono ad essi due punti colla stessa distanza (teor. Ili, 15).

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439 Caroli. Un piano divide lo Spazio in due parti oppòste. Teor. IV. Una retta è situata metà in una parte e metà nella parte oppo- sta dello spazio rispetto ad un piano. Dim. analoga a quella del teor. II, 71; p indica in questo caso il piano che divide lo spazio in due parti opposte, R uno dei suoi poli, ria retta data. Coroll. I. Due punti opposti sono separati da un piano qualunque dello spazio. Perché ogni retta che passa per essi è situata per metà da parti opposte del piano, e i due punti opposti sono situati in queste due metà. Os9. I. Vale pure coll'analoga dimostrazione il coroll. II del teor. IV, 86. Teor. V. Ogni piano è situato per metà in una parte e nella parte oppo- sta dello spazio rispetto ad un piano dato. Difatti il piano a taglia il piano dato ir in una retta s. Ogni retta del piano ha punti situati da una parte e dall'altra rispetto al piano ir; dunque così è anche del piano a. Sia A un punto del piano a situato in una delle parti in cai o viene diviso dalla retta s. Ogni retta passante per A nel piano a è situata per metà dalla stessa parte di del punto A (teor. IV), e tutte queste parti delle rette passanti per A limitate dalla retta s determinano pre- cisamente la parte del piano a nella quale giace il punto A, che è dunque situata da una stessa parte rispetto a K. Analogamente la parte opposta del piano a rispetto alla retta s è situata dalla parte opposta dello spazio rispetto al piano ir. 4. Rette e piani perpendicolari. 110. Teor. I. I segmenti di un piano misurano gli angoli intorno ai poli di questo piano. % Difatti scelti due segmenti (AB), (CD) identici nel piano polare di un punto P, i triangoli PAB^ PCD sono identici per avere i lati uguali (teor. 1,108 e teor. IH, 17), e quindi APB = CPD. A segmenti maggiori o minori corrispon- dono angoli maggiori o minori, e inversamente. Coroll. I. Le rette che congiungono un punto con due punti coniugati del suo piano polare sono perpendicolari (def. I, 69 e def. V, 40). Oss. L Nello spazio completo valgono le stesse definizioni I e II di piani e rette perpendicolari passanti per un punto del n. 87, quando al piano ali' infinito del campo Euclideo si sostituisca il piano polare del punto. Teor. IL I punti e la retta d'intersezione di una retta e di un piano per- pendicolari col piano polare dei loro punti d'incontro sono poli e retta polare, e inversamente (teor. I, 73; teor. VI, teor. I, def. I, 69; e oss. I). Coroll. Una retta perpendicolare ad un piano è perpendicolare a tutte le rette del.piano, che passano pei punti d'intersezione della retta col piano. Sia P un punto d1 incontro della retta a col piano a ad essa perpendicolare, ir il piano polare di P; A e a un punto e la retta d'intersezione della retta

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440 a e del piano * col piano *. Siccome A e et sono polo e retta polare nel pianò ir, i punti di ci sono coniugati al punto A (def. I, 69), dunque la retta data e ogni retta passante per P nel piano a .sono perpendicolari (coroll. teor. I). Teor. III. Una retta e un piano coniugati sono perpendicolari. Siano a e a la retta e il piano coniugati. Se P è uno dei loro punti co- muni, il piano ir polare di P contiene la retta a'polare della retta a (teor. II, 108) situata in a (coroll. II, teor. IV, 108), e incontra la retta a nei poli della retta a' nel piano ir (coroll. IV, teor. II, 108); dunque la retta e il piano sono perpendi- colari (teor. II). Coroll. L Le rette passanti per un punto sono perpendicolari al piano polare del punto. Difatti le loro polari sono nel piano polare del punto, e quindi le rette date e il piano polare del punto dato sono coniugati (def. V e teor. IV, 108). Teor. IV. Una retta ed un piano perpendicolari sono coniugati. Siano a la retta ed a il piano; P e P' i loro punti d'intersezione. Il pi ano polare ir di P incontra la retta a in due punti A,A' che sono poli della retta d nella quale il piano ir incontra il piano a (teor. II). Il piano polare di A passa per d (teor. I, 108, def. li, 69) dunque d è la retta polare di , e perciq a e a sono coniugati (teor. IV e def. V, 108). Coroll. I. Le perpendicolari ad un piano passano pei poli del piano. Perché sono coniugate al piano (def. VI, 108). Cor. IL Da un plinto di un piano, o fuori del piano, passa una sola per- pendicolare al piano. È là retta che congiunge il punto coi poli del piano, la quale è coniu- gata al piano dato. Coroll. III. Da un punto si può condurre un solo piano perpendicolare ad una retta data. Il piano, che unisce il punto colla retta polare della retta data, è coniu- gato a questa retta (teor. IV, 108), e perciò è perpendicolare alla retta. Coroll. IV. Due piani hanno una perpendicolare comune. Essa è la retta che congiunge i poli dei due piani. Teor. V. Due piani coniugati sono perpendicolari, e inversamente. Siano a e fi i due piani ciascuno dei quali contiene i poli A, A'; B,B del- T altro (def. II e oss. II, 108). La retta r che unisce i poli dei due piani è polare della loro retta d'intersezione r, quindi il piano polare ir di ogni punto P di r passa per r; dunque le rette d'intersezione a e o dei due piani dati col piano n passano rispettivamente per B,B' ; A,A\ e di più la retta a essendo intersezione dei due piani a e ir ha per retta polare la retta PA, e quindi A è il polo di a nel piano ir. Per la stessa ragione B è il polo di b in ir e quindi a e I) sono rette coniugate nel piano ir, e i due piani a e ]8 sono perpendico- lari (coroll. II, teor. VII, 73 e oss. I). Inversamente, se due piani a e jS sono perpendicolari, vi è un punto P della loro retta d'intersezione r il cui piano polare ir interseca i piani dati in due rette a e b coniugate, ciascuna delle quali contiene nel piano ir il polo dell'altra, perché il loro segmento normale è retto (coroll. II teor. VII, 73 e oss. I). Siano A e B i poli delle due rette a eb in ir; la retta AB nel piano ir è

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441 polare dei punti Rincontro ìt e il della retta r con if, quindi il piano polare di A passa per P,B, #, ossia è il piano o. Così il piano polare di B è il piano PRA, cioè fi. Dunque i piani a e /S sono coniugati (def. li, 108). Coroll. I. I piani perpendicolari ad un piano passano pel poli del piano. Difatti due piani perpendicolari sono coniugati, e ciascuno di essi con- tiene i poli dell'altro (def. II e oss. II, 108). Coroll. IL Per una retta passa uno ed un solo piano perpendicolare ad un piano dato. È il piano che congiunge la retta coi poli del piano. Coroll. III. Tre piani hanno un piano perpendicolare comune. È il piano che congiunge i tre poli. Teor. VI. Il piano polare di un punto qualunque della retta d'intersezione di due piani perpendicolari interseca questi due piani in rette coniugate nel primo piano (teor. V; coroll. II e IV, teor. I, 108 e def. Ili, 69). Teor. VII. Una retta ed un piano hanno un piano perpendicolare e una retta normale comune. Il piano cioè che congiunge il polo del piano colla polare della retta data è coniugato alla retta e al piano (teor. IV, def. V, def. II 108; teor. Ili, V). La retta normale comune passa pel punto d'intersezione del piano perpendicolare colla retta (coroll. II, teor. IV, teor. V e coroll. I, teor. IV; teor. III. 68). Teor. Vili. Una retta perpendicolare ad una retta e, incontra pure la retta polare, e di e, ed è a questa perpendicolare. Sia a la perpendicolare alla retta e, che per definizione la interseca in un punto (oss. I). Il piano ac incontra la retta e' nei due poli della retta e nel piano stesso (coroll. IV, teor. II, 108); ed ogni retta perpendicolare alla retta e passa in questo piano pei poli stessi (teor. VI, 69) (flg. 94). Coroll. /. Se una trasversale è nonnaie a due rette, la retta polare è pure normale alle due rette. Siano a e I) le due rette date, e la trasversale comune normale alle due rette, A e B i suoi punti d'incontro con aeb,e finalmente e1 sia la retta polare di e. Le rette a e b incontrano e e sono normali a e, dunque incontrano perpendicolarmente e' (fig. 94). Coroll. II. Dati gli estremi di un segmento normale a due rette, quelli del segmento normale polare determinano coi primi un segmento retto. Perché sono punti coniugati (coroll. I, teor. II, 108). fig* 94 Teor. IX. Ogni retta che incontra due rette polari è perpendicolare ad esse. Siano a e b le due rette polari, e la trasversale, A e B due dei suoi punti d'incontro con a e b. Il piano ac taglia la b nel punto J5, che è il polo di a in esso piano (coroll. IV, teor. II, 108), dunque AB è perpendicolare ad a (teor. VI, 69). Per la stessa ragione è perpendicolare a b (flg. 94). Teor. X. Due rette a e b che si incontrano, hanno due perpendicolari comuni. Sia P uno dei loro punti d'incontro, e w il piano polare di P. 11 piano

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442 interseca il piano ab in Una retta perpendicolare alle due rette, perché ogni retta passante per P è perpendicolare a tutte le rette del piano ir passanti pel suo punto d'incontro col piano * (coroll. I, teor. Ili, coroll. teor. II). Di più per P passa una perpendicolare al piano (ab) (coroll. II, teor. IV) la quale è per- pendicolare alle due rette (coroll. teor. II)"1). Teor. XI. Gli spigoli di un tetraedro polare sono uguali ad un segmento retto. Le facce che si incontrano in uno spigolo sono perpendicolari, cosi pure gli spigoli situati in una medesima faccia. Infatti i vertici sono due a due coniugati e le sue facce due a due coniu- gate, e gli spigoli di una faccia sono due a due coniugati su queste faccie. Teor. XII. Due tetraedri polari sono uguali in 24 maniere diverse. Siano ABCD, A' C i due tetraedri; i due triangoli ECD, B'CD' sono identici e le distanze dei punti A e A' dai punti BCD, B?CD' sono uguali. Si può stabilire cosi una corrispondenza d'identità delle due figure A.BCD, A'. CfIf in modo che a due punti dell'una corrispondano due punti dell'altra colla stessa distanza (teor. III. 15). Ma i tetraedri dati dalle 24 permutazioni dei quattro vertici ABCD dello stesso tetraedro sono identici per avere sempre gli spigoli uguali tatti ad un segmento retto; dunque ecc. ' : ' 5. Distanza, di un punto da un piano; di una, retta, da un piano e di due piani. 111. Def. I. La perpendicolare condotta da un punto P ad un piano in- contra questo piano in due punti opposti M e M', che sono i piedi di essa. I segmenti - (PM), (PM') si chiamano i segmenti normali del punto al piano. I segmenti determinati da P cogli altri punti del piano si chiamano obliqui. Oss. I. Se il piano re è il piano polare di P tutti i punti di w formano con P un segmento retto (teor. I, def. I, 108). Parlando dunque dei segmenti normali e obliqui del punto P rispetto ad un piano j intenderemo che a non sia il piano polare di P. Teor. I. I segmenti normali di un punto da un piano sono supplementari; e se sono uguali ad un segmento ì etto, il piano è il piano polare del punto dato. Dim. analoga a quella data pel teor. I del n. 73. Anziché sul coroll. II del teor. VI, 69 qui occorre appoggiarsi al coroll. Ili del teor. IV, 110. Teor. II. Dei segmenti normali di un punto P ad un piano p il minore è il minimo e il maggiore è il massimo tra i segmenti obliqui. Di due segmenti obliqui è maggiot*e quello che ha il suo punto in p più lontano dal piede del segmento normale minimo o più vicino a quello del segmento normale massimo, e inversamente. 1) Pél teor. IX sappiamo che vi sono coppie di rette sghembe che hanno una normale e quindi anche almeno un'altra normale comune. Più tardi vedremo che due rette iiidipendenti hanno di- fatti due normali comuni (Vedi n. 117).

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443 Siano M e M1 i piedi della pei'pèndicolare del punto P al piano p. Sia (PA) un segmento obliquo. Il piano PAM taglia il piano p in una retta nor- male alla retta Pii (coroll. teor. II, 110), e nel piano PAM il segmento minimo è (PM), se (PM) (PM^e il segmento massimo è (PM) (teor. II, 73); dunque (PM) (PA) e (PA) (PM'). Se A e B sono i punti in p dei segmenti obliqui (PA) e (PB), basta con- siderare i triangoli PAM, PBM, e nel piano PAM un triangolo uguale al trian- golo PBM col cateto (PM) e coli' altro cateto sulla retta AM, nel qual caso basta applicare il teor. II, 73. Teor. IIL I segmenti obliqui di un punto ai punti di un piano, equidi- stanti da un piede della perpendicolare del punto al piano, formano lo stesso angolo con la normale. Come nello spazio Euclideo (teor. II, 88). Cor. I. Vale il teorema inverso. Def. IL Le distanze normali di un punto da un piano si dicono distanze del punto dal piano. E se non diremo altrimenti, per distanza di un punto dal piano intenderemo la distanza minima. Oss. II. Valgono colle stesse dimostrazioni anche nello spazio completo i corol- lario II, III del teor. II, e il teor. Ili del n. F8, riferendosi al teor. VI, 73 anziché al teor. II, 55; e così il teor. IV e coroil. e il teor. Vili del n. 88, tenendo conto che una retta incontra un piano in due punti opposti. Def. III. La perpendicolare a due piani a e jS li incontra in due coppie di punti A, A ; , B che determinano quattro segmenti consecutivi due a due uguali di cui due non uguali sono supplementari (coroll. IV, teor. IV, 100) Essi si chiamano segmenti normali dei due piani. Teor. IV. Due piani a e fi hanno due segmenti normali supplementari, che sono pei loro estremi il segmento minimo e il segmento, massimo rispetto al- l'uno e alV altro piano. Se (AB) è il segmento normale minore, (AB) è la distanza minima di A dal piano |3 e di B dal piano a. Vi sono segmenti (EF) i cui estremi sono nei due piani e sono minori di (AB), ma non sono i segmenti minimi dei loro estremi rispetto ai due piani. Se E ed F coincidono non si ha più la retta EF. Oss. III. Quando parleremo del segmento normale di due piani soltanto inten- deremo uno dei segmenti minimi, quando non diremo il contrario. Coroll. I. I segmenti normali di due piani coniugali sono retti. Difatti se A e A' ; B e B' sono i poli dei due piani, essendo essi situati nei due piani (def. II, 108), (AB) è normale ai due piani, ed è retto (coroll. I, teor. Ili, 100; teor. I, def. I, 108 e def. I, 69). Coroll. II. Due semipiani hanno un solo segmento normale che da la di- stanza minima o massima tra i punti dei due semipiani secondo che il segmento normale è minore o maggiore dì un retto. Difatti le coppie di punti opposti A e A, B e B sono separati da una retta qualunque di ciascuno dei due piani dati (corolL I, teoi\ II, 71). Corali. IH. Due coppie di pifini che hanno la medesima distanza sono uguali. . . .......

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444 Perché si può stabilire fra loro una corrispondenza d* identità nella quale siano corrispondenti le rette d'intersezione e i piedi dei segmenti normali uguali (teor. Ili, 15). Def. IV. Indicando con A e A', B e tì i punti d'intersezione delle rette normali ad una retta e ad un piano, i loro segmenti consecutivi si chiamano segmenti normali della retta e del piano. Teor V. I segmenti normali ad una retta e ad un piano sono supple- mentari e danno la distanza minima e massima fra i punti del piano e della retta dalla retta e dal piano. Sia (AB) il segmento minore; esso è il segmento minimo del punto A dal piano, e il segmento minimo del punto B dalla retta. Anche qui va fatta un'osservazione analoga a quella del teor. IV. Corali. I. I segmenti normali di una retta e di un piano coniugati sono retti. Difatti la normale comune passa pel polo A del piano situato sulla retta, e incontra in un punto B la retta polare di essa situata sul piano (def. V, co- roll. II, teor. IV, 108; coroll. I, teor. Ili e teor. IX, 110), dunque (AB) è un segmento retto. Coroll. II. Data una semiretta e un semipiano, vi è un segmento normale ad ambedue che da la distanza minima o massima fra i punti della semiretta e quelli del semipiano, secondochè esso è minore o maggiore di un segmento retto. Coroll. III. Le figure costituite da due rette rispettivamante con due piani sono identiche se hanno la stessa distanza. Perché esiste fra esse una corrispondenza d'identità nella quale sono cor- spondenti i punti d'intersezione delle rette e dei piani e gli estremi dei loro segmenti normali (teor. Ili, 15). Angoli fra raggi, rette, semipiani e piani. 112. Oss. I. La definizione di angolo di un raggio e di una retta con un piano dato nel campo Euclideo (def. I, II, 90) vale anche nel campo completo dello spazio, quando al piano all'infinito si sostituisca il piano polare di uno dei punti d'interse- zione del raggio o della retta col piano. Valgono quindi colle analoghe dimostrazioni il teor. I e II e loro corollari del n. 89. Rispetto al teor. II vi è una differenza; cioè nel campo Euclideo il teorema vale per tutti i raggi del piano, i quali essendo paralleli a quelli passanti pel punto d'in- contro del raggio col piano formano lo stesso angolo col raggio dato. Non è però così nello spazio completo nel quale la definizione di angoli di due raggi già data vale soltanto quando si incontrano in un punto. Oss. li. Per diedro di due semipiani s'intende, come nel campo Euclideo, una parte di un fascio di semipiani determinati dai due semipiani. La retta che misura la distanza delle semirette all'infinito delle facce del die- dro è nel campo completo la retta polare dell'asse del diedro. Vale coir analoga dimostrazione il teor. I, 91). Teor. I. A segmenti uguali (disuguali) di una retta corrispondono die- dri uguali (disuguali) intorno alla retta polare.

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445 Difatti siano (AB), (CD) due segmenti uguali di una retta a',' e siano O e P due punti della retta polare a. I tetraedri OPAB, OPCD sono uguali, perché hanno gli spigoli rispettivamente uguali, cioè (OP) comune, (AB)^(CD) e gli altri spi- goli uguali ad un retto (coroll, I, teor. II, 103), dunque i due diedri a. (AB), a. (CD) sono uguali. flg- 95. Se (AB)"(CD), scelto nel primo caso in (AB) un punto BÌ tale che (AB^ ^D) il diedro a. (AB^ è uguale al diedro a.(CD). Ma il diedro a. (AB ) è parte del diedro a. (AB) (oss. Il), dunque ecc. Caroli. Due diedri uguali o disuguali intorno ad una retta determinano segmenti uguali o disuguali sulla retta potare. Teor. IL Le sezioni normali di un diedro sono uguali. Se (a]3) è il diedro, a il suo asse ed d la sua retta polare, i piani delle sezioni normali sono quelli che passano per la retta d (teor. IV, 110). Siano A e B punti d'intersezione di a e /S con a', O e P due punti di a. I trian- goli ABOj ABP sono uguali perché hanno i tre lati uguali (coroll. I, teor. II, 108), dunque AOB= APB (flg. 95). Teor. III. Se due diedri sono uguali o disuguali, le loro sezioni normali sono uguali o disuguali. E inversamente Siano a e gli assi dei due diedri, a e ax, fi e jS, le loro facce, a e b' le rette polari di a e , (AAJ, (BB ) i segmenti determinati dai due diedri sulla rette d e '. Gli angoli delle sezioni normali di un medesimo diedro, per es. del primo, sono dati dai raggi che congiungono un punto dell'asse coi punti A e A^ Ora siccome (AAJ = {BBJ, ne consegue che anche le loro sezioni normali sono uguali. E se (A AI) ^ (BBJ anche le sezioni normali sono disuguali. E inversamente, se queste sono uguali si ha (AAl)^(BBl) e i due diedri sono uguali, e se le se- zioni normali sono disuguali si ha (A A,) ^-(AB^ e sono perciò disuguali anche i diedri (teor. I e II). Oss. III. Colle analoghe dimostrazioni valgono i teor. VI, VII, IX e coroll., X e XI del 11. 91, badando che nello spazio completo non vi sono piani paralleli. Triedri. 113. Oss. I. Le definizioni di angoloide e di triedro date nel campo Euclideo (93) valgono pure nel campo completo dello spazio. Rispetto alT angoloide o al un triedro, al piano all'infinito bisogna sostituire il piano polare del vertice. Osserviamo soltanto che gli spigoli di un angoloide si in- contrano in due punti opposti, e che quindi formano due angoloidi, secondo che si con sidera l'uno o l'altro punto. Oss. IL Valgono nello spazio completo tutti i teoremi del n. 93, che si dimostrano nello stesso modo tenendo conto dell'oss. J.

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446 Così valgono, tranne il teor. I, tutti i teoremi dei triedri uguali (Jel n. 94, cioè dello spazio Euclideo 1). 8. Distanze di due rette. 114. Def. I. Se A e A', B e B sono i.punti d'incontro di una perpendico- lare comune a due rette a e b con queste rette, i loro segmenti consecutivi si chiamano segmenti normali delle- due rette. Teor. L I segmenti normali di dite rette situa fi sopra una medesima retta sono supplementari; e danno la distanza minima e la distanza massima dei punti di ciascuna retta da quelli dell' altra. Difatti se (AB) è il segmento, normale minore, esso da la distanza mini- ma del punto A dai punti della retta e la distanza'minima del punto B dai punti della retta a (teor. II, 73). Teor. IL Se due rette hanno due segmenti normali polari uguali ad un rettot le due rette sono polari. Difatti siano a e b le due rette, (AB) un segmento normale retto, (A'È') il segmento normale polare. Conduciamo per A il piano normale'a alla retta #; nel piano a la polare del punto A è la retta a' polare di a (coroll. IV, teor. II, 108), la quale è pure normale alla retta AB in B come a tutte le altre rette passanti per A in a (teor. VI, 69). Ma A' è un polo del piano a (coroll. I, teor. IV, 110 ; teor. 1,108), quindi B giace nel piano a; essendo (A'B') retto; e siccome la retta BB è normale alla retta (AB), e per B in a passa una sola normale a questa retta (coroll. II, teor. VI, 69), così BB' è la retta polare di a. Oss. L Vale il teor. II del n. 89. Non potendo servirci della dimostrazione data nel testo, bisogna adoperare quella data nella nota relativa. È da osservare però che due rette sgembe hanno due rette normali comuni e possono averne anche infinite (come vedremo fra poco), e che il teorema vale per ogni segmento normale comune. Ha pure vigore l'oss. Ili del n. 89 che non è altro che il teor. VI, 17, che abbiamo dimostrato indipendentemente dalle dimensioni dello spazio e dall'assioma delle pa- rallele. Teor. HI. Se due segmenti (AC), (BD) normali a due rette AB, CD sono uguali, i due segmenti (AB), (CD) sono uguali. I triangoli CAB, BDA sono per dato rettangoli in A e in D, hanno un cateto e Tipotenusa uguali, e quindi sono uguali (teor. VI, 73), dunque (AB) = (CD) (fig. 96). Teor. IV. Se due segmenti normali a due rette sono uguali, ogni punto di esse è estremo di un segmento normale comune ed uguale ai primi due. Usando le indicazioni del teorema precedente, dividendo per metà (AB) e (CD) nei punti E ed F, la retta EF è perpendicolare alle due rette AB, e 1) Anche qui dunque vediamo come dai teoremi sui triangoli del piano Euclideo si deducono, pas- sando pel piano completo, teoremi dello spazio Euclideo e completo, i quali servono a Dimostrare al- tre proprietà di questi spazi

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44? C A (teor. VI, 17), e poiché (CF)~(AE) (teor. Ili) ne consegue (EF)=(AC) = (BD) (teor. III). Se Er ed F' sono i punti medi dei segmenti (CF) ed (AE), la retta E'F' J c J 1 \ è perpendicolare alle rette .4J9 e CT (teor. VI, 17), e si ha (E'F') = (AC) = (EF)~(BD) (teor. III). Continuando la divisione per metà dei nuovi segmenti ottenuti si ot- tengono altrettanti segmenti normali alle due rette ed uguali ai dati. fig % Se X è un punto di (CD) e se non è un punto F, è limite di una serie illimitata di la specie di punti F, ad es. da D verso C (int. h, 99). La serie di punti E corrispondenti in (AB) ha un pnnto limite Y, ed è tale che (DX) = (BY) (int. d, 97), e perciò (CX)~(AY). Il segmento (XY) è dunque limite del segmento (EF) (def. I, 12), e siccome (EF) è costante, si ha (XY) = (EF) = (AC) (teor. II, 12) '). Ora, nel quadrangolo ACXY i triangoli ACX,XYA sono uguali per avere i tre lati uguali, e poiché il primo è rettangolo in C per dato, lo è anche il secondo in Y. Così è rettangolo in X il triangolo CXY, dunque la retta XY e normale alle due rette date. Consideriamo ora sulle rette CD e AB i segmenti (CDr), (ABr) uguali a (CD) e (AB). Daijtriangoli isosceli DAD', BCB' si ha (AD1) ~ (AD), DAC = IfAC I diedri B'ACD', BACD.sono uguali perché opposti all'asse AC, e quindi i triedri A.BCD, A.B'CD' sono uguali per avere due facce e il diedro compreso uguale, dunque si ha D'ABr = DAB, e perciò i due triangoli D'AB', DAB sono uguali. Per la stessa ragione sono uguali i triangoli D'BrC, DAC. Dunque ( D1) è normale alle rette AB, CD, ed è uguale a (BD). Ora se è dato un punto X fuori del segmento (CD) sulla retta CD, vi è sempre un numero n tale che (CD) n (CX) (CD) (n + 1) (int. e', 81). E indicando, con Dn, AH-I i secondi estremi pei segmenti (CD) n, (CD)(n+l), con Bn e Bn+i i punti corrispondenti in (AB), il tetraedro BnDnBn+iDn+i è identico al tetraedro ACBD. Siccome per ogni punto X del segmento (CD), il teorema è stato dimostrato, così rimane dimostrato per ogni punto della retta CD, e perciò anche per ogni punto della retta AB (flg. 96). Def. IL Due rette che hanno due segmenti normali uguali le chiamo rette di ugual distanza. Corali. Una retta di ugnai distanza da un'altra retta lo è anche rispetto alla polare dì quest'ultima. Difatti le rette normali alle due prime sono normali anche alle rette po- lari, e siccome i segmenti i cui estremi sono sulle rette polari, sono retti (co- roll. teor. II, 108) il teor. è dimostrato. Teor. V. Una trasversale comune a due rette di ugual distanza forma con esse angoli alterni interni uguali. i) È lo stesso processo che abbiamo adoperato pel teor. i, 35 e pel teor. r, 81.

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448 Siano AB, CD le due rette, BC la trasversale comune. Da È e C condu- ciamo i segmenti normali (A C) e (BD). Nel quadrangolo ABCD, i triangoli ret- tangoli ABC, DCB sono uguali (teor. Ili), e si ha DCB = 'ABC (fìg. 9tf). Teor. VI. Se tre punti che hanno le stesse distanze da una retta, e non giacciono con questa in un piano sono situati in linea retta, questa è una retta di ugnai distanza dalla retta data. Il teor. IV, 81 esclude nello spazio completo il caso che i punti possano essere in un piano. La dimostrazione del suddetto teorema serve anche in questo caso (fig. 72). Essendo il quadrangolo AA'BB' rettangolo, che in questo caso non è piano, la retta r è una retta di ugual distanza della retta data r (def. II e teor. IV). Teor. VII. Data una retta e un punto fuori di essa, pel punto passano dite rette di ugual distanza dalla retta data. Sia CD la retta, A il punto dato, (AC) il segmento normale del punto alla retta. Dato un punto D qualunque di CD, il triangolo ACD è rettangolo in C. Indichiamo gli angoli CAD, CDA con a e jS. Se AB è una retta di ugual di- stanza da CD, essendo BD normale alle due rette, nel triangolo rettangolo ABD si ha: DAB~CDÀ=fr ADE = CAB = a. (teor. V) I triangoli ACD, ABD sono inoltre uguali avendo i tre lati uguali (teor. III). II raggio DB è situato sul piano perpendicolare condotto da D alla retta CD (teor. IV, Vili, 110). Esso deve formare con AD l'angolo a; vale a dire il raggio DB è spigolo di un triedro di cui sono note le tre facce ed è data in posizione la faccia CDA. Vi sono dunque due triedri D.C AB D.CABl che soddisfano alle condizioni suddette, i quali sono da parti opposte rispetto alla faccia CDA (oss. II, 113). Fatto (DB) = (CA) = (Dtf,), la rette AB e ABl sono fig 97 rette di ugual distanza dalla retta data. Oss II. Le rette di ugual distanza dello spazio completo hanno proprietà ana- loghe delle rette parallele nel piano Euclideo (teor. I, 52), soltanto che da un punto si possono condurre due di tali rette ad una retta data. 9. Tetraedro. 115. Oss. I. La definizione data pel tetraedro nel campo Euclideo (def. I, 95) vale anche nello spazio completo. Valgono il teor. I e coroll. del n. 95 colle stesse dimostrazioni e colle def. II e IH, IV e V. Oss. II. I piani di un tetraedro dello spazio completo lo divide in 16 regioni anziché in 15 (oss. I, 95), che sono pure tetraedri. Indicati con A,/?,C,D i vertici di un tetraedro e con A',#,C",D' i punti opposti, i 16 tetraedri sono: ABCD, ABCD', ABC'D, AB'CD ABCD, ABC'D', AB'CDr, A'BCD' AH C I! ABC'D, A'B'CD, AB'CD' A'B'C'D, AffC'D\ ABC'D\ A'BL'B'.

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449 Teor. I. Ai punti interni di un tetraedro sono opposti i punti interni del tetraedro opposto. Difatti se X è un punto interno, la retta AX incontra la faccia opposta BCD in un punto Y interno. Il punto Y opposto di Y giace nella parte interna del triangolo ISCD' (teor. li, 72), e quindi il punto X' giace nella parte interna del segmento (AfY') opposto ad (AY) (teor, IV, 29). Oss. IH. Ha pure luogo nello spazio completo con la stessa dimostrazione il teo- rema II coi suoi coroll. del n. 95, coir avvertenza che un piano che incontra uno spi- golo in un punto interno lo incontra anche in uno esterno; così il teor. Ili e co- roll., i teor. IV, e V dello stesso numero. Teor. IL I quattro piani di un tetraedro polare dividono lo spazio in 16 tetraedri polari che sono a due a due opposti. Perché i loro vertici hanno per piani polari le facce opposte (oss. II). 10. Versi dello spazio, dei suoi diedri, triedri e tetraedri Figure congruenti e simmetriche. 116. Oss. I. I versi di una stella vengono determinati nello stesso modo che nel campo Euclideo, solo che al piano all'infinito va sostituito il piano polare del centro della stella. Sussistono, seguendo la via indicata nell'oss. il, 96, i teor. del n. 96, tranne il coroll. Ili del teor. XIII, tenendo conto che una stella ha due centri opposti, e quindi i lati di un triedro determinano due versi opposti dello spazio secondo che li si con- sidera dall'uno o dall'altro vertice. Vale anche quest'altro teorema: Teor. I. Se si scambiano in numero dispari i vertici di un tetraedro ABCD coi loro punti opposti si ottengono tetraedri di verso opposto al dato, e perciò dello stesso verso tra loro ; se si fa uno scambio pari si ottengono te- traedri dello stesso verso del dato. Infatti i due tetraedri ABCD, ABCD sono di verso opposto, perché A e A' giacciono da parti opposte del piano BCD (coroll. I, teor. Vili e oss. I), e quindi AB'CD è dello stesso verso di ABCD, e A'ffC'D essendo di verso op- posto ad A' CD è di verso opposto anche ad ABCD, e A'B'C'tf è di verso opposto ad A' CD, e quindi dello stesso verso di ABCD. CorolL I. Due tetraedri opposti sono di verso uguale. Oss. IL Nello spazio completo valgono con analoghe dimostrazioni i teoremi sulle figure congruenti e simmetriche dei n. 97 e 98, tranne il teor. II, 97. Vale però anche questo teorema: Teor. li. Due figure opposte sono congruenti (coroll. I, teor. I; teor. Ili, 98 e oss. II).

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450 gii. Cono, cilindro e sfera. 117. Oss. I. Vale la stessa definizione data del cono nel campo Euclideo (99), sol- tanto che al piano all'infinito va sostituito il piano polare del vertice del cono. È però da osservare che un cono nello spazio completo ha due vertici, che sono punti opposti. Per avere la parte del cono che corrisponde ad una falda del cono del campo Euclideo bisogna limitare il cono ad un vertice e al piano polare di esso; e si ha così la metà del cono completo. Valgono gli stessi teoremi dati pel cono nel campo Euclideo, soltanto che nel- l'enunciato di alcuni teoremi (ad es. I e III; e nelle dimostrazioni bisogna cambiare il piano ali1 infinito col piano polare dei vertici ; e inoltre bisogna tener conto che due rette che si incontrano in un punto si incontrano anche nel punto opposto, e cosi una retta e un piano hanno sempre due punti opposti comuni; di modo che il co- roll. VI del teor. IV si modifica nel senso che una retta può avere quattro punti comuni col cono, a due a due opposti, i quali perciò sono situati a due a due da parti opposte di un piano qualunque, e quindi anche del piano polare dei vertici. Oss. II. Nello spazio completo il cilindro del campo Euclideo diventa nello spazio completo un cono, le cui generatrici formano coir asse del cono un angolo mfìni- tesimo. Def. L La figura formata da tutte le circonferenze di raggio uguale e i cui centri sono situati in una retta si chiama superficie cilindrica, e la parte dello spazio data dai cerchi si chiama cilindro. La retta si chiama asse del cilindro. Oss. III. Questo è in certo modo la figura corrispondente al cilindro del campo Euclideo, poiché anche il cilindro in questo campo può essere generato in questa maniera (oss. I, 104) *). Teor. I. Il cilindro ha per asse anche la retta polare. I raggi delle cir- conferenze intorno ai due assi del cilindro sono complementari. Difatti sia a l'asse del cilindro (def. I). 1 piani delle circonferenze del ci- lindro passano per la retta polare a', la quale in questi piani è la retta polare dei centri. Sia P un punto della retta a', Pl il suo opposto. In un piano qua- lunque 9 passante per la retta a', e che incontra a in due punti opposti A e A19 vi sono due cerchi del raggio dato r e di centri A e A^ Congiungiamo a con P; nel piano aP il punto P è il polo della retta a, e taglia il piano a nella retta PA, e quindi i due cerchi in quattro punti situati ad ugual distanza da P e da P! I punti più vicini a P sono ad una distanza uguale al complemento del raggio dato (def. V, 29), e gli altri due sono alla stessa distanza da P. Variando il piano passante per a', si vede che nel piano Pa vi sono due cir- conferenze del cilindro, che hanno un raggio complementare al raggio della circonferenza rispetto all'asse a, e di centri P e P1B Def. IL I raggi dei cerchi coi centri nei due assi li chiameremo raggi del cilindro rispetto ai due assi. i) Questo cilindro fu trovato da clifford (Math. Papers. London, 1882). Qui noi, avendone bisogno nella seconda parte, ne dimostriamo le proprietà principali per via puramente geometrica ed ele- mentaie. Le rette di ugual distanza sono chiamate da Clifford rette parallele; noi non abbiamo adot- tato tale definizione per non recar confusione col nostro criterio del parallelismo, specialmente nel passaggio dal sistema Riemanniano al sistema Euclideo nello spazio a quattro dimensioni.

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451 Teor. IL II cilindro viene diviso da ogni piano passante per ciascuno dei suoi assi in due parti simmetriche rispetto al piano. Ogni piano A passante per uno degli assi per es. a' è perpendicolare ai- Pai tro asse a (teor. Ili, 100), e indicando con A e A' i punti d'intersezione di questo piano con a, in esso piano sono contenuti due cerchi del cilindro di centri A e A' e di ugual raggio. Immaginiamo due piani B, B, passanti per a, che facciano an- goli uguali col piano A. Essi tagliano la retta a in punti B e Bl equidistanti da A (coroll. teor. I, 112). Sia X un punto del cerchio del cilindro sul piano A di centro B e di raggio r\ e conduciamo da X la perpendicolare b al piano A, la quale dovrà passare pei poli di A situati in a. Sia Y il piede del seg- mento normale minimo da X ad A, e Xl il suo punto d'incontro col piano B,, tale che (XXJ contenga Y. Il piano ab è normale alla retta a, e la in- contra in due punti ZZ'. Gli angoli YZX, YZXl misurano gli angoli diedri (AB), (ABO (teor. Ili, 112),j^ erciòJJ;riangoli ZXY, ZX^Y sono uguali per avere il lato ZY comune, XZY~X^ZY e gli angoli in Y retti (oss. I, 74), dunque (XY)~(X,Y). Vale a dire il punto Xl è simmetrico di X rispetto al piano A. Ci resta da dimostrare che Xt è pure un punto del cerchio del cilindro di centro B^ nel piano B,. Infatti i triangoli rettangoli AXY, AX^Y, sono uguali per avere i due cateti uguali, e quindi (AX)=(AXl). Gli angoli BAY9 ^AYsono retti, perché la retta a è perpendicolare al piano A e perciò ad ogni retta pas- sante pel punto A nel piano (coroll. teor. II, 110), dunque essendo XAY^X^Y nel medesimo fascio di raggi, si ha BAX^B^X^ I due triangoli BAX, BlAXl sono uguali flg. e per avere due lati e l'angolo compreso uguali, dunque (BX) = (BÌXÌ) (flg. 98). Teor. III. Per ogni punto del cilindro passano due rette situate sul cilindro. Sono le due rette di ugual distanza che passano pel punto dato da uno o dall'altro asse del cilindro (teor. IV e def. II, 114 e teor. I). Teor. IV. Una retta non può avere più di due punti (e i due punti op- posti) comimi col cilindro senza giacere in esso. Sia I) la retta che abbia tre punti A,B,C non opposti comuni col cilindro. Da A ByC tiriamo i segmenti normali all'asse a, che sono uguali al raggio del cilindro relativo ad tf, la retta b sarebbe quindi una retta di ugual distanza da a (teor. VI, 114) e alla distanza data dal raggio del cilindro, vale a dire la retta 6 giacerebbe nel cilindro stesso. Coroll. Le retti del cilindro non possono incontrarsi tutte a due a due, né tutte le rette di un piano possono appartenere al cilindro. Difatti, nel primo caso le rette del cilindro o passerebbero per un punto o sarebbero situate in un piano, ciò che non è possibile. Così è escluso il secondo caso. Teor. V, Ogni piano che passa per una retta del cilindro taglia il ci-

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452 lindro in un'altra retta, e non ha altri punti fuori delle due rette in comune cól cilindro. Sia g la retta del cilindro e ir un piano passante per g. Non può essere g incontrata da tutte le rette del cilindro, perché le rette di esso passanti per un punto fuori di g sarebbero con g in un piano, e tutte le rette (Ji questo piano sarebbero situate sul cilindro (teor. IV), il che è assurdo (coroll, teor. III). Siano dunque B e C i punti d'intersezione di ir con due altre rette del cilindro, che non incontrino la retta g. La retta BC incontra la retta g in un punto D, e quindi la retta BC avendo tre punti comuni con la superficie vi giace per intero (teor. IV). Se fuori delle due rette BC e g il piano avesse un altro punto E in co- mune colla superficie, ogni retta passante per E, che incontra in due punti le due rette BC e /, sarebbe situata sul cilindro: vale a dire ogni retta del piano apparterrebbe al cilindro, e il piano sarebbe parte del cilindro stesso, ciò che è assurdo (coroll. teor. III). Teor. VI. Nel cilindro vi sono due sistemi di rette, quelle di uno stesso sistema non si incontrano, mentre una retta di i no qualunque di essi incontra le rette dell'altro sistema. Difatti siano g ed Me rette che passano per un punto P del cilipdro. Il piano che passa per la retta g e per un'altro punto qualunque Pl del cilindro taglia il cilindro in un'altra retta ^ che incontra la retta g. Ma la retta ^ non può incontrare la retta I altrimenti le rette g, I, ^ sarebbero in un piano, ciò che è impossibile (teor. V). Cosi facendo per ogni punto P della superficie si ottengono tutte le rette I di un sistema. I piani passanti per le rette I danno invece le rette dell'altro sistema. Teor. VII. Una retta che incontra il cilindro in un punto (o nel suo op- posto) lo incontra in un altro punto (e nel suo opposto)9 che può coincidere col primo. Sia b la retta data, A il punto dato e g una retta del cilindro passante per A. Il piano bg incontra la superficie in un'altra retta I, che incontra b in una coppia di punti opposti #,#, che appartengono al cilindro. Se B coincide con A, ciò significa che la retta 6, oltre che essere situata nel piano gì, passa anche pei loro punti d'incontro. Def. III. Una retta che incontra in due soli punti opposti il cilindro si chiama tangente al cilindro in questi punti. Teor. Vili. Una tangente al cilindro ha con ciascuno degli assi una distanza uguale al raggio del cilindro rispetto all'asse considerato. Difatti condotta da B la normale all'asse a, questa è normale alle due rette g e I, perché g e I sono con a rette di ugual distanza (def. II, 114 e teor. Ili), e quindi la normale da B all'asse a è anche normale al piano gì, e perciò anche alla retta b che passa per B (coroll. teor. II, 110). Teor. IX Tutte le tangenti in un punto al cilindro sono situate in un piano, che contiene le due rette del cilindro passanti pel punto dato, ed è per- pendicolare alla normale condotta dal punto ali9 uno e aW altro asse. Difatti siano g ed I le rette passanti pel punto A, Ogni retta tangente in.

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453 A ha pef normale la normale p condotta da A alleasse a del cilindro. Ora le normali condotte da A alla retta p sono in un piano (teor. IV, 110, def. V, co- roll. Il, teor. IV, 108; teor. Vili, 110), il quale contiene anche le due rette g ed L Def. IV. Il piano, che contiene tutte le tangenti in un punto at cilindro, si chiama piano tangente in questo punto e nel suo opposto. Teor. X. Due rette sghembe a e b, che non sono rette di ugnai distanza, hanno due segmenti normali comuni disuguali. Difatti scegliamo un punto B di , e sia A il piede della normale condotta da B ad a. Costruito il cilindro, di asse a e di raggio (AB), la retta b incon- trerà il cilindro in un altro punto B' (e nel suo opposto). Il piede della nor- male condotto da B ad a sia A' (flg. 94). Si ha (AB) = (A' ), e inoltre ÀBh'^A^B (teor. VI, 17). La retta che unisce i punti di mezzo dei segmenti (BBr), (AA') è perpendicolare comune ad a e b (teor. VI, 17). L'altra perpendicolare è la retta polare (cor. I, teor. Vili 110). Oss. IV. Due rette dunque nello spazio completo hanno due segmenti normali comuni e disuguali; o ne hanno infiniti uguali e sono rette di ugual distanza; op- pure ne hanno infiniti di uguali ad un retto, e in tal caso sono rette polari. Se il raggio del cilindro è uguale ad un segmento retto, il cilindro si riduce alla polare dell'asse relativo. ÌTeór. XI. Due coppie di rette che hanno una medesima distanza sono identtche. Difatti se (ab), (afa) sono due coppie di rette, (AB), (AB'), (A ); (A\B\) i segmenti normali di essi, si ha per dato (AB) = (A'B'). Siccome (AA')~ (B )E=(A^A'l) = (Bl ,) = ^', i triangoli AB , AlBlffl sono uguali e perciò anche i loro lati (AB*), (A^B^). Così sono uguali (BA') e (B^A^. I triangoli rettangoli AB*A', A^^ sono uguali per avere un cateto e P ipotcnusa uguali, quindi (Arff)^(A'ìffl). Le due figure ABBLA} A^B^'^'^ sonò dunque identiche (teor. VII, 17. opp. oss. II, 116). 118. Oss. I. Per la superficie sferica e per la sfera valgono le stesse definizioni date nello spazio Euclideo (101), soltanto è da osservare che una superficie sfe- rica di centro C ha anche un altro centro, cioè il punto opposto e quindi anche un altro raggio supplementare al primo, e racchiude due sfere. Però la superficie sferica che ha per raggio un segmento retto è il piano polare del centro, e quindi ogni su- perficie sferica che non sia un piano è situata tutta da una parte del piano polare dei suoi centri, e dalla parte, s'intende, del raggio minore di un retto. Come per le circonferenze nel piano completo, possiamo considerare, finché non si dica diversamente, che una superficie sferica abbia un solo centro e un raggio mi- nore di un segmento retto. e quindi determini una sola sfera. Oss. II. Per le sfere nello spazio completo valgono gli stessi teoremi con le stesse dimostrazioni dati al n. 101 per le sfere nel campo Euclideo. Teor. I. La sfera ha tutti i suoi punti equidistanti dal piano polare del suo centro. Difatti tutti i raggi della sfera sono perpendicolari al piano polare del centro (coroll. I, teor. Ili, 110),e prolungati fino all'incontro con questo piano sono retti, e quindi ogni punto della sfera è distante dal piano polare del centro di un segmento complementare al raggio.

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454 Oss. III. Data una sfera di centro C e di raggio r, èssa determina un* altra sfe- ra dello stesso raggio col centro nel punto C' opposto a C* la quale contiene i punti opposti a quelli della prima. Una retta che incontra in un punto la prima incontra la seconda nel punto opposto; una tangéntejalla prima in un punto è tangente alla seconda nel punto opposto, un piano tangente alla prima è perciò anche tangente alla seconda. Le due sfere opposte sono situate da parti opposte rispetto ad un loro piino taugente, perché i loro centri sono situati da parti opposte (coroll. I. teor. IV, 109; teor. V, 101 e oss. II). Oss. IV. Valgono con le stesse dimostrazioni i teor. I, II, III del n. 96. Sistemi continui di figure ideniiche e movimento reale nello spa- zio completo Spazi a, tre dimensioni limiti assoluti di un punto. 119. Oss. Valgono le stesse definizioni dei sistemi continui e gli stessi teoremi dati pei sistemi circolari di figure invariabili nel campo Euclideo (103, 105) eccet- tuato il sistema parallelo (104). Soltanto è da osservare che nelle dimostrazioni al piano ali' infinito rispètto a un punto si sostituisce il piano polare del punto. Valgono pure nello spazio completo le proprietà del movimento reale delle ft- gure date nel campo Euclideo (106, 107), eccettuato il movimento di traslazione che equivale nel campo completo ad un movimento di rotazione infinitesima. Teor. I. Quattro punti del campo limite assoluto di un punto A determi- nano uno spazio situato tutto nel medesimo campo. Dati quattro punti XMl Y^, ZM, Wm del campo limite assoluto di un pun- to A, le rette e i piani da essi determinati giacciono in questo campo (teor, I 32, teor. I, 78), e poiché tutte le rette dello spazio X^Y^Z^W^ incontrano i piani suddetti, risulta che ognuna di esse è retta limite assoluta del punto A, e perciò ogni punto dello spazio suddetto giace nel campo limite assoluto di A. 12. Assioma, III pratico. 120. 055 Finora, pur avendo accompagnati i nostri ragionamenti coir intuizione spa- ziale, necessaria per la geometria (def. II, 2 e pref.), ma non necessaria per lo svolgi mento logico della geometria stessa, non abbiamo avuto bisogno di dire qual è la fi- gura che corrisponde allo spazio intuitivo dal quale siamo partiti (oss. emp. I) per stabilirei nostri assiomi. Noi possiamo ora dire: Ass. III. prat. Lo spazio intuitivo è una figura a tre dimen- sioni rispetto ài suoi punti. Limitandosi alle grandezze intuitive secondo T assioma I prati co (28), che è sotto altra forma l'assioma della nota XVI, si ha: Teor. Nello spazio intuitivo valgono le proprietà dello spazio Euclideo a tre dimensioni.

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PARTE SECONDA LO SPAZIO A QUATTRO E A N DIMENSIONI NELLO SPAZIO GENERALE.

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m. LO SPAZIO A QUATTRO DIMENSIONI. CAPITOLO I. Lo spazio Euclideo a quattro dimensioni 1. Costruzione della stella di 2* specie dello spazio a quattro dimensioni. Prime loro Proprietà, 121. Def. I. Sia dato uno spazio a tre dimensioni S3 e un punto S0 fuori di esso, o in altre parole che non appartenga ad S3 (oss. Il, 2 e ini a, 37). Congiungendo tutti i punti dello spazio S3 col punto S0, le rette che così si ottengono, considerate quali . elementi, determinano una figura (def. I, 2), che chiame- 1 remo stella di seconda specie, di cui S0 è il centro, S3 lo spazio direttore. La indicheremo col simbolo ($, 3). fig- 99 Lo stesso dicasi se in luogo della retta si considera il raggio limitato nel punto S0 quale elemento (fig. 99). Oss. I. Dalla definizione stessa si ha che ogni retta della stella, ogni piano ed ogni spazio a tre dimensioni incontrano lo spazio direttore rispettivamente in un punto, in una retta e in un piano. Es. Diamo il seguente esempio a solo titolo di schiarimento e per rendere dirò così più intuitiva la nostra costruzione della def. I, rna non già come prova dell'esi- stenza materiale della quarta dimensione o del nostro spazio generale, che noi non ci siamo mai immaginati neppure di discutere, né come prova della validità della nostra def. I o di quella dello spazio generale (def. 11,2), la quale ha il suo appoggio sul prin- cipio a del n. 37 dell'introduzione come la def. I, 82. Immaginiamo che nel piano, esista un ente ragionevole a due dimensioni, il cui mondo non sia che il piano e che colla sua esperienza possa provare soltanto l'esi- stenza della parte del piano in cui esso può eseguire le sue osservazioni. Per imma- ginarci meglio questo essere ipotetico, figuriamoci la nostra ombra sopra un piano ; ad ogni nostro movimento corrisponde un movimento di essa, e se noi facciamo astra- zione dalla nostra persona, ci pare che quell'ombra sia un ente che abbia vita e si muova nel piano. Supponiamo inoltre che per quest' ombra valgano le stesse nozioni comuni che

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458 abbiamo svolto nei cap. t dell'introduzione, e dotiamo inoltre quest* ombra dì sensi coi quali non possa osservare invece che una parte del piano in cui esso si trova; avremo così l'ente supposto 1). Dato così questo ente, esso non può provare coll'osservazione che una retta può avere un punto comune col suo piano senza che vi giaccia per intero: esso vede che da un punto di una retta del suo piano si può inalzare una sola perpendicolare alla retta che giace nel piano, ma non può provare invece colla sua osservazione che le perpendicolari condotte nello spazio nostro sono infinite e giacciono in un piano perpendicolare alla retta ; e così via. Ma col suo raziocinio esso potrà generarsi il suo piano, e valendo per esso il principio a del n. 37 dell'introduzione, nell'identico modo da noi adoperato e per analogia potrà colla sua ragione immaginarsi che fuori del piano esista un punto. Posto ciò, assoggettando tutti i punti agli stessi assiomi da noi dati e che valgono anche per esso, l'essere suddetto giungerà alla stessa nostra costruzione dello spazio a tre dimensioni. Per esso la geometria a tre dimensioni sarebbe puramente ideale, ma matematicamente vera. Quell'ente potrà utilizzare le proprietà delle figure del no- stro spazio per dimostrare proprietà'delle figure del suo piano, che trattate diret- tamente cogli elementi del piano sono meno facili ad essere dimostrate, come spesso noi stessi facciamo. Ed anche indipendentemente da ciò, la geometria a tre dimensioni avrà logicamente per quell'ente lo stesso diritto di esistenza della geometria del suo piano. Mettiamoci ora noi al posto di quell'essere rispetto all'ambiente delle nostre osservazioni. Noi possiamo logicamente supporre che fuori del nostro spazio vi sia un altro punto, senza che questa ipotesi conduca da sola allo spazio a quattro di- mensioni; assoggettando poi questo punto agli assiomi già dati noi ricaviamo tosto l'esistenza ideale dello spazio a quattro dimensioni (def. II), in cui è compreso Io spa- zio ordinario; nello stesso modo che il piano dell'ente suddetto è compreso nello spazio comune. Teor. I. Due rette (o due raggi) di una stella di 2a specie determinano un fascio appartenente alla stella. Tre raggi non appartenenti ad un fascio deter- minano una stella di la specie appartenente alla stella data. Difatti due punti in cui le due rette date incontrano lo spazio 3 (oss. I) determinano una retta r che giace in S3 (teor. II, 82), i cui punti congiunti con S0 danno il fascio della stella determinata dalle due rette; e siccome ogni retta del fascio è determinata dal punto 50 con un punto della retta r (se è parallela la incontra ali' infinito) la prima parte del teorema è dimostrata (flg. 99). Analogamente, i tre punti d'incontro dei tre raggi dati con S3 determi- nano un piano che giace tutto in S3 (teor. Ili, 82), i cui punti congiunti con 0 danno una stella di ! specie (def. I, 82), appartenente alla stella (S0 S3). E poiché ogni retta della stella di la specie incontra il piano direttore (oss. I, 82), essa appartiene allo spazio ,, e la seconda parte è pure dimostrata. Oss. IL D'ora innanzi faremo uso anche delle definizioni date al n. 110 dell'mt. sulle forme a più dimensioni. Da ciò si deduce tosto che la stella di 2* specie è a tre dimensioni rispetto alle sue rette o ai suoi raggi, perché lo spazio direttore è a tre dimensioni. Def. IL Se nella stella di 2a specie si considera il punto come elemento, 1) In una breve nota a pag. 28 della Memoria. Saggio d'interpretazione della geometria non Euclidea Bel trami ricorre a un essere le cui osservazioni non eccedano il campo a due dimensioni, come le nostre non eccedono quello a tre. Di questi esseri ipotetici si è servito poi anche Helnwltz nelle sue Populàre Vorles ungen, per scopi diversi dal nostro, (vedi appena.).

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m la figura risultante è a Quattro dimensioni rispetto al punto quale elemento. Chiameremo questa figura spazio a quattro dimensioni. Lo indicheremo con una lettera accompagnata dalla cifra 4, per es. S4. Def. III. Ogni piano di S3 e il punto S0 individuano uno spazio a tre dimen- sioni (def. IV, 82). Diremo per maggiore chiarezza che il piano congiunto col punto SQ fuori di esso determinano uno spazio a tre dimensioni, che passa pel punto e pel piano. Oss. III. I primi elementi dello spazio a quattro dimensioni sono dunque il pun- to, la retta, il piano e lo spazio a tre dimensioni, che chiameremo perciò elementi fondamentali, e che indicheremo rispettivamente con lettere aventi al piede un in- dice uguale al numero delle dimensioni di essi rispetto ai loro punti; vale a dire li indicheremo ad es. rispettivamente coi simboli S^, Sj, S2, 83. Quando parleremo di spazio soltanto intenderemo quello a tre dimensioni. Teor. IL Una retta che ha due punti comuni con lo spazio a quattro di- mensioni vi giace interamente. Se A$, BQ sono i punti che la retta ha in comune con lo spazio S4 (fig. 99), le due rette SQA0, 0#tì sono contenute in 4, e incontrano lo spazio generatore S3 in due punti A'0,^0 la cui retta congiungente giace in S3 (oss. I;teor. II, 82). Ma il piano S0A'0#0 è situato nello spazio S4, mentre la retta A0B0 giace nel piano S0AV#'0 (oss- I e teor. *v 46); dunque il teorema è dimostrato. Teor. III. Un piano che ha tre punti indipendenti comuni con lo spazio a quattro dimensioni vi giace per intero. Siano infatti A0, J90, C0 i tre punti (fig. 99). Per la proprietà precedente le rette A0#0, A0C0, BQC0 appartengono allo spazio S4. Una retta qualunque del piano incontra le due rette AQBW BQCQ in due punti che giacciono in S4, e quindi tutte le rette del piano dato appartengono allo spazio S4 (teor. II), dunque anche il piano (def. I, 2, opp. int. def. IV, 13). Teor. IV. Se uno spazio ha quattro punti non situati in un piano con lo spaziq S4, esso giace interamente in esso. Difatti se A0,#0,C0,Z)0 sono i quattro punti indipendenti (def. 1,515) che uno spazio #3 ha in comune con lo spazio S49 le rette e i piani determinati dai quattro punti giacciono in S4 (teor. II e III), e quindi ogni retta di 7 3 incontrando ciascun piano del tetraedro A0#0C0D0 (teor. I, 83), è situato tutta in S4 (teor. II), ed il teorema è dimostrato (fig. 99). Teor. V. Lo spazio a quattro dimensioni (^0S3)può essere generato da uno spazio S'3 e d\i un punto S'Q qualunque di esso, purché il punto giaccia fuo- ri di #3. Gli spazi (SoS3) ; OS^S,) coincidono, perché ogni retta che congiunge un punto di S3 con giace nello spazio (So^s) (teor. II), e perciò ogni punto di (SVSg) è un punto dello spazio (S0S3). E inversamente, S0 è un punto dello spa- zio ( S'o/sy, perché la retta S0S'0 incontra lo spazio 3 in un punto P0, essendo ^0 un punto dello spazio (S^) (oss. I). Dato un punto qualunque RQ di (^ 3), la retta S0#0 incontra S3 in un punto #0, che può essere all'infinito (oss. I). La retta oR0 nel piano S0S'0#0 incontra la retta PQR0 in un punto (co- roll. II, teor. Ili, 46), dunque RQ è un punto dello spazio ( '0 j) vale a dire ogni punto di'^otfg) appartiene a (Sr0 j).

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460 Lo stesso accade degli spazi (S0S3) (S0tf3). Difatti se A0,50, C0,l)0 sonò qtlat- tro punti non situati in un piano di #3, le quattro rette S040, S0fi0l ^oO s ^o incontrano lo spazio S3 in quattro punti A'0#0Gy0D'0, perché 40#0C0D0 giacciono in (SQS3) come #3 (oss. I), e perciò lo spazio S3 è contenuto nello spazio (S^^) (teor. IV), ed ogni retta, che congiunge SQ con un punto di S3 è situata tutta nello spazio OS'o^s) (teor. II). Si conclude che coincidono anche gli spazi (506r3), (S'oSy, e quindi anche (S0S3), OS^S's). CorolL Cinque punti indipendenti determinano un solo spazio a quattro dimensioni, il quale viene determinato da cinque qualunque dei suoi punti indipendenti *). 2. Intersezioni di rette, piani e spazi a tre dimensioni. Fascio di spazi. 1S2. Teor. I. Una retta ed un piano dello spazio S4 non st incontrano, e se si incontrano sono situati in uno spazio a tre dimensioni. Si considerino infatti cinque punti AQtBw C0,D0,JE*C non situati in uno spazio S3 dello spazio S4; la retta di due di essi non incontra il piano determina- to dagli altri tre, perché altrimenti i cinque punti sarebbero situati in uno spa- zio a tre dimensioni determinato dal punto comune, da due punti del piano e da un altro punto della retta (coroll. teor. IV, teor. II, III, 82). Teor. IL Una retta ed uno spazio a tre dimensioni dello spàzio S4 si in- contrano in un punto, se la retta non giace nello spazio. Siano infatti S3 ed Sì lo spazio e la retta dati (tig. 100). Su questa con- sideriamo un punto S0 non situato nello spazio 3, ciò è sempre possibile perché supponiamo che la retta per ipo- tesi giaccia fuori dello spazio S3 (int. def. VI, 13). Lo spa- zio S4 può essere generato dal punto SQ e dallo spazio ,, ma tutte le rette passanti per S0 in S4 si ottengono congiungendo i punti di S3 con S0(teor. V, oss. 1,121), e perciò la retta Sl incontra lo spazio S3 in un punto .Y0. flgt 100 Teor. III. Un piano S2 e uno spazio a tre dimen- sioni dello spazio S4 si incontrano in una retta. Si può dimostrare in modo analogo al precedente, oppure in quest'altro modo (fig. 100). Siano S3 ed *S'2 lo spazio ed il piano dati. Ogni retta di S% incontra S3 in un punto; quindi la figura comune a S2 e S ha in S2 un solo punto comune con ogni retta di ^25 essa è dunque una retta (teor. VI, 48). 1) Come si vede le dimostrazioni di queste prime proprietà sono analoghe a quelle date al n. 82 per 10 spazio a tre dimensioni; cosi è di molte proprietà che incontreremo in seguito, parecchie delle quali, come ad es. quelle del teor. Il e del teor. V, si ottengono da quelle dello spazio a tre dimen- sioni scambiando alcuni enti fondamentali fra loro. Abbiamo dato per disteso queste dimostrazioni dapprincipio per farne meglio risaltare il confronto con quelle date nello spazio* a tre dimensioni e 11 carattere puramente geometrico di esse.

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461 Teor. IV. Due spazi a tre dimensioni dello spazio S4 si incontrano in un L flg 101 piano. Questo teorema si dimostra in modo analogo ai due precedenti conside- / / rando un punto S0 in uno dei due spazi, ma non compreso $3 y nell'altro. Oppure anche osservando che ogni retta del- T uno incontra in un solo punto l'altro, e quindi la fi- gura comune è un piano (teor. VII, 84) (ttg. 101). Teor. V. Tre spazi a tre dimensioni, che non hanno in comune un piano, hanno in comune una retta, e quat- tro spazi un solo punto. Difatti se ,, *S^3, S"3 sono i tre spazi, il piano co- mune a due di essi incontra il terzo in una retta co- mune a tutti e tre (teor. III). Analogamente si vede che quattro spazi a tre dimensioni in generale si incontrano in un punto teor. II). OSB. I. Tre spazi (oss. Ili, 121) possono avere anche un piano comune, e quattro spazi un piano o una retta. Teor. VI. Due piani dello spazio S4 si incoiitrano in un punto ; se si in- contrano in una retta giacciono in uno spazio S3. Siano dati i due piani S2, tf2(fig. 102). Facciamo passare per uno di essi, per es. per S2, uno spazio S3. Il piano ^ incontra questo spazio in una retta XÌ9 la quale incontra il piano S2 in un punto X0 che è comune ai due piani (teor. 1,83). Se invece i due piani S2, 2 avessero due punti comuni, e per conseguenza la retta che li congiunge, (teor. IV, 46), allora sarebbero situati nello spazio a tre dimensioni determinato dalla retta comune e da al- tri due punti scelti rispettivamente sui due piani 2, #'2 (teor. Ili, 82). Teor. VII. Tutti i piani dello spazio S4 passanti per una retta si otten- gono congiungendo la retta con tutti i punti di un piano che non la incontra. Essi formano un sistema a due dimensioni, e contengono tutti i punti dello spazio S4. Siano St ed 2 una retta e un piano che non si incontrano (fig. 103). Ogni punto J[0di^2dà uno ed un solo piano passante per St. Di fatti se due punti A^ BQ fossero situati in un medesimo pia- no colla retta SÌ9 la retta Sl incontrerebbe il piano S2 nel suo punto d'intersezione colla retta A^B0, ciò che è Si contrario al dato. Per conseguenza, congiungendo i punti di S2 con la retta S, mediante dei piani, questi costi- tuiscono un sistema a due dimensioni di piani, poiché flg. KB tale è anche il piano rispetto ai suoi punti (def. II, 46). Se si considera un altro piano S'2, il sistema a due dimensioni di asse SÌ9 che esso determina nel modo indicato, coincide con quello determinato da 2, perché tutti i piani che incontrano S2 in un punto incontrano in un punto an- che tfg, e inversamente (teor. VI), fig. 102 B.

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462 Def. L La retta ^ la chiameremo asse del sistema. Teor. VI IL Tutti gli spazi a tre dimensioni detto spazio S4 passanti per un piano si ottengono congiungendo il piano coi punti di una retta, che non lo incontra. Essi formano un sistema ad una dimensione, e contengono tutti i punti dello spazio S4. Ogni punto della retta Sì congiunto con da uno spazio a tre dimensioni passante per S2, e anche in questo caso due punti di Sl non possono dare lo stesso spazio a tre dimensioni passante per g, perché altrimenti la retta gia- cerebbe in esso, contrariamente al dato (fig. 103). Il sistema di spazi a tre dimensioni passanti pel piano S$ così ottenuto è ad una dimensione, perché tale è anche la retta S{ rispetto ai suoi punti. Def. li Questo sistema si chiama fascio di spazi a tre dimensioni, di cui il piano è I" asse. Teor. IX. Esiste una sola retta che incontra tre rette date à'15 ",, S"\, non situate in uno spazio S3. Le tre rette due a due determinano tre spazi 5'3, S"3, S"'3, i quali si incon- trano nella trasversale comune. Infatti lo spazio S'i 'i, ossia % incontra la terza retta S"\ in un punto, che è comune ai tre spazi S3. Conducendo quindi da questo punto la trasversale alla retta \ \ in S"3 (teor. V, 83), si ha la trasversale richiesta, che è comune ai tre spazi 3. Teor. X. Dati due piani non situati in uno spazio S3 e un punto fuori di essiy vi è un solo piano che passa pel punto e incontra ciascuno dei due piani in una retta. Basta unire il punto coi due piani per mezzo di due spazi a tre dimen- sioni, i quali si incontrano in un piano, che incontra ciascun dei due dati in una retta (teor. Ili, 83). Teor. XI. Dati tre piani e un punto indipendenti, vi è una sola retta che passa pel punto e incontra i tre piani. Si congiunga il punto coi tre piani, si ottengono tre spazi a tre dimen- sioni che hanno in comune la retta del teorema (teor. V). Teor. XII. Dati quattro pianir vi sono infinite rette che incontrano i quat- tro piani, delle quali una sola passa per un punto di ciascuno di essi, eccet- tuati i sei punti a" intersezione dei quattro piani. Le rette passanti per eia- senno di questi punti giacciono in un piano. Si dimostra facilmente coiraiuto dei teor. XI e IV. Osa. II. Quando parliamo di una figura dello spazio intendiamo che i suoi punti ap- partengano allo spazio, senza che tutti i punti di questo appartengano alla figura data. Teor. XIII. Se una figura contenuta nello spazio S4 viene incontrata da ogni retta di esso in un punto, essa è uno spazio a tre dimensioni. Infatti due punti A0BQ della figura determinano una retta appartenente per dato alla figura. In una retta dello spazio S4, che non incontra la retta A^BQ, deve esservi un punto Cn appartenente a quella figura, e quindi una retta che passa per C0 e si appoggia sulla À0BQ fa parte di essa, e perciò anche il piano A^B^CQ. Se si considera un1 altra retta dello spazio, che non iuco- tra questo piano, su essa deve trovarsi un aWro punto 0 della figura e quia-

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463 di lo spazio a tre dimensioni A0B0 V)0 giace anche esso nella figura. Dico che fuori di questo spazio non vi sono altri punti della figura data. Difatti se ve ne fosse uno, per es. 35 , questo e lo spaziq AQBQCQDQ determinerebbero lo spazio S4(teor. V, 121), dunque la figura sarebbe I1 intero spazio S4ì ciò che è contrario al dato. Corali. Se una figura dello spazio S4 ha con tutti i piani o con tutti gli spazi a tre dimensioni di esso una retta o un piano in comune, essa è uno spazio a tre dimensioni. Olfatti da ciò risulta che ogni retta ha un solo punto comune con la fi- gura data. Teor. XIV. Se una figura formata da piani è tale che i suoi piani si in- contrano a due a due in una retta senza passare per uno stesso punto o per una stessa retta, essa è uno spazio a tre dimensioni o giace in uno di questi spazi. Dim. analoga a quella del teor. Vili, 85 (teor. VI). 3. Spazio all'infinito Rette, piani e spazi paralleli dello spazio S4. Loro costruzione con elementi del campo finito. 123. Teor. L 11 campo limite assoluto dello spazio S4 intorno ad ogni suo punto è uno spazio S3 completo, che si può ritenere quale spazio limile assoluto di un punto qualunque del campo finito rispetto all'unità di questo campo. Si possono considerare nello spazio S4 quattro raggi passanti per il punto AQ, che non siano situati in uno spazio S3, e quindi i loro quattro punti limiti assoluti (def. II, 32) non sono situati in un piano: essi determinano uno spazio a tre dimensioni *3ao che è nel campo limite assoluto di AQ (teor. I, 119). Le rette del tetraedro determinato dai quattro punti ali1 infinito sono si- tuate ,nello spazio S4, cioè nei piani dei quattro raggi suddetti (oss. IV, 68), e quindi sono situate in S4 tutte le rette che incontrano due di esse e perciò anche tutti i piani del tetraedro (teor. I, 84); così pure tutte le rette che in- contrano due di questi piani, che sono precisamente quelle dello spazio *3oo. La seconda parte deriva dal teor. IV, 32. CorolL Si può ritenere che il campo ali* infinito dello spazio S4 rispetto all'unità Euclidea sia uno spazio a tre dimensioni. Dim. analoga a quella del coroll. del teor. I, 84. Def. L Chiameremo un tale spazio, spazio ali'infinito delio spazio S4 ri- spetto all'unità Euclidea (oss. 31). 05 , I. Vale l'oss. analoga alToss. I del n. 84. 124. Oss. I. Le definizioni del parallelismo di due rette, di una retta e di un piano e di due piani dati al n. 26 e al n. 85 valgono anche per lo spazio S4. Si vede adun- que che una retta e un piano, o due piani paralleli dello spazio S4 sono situati in uno spazio S3. Sussistono dunque per essi nello spazio S4 i teoremi già dimostrati nel piano e nello spazio 83. Def. II. Una retta, o uà piano, ed uno spazio sono paralleli quando il puntò all'infinito della retta, o la retta all'infinito del piano, sono situati nel piano all'infinito dello spazio

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464 Def. IL Due spazi a tre dimensioni sono paralleli quando hanno il me- desimo piano all'infinito. Teor, I. In uno spazio S3 parallelo ad una retta vi sono in finite parallele ad una retta data. Dim. analoga a quella del teor. I, 85. Teor. IL Da un punto fuori di uno spazio a tre dimensioni si possono condurre infinite rette parallele ad esso, che sono situate nello spazio parallelo al primo. Dim. analoga a quella del teor. II, 85. Teor. III. Data una retta e un piano che non si incontrano, per la retta passa un solo spazio a tre dimensioni parallelo al piano, e reciprocamente. Difatti il punto all'infinito della retta e la retta all'infinito del piano de- terminano il piano ali' infinito degli spazi a tre dimensioni paralleli alla retta e al piano, dei quali uno solo passa per la retta e uno pel piano (def. I). Teor. IV. Per un punto fuori di una retta e di un piano si può condurre uno solo spazio a tre dimensioni parallelo ad entrambi. È lo spazio determinato dal punto col piano dato dal punto ali' infinito della retta e dalla retta all'infinito del piano. Teor. V. Due spazi a tre dimensioni paralleli vengono intersecati da un piano, non parallelo ad essi, in due rette parallele. Difatti il piano interseca i due spazi in due rette che hanno il medesimo punto all'infinito, cioè il punto d'intersezione del piano col piano all'infinito dei due spazi. Coroll. I. Se una retta è parallela ad uno spazio a tre dimensioni, ogni piano passante per essa, non parallelo allo spazio, taglia lo spazio in una retta parallela alla data. Coroll. IL Se una retta è parallela ad un piano, ogni spazio a tre dimen- sioni passante per essa, non parallelo al piano, taglia il piano in una retta parallela alla prima. Teor. VI. Se un piano e uno spazio a tre dimensioni sono paralleli, sono intersecati rispettivamente da uno spazio qualunque a tre dimensioni, non pa- rallelo ad essi, in una retta e in un piano paralleli. Infatti il punto d'incontro del secondo spazio colla retta all'infinito comune al piano e allo spazio dati è precisamente comune alla retta e al piano d'in- tersezione di esso col piano e col primo spazio. Coroll. I. Se un piano è parallelo ad uno spazio a tre dimensioni, ogni spazio a tre dimensioni passante pel piano, e non parallelo al primo spazio, incontra questo spazio in un piano parallelo al dato. Teor. VII. Due rette parallele incontrano due spazi paralleli a tre dimen- sioni^ e non paralleli ad esse, nei vertici di un parallelogrammo. Dim. analoga a quella del teor. IV, 85. Teor. VIIL Due piani paralleli sono tagliati da uno spazio a tre dimen- sioni, non perallelo ad essi, in due rette parallele. Difatti le due rette d*intersezione hanno un punto all'infinito, il punto di intersezione dello spazio dato colla retta ali1 infinito dei due piani. Teor, IX. Se due rette sono parallele, due spazi a tre dimensioni che

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465 passano rispettivamente per esse, e non sono paralleli, si incontrano in un piano parallelo alle rette date. Difatti la retta all'infinito del loro piano comune contiene il punto comune alle due rette date. 05*. IL In modo analogo si dimostrano questi altri teoremi: Teor. X. Se due rette sono parallele, un piano e uno spazio a tre dimen- sioni che passano rispettivamente per esse, e non sono paralleli, si incontrano in una retta parallela alle rette date (teor. Ili, 122). Teor. XI. Se una retta e un piano sono paralleli, un piano e uno spazio a tre dimensioni non paralleli, passanti rispettivamente per la retta e pel piano, si incontrano in una retta parallela alla retta e al piano dato (teor. Ili, 122). Teor. XIL Se due piani sono paralleli, due spazi a tre dimensioni passanti rispettivamente per essi, e non paralleli^ si incontrano in un piano parallelo ai due piani (teor. IV, 122), 125. Oss. 7. Due piani sono paralleli secondo la def. II del n. 85 quando hanno la stessa retta all'infinito. In tal caso però sono situati in uno spazio a tre dimensioni (teor. VI, 122). Ma se due piani sono indipendenti in S4, essi si incontrano in un solo punto che in generale è situato nel campo finito (teor. VI, 122 corolL teor. I, 123). Def. I. Due piani che nou hanno una retta comune si dicono paralleli di 2* specie quando il loro punto comune è all'infinito. Chiameremo perciò i piani paralleli secondo la def. II, 85 paralleli di la specie o paralleli soltanto. Oss. lì. In ciascuno di due piani paralleli di 2a specie vi è una sola direzione di rette parallele all'altro piano. Coroll. Se un piano e una retta sono paralleli^ tutti i piani passanti per la retta sono paralleli di 2a specie al piano dato. Oss. III. Dato un piano e uno spazio a tre dimensioni che non con tiene il piano, nello spazio vi è un sistema di piani paralleli di 2a specie al piano dato, il sistema cioè di tutti i piani contenuti nello spazio, e che passano pel punto dove il piano alf infi- nito dello spaziò incontra la retta all'infinito del piano dato. Teor. L Dati due piani non paralleli di la specie, che si incontrano o non in una retta, e una retta che non è in uno spazio a tre dimensioni con ciascuno di essi, vi è un solo piano che passa per la retta ed è parallelo di 2* specie ai piani dati. Se i due piani dati sono paralleli di la specie, per la retta passano infi- niti piani paralleli di 2a specie ai primi due. Difatti pel punto all'infinito della retta passa una sola retta che incontra le rette ali1 infinito dei due piani (teor. II, 30, teor. 1,123 e teor. I, 68; teor. V, 83 e oss. V, 107). Dopo ciò, l'altro caso è evidente. Teor. IL Per un punto fuori di due piani paralleli di 2a specie passa uno spazio parallelo ad essi. È lo spazio che congiunge il punto colle rette all'infinito dei due piani (def. I). Teor. III. Per un punto fuori di due piani paralleli di 2? specie passa una sola retta parallela ad essir 30

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46t È la retta che passa pel punto dato e pel punto ali1 infinito comune ai due piani. 126. Costruzione di enti paralleli con elementi del campo finito. a) Spazio parallelo ad un altro spazio da un punto fuori delio spazio dato. Basta condurre pel punto tre rette parallele a tre rette non situate in un piano dello spazio d to (osa. Ili, 60); queste tre parallele determinano lo spazio richiesto. b) Spazio parallelo ad un piano passante per una retta che non incontra il piano. Basta da un punto della retta condurre il piano parallelo al dato come nello spazio a tre dimensioni (oss. li, 85). e) Spazio parallelo ad una retta, passante per un piano che non incontra la retta data. Per un punto del piano si conduca la parallela alla retta data, la quale col piano determina lo spazio domandato. d) Spazio passante per un punto e parallelo ad una retta e ad un piano. Basta condurre dal punto la parallela alla retta e il piano parallelo al piano dato, come nello spazio a tre dimensioni (oss. II, 85). La retta e il piano suddetto de- terminano lo spazio richiesto. e) Piano parallelo di 2* specie a due piani dati, e che passa per una retta. Per la retta si conducano gli spazi paralleli ai due piani (6), i quali si interse- cano nel piano richiesto (teor. I, 125)- f) Spazio parallelo per un punto a due piani paralleli di 2* specie. Basta condurre per il punto i piani paralleli di 1" specie ai piani dati che sono appunto situati nello spazio richiesto(oss. II, 85). g) Retta parallela a due piani paralleli di 2* specie passante per un punto. Siccome i due piani paralleli sono di 2* specie, il loro punto all'infinito deve essere determinato da una retta; quindi basterà per il punto condurre la parallèla a questa retta (oss. Ili, 60). 4. Identità, dello spazio S4 intorno ai suoi punti del campo finito e infinito Parti in cui S4 viene diviso da un suo spazio a due dimensioni. 127. Teor. I. Lo spazio S4 è identico intorno ad ogni suo punto del campo finito. Dim. analoga al teor. I, 86. Teor. IL Le stette detto spazio aventi i loro centri nel campo finito sopra un piano vengono divise da questo piano in due parti identichej che giacciono nette stesse due parti dello spazio. Uno spazio A3 della stella di centro AQ ha un piano a^ all'infinito, il quale divide lo spazio *3ao in due.parti identiche (coroll. I, teor. Ili, 109), e si sa pure che due punti opposti A"0oo, 3T0oo sono situati da parti opposte di o^, e che ogni retta /3leo e ogni altro piano ft^ sono situati per metà nelle parti opposte rispetto al piano a2oo (teor. IV, V, 109). Congiungendo con Aa le parti ir 3oo, *"3ao dello spazio w3w opposte al piano a2oo, le due parti (40ir'3 X)), (-40 "3oo) della stella di centro AQ in S4 sono identiche per l'identità di irr3ao e w3o9 e per essere uguali le costanze da 4Q daj punti di ir'g*, V, (fi

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X- fig. 104 467 Queste due parti della stella di centro A0 determinano due parti dello spazio. Sia ora #0 un altro punto dello spazio 43. Scelto un raggio ad arbitrio * AfiXfJ della parte (A0 ir 3oo), dimostriamo che ogni punto X0 di esso giace nella parte (B0 3ao). Difatti il piano A0X0B^ ossia ft , viene tagliato dalla retta A0BQ in due parti, una ..X. ....... * delle quali è situata nella parte (40*3oo) perché ha una se- *- y miretta all'infinito 'loo avente per estremi i due punti al- ii/ l'infinito di AQBd e situata in 3oo (fig. 104). Il punto all'infinito del raggio BQX0 è situato in 'lao (teor. II, 50), e quindi giace nella parte (B^'^) della stella di centro BQ. Coincidendo le due parti CA0 3fl0), (B0 *3ao), coincidono anche le parti opposte, ed il teorema è dimostrato. Def. I. Queste parti si chiamano le parti dello spazio S4 opposte allo spazio A3. Coroll. I. Le parti in cui lo spazio S4 mene divìso da uno spazio S3 sono identiche. Ognuna di queste parti si ottiene congiungendo i punti di una delle metà dello spazio 3a8 determinate dal piano all'infinito di A% con un punto qualunque del campo finito di 43 stesso (coroll. teor. Ili, 109 e def. I, 123). Teor. I IL Una retta, un piano ed uno spazio paralleli ad uno spazio a tre dimensioni giacciono dalla stessa parte di questo spazio. Nel piano ]52 sia data una parallela alla retta AQBQ (fig. 104). Essa è si- tuata tutta da una parte della retta AQBn (teor. I, 50), e siccome le parti del piano fe separate dalla retta A0BQ appartengono alle due parti della stella di centro A0 rispetto allo spazio A3, il teorema è nella sua prima parte dimo- strato. Ed è dimostrata pure la seconda parte, perché le rette di ogni piano o di ogni spazio S$ parallelo ad uno spazio dato a tre dimensioni sono ad esso parallele, e deVono quindi giacere tutte dalla stessa parte di questo spazio. Difatti se due punti del piano e dello spazio fossero da parti opposte di S%, per quanto sopra si è detto, la loro retta congiungente non sarebbe parallela ad S3. Teor. IV. Le due. parti di un piano (o di uno spazio) in cui esso viene diviso dalla retta (o dal .piano) d* intersezione con uno spazio S3, non parallelo al piano (o allo spazio), giacciono nelle parti dello spazio S4 opposte allo spazio S3. La dim. di questo teorema è analoga a quella del teor. IV, 86. Coroll. I. Le parti di una retta^ determinate su di essa dal suo punto d'incontro con uno spazio S% non parallelo alla retta, giacciono nelle parti di S4 opposte allo spazio S3. Coroll. IL Se due punti giacciono da parti opposte rispetto ad uno spazio S il segmento che li congiunge incontra lo spazio Sy Dim. analoghe a quelle dei coroll. I e II del teor. IV, 86 *). i) Dando un'occhiata alle proprietà fin qui svolte, il lettore si persuaderà ancora meglio di guanto abbiamo detto nella nota dej n. 121 ?

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468 o. Eette, piani e spazi perpendicolari. , 128. Oss. Lo spazio v^ all'infinito di #4 è uno spazio a tre dimensioni completo (corol). teor. I e def. I, 123). Le definizioni già date dell9ortogonalità di due rette, di una retta e di un piano e di due piani (def. V, 40, def. I, IH, 87) valgono anche nello spazio a quattro dimen- sioni 1). Teor. I. La retta aW infinito di un piano perpendicolare ad una retta è sul piano polare del punto all'infinito della retta; e inversamente. Di fatti essendo retto il segmento normale del punto all'infinito delia retta dalla retta all'infinito del piano, il punto è il polo della retta nel piano da essi determinato (teor. I, 73), e quindi la retta è situata nel piano polare del punto (teor. I e def. I, 108); e inversamente (teor. VI e I, 69 e oss.). Coroll. Una retta perpendicolare ad un piano riesce perpendicolare a tutte le rette del piano. Difatti il punto all'infinito di ogni retta del piano è coniugato al punto all'infinito della retta (def I, 69 e def. V, 40). Def. I. Una retta e uno spazio a tre dimensioni sono perpendicolari, se il segmento normale del punto all'infinito della retta al piano ali'influito dello spazio è retto (def. II, 111). Def. II. Un piano e uno spazio a tre dimensioni sono perpendicolari quan- do i segmenti normali della retta ali'infinito del piano e del piano all'infinito dello spazio sono retti (def. IV, 111). Def. III. Due spazi a tre dimensioni sono perpendicolari quapdo i seg- menti normali dei loro piani all'infinito sono retti (def. Ili, 111). Teor. II. Il punto aW infinito di una retta perpendicolare ad uno spazio s è il polo del piano aW infinito (bello spazio S3; e inversamente. Poiché la distanza del punto al piano è un segmento retto, il piano è po- lare del punto nello spazio ir3ao (teor. I, 111); e inversamente (teor. I, 108; co- roll. I, teor. Ili, 110 e oss.). Def. IV. Il punto d'intersezione di una perpendicolare ad uno spazio S3 collo spazio stesso si chiama piede della perpendicolare. Coroll. I. Tutte le rette parallele ad una retta perpendicolare ad uno spa- zio S3 sono perpendicolari al medesimo spazio. Perché hanno lo stesso punto all'infinito. Coroll. IL Tutte le perpendicolari ad uno spazio S3 sono parallele fra loro. Perché hanno lo stesso punto all'infinito. Coroll. III. Tutti gli spazi a tre dimensioni, paralleli ad uno spazio S3 perpendicolare ad una retta, sono essi pure perpendicolari alla retta. Difatti il loro piano all'infinito è il piano polare del punto ali1 infinito della retta. \) Ve4i nota, 87.

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Corolt. IV. Tutti gli spazi perpendicolari ad una retta sonò paralleli. Perché hanno lo stesso piano all'infinito. Coroll. V. Una retta perpendicolare ad uno spazio a tre dimensioni è per- pendicolare a tutte le rette e a tutti i piani dello spazio dato. Difatti i punti del piano alP infinito dello spazio S3 sono coniugati al polo di esso (teor. I, 108 e def. I, 69), che è il punto ali*infinito della retta, e quindi la rètta data e una retta qualunque dello spazio 3 sono ad angolo retto (def. V, 40). La seconda parte del corollario è immediata conseguenza della prima (teor. I, 87 e oss.). Coroll. VI. Per un punto passa un solo spazio a tre dimensioni perpen- dicolare ad una retta data. Basta congiungere il punto col piano polare del punto all'infinito dèlia retta data. Coroll. VII. Tutte le perpendicolari condotte da un punto ad una retta sono situate in uno spazio a tre dimensioni (def. V, 40 e teor. I, 108). Coroll. Vili. Per un punto passa una sola retta perpendicolare ad uno spazio S3. La retta cioè che cougiunge il punto dato col polo del piano all'infinito dello spazio. Def. V. Il punto d'incontro della normale condotta da un punto ad uno spazio si chiama piede di essa. 129. Teor. I. Le rette all'infinito di due piani non situati in uno spaziò S% e perpendicolari, sono rette polari. Se i due piani si intersecano in una retta, o sono paralleli di 2a specie, le loro rette alV infinito sono coniugate intorno al punto comune. E inversamente. Difatti i due piani si incontrano in un solo punto (teor. VI, 122), e quindi le loro rette all'infinito in generale non si incontrano. E'quando i loro segmenti normali Sono retti (oss. 128) esse sono rette polari (teor. If, 114); e inversamente. Se invece i piani si incontrano in una retta, o sono paralleli di 2* specie, le loro rètte alFinfinito, segandosi in un punto, sono rette coniugate nel piano che le contiene; e inversamente (def. Ili, 69 ecoroll. II, teor. VII, 73). Oss. L Rispetto dunque alla posizione delle rette all'infinito di due piani si hanno due casi di ortogonalità, come si hanno due casi di parallelismo. Def. I. Quando le rette all'infinito di due piani perpendicolari si incontra- no ali' infinito, essi si chiamano perpendicolari di 2a specie, altrimenti sì di- cono perpendicolari di la specie od anche soltanto perpendicolari. Coroll. 1. Due piani perpendicolari di 2a specie, che non hanno una retta comune, sono anche piani paralleli di 2* specie. Oss. li. Che realmente vi siano piani perpendicolari di 2* specie ad un piano e che non lo incontrano in una retta, si vede come segue. Siano aloo, 6loo lo rette all'infi- nito di due piani A2, B3 normali di 2* specie che hanno una retta comune. Tutti i piani paralleli di 1* specie ad At che incontrano //2 io una retta, sono situati nello spa- zio a tre dimensioni C52alfl0) e sono normali a B2. Ma per la retta alao passano infiniti altri piani, perché il sistema di piani che passano per una retta in S4 è un sistema a due dimensioni (teor. VII, 122), mentre il sistema di piani passanti per una retta nello spazio a tre dimensioni è ai una dimensione (teor. Vili, 83), Questi altri piani sono appunto perpendicolari e paralleli di 2a specie al piano B2.

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496 Corali. II. I piani parallèli di 1* specie a dite piani perpendicolari di I* o di 2a specie sono rispettivamente perpendicolari fra loro di la o di 2a specie. Perché la retta all'infinito degli uni è polare o coniugata alla retta all'in- finito degli altri. Caroli. III. Le rette di uno qualunque di due piani perpendicolari di la specie, sono pwpendicolari alV altro. Difatti i punti di due rette polari all'infinito sono coniugati (coroll. I, teor. 1,108 e def. V, 40). Corali. IV. In due piani perpendicolari di 2a specie vi è una sola dire- zione di rette del? uno perpendicolare aW altra. Difatti le due rette all'infinito nel piano comune, essendo coniugate, con- tengono ciascuna i poli dell' altra. Le rette dei due piani, che passano per que- sti poli, hanno le proprietà suddette (oss. 128). Coroll. V. Da un punto si può condurre un solo piano perpendicolare di la specie ad un altro piano. Basta congiungere il punto dato colla retta polare della retta all'infinito del piano dato. Coroll. VI. Da un punto si possono condurre in finiti piani perpendicolari di 2* specie ad un piano dato. Difatti le rette che si appoggiano alla retta all'infinito del piano dato e alla retta polare di essa sono rette all'infinito di piani normali di 2* specie (co- roll. IV, teor. II, 108 e def. Ili, 69). Caroli. VII. Due piani perpendicolari di la specie a due piani paralleli di 2* specie, e non situati in una spazio S3, sono pure paralleli di 2a specie. Difatti le loro rette all'infinito si incontrano nei poli del piano che con- giunge le rette all'infinito dei due piani paralleli di 2a specie dati (teor. IV, 108). Teor. II. Un piano /i perpendicolare di 2a specie ad un piano a, è per^ pendicolare di 2a specie ad ogni piano perpendicolare di la specie al piano a. Siano 6W, a^ le rette all'infinito di |5 ed a, e d ^ la retta polare di a^. La retta , deve incontrare la retta a^ (def. I), e poiché è coniugata a questa retta nel piano a^, il quale incontra la retta d nei poli di aw in questo pia- no, la retta , deve passare per questi punti (def. 111,69), cioè deve incontrare la retta d , e quindi è coniugata a questa retta nel piano b^d^. Ma ogni piano perpendicolare di la specie ad a passa per d ^ dunque il teor. è dimostrato (def. I). Def. II. Il punto d'incontro di un piano con un piano ad esso perpendi- colare di la specie si chiama piede del primo piano sul secondo. Teor. III. Il piede del piano normale di la specie condotto da un punto ad un piano è il piede della normale condotta dal punto al piano. Il piano normale di 1* specie condotto dal punto al piano contiene là retta normale condotta dal punto e incontra il piano dato, perché il punto all'infi- nito della normale suddetta è il punto d'intersezione dello spazio a tre dimen- sioni determinato dal punto e dal piano dato, colla retta polare della retta al l'infinito del piano, per la quale passa il piano normale di la specie* 130. Teor. 1. La retta all'infinito di un piana perpendicolare ad uno spazio

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471 ^ è coniugata at piano aW infinito dello spazio; e inversamente (def. II, 128; coroll. I, teor. V, 111). Corott. I. Se un piano e uno spazio sono perpendicolari, i piani e gli spazi paralleli ai dati sono pure perpendicolari fra loro. CoroU. II. Un piano perpendicolare ad uno spazio è perpendicolare di 2a specie a tutti i piani passanti per la sua retta ^intersezione con lo spazio dato (e perciò anche con tutti i piani ad essi pararalleli in questo spazio). Perché la retta all'infinito di ciascuno dei piani suddetti in S3 e quella del piano ad esso perpendicolare sono in un piano e coniugate in questo piano. Coroll. III. Da una retta si può condurre un solo piano perpendicolare ad uno spazio a tre dimensioni. Basta congiungere la retta col polo del piano all'infinito dello spazio S3. Coroll. IV. Per una retta passa un solo spazio S% perpendicolare ad un piano. È lo spazio S3 che congiunge la retta colla retta polare della retta al- l'infinito del piano, imperocché un piano all'infinito che passa per una retta è coniugato alla retta polare della prima (coroll. IV, teor. IV, 108). Teor. II. Le normali condotte dai punti di una retta ad uno spazio S3 sono stiliate nel piano perpendicolare condotto dalla retta allo spazio. Difatti il punto all'infinito di ognuna di queste normali è il polo del piano all'infinito di S3, e per il polo di questo piano passa anche la retta al- l'infinito del piano perpendicolare della retta allo spazio (def. V, 108 e teo- rema I). Coroll. I piedi delle normali condotte dai punti di una retta ad uno spazio sono situati in una retta9 che passa pel punto ove la retta data incontra lo spa- zio dato (teor. Ili, 122 e def. V, 128). Def. I. Questa retta si chiama proiezione ortogonale^ o semplicemente proiezione, della retta data sullo spazio. Teor. III. Le normali condotte dai punti di una retta ad un piano sono situate nello spazio a tre dimensioni, che passa per la retta ed è normale al piano. Difatti ogni retta normale al piano ha il suo punto all'infinito nella polare alto della retta all'infinito del piano (teor. I, 128 e teor. IV, 108); e sic- come lo spazio normale condotto dalla retta al piano dato contiene la retta alao, così contiene anche le perpendicolari condotte dai punti della retta al piano dato (teor. I). Coroll. I piedi delle normali condotte dai punti di una retta ad un piano e incontrano questo piano sono situati in una retta (teor. Ili, 122). Def. II. Questa retta si chiama proiezione ortogonale o proiezione della retta sul piano. Teor. IV. I piani normali di I* specie condotti dai punti di una retta ad un piano sono situati nello spazio normale S3 condotto dalla retta al piano. Difatti questi piani si ottengono congiungendo i punti della retta colla polare all'infinito della retta all'infinito del piano dato; e siccome essi hanno con lo spazio 183 un punto ed una retta in comune, così essi giacciono in que- sto spazio (teor. Ili, 82).

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472 Corali. I piedi dei piani normali di 1* specie condotti dai punti di una retta ad un piano sono situati in una retta. Ciascuno dei piani normali incontra il piano dato in un solo punto, per- ché se i piani suddetti si incontrassero in una retta, essi sarebbero situati in uno spazio a tre dimensioni e non sarebbero quindi normali di la specie. Il punto d'intersezione de ve essere situato sulla retta d'intersezione dello spazio normale S3 condotto dalla retta al piano dato (teor. Ili, 122). 131. Teor. 1.1 piani all'infinito di due spazi perpendicolari a tre dimensioni sono coniugati; e inversamente (def. Ili, 128, coroll. I, teor. IV, 111). Coroll. I. Gli òpazi a tre dimensioni paralleli ad uno spazio perpendico- lare ad un altro sono perpendicolari allo spazio dato. Perché il loro piano all'infinito è coniugato al piano dello spazio dato. Coroll. II. Per un piano passa un solo spazio nonnaie ad uno spazio dato. È lo spazio che congiunge il piano col polo del piano all'infinito dello spazio dato (def. II, 108). Teor. IL Le perpendicolari condotte dai punti di un piano ad uno spazio S3 sono situate nello spazio normale condotto dal piano allo spazio Sy , Difatti esse passano pel polo del piano ali' infinito di S3, che è contenuto nello spazio normale condotto dal piano a S3 (teor. I). Coroll. I piedi delle normali condotte dai punti di un piano ad uno spazio sono situati in un altro piano, che passa per la retta d9 intersezione del piano con lo spazio dato (teor. IV, 122). Def. I. Il piano nel quale giacciono i piedi delle normali condotte dai punti di un piano P2 ad uno spazio S% chiamasi proiezione ortogonale, o sem- plicemente proiezione, del piano P2 sullo spazio S3. Teor. III. Ciascuno di due spazi perpendicolari contiene infinite rette perpendicolari all'altro. Siano S3ì$3 i due spazi perpendicolari, X^^Y^ i poli dei loro piani all'in- finito; S3 contiene Y0oo e 5*3 contiene X0ta (teor. I). Le rette di S3 che passano per Y0oo sono evidentemente perpendicolari allo spazio tf3 (def. I, 128), così quelle di S3 che passano per X0ao rispetto a S3. 132. Teor. I. Vi è una sola direzione di piani perpendicolari a due rette date Se un piano è normale a due rette, la sua retta all'infinito deve essere l'intersezione dei piani polari dei punti all'infinito delle due rètte (teor. I, 128), e perciò deve essere la retta polare congiungente i punti all'infinito delle due rette. Coroll. Per ogni punto dello spazio S4 passa un solo piano perpendicolare a due rette. Teor. IL Vi è un solo piano normale a due rette che le incontra. Esso passa per la trasversale normale comune dello spazio a tre dimensioni deter- minalo dalle rette date, ed è normale a questo spazio. Siano A! e Bl le due rette date e Y106 là polare della congiungente i punti all'infinito delle due rette. Ogni piano passante per Ylao è normale alle

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473 due rette e al loro spazio (teor. 1,128 e 130). Le due rette An riao determinano uno spazio che incontra la retta fi, in un punto U0(teor. II, 122); e il piano BQYÌM essendo situato nello spazio (^Y^) incontra la retta A, in un punto A0 (teo- rema I, 83), ed è normale alle due rette. La retta AQBQ è evidentemente nor- male alle due rette nello spazio (A^) (coroll. V, teor. I, 87). Teor. III. Vi è una sola direzione di rette perpendicolari a tre rette date. Basta infatti osservare che il piano determinato dai punti ali1 infinito delle tre rette ha un polo, che da la direzione della perpendicolare alle tre rette date. Oss. Siccome due sole rette, nello spazio da esse determinato, hanno una normale comune che le incontra, così è chiaro che in generale tre rette non hanno una nor- male comune che le incontra. Coroll. I. Per un punto passa una sola perpendicolare a tre rette date. Teor. IV. Vi è una sola direzione di rette perpendicolari ad una retta e ad un piano che non si intersecano, ed una sola perpendicolare incontra la retta e il piano. La direzione delle perpendicolari alla retta At e al piano A2 dati ha per punto all'infinito il polo X^ del piano E2(x determinato dal punto all'infinito di Al e dalla retta ali' infinito di Ay Per dimostrare la seconda parte del teo- rema basta congiungere la retta A1 col punto ^T0oo, il piano (X^^A^ incontra il piano Az in un punto AQ. La normale condotta da A0 alla retta Aly che la in- contra, è la retta richiesta. Teor. V. Vi è una sola direzione di piani perpendicolari a due spazi dati. Questa direzione è data dalla retta polare della retta d'intersezione dei piani ali'infinito dei due spazi (teor. I). Coroll. I Un piano perpendicolare a due spazi è perpendicolare di la specie al loro piano d'intersezione (teor. I e def. I, 129). 'Caroli. II.* Per un punto passa un solo piano perpendicolare a due spazi dati. Teor. VI. Vi è una sola direzione di rette e di spazi perpendicolari a due piani paralleli di 2a specie. Le rette loo, 100 all'infinito dei due piani sono distinte, e si incontrano in un punto A0a8, il quale ha un piano polare A^. In A2oosono situate le rette polari alco, j3lao di alco, 6la6 (coroll. II, teor. II, 108), che sono distinte come le rette #laoA Esse si incontrano in un punto A'^ coniugato al punto A0oe, e il piano polare di A'0oo è il piano (alw6lao); A'^ da la direzione delle perpendico- lari ai due piani (teor. 1,128). Il piano (alco/3100) da invece la direzione degli spazi normali ai due piani (teor. I, 130). Coroll. Per un punto passano una sola retta e un solo spazio normali a due piani paralleli di 2a specie. Teor. VII. Vi sono infinite rette perpendicolari a due piani paralleli di 2a specie che li incontrano e sono situate in un piano. Questo piano li taglia in due rette parallele^ ed è perpendicolare di 2a specie ai due piani dati. Siano S2 e S'2 i due piani, A000 il loro punto all'infinito, A'000 il punto

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A., flg. 105 474 all'infinito delle rette perpendicolari ai due piani (teor. VI) (fig. )05). Lo spazio (^Af0oo) incontra tf2 in una retta Sr Congiungendo un punto SQ di \ col punto A'fa si ha una retta perpendicolare ai due piani, e che incontra Sf in un punto S09 essendo situata col piano S2 nello spazio (S2A'OCO). I punti S0 sono situati evidentemente sulla retta d'intersezione dello spazio (tf2A'0oo) col piano S2, che passa per A,ÒV) ed è quindi parallela alla retta 5f1. Il piano (S^) è perpendicolare ai due piani S2 e /S"2 negli spazi a tre dimensioni che esso determina con cia- scuno di essi (teor. Ili, 87). Teor. Vili. Esistono due piani che passano pel punto comune di due piani dati, sono a questi perpendicolari di 2a specie e li incontrano ciascuno in una retta. I due piani sono fra loro perpendicolari di la specie. Se ne hanno più di dueì ne hanno infiniti. Siano Ap BZ i due piani, flloo, , le loro rette all'infinito, x100,ft le loro rette polari, C0 il punto comune dei due piani. Le due rette lw, lao ammettono due trasversali normali rlco,$lao (teor. X, 117) che incontrano le rette polari aico 0loo e che sono fra loro polari (teor. Vili, e coroll. I, HO). I piani (C r100), (C0 slao) tagliano i piani dati ciascuno secondo una retta, la quale ha i suoi punti all'infinito sull'una o sull'altra delle rette rlao,slao e sull'una o l'altra delle rette aiooAoo Essi sono perpendicolari ai piani dati, perché, per es., le rette rloe e aloo sono coniugate, perché rlao incontra la retta alao nel polo di aìw nel piano (rìaoalao) (coroll. IV, teor. II, 108). Sono perpendicolari di la specie fra loro, perché le due rette rlool*lao sono polari (teor. I e def. 1,129). Inoltre se due rette nello spazio completo a tre dimensioni hanno più di due rette normali co- muni, esse ne hanno infinite (oss. I, teor. IV, 114); dunque anche l'ultima parte del teorema è dimostrata. Teor. IX. Per un punto dello spazio S4 pascano infiniti gruppi di quat- tro rette due a due perpendicolari. I piani e gli spazi che le congiungono due a due, tre a tre, so o due a due perpendicolari (teor. V e coroll., 108). 133. Costruzione di enti perpendicolari con elementi del campo finito. a) Spazio normale ad una retta che passa per un punto datò. Se il punto è situato sulla retta, basta condurre dalla retta tre piani non situati in uno spazio S3 e su questi le perpendicolari dal punto alle rette, le quali determi- nano lo spazio richiesto (oss. Ili, 60). Se invece il punto è fuori della retta basta condurre da esso la perpendicolare alla retta nel piano da essa determinato col punto. Lo spazio perpendicolare nel piede di questa perpendicolare alla retta data è lo spazio domandato. 5) Retta normale ad uno spazio e che passa per un punto dato. Se il punto è situato nello spazio basta condurre in esso tre rette non situate in un piano. I tre spazi passanti pel punto dato e normali alle tre rette (a) si incon- trano nella retta domandata. Analogamente se il punto è fuori dello spazio. e) Piano perpendicolare di 1* specie ad un altro piano e che passa per un punto dato. Basta condurre per il punto gli spazi normali a due rette del piano dato (a) i quali s'intersecano nel piano normale richiesto. d) Piano passante per una retta e normale ad uno spazio.

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4?5 kasta condurre per due ptinti della retta le perpendicolari allo spazio dato, le quali determinano il piano domandato. e) Spazio passante per una retta e normale ad un piano. Basta condurre da due punti della retta le perpendicolari al piano, che lo in- contrino (costr. II, 87), le quali determinano lo spazio richiesto. f) Spazio pattante per un piano e perpendicolare ad un altro spazio. Si conduca da un punto del piano la perpendicolare allo spazio dato, la quale col piano dato determina lo spazio richiesto. g) Piano passante per un punto, normale a due rette, e che incontra le rette date. Per la trasversale normale comune alle due rette (costr. V, 87) si conduca il piano normale allo spazio da esse determinato (d}. h) Retta normale a tre rette e che passa per un punto dato. Basta condurre per il punto i tre spazi perpendicolari alle tre rette (a), i quali si incontrano nella retta richiesta. i) Retta normale ad una retta e ad un piano, e che li incontra ambedue. Pel piano dato si conduca lo spazio parallelo alla retta data ( 126), poi dalla retta si conduca il piano perpendicolare a questo spazio (d). La retta d'intersezione del piano e dello spazio così costruiti incontra il piano dato nel punto ove viene in- contrato dalla perpendicolare comune richiesta. Per avere questa retta dal punto trovato basta condurre la perpendicolare alla retta (vedi dim. teor. IV, 132). I),Piano passante per un punto e perpendicolare a due spazi dati. Per il punto si conducano le normali ai due spazi ( ), che sono situate nel piano richiesto. Oppure: si conduca dal punto il piano normale di 1* specie al piano dMnterse- zione dei due spazi (e). m) Spazio passante per un punto e normale a due piani paralleli di 2' specie. Ai due piani si conducano due piani perpendicolari di la specie (e), e a questi due piani, che sono pure paralleli di 1' o 2 specie (coroll. VII, teor. I, 129), e per il punto dato lo spazio parallelo. n) Retta passante per un punto dato e normale a due piani paralleli di 2a specie. Costruiti i due piani perpendicolari di la specie ai due piani dati (e), basta con- durre dal punto la retta parallela ad essi (osa. Ili, 60). o) Piano normale di 2* specie a due piani paralleli di 2a specie. Costruita una normale comune a questi piani, basta condurre a questa gli spazi paralleli passanti pei due piani dati, che si incontrano nel piano richiesto (vedi dim. teor, VII, 132). p) Costruzione di un gruppo di quattro rette che passano per un medesimo punto e sono due a due perpendicolari. Per il punto si conducano due rette perpendicolari in un piano qualunque pas- sante pel punto dato ; poi dallo stesso punto si conduca la normale a questo piano, e finalmente la normale allo spazio determinato dalle prime tre ( ). - Distanze. 134. Oss. I. La proprietà della distanza di un punto da una retta e di un punto da un piano, dei punti di una retta parallela da un piano, di due piani paralleli di 1* specie, di due rette fra loro, date ai n. 88 e 89, valgono anche nello spazio a quat- tro dimensioni. Teor. I. Il segmento normale ad una retta e ad un piano da la distanza minima tra i punti della retta e quelli dei piano, e inversamente.

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476 Infatti la distanza di un punto di una retta dal piano è misurata sulla normale condotta da questo punto al piano e che lo incontra, mentre la di- stanza minima di un punto del piano S9 dalla retta Sl è data dalla [normale condotta dal punto alla retta Sl nel piano che lo congiunge con questa retta; e quindi il segmento normale comune alla retta e al piano, e che ha i suoi estremi su di essi (teor. IV, 132), da la distanza minima tra i punti della retta e i punti del piano. Def. I. Questa distanza la chiameremo distanza della retta e del piano. Teor. II. I segmenti normali di due piani paralleli di 2a specie, che hanno i loro estremi nei due piani9 sono uguali. Infatti gli estremi di questi sono compresi fra due rette parallele (teore- ma VII, 132). Def. IL La distanza normale di due piani paralleli di 2a specie si chia- ma distanza dei due piani. Oss. IL Questa proprietà non ha luogo per due piani che si incontrano in un punto del campo finito, perché in tal caso non vi è alcuna perpendicolare comune ai due piani (teor. I, 128). Probi. Costruire un piano che sìa parallelo di 2* specie ad un* piano dato S2, e abbia da questo una distanza data d. Per una retta S^ di S2 si faccia passare un piano R% perpendicolare a S2, e in R2 si scelga una retta parallela ad Sl e alla distanza d. Sia r100 la retta all'infinito di R% e ploo la sua polare. La retta *loo del piano - *2che si cerca, deve essere coniugata alla retta rloo, e quindi deve incontrare le rette rlvt, p10o ; inoltre deve segare la retta ai di 82. La retta fl3C è dunque una retta che incontra le tre rette olco, rjoo, p100, e poi- ché le rette che incontrano queste tre rette sono infinite e passano pel punto comune a o10D e rloo cioè pel punto all'infinito di S^ così infiniti sono i piani che soddisfano alla condizione del problema, scelti che siano la retta Sl e il piano R^. 135. Teor. I. Il minimo della distanza di un punto fuori di uno spazio ai punti di questo spazio è la distanza del punto dal piede della sua perpen- dicolare allo spazio. / y Dim. analoga a quella del teor. I, 88 (fig. 106). Def. I. La distanza minima di un punto Po da uno spazio S3 si chiama distanza del punto dallo spazio. --^ I segmenti con un estremo nel punto P0 e l'altro ^ P. estremo nello spazio S che non sono normali allo spazio, si chiamano obliqui. Teor. II. I segmenti obliqui aventi uguali proiezioni 3 fl 106 sono uguali e formano il medesimo angolo col segmento perpendicolare. Di due siffatti segmenti è maggiore quello che ha il suo estremo nello spazio a maggiore distanza dal piede della normale. Dim. analoga a quella del teor. II, 88 (fig. 106). Coroll. I. Vale il teorema inverso. Coroll. II. I punti di una superfìcie sferica di uno spazio a tre dimensioni sono equidistanti da un punto qualunque della perpendicolare inalzata dal suo centro al suo spazio. Si dimostra come il coroll. analogo del teor. II, 88. Coroll. III. Tutti i punti di uno spazio equidistanti da un punto fuori .s ~\ . \- A.

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477 dì esso sono situati in una sfera che ha per centro il piede della perpendico- lare condotta dal punto allo spazio. La dim. è la stessa di quella del coroll. Ili, teor. II, n. 88 ; basta scambia- re in essa la parola piano colla parola spazio. Teor. III. Tutti i punti, da ciascuno dei quali sono equidistanti i punti di una sfera, sono situati sulla perpendicolare inalzata dal centro della sfera al suo spazio. La dimostrazione è la stessa di quella data pel teor. Ili, 88 ; basta scam- biare le parole circonferenza e piano, colle parole sfera e spazio. Teor, IV Se due punti AQ, A'Q hanno rispettivamente la medesima distan- za da due spazi A3 e A' i segmenti che essi determinano coi punti di questi spazi sono a due a due uguali, e le figure (A0A3), (A'0A'3) sono identiche. Si dimostra come il teor. IV, 88. Corol. I. Se due punti hanno la medesima distanza da uno spazio, i seg- menti che essi determinano rispettivamente coi punti dello spazio sono a due a due ug'Uali^ e le due figure che essi formano collo spazio dato sono identiche. Coroll. ^1. Se due punti giacciono in una perpendicolare ad uno spazio e alla medesima distanza da questo, essi hanno la medesima distanza da ogni punto dello spazio. Come i coroll. I e II del teor. IV, 88. Teor. V. Data una retta, o un piano,parallela ad uno spazio a tre dimen- sioni, le distanze dei punti della retta, o del piano, allo spazio sono uguali. Difatti le normali dei punti di una retta, o del piano, ad uno spazio a tre dimensioni sono parallele (coroll. II, teor. II, 128), e quindi se la retta (il piano) è parallela allo spazio, i piedi delle normali giacciono in un'altra retta (o piano) parallela alla retta data (piano dato) (coroll. I, teor. II, 130 o 131 e coroll. I, teor. V o coroll. I, teor. VI, 124), ed il teorema è dimostrato (teor. VI, 54 e teor. VI, 88). ì)ef. IL La distanza dei punti di una retta, o di un piano, ai punti di uno spazio a tre dimensioni parallelo si chiama distanza della retta o del piano dallo spazio. Coroll. La distanza di una retta (o di un piano) da uno spazio paral- lelo ad essa è la minore distanza fra i punti della retta (del pianò) e quelli dello spazio (teor. 1). Teor. VI. Le distanze dei punti di uno spazio parallelo ad un altro spazio sono uguali (coroll. II, teor. II e teor. VI, 124). Dim. analoga a quella del teor. VI, 88. Def. IH. La distanza dei punti di uno spazio a tre dimensioni da uno spazio parallelo al primo, si chiama distanza dei due spazi. Teor. VII. Due coppie di spazi paralleli, che hanno la medesima distanza, sono due figure identiche. La dimostrazione è analoga a quella data per due coppie di piani paral- leli (teor, VII, 88); basta scambiare la parola piano con la parola spazio.

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478 7. ' Angoli. 136. Angoli di un raggio e di una retta con un piano. Oss. L Le definizioni già date di angolo di due raggi e di angolo di due rette, di un raggio e di un piano, e di due piani che si incontrano in una retta, valgono anche nello spazio a quattro dimensioni. Siccome due rette sono situate sempre in uno spazio a tre dimensioni, così sussistono anche nello spazio a quattro dimen- sioni i teoremi del n. 89. Dobbiamo far sì, come abbiamo, sempre fatto, che le defi- nizioni degli angoli siano tali che essi possano considerarsi come elementi di de- terminazione della figura, in modo che quando due figure in cui questi elementi soli o con altri sono uguali, le due figure siano identiche. Oss. IL Se il raggio o la retta e il piano si incontrano, vale la definizione già data (def. I, 90), perché sono contenuti in uno spazio a tre dimensioni. Teor. I. Se un raggio e un piano non sono situati in uno spazio a tre dimensioni, l'angolo che U raggio fa con ogni piano che lo incontra ed è pa- rallelo al piano dato è costante ; ed è uguale all'angolo che il piano fa con ogni raggio che lo incontra ed è parallelo al raggio dato. Difatti gli angoli suddetti sono misurati dalle distanze del punto ali1 infi- nito del raggio dalla retta ali1 infinito del piano (def. I, 90 e oss. I). Def. L Questo angolo costante lo chiameremo angolo del raggio col piano. Teor. IL Gli angoli che una retta fa con un piano sono uguali a quello che essa fa colla sua proiezione sul piano. Questa proiezione si ottiene conducendo dalla retta lo spazio S3 normale al piano (teor. Ili, 130). Questo spazio incontra la retta all'infinito del piano nei punti all'infinito della proiezione della retta, che sono anche i piedi della normale condotta dal punto all'infinito della retta alla retta all'infinito del piano. Difatti questa retta essendo coniugata al piano all'infinito dello "spazio S3 (teor. I, 130) è perpendicolare al piano stesso (teor. Ili, 110), e quindi anche alla retta che congiunge il loro punto d'incontro col punto all'infinito della retta (coroll. teor. II, HO, def. I e oss. I). Teor. III. L'angolo che un raggio fa con la sua proiezione sopra un piano è l'angolo minimo che il raggio fa con tutti i raggi del piano. La dimostrazione di questo teorema è identica a quella dèi teor. II, 90; soltanto che in quel teorema il raggio e il piano si considerano compresi nello spazio a tre dimensioni. Essa vale dunque in generale. Coroll. L'angolo che il raggio fa col prolungamento della sua proiezione è màssimo. Def. IL Per angoli di una retta con un piano si intendono gli àngoli che i due raggi opposti di essa formano col piano. 137. Angoli di un raggio e di una retta con uno spazio a tre dimen- sioni. Qst. J, Siano dati ora un raggio aj e uno spazio a tre dimensioni 3, e A$ sia

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479 il punto d'intersezione del raggio ai con 3 (flg. 107). Siano X^ e og* gli elementi all'infinito del raggio al e dello spazio 3. La distanza del punto X^ dai punti del piano % ha un minimo e un massimo misurato sulla normale condotta da X^ al piano a2ao (teor. II, 111). Se si ha all'infinito un altro piano a'^ e un altro punto X'0oo e se la distanza minima o la massima di questo punto dal piano x'2oo è la medesima di quella del punto Afa al piano o^, le distanze del punto X*^ dai punti del flg iffj piano a'goo sono uguali rispettivamente a quelle del punto Xoo ai punti del piano o.2oo, vale a dire le due figure (Xo^a^MX'^^*,) sono identi- che (oss. II, 111). Ma se un segmento obliquo avente per estremi il punto A^ e un punto #() del piano o2oo è uguale ad un segmento avente i suoi estremi nel punto XOOB e nel piano a'2oo, per questo solo fatto le due figure (X^o^J, (X'0(yja'2oo) non pos- sono dirsi identiche; vale a dire la distanza dei punti X(yx,Xr^ rispettivamente dai due piani o^oo^oo non sono uguali Per angolo del raggio al e dello spazio S% non si può dunque considerare l'angolo che esso forma con un segmento bì qualunque dello spazio 83 limitato per es. in AQ. Difatti questo angolo viene misurato dal segmento del punto X^ e dal punto #0oo all'infinito di b^ che è un segmento obliquo rispetto al piano a2oo. Quindi se si ha un'altra coppia di un raggio a\ e di uno spazio a tre dimensioni 5T3 e se b\ è un raggio dello spazio ST3 che forma con a\ il medesimo an- golo del raggio a con b^ non possiamo concludere, perciò che si è detto, che gli an- goli formati dal raggio al con tutte le rette dello spazio S3 siano rispettivamente uguali a quelli che il raggio a\ forma coi raggi dello spazio *3. Ma se invece come angolo del raggio al collo spazio 3 definiamo la distanza minima del suo punto all'infinito dal piano ali' infinito di esso spazio, allora, se un altro raggio a\ fa lo stesso angolo con un altro spazio S'3, le figure (a^), (a\5*3) sono identiche. Dunque: Def. I. Per angolo di un raggio con uno spazio intenderemo l'angolo che viene misurato dalla distanza minima del punto all'infinito del raggio dal piano all'infinito dello spazio (oss. I). Teor. I. L* angolo che un raggio fa con uno spazio è uguale a quello che esso fa colla sua^ proiezione sullo spazio. Dim. analoga a quella del teor. I, 90. Teor. II. L'angolo che un raggio fa con la sua proiezione in uno spazio a tre dimensioni è l'angolo minimo che il raggio fa con tutti i raggi dello spazio. Dim. analoga a quella del teor. II, 90. Coroll. U angolo che il raggio fa col prolungamento della sua proiezione è massimo. Def. IL Per angoli di una retta Ax con uno spazio S3 si intendono gli an- goli che i due raggi di essa (def. I, 7) formano con questo spazio. Oss. IL Questi angoli sono misurati dalla distanza dei punti all'infinito della retta dal piano all'infinito dello spazio, e quindi sono a due a due uguali e a due a due supplementari! Probi. Costruire con elementi del campo finito un raggio che formi un angolo dato con uno spazio a tre dimensioni. La costruzione è uguale a quella data per il problema analogo del n. 90 nello spazio a tre dimensioni, soltanto che invece di avere un piano abbiamo qui uno spazio a tre dimensioni. 138. Angoli di un semipiano e di un piano con. uno spazio a tre dimensioni*

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480 Oss. I. Sia ora dato un seoiipìano cu e uno spazio a tre dimensioni 3, e sup- poniamo che la retta del campo finito che limita il semipiano sia situata nello spa- zio dato. Lo spazio S3 determina all'infinito un piano og e il semipiano a* una se* miretta aloo compresa fra i due punti d'intersezione col piano a?* - Vi è un solo seg- mento normale ad entrambi e che ha in essi i suoi estremile da la distanza minima della retta al piano (coroll. II, teor. V, 111). Se è data un'altra semiretta a'100 ed un altro piano a'? essi formano una figura identica alla prima se la distanza di a'100 e a'2oo è la medesima di quella di a1(X e o^, e se alM ha i suoi estremi inaioo;vale a dire le distanze dei punti di a100 dai punti di o^ sono rispettivamente uguali a qnelle dei punti di a'100 da a2oo (coroll. Ili, teor. V, 111). Non si può dire la stessa cosa se invece ha luogo P uguaglianza fra due segmenti obliqui. Dunque: Def. I. Per angolo di un semipiano con uno spazio contenente la retta che lo limita, s'intende l'angolo che viene misurato dalla distanza minima della semiretta all'infinito del semipiano dal piano all'infinito dello spazio. Teor. L Vangolo di un semipiano con uno spazio è uguale all'angolo che il semipiano fa colla sua proiezione sullo spazio. Il segmento normale alla semiretta 10B e al piano o^ è situato nella retta che passa pei poli del piano *% e incontra la retta a^ e la sua polare (teor. VII, Vili, 110). Congiungendo la retta suddetta col semipiano a2 si ottiene lo spazio normale condotto da a2 allo spazio dato, che incontra questo spazio in un piano passante per la retta d'intersezione del piano e dello spazio dati, il quale contiene i piedi delle normali condotte dai punti del semipiano a^ allo spazio S3 (coroll. I, teor. II, 131). Il segmento normale anzidetto misura dunque l'angolo diedro formato dal semipiano con la sua proiezione nello spazio 3 (teor. V, 91), Teor. IL L'angolo che un semipiano fa con uno spazio è il minimo fra gli angoli che esso fa con gli altri semipiani dello spazio dato. Perché ogni altro segmento obliquo (40-BB0tD) i cui estremi sono situati sul la semiretta #lqo e sul piano a2oo non è minimo per tutti e due i suoi estremi. Probi. Costruire con elementi del campo finito un semipiano che formi un an- golo dato con uno spazio a tre dimensioni. Basta scegliere a questo scopo un piano dello spazio S3 dato, far passare per questo piano lo spazio normale 5*3 a 3. Scelta poi sul piano una retta, si conduca per questa retta un semipiano che formi col piano dato l'angolo dato in S%. Il problema, come si vede, ammette infinite soluzioni. Def. IL Per angoli di un piano con uno spazio a tre dimensioni si inten- dono gli angoli che le due metà del piano, a partire dalla sua retta d'inter- sezione con lo spazio, formano con questo spazio. Oss. IL Poiché gli angoli del piano collo spazio sono misurati da segmenti di una stessa retta a due a due uguali e supplementari, lo stesso accade degli angoli che un piano fa con uno spazio a tre dimensioni. 139. Diedri e angoli diedri di due semispazi e angoli di due piani che non si incontrano in una retta. Def. I. Un fascio di spazi incontra lo spazio all'infinito ir3oo in un fascio di piani che ha per asse la retta al w all'infinito dell'asse del fascio dato. Ai semispazi del fascio corrispondono i semipiani del fascio all'infinito Jjmitati all'asse alp?. Ai diedri di due semipiani a^^ b^ del fascio corrispon-

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481 dono due parti del fascio di due semispazi %, ft, che si chiamano diedri dei semispazi 3, ft e che insieme presi costituiscono l'intero fascio. Per diedro di due semispazi intenderemo sempre quello che corrisponde al. diedro minore dei loro semipiani all'infinito, eccetto che i due diedri non siano uguali. I due semispazi si chiamano facce, l'asse del fascio asse del diedro. Def. IL Se un tal diedro si sostituisce ad un altro ad esso identico in ogni unione con altri diedri di semispazi, esso si chiama angolo diedro dette site facce a). Se a3 e 03 sono le facce di un diedro, lo indicheremo col simbolo (o^). Def. III. Come i due semipiani 2oo, bzai determinano due diedri a tre dimensioni nello spazio 308, che insieme presi costituiscono lo spazio com- pleto quando si considera il punto come elemento, così due semispazi di un fascio determinano due parti dello spazio S4 intorno all'asse del fascio consi- derando ugualmente il punto come elemento, le quali si chiamano pure diedri. Anche in questo caso per diedro di due semispazi intenderemo la parte dello spazio che corrisponde al loro diedro nel fascio. Oss. I. Vale l'osservazione analoga all'osa. I, 91. Teor. I. Un diedro di due semispazi è formato dai semispazi che congiun- gono l'asse del diedro coi raggi di ogni angolo, i cui lati sono rispettivamente situati sulle facce di esso. Ciò deriva dalla proprietà analoga del diedro all'infinito (oss. II, 112). Teor. fi. Un diedro di due semispazi è tagliato da piani o spazi paral- leli secondo angoli diedri uguali. La dimostrazione per i piani è analoga a quella del teor. II, 91. Per gli spazi basta osservare che due spazi paralleli tagliano i semispazi in semipiani paralleli, che formano in questo caso il medesimo angolo (coroll. II, teor. Ili, 91). Coroll. Due semispazi qualunque sono segati da piani e da spazi paral- leli in raggi e in piani che formano lo stesso angolo. Difatti sonp intersecati in raggi o in semipiani paralleli. I raggi nel mede- simo semispazio sono diretti nel medesimo verso e i semipiani hanno la stessa semiretta all'infinito. Teor. IfL A diedri uguali nel piano all'infinito corrispondono diedri uguali del fascio di semispazi, i cui assi passano per l'asse dei diedri dati. Dim. analoga a quella data pel teor. Ili, 91. Coroll. I. Due diedri disuguali (c^jB^) ( 2J3'2 ) determinano intorno a due piani A^ A'z passanti per i loro assi, diedri disuguali, e propriamente A2 (og JSg J A'2 (a frjj. Dim. analoga a quella del coroll. II, 91. Coroll. IL Due diedri di semispazi colle facce rispettivamente parallele sono uguali o supplementari. Teor. IV. Due diedri di semispazi uguali determinano all'infinito diedri uguali. Dim. analoga a quella del teor. IV del n. 91. i) L'angolo diedro di due semispazi o la grandezza intensiva del diedro da essi formato (int. a, e C, 1M(. 31

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482 Teor. V. V angolo diedro di due semispazi è misurato dalla distanza nor- male dei due semipiani all'infinito della facce del diedro. Dim. analoga a quella del teor. V, 91, Teor. VI. Un fascio di spazi è identico nella posizione delle sue parti. Perché tale è la proprietà della retta polare della retta ali'infinito del- l'asse del fascio. Teor. VII. Un diedro (agft) è identico allo stesso diedro nel verso opposto. Perché tale è pure la proprietà del segmento che il diedro taglia sulla retta polare suddetta. Def. IV. Se si taglia un fascio di spazi o un diedro di semispazi con un piano normale all'asse, il fascio di rette o l'angolò che ne risulta si chiama sezione normale del fascio o del diedro. Teor. Vili, Secondochè due diedri ( 3JS3), (a'gjSy sono uguali (disuguali), le loro sezioni normali sono uguali (disuguali), e inversamente. Congiunto un punto AQ dell'asse di un diedro (o^) con due punti AQao9 BQao estremi del segmento normale ai due semipiani a2oo, 62oo di 3 e , si ha un piano normale di la specie all'asse, perché la retta A0oo^0oo è polare della retta ( 2oA J (teor. I, 129), quindi secondochè i segmenti normali alle coppie di semipiani ali' infinito delle facce dei due diedri dati sono uguali o disuguali, gli angoli delle sezioni normali corrispondenti sono uguali o disuguali. Se invece sono uguali o disuguali le sezioni normali, ciò significa che i segmenti suddetti sono uguali o disuguali, e perciò i due diedri sono uguali o disuguali (teor. V). Def. V. Per angolo di due semispazi qualunque s'intende quello misu- rato dal segmento normale dei due semipiani all'infinito dei due semispazi (coroll. II, teor. IV, 111). Teor. IX. V angolo di due semispazi è il minimo o il massimo degli an- goli che un raggio di uno di essi fa con un raggio dell' altro, e reciprocamente che questo fa col primo, secondo che esso è minore o maggiore di un retto. Dim. analoga a quella del teor. IX, 91. Os . IL Vale qui l'osservazione analoga all'oss. II, 91. Coroll. L* angolo supplementare dei due semispazi è nel primo caso il massimo, nel secondo caso il minimo fra i raggi dei due semispazi. Teor. X. Due diedri di semispazi opposti sono uguali. Difatti essi hanno ali' infinito due diedri opposti che sono uguali (teor. X, 91, oss. m, 112 e teor. III). Def. VI. Per dièdri e angoli diedri di due spazi A3, B3 intendiamo i die- dri e gli angoli diedri formati dalle quattro coppie di semispazi (#3 3), (b àd3), (a'-s 'a) (6*303) 5 essendo 3, a'3, 3, b'3 i semispazi nei quali gli spazi dati vengono divisi dal loro piano comune. Oss. III. Osservazione analoga aiross. III. 91. Teor. XI. I diedri di due spazi hanno due spazi dissettori. Dim. analoga a quella del teor. XI, 91. Probi. Costruire con elementi del campo finito un semispazio a tre dimensioni che forma con un altro semispazio, avente lo stesso piano limite, un angolo dato.

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483 Da un punto AQ del piano a? che limita il semispazio dato si conduca un piano perpendicolare ad esso, che lo intersecherà in un raggio a^. Nel suddetto piano nor- male si conduca da AQ un altro raggio 6j che formi con al l'angolo dato (oss. Ili, 60). Il semispazio determinato dal piano j2 e dal raggio fy sarà il richiesto. Il problema ammette due soluzioni. 140. Angoli di due piani. Oss. I. Se due piani si incontrano in una retta abbiamo già dato la definizione dei loro angoli (def. I e VI, 91). Se si incontrano in un solo punto la definizione data non basta più; essi non formano più alcun diedro, come due rette che non si incon- trano non formano alcun settore angolare. Teor. I. Dite coppie di piani qualunque sono identiche, se le coppie di rette aW infinito di essi hanno le medesime distanze. Siano A2,BZ i due piani dati, aìa09blt le loro rette all'infinito e ?, , dlw siano le due normali comuni, A0oo, A'0oo; l?oa), #0oo i punti d'intersezione di c1(X), dlao con #100, lao (teor. X, 117). Se si ha un' altra coppia di rette #'100,6'108 colle medesime distanze, le due coppie di rette (aì9blat)9 (a'lwbrlot ) sono identiche (oss. II, 114), e quindi an- che le due coppie di piani che le congiungono con due punti qualunque A0, B0 dello spazio S4 (teor. Ili, 15). Def. I. Per angoli dei due piani intendiamo dunque quelli misurati dai segmenti normali alle rette all'infinito dei due piani. Def. IL Se si taglia un fascio di piani, o un diedro di piani, con uno spazio normale all'asse o allo spigolo, il fascio di rette, o l'angolo, che ne risulta si chiama sezione normale del fascio o del diedro. Teor. IL II diedro di due piani, viene misurato dall* angolo delle due rette secondo le quali i due piani vengono intersecati da uno spazio -normale alla loro intersezione. Difatti queste due rette sono situate nello spazio dei due piani e il loro piano è perpendicolare alla comune intersezione (coroll. V, teor. II, 128 e teor.'Vili, 91).- Teor. HI. Due piani, che si incontrano in un solo punto del campo finito hanno due angoli disuguali, e se sono uguali ne hanno infiniti, tutti uguali (teor. X, 117 e teor. IV, 114). Def. IH. Nel secondo caso del teor. Ili chiameremo i due piani piani di uguali angoli. Oss. IL Le rette all'infinito di questi piani sono rette di ugual distanza (def. II, 114). Teor. IV. Un piano trasversale che passa pel punto comune a due piani di uguali angoli e li taglia in rette, forma con essi angoli esterni interni ugua- li (teor. V, 114). Teor. V. Dato un piano e una retta che lo incontra in un punto, per la retta passano due piani di uguali angoli col piano dato (teor. VII, 114). Probi. Dato un piano A% e un punto A$ di esso, costruire con elementi del cam- po finito un piano che passi per AQ e formi col dato angoli dati. Si conduca da A$ un piano -B2 normale di 2* specie ad A% (coroll. VI, teor. I, 129), il quale interseca A2 in una retta al e il piano A'2 normale di la specie ad A% passante per AQ in una retta a'v Si costruisca in B% una retta b^ passante per 4 che formi

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484 con ! uno degli angoli dati. Il piano J5'2 normale di 1* specie condotto da AQ a B2 passa per le rette normali a^J), a'jtt) condotte da AQ in Az e A'2 alle rette al9 a\. Costruita in E\ una retta fyft) che formi con ^(0 il secondo angolo dato, il piano (61^(1)) è il piano richiesto (teor. Vili, 112). Def. IV. Per angolo di due piani paralleli di'2 specie intendiamo l'an- golo misurato dalla distanza minima della retta normale alle due rette all'in- finito del piano. Corali. Due piani che si incontrano in una retta e sono rispettivamente paralleli di la specie a due piani paralleli di 2a specie formano lo stesso angolo. Probi. Lato un piano A^ e una retta Al ad esso parallela costruire con ele- menti del campo finito un piano parallelo di 2* specie che passi per Al e formi con Az un angolo dato. Da una retta parallela alla data Al e in uno spazio passante per A2 ma non per la retta Alr si conduca un piano B2 che fòrmi con A2 l'angolo dato; il piano paral- lelo di 1* specie a J52 passante per la retta data Al è il piano richiesto. 8. . Identità dello spàzio S4 intorno a, suoi punti all'infinito, alle sue rette e ai suoi piani. 141. Teor. L Lo spazio S4 è identico intorno ai suoi punti all'infinito. Di m. analoga a quella del teorema I, 92. Teor. IL Tutti i fasci di spazi sono identici (teor. V, 139). Coroll. Lo spazio S4 è identico intorno ad ogni suo piano del campo finito. Teor. III. Un fascio di spazi paralleli è identico nella posizione delle sue parti e continuo. Dim. analoga a quella del teor. Ili, 92. Teor. IV. Tutti i fasci di spazi paralleli sono identici. Perché tali sono le rette che li misurano. Coroll. Lo spazio S4 è identico intorno ad ogni piano all'infinito. Teor. V. I sistemi di piani intorno ad una retta sono identici. Perché sono identiche le stelle che essi determinano nello spazio all'in- finito (teor. I, 109, teor. Ili, teor. I e coroll. teor. II, 15). Coroll. Lo spazio S4 è identico attorno alle sue rette del campo finito. 9. Triedri di 2a specie. 142. Def. I. Chiameremo triedro di 2a specie la figura formata da tre semi- piani limitati ad un raggio comune. Per triedro di la specie, o semplicemente per triedro, intenderemo sempre quello determinato da tre raggi uscenti da un punto, i quali sono sempre compresi in uno spazio a tre dimensioni (def. IL 93 e coroll. I, teor. IV, 82). Il raggio dato è Vasse, i semi piani sono le facce piane del triedro.

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485 1 diedri formati dai semìpiani si chiamano facce a tre dimensioni ; i die- dri di questo, diedri a quattro dimensioni rispetto ai loro punti, o diedri del triedro. Ind. L Se A2, B2, C2 sono i tre semipiani, il triedro si indica col simbolo A2B2C2-9 le facce a tre dimensioni coi simboli (A^B^, (#2^2)1 (^2)- I diedri invece a quattro dimensioni del triedro li indicheremo anche coi simboli Oss. L Lo spazio all'infinito taglia un triedro di 2* specie in un triedro, il quale viene misurato dal triangolo d'intersezione col piano polare del vertice del triedro stesso (oss. I e II, 113). Def. IL Come nel triangolo abbiamo i prolungamenti dei lati che con essi costituiscono le rette del triangolo, così nel triedro di 2a specie abbiamo i prolungamenti delle facce a tre dimensioni che con queste costituiscono gli spazi a tre dimensioni del triedro. Ogni vertice del triangolo è opposto al lato degli altri due; così ogni faccia piana del triedro di 2a specie è opposta alle facce a tre dimensioni determinate dagli altri due piani del triedro. Ogni die- dro del triedro di 24 specie è opposto alla faccia a tre dimensioni opposta al suo asse : ad es. il diedro A2B2C2 è opposto alle facce (A2C2). Def. III. Alla parte interna od esterna del triangolo all'infinito (oss. I) corrisponde la parte interna od esterna del triedro di 2a specie, appunto come avviene pel triedro di la specie (def. II, 93). Def. IV. Il perimetro del triangolo ci da la superficie del triedro di 2a specie, che è a tre dimensioni. 0*5. IL Le proprietà del triedro di 2* specie si deducono come per quello di la specie (93) dal triangolo completo all'infinito per mezzo dei teoremi dein. 15, 16, 17. Esaminiamo le sue proprietà riferendoci ai teoremi del triangolo, dai quali le deduciamo per mostrare come si deve procedere in casi simili per conoscere o assi- curarsi di una data proprietà di enti che non si possono intuire completamente. .Teor. L I diedri A2B2C2, B2C2A2 C2A2B2 di un triedro di 2a specie limi- tati dalle facce opposte a tre dimensioni coincidono (teor. I, 72 e oss. II). Coroll. L Un diedro di due semipiani collo spigolo nello spigolo del trie- dro di 2a specie e colle facce interne al triedro o su due facce a tre dimen- sioni di esso, giace nell' interno del triedro (cor. Ili, teor. 1, 51 ; oss. I, 72 e oss. II). Coroll. IL Due spazi, che passano per due facce piane e per due punti in- terni delle facce opposte del triedro di 2a specie, si incontrano in un semipiano della parte interna limitato aW asse del triedro (coroll. II, teor. I, 51 ; oss. I, 72 e oss. II). Coroll. III. La parte interna di ogni triangolo avente i suoi vertici interni al triedro di 2* specie, o almeno su due facce a tre dimensioni di esso, è in- terna al triedro. Coroll . IV. La parte interna di ogni triedro di la specie avente il suo ver- tice sulV asse del triedro di 2a specie e i suoi spigoli interni al triedro^ o alme- no sue due facce a tre dimensioni di esso, è interna al triedro di 2a specie. Basta scegliere tre punti sugli spigoli del triedro di la specie che sa- ranno vertici di un triangolo la cui parte interna è interna al triedro di 2a specie. I raggi che congiungono il vertice del triedro di la specie coi punti

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m della parte interna del suddetto triangolo sono interni al triedro di 1* e dì 2a specie (coroll. Ili, teor. I, 93). De/'. V. I prolungamenti delle facce piane di un triedro di 2a specie sono facce di un altro triedro che si chiama opposto al primo. Teor. II. Ai semipiani interni di un triedro di 2a specie sono opposti i semipiani interni del triedro opposto (teor. n, 72 e oss. n). Coroll. I. Se un semipiano limitato aWasse di un triedro di 2a specie è esterno al triedro e non interno al triedro opposto, uno solo dei tre spazi che 10 congiungono colle facce piane incontra una faccia opposta a tre dimensioni in un semipiano interno (coroll. teor. II, 72 e oss. II). Teor. III. Uno spazio passante per V asse del triedro di 2* specie o in- contra internamente due facce a tre dimensioni ed esternamente la terza, op- pure incontra tutte e tre queste facce esternamente (teor. Ili e oss. II, 72; oss. II). Coroll. Una retta che non incontra una faccia piana del triedro (compreso 11 suo opposto) incontra o due delle facce a tre dimensioni in punti interni e la terza in un punto esterno, oppure incontra le tre facce a Ire dimensioni in punti esterni. Basta considerare a tale scopo lo spazio che passa per l'asse del triedro e per la retta data. Osa. III. Rispetto ai punti d'intersezione di una retta colle facce di un solo trie- dro valgono gli stessi casi considerati pel triedro di la specie (oss. II, 93). Teor. IV. In ogni triedro di 2a specie la somma di due facce a tre dimen- sioni è maggiore della terza (teor. I, 76 e oss. II). Coroll. Ogni faccia a tre dimensioni di un triedro di 2a specie è mag- giore della differenza delle altre due (coroll. teor. I, 76). Teor. V. In un triedro di 2a specie alla faccia a tre dimensioni maggiore è opposto il diedro maggiore, e inversamente (teor. VI, 55; oss. I, 76 e oss. II). Coroll. Se due diedri di un triedro di 2a specie sono uguali, le facce op- poste sono uguali, e inversamente (teor. Ili, 42; teor. V, 55 e oss. I, 76). Def. VI. In tal caso il triedro di 2a specie dicesi isoedro. Ad ogni trian- golo equilatero ali1 infinito corrisponde nel modo stabilito un triedro di 2a spe- cie che ha tutte e tre le facce a tre dimensioni uguali, e si chiama equiedro. Se il triangolo ali' infinito del triedro di 2a specie è polare (def. IV, 69) i diedri delle facce a tre dimensioni e i diedri delle facce piane sono retti, e il triedro dicesi trirettangolo. Teor. VI. In un triedro di 2a specie isoedro lo spazio che unisce il piano dissettore della 'base con la faccia piana opposta è normale alla base, e bisseca il diedro delle facce uguali (teor. IV, 42, def. II; teor. V, 69, teor. 1,131). Teor. VII. In due triedri di 2a specie che hanno due facce a tre dimen- sioni uguali, la terza faccia è maggiore in quel triedro in cui le sta opposto il diedro maggiore; e inversamente (teor. VII, 55, oss. I, 76 e oss. II). Def. VII. Al triangolo reciproco o supplementare di un triangolo dato al- l'infinito (def. I, 76) corrisponde un triedro di 2a specie reciproco o supplemen- tare al triedro che corrisponde al triangolo dato. Dato il triedro A2B2C2 per ottenere il triedro reciproco basta condurre per l'asse del primo i semipiani

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48? perpendicolari agli spazi delle facce a tre dimensioni e dalla stessa parte della faccia piana rimanente. Teor. Vili. Se un triedro di 2a specie è supplementare ad un altro, que- sto è supplementare al primo (teor. II, 76 e oss. II). Teor. IX. I diedri delle facce e i diedri di un triedro di 2a specie sono supplementari rispettivamente ai diedri e ai diedri delle facce del triedro sup- plementare (teor. Ili, 76 e oss. II). Teor. X. In ogni triedro di 2a specie ciascun angolo diedro delle facce a tre dimensioni aumentato di due retti è maggiore della somma degli altri due (teor. V, 76 e oss. II). Teor. XI. In ogni triedro di 2a specie la somma delle facce è minore di quattro angoli retti (teor. VI, 76 e oss. II). Teor. XII. In ogni triedro di 2a specie la somma degli angoli diedri delle facce a tre dimensioni è maggiore di due e minore di sei retti (teor. VII, 76). Teor. XIIL La somma degli angoli diedri o delle facce di un triedro trirettangolo di 2a specie è uguale a tre retti (teor. Vili, 76 e oss. II). 10. Triedri di 2* specie uguali. 143. Teor. I. I triedri di 2a specie che hanno le facce parallele colla stessa semiretta ali'infinito sono uguali. Dim. analoga a quella del teor. I, 94. Teor. II. Due triedri di 2a specie che hanno le facce a tre dimensioni uguali sono uguali. Perché i loro triangoli ali' infinito corrispondenti hanno i tre lati uguali (teor. Ili, 17 e oss. II, 142). Teor. IH. Due triedri di 2a specie che hanno i diedri uguali sono uguali (teor. IV, 76 e oss. II, 142). Teor. IV. Due triedri di 2a specie che hanno due facce a tre dimensioni, e il diedro compreso uguali sono uguali (teor. II, 42 e oss. II, 142). Teor. V. In triedri di 2a specie uguali a facce uguali stanno opposti diedri uguali, e inversamente (teor. I, 42 e oss. II, 142). Teor. VI. In una delle parti in cui lo spazio S4 è diviso da uno spazio a tre dimensioni non esistono due triedri di 2a specie uguali aventi una faccia comune nello spazio dato (teor. IX, 55; oss. I, 74 e oss. II, 142). Teor. VII. Due triedri di 2a specie, che hanno due diedri e la loro faccia a tre dimensioni comune uguali, sono uguali (teor. X, 55 ; oss. 1,74 e oss. II, 142). Teor. Vili. Due triedri di 2a specie opposti ali' asse sono uguali (teor. Ili, 30). Teor. IX. I triedri trirettangoli di 2a specie sono uguali (coroll. II, teor. 111,69). Teor. X. Gli spazi delle facce di un triedro trirettangolo di 2a specie divi- dono lo spazio S4 in otto triedri trirettangoli di 2a specie (teor. IV, 72 ; oss. II, 142) '). i) Avremmo potuto tralasciare questi teoremi riferendoci all'osservaz. u, ma li abbiamo dati perché si tratta di proprietà fondamentali dello spazio S4 come quelle dei triedri di l.a specie nello spazio S3 e che servono poi a dimostrare altre proprietà fondamentali di S4. I coroll. Ili, IV del teo- rema I, e il coroll. IH del teor. Il del n. 142 non derivano però per semplice proiezione in conformità al teor. Hi, 15 dal triangolo completo (Vedi pref.).

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488 11- Angoloide di m spigoli e Quadriedro. 144. Def. /. La figura formata da m raggi al9bl,...ml uscenti da un punto P0 dello spazio S4 chiamasi angoloide o angolo solido a quattro dimensioni. Gli m raggi si chiamano i suoi spigoli, P0 il suo vertice, i settori angolari (afa) (a^)... le sue facce piane, i triedri (afac^ (d^c^)... le sue facce a tre dimen- sioni; i diedri formati dalle facce a tre dimensioni si chiamano i suoi diedri a quattro dimensioni o anche diedri. I triedri di 2a specie che hanno per assi gli spigoli dell* angoloide, e le cui facce piane contengono un altro spigolo, sono i triedri di 2* specie dell'an- goloide. L'insieme delle facce a tre dimensioni dell' angoloide si chiama superficie dell' angoloide. Ind. I. Il diedro formato dalle due facce ( $ ), (bfadj lo indicheremo col simbolo afac^. Il triedro di 2* specie determinato dagli spigoli b^d^ coll'asse a^ lo indicheremo col simbolo a^.b^d^ Def. II. La figura formata da quattro raggi alìblfcìfdl uscenti da un punto P0 dello spazio S4 si chiama angoloide quadrispigolo o semplicemente qua- driedro. Ind. IL Lo indicheremo col simbolo afacYdr Se P0 è il vertice e A0,#0,COVD0 quattro punti degli spigoli, lo indicheremo col simbolo P0. Oss. I. Se a^b^cndì sono gli spigoli del quadrispigolo, essi hanno all'infinito quat- tro punti oc ) Yooo- 5o che determinano un tetraedro, Gli angoli delle facce piane del quadriedro sono misurate dagli spigoli del suo tetraedro all'infinito, così gli angoli delle sue facce a tre dimensioni e i suoi diedri sono misurati dagli angoli delle facce piane e dagli angoli diedri del tetraedro. Per conseguenza, le proprietà degli spigoli degli angoli delle facce piane e dei diedri del tetraedro all'infinito, ossia di ano spazio completo a tre dimensioni, danno altrettante proprietà degli angoli delle facce piane a tre dimensioni e dei diedri del quadriedro. Def. III. La parte interna ed esterna del tetraedro a^ft^yo.^*) da la parte interna ed esterna del quadriedro. Def. IV. Come nel tetraedro all'infinito abbiamo i prolungamenti dei lati e delle facce che con essi costituiscono le sei rette e i quattro piani del tetrae- dro, così nel quadriedro abbiamo i prolungamenti delle facce piane e di quelle a tre dimensioni, che con queste costituiscono i sei piani del triedro e i quat- tro spazi a tre dimensioni del quadriedro. Ogni vertice del tetraedro è opposto alle facce degli altri tre, ogni spigolo è opposto allo spigolo degli altri due, così ogni spigolo del quadiedro è opposto alle facce a tre dimensioni degli altri tre, e ogni faccia piana è opposta alla faccia piana che contiene gli altri due spigoli. Ogni triedro del tetraedro è opposto alla faccia opposta al suo vertice, ogni diedro è opposto al diedro dello spigolo opposto, così ogni triedro di 2a specie del quadriedro è opposto alla faccia opposta al suo spigolo, ogni diedro

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a quattro dimensioni è opposto al diedro che ha per asse la faccia piana opposta. 055. IL Gli spazi di un quadriedro separano lo spazio S4 intorno al suo vertice in 16 quadriedri (oss. II, 115). Teor. L Le parti interne dei triedri di 2a specie del quadriedro lìmiiati alle facce opposte coincidono (teor, I, 95; oss. I, 115 e oss. I). Coroll. I. Le parti interne dei diedri a quattro dimensioni del quadriedro limitate dalle facce stesse a quattro dimensioni coincidono (coroll. I, teor. I, 95). Coroll. II. Ogni angolo, che ha i suoi lati interni al quadriedro o su due facce a tre dimensioni di esso e collo stesso vertice del quadriedro, è interno al quadriedro (coroll. II, teor. I, 95). Coroll. III. La parte interna di un triedro di la specie collo stesso vertice del quadriedro e cogli spigoli interni ad esso, o almeno su due facce a tre di' mensioni di esso, giace nell' interno del quadriedro (coroll. Ili, teor. 95). Coroll. IV. La parte interna di ogni tetraedro avente i suoi vertici nel- V interno del quadriedro, o almeno su due facce a tre dimensioni di esso, giace internamente al quadriedro. La facce del tetraedro sono interne al quadriedro (coroll. Ili), e ogni seg- mento interno al tetraedro che ha i suoi estremi, ad es. A0,B0^ nell'interno di due facce del tetraedro da un angolo P0. A0J?0 interno al quadriedro, e poiché (AQBQ) giace internamente all'angolo P^A^B^, giace pure internamente al qua- driedro (coroll. II). Ma ogni segmento interno (XQYQ) incontra (prolungato, se occorre) due facce almeno del tetraedro in punti interni (teor. V, 95), il cui segmento che comprende (-Xo^o) ^ situato internamente al quadriedro, quindi il corollario è dimostrato. Teor. IL Ai raggi interni di un quadriedro sono opposti i raggi interni del quadriedro opposto (teor. I, 115 e oss. I). Teor. III., Uno spazio che passa pel vertice del quadriedro^ non passa per alcun spigolo di esso e incontra una faccia piana in un raggio interno : 1 o incontra in un raggio interno altre due facce piane che passano colla prima per lo stesso spigolo. 2* o incontra in punti interni altre tre facce piane, una delle quali è opposta alla prima e le altre due sono opposte fra loro (teor. II, 95 e oss. II, 115). Teor. IV. Se un piano passante pel vertice del quadriedro non sega alcuna delle sue facce piane in una retta, incontra una faccia a tre di- mensioni in un raggio interno, esso taglia un'altra di queste faccie in un rag- gio intemo e le altre in raggi esterni (teor. Ili, 95 e oss. II, 115). Coroll. Un piano passante pel vertice del quadriedro che sega tre facce a tre dimensioni in raggi esterni taglia esternamente la quarta faccia. Teor. V. Un piano passante pel vertice del quadriedro, che ha un raggio interno ad esso^ incontra la superficie del quadriedro in due raggi (teor. IV, 95 e oss. II, 115).

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490 Teor. VI. Due quadriedri i cui spigoli sono paralleli nel medesimo verso sono inguaii. Difatti hanno lo stesso tetraedro all'infinito. Teor. VII. Due quadriedri opposti al vertice sono uguali. Difatti i loro tetraedri all'infinito essendo opposti sono uguali (teor. II, 115). Teor. Vili. Non vi sono due quadriedri uguali aventi tre spigoli comuni e gli altri due dalla stessa parte rispetto alla loro faccia comune a tre dimen- sioni (teor. V, 95 e oss. I, 115). Def. V. Se il tetraedro ali' infinito del quadriedro è coniugato polare (def. VI, 108), il quadriedro si chiama quadrirettangolo. Teor. IX. In un quadriedro quadrirettangolo gli angoli piani, i diedri della facce piane e i diedri della facce a tre dimensioni sono retti (teor. XI, 110 ; def. I, 39, oss. I. 136 e teor. V, 139). Teor. X. I quattro spazi a tre dimensioni di un quadriedro quadriret- tangolo dividono lo spazio S4 in 16 quadriedri quadrirettangoli due a due op- posti (teor. II, 115). Teor. XL I quadriedri quadrirettangoli sono ^ identici in 24 maniere di' verse (teor. XII, 110). 12. Pentaedro. 145. Def. I. La figura formata da cinque punti dello spazio S4 non situati in uno spazio S3, dalle rette e dai piani e dagli spazi a tre dimensioni deter- minati dai cinque punti si chiama pentaedro. I punti si chiamano vertici, i loro segmenti spigoli, i loro triangoli facce piane, i loro tetraedri facce a tre di- mensioni del pentaedro. Così i quadriedri formati cogli spigoli, i triedri di la e di 2a specie, i diedri della facce a tre dimensioni aventi per vertici e per assi i vertici e gli spigoli si chiamano quadriedri, triedri di la e di 2a specie e diedri del pentaedro. Un vertice dicesi opposto alla faccia a tre dimensioni che contiene gli altri quattro; così un spigolo è opposto alla faccia piana che contiene gli al- tri tre. Ind. I. Il pentaedro dato dai punti AQ9B^CQ,D^EQ lo indicheremo col sim- bolo AQBQCQDQEQ. Teor. I. Le parti dello spazio interno ai cinque quadriedri del pentaedro limitate dalle facete opposte ai loro vertici coincidono. La parte interna del tetraedro 40 0C0D0 è situata nell'interno del qua- driedro E0. A^B^DQ (corol). IV, teor. I, 144). Sia PfQ un punto interno del te- traedro anzidetto, il segmento E^P^ giace nell'interno dello stesso quadriedro. Sia P0 un punto di questo segmento, basta dimostrare che esso è interno ad uno qualunque degli altri quadriedri del pentaedro. Il raggio ^FO è situato dentro al triedro A^ . B^D^ e quindi E0A0P0 è in-

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4 ! terno al quadrìedro AQ. J50 70D0#0 (cor. Il, teor. 1,144), e per- ciò anche il segmento AQPQ è interno al medesimo quadrie- dro. Dunque il punto P0 giace nell'interno del quadriedro A0. JSoCoZ)^, e per la stessa ragione anche degli altri tre. (fig. 108). Def. IL Le parti interne dei quadriedri di un pentae- dro costituiscono ciò che si chiama la parte interna del pentaedro. La parte rimanente dello spazio S4J compresa la superficie, si chiama parte esterna. Def. III. Per un punto interno o esterno al pentaedro s'intende un punto della parte interna od esterna, ma non situato sulla superficie. Se una figura ha tutti i suoi punti interni o esterni al pentaedro, anche se ne ha alcuni sulla superficie di esso, si chiama interna o esterna al pen- taedro. Coroll. I. Le parti interne dei triedri di 2a specie e dei diedri a quattro dimensioni limitate dalle facce a tre dimensioni del pentaedro coincidono* Coroll. IL II segmento di due punti interni del pentaedro o di due facce a tre dimensioni di esso giace neWintemo del pentaedro. Siano XQ, Y0 i due punti interni. L'angolo A03roro giace nell'interno del qua- driedro AQ.BQC^EQ (coroll. n, teor. I, 144 e teor. I). Siano -X*0, Y'0 i punti d'intersezione dei raggi A^XW AQYQ colla faccia op- posta 0C0D0#0. II triangolo AQXQT0 giace nell'interno del quadriedro suddetto, perché vi giace pure il triedro A0. 0X'0Yf0 (coroll. II, teor. I, 144). Giacendo (X^YQ) nell'interno di questo triangolo (coroll. Ili, teor. II, 51), esso è situato nell'interno del pentaedro. Coroll. III. La parte interna di un triangolo che ha i suoi vertici interni al pentaedro o sulla superficie^ ma non sulla stessa faccia a tre dimensioni, giace nell'interno del pentaedro. Dim. analoga a quella del coroll. Ili del teor. I, n. 95. Teor. IL Uno spazio a tre dimensioni che non passa per alcuno dei ver* tici del pentaedro, e incontra uno dei suoi spigoli in un punto intemo, incon- tra internamente: 1. o quattro spigoli che passano per un medesimo vertice ; 2. oppure due terne di spigoli passanti per due vertici, eccettuati lo spi- golo comune e gli spigoli della faccia opposta. Difatti siano A0, 0,C0,D0,1?0 i vertici del pentaedro, e supponiamo che uno spazio j, che non passa per alcuno dei vertici, incontri lo spigolo (AQBQ) in un punto interno. Consideriamo lo spazio del tetraedro ^1050C0D0 che verrà incon- trato dallo spazio S^ in un piano S2. Questo piano incontrerà internamente o altri due spigoli che passano per AQ o per BQ9 per es. gli spigoli U0C0), (40Z 0), oppure incontrerà lo spigolo opposto ad (A0#0), cioè (CoD0), e due altri spigoli op- posti, per es. (A0C0), (BQDQ). Abbiamo dunque due soli casi possibili (teor. II, 95), cioè lo spazio S3 o incontra gli spigoli (A0B0), U0C0), (A0D0) (1) oppure gli spigoli: (A C0), (C0D0), (#0D0) (2)

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492 In uno e nell'altro caso dobbiamo ritenere dato un piano di S3 situato nello spazio 40J90 W Consideriamo ora il tetraedro A0#0C0#0. Il piano tf2 d'in- tersezione di 3 collo spazio di questo tetraedro incontra internamente nel 1 e nel 2 caso gli spigoli (A0#0), (A0C0), quindi o incontra internamente (teor. II, 95), gli spigoli: (AM, (A,CQ), (A0E0) (!') oppure gli spigoli: (A0B0), U0Co), (C0#0), (BQE0) (2') Rispetto ai due tetraedri 40B0C0D0, 40#0C0#0 lo spazio S3 può segare in- ternamente gli spigoli del tipo (A,B,\ (A C0), (A0J%), (A0E0) (3) oppure (A0B0), (AQCQ), (CoDo), ( oA ), (C^), ( (4) Gli altri due casi sono contenuti nel tipo (4). Poiché lo spazio S3 si può comportare in due modi diversi rispetto al te- traedro ^o^o^o^o, ed è pienamente determinato tanto in uno'come nell'altro caso, prendendo cioè nel 2 un punto interno allo spigolo (C^E^ oppure (BQE0\ così dobbiamo ritenere lo spazio S3 pienamente determinato rispetto agli altri tetraedri, e quindi determinati anche dai precedenti i suoi modi d'interse- zione cogli spigoli rimanenti. Consideriamo dunque il tetraedro A^B^D^E^ Nel caso (3) lo spazio S3 interseca internamente gli spigoli (A ^ (AeDe)t (AtJSo), e quindi non incontrerà altri spigoli di esso in punti interni (teor. II, 95). Nel caso (4) taglia invece gli spigoli (AoBo), (^o-^o), 0#o#o). Il tetraedro A0C0.D0#0 è incontrato internamente nel caso (3) negli spigoli 04000), (AQD0), (A0EQ); e nel caso (4) negli spigoli (A0 70), (C0D0), (C^). Il rimanente tetraedro BQC0DQEQ nel primo caso viene incontrato esterna- mente, mentre nel secondo caso viene segato internamente negli spigoli (00Z)0), (B0Z)0), (C0#0), (#0#o) a due a due opposti. Il teorema è dunque pienamente dimostrato. Coroll. L Separati i vertici del pentaedro in due gruppi, uno spazio può incontrare internamente gli spigoli che uniscono i vertici di un gruppo con quelli dell'altro; e quando esso incontra internamente uno spigolo, rispetto ai suoi punti d'intersezione interni cogli spigoli, questi si separano sempre in due tali gruppi Ciò risulta evidentemente dalla dimostrazione precedente. I gruppi pos- sibili sono dunque della forma A0 (.BoCoD^); AQB0 (C^Eg). Coroll. II. Se uno spazio che non passa per alcuno dei vertici di un pen- taedro interseca quattro spigoli passanti per un vertice in punti esterni, esso taglia tutti gli altri spigoli in punti esterni. Teor. III. Se una retta non incontra alcuna delle facce piane del pen- taedro e interseca una faccia a tre dimensioni in un punto interno, taglia un9 altra di queste facce in un punto interno e le altre in punti esterni. Siano gl la retta e AQB^DQEQ il pentaedro, PQ il punto comune a gl

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493 e alla faccia -A0#0C0D0. Il piano A^l incontra la faccia .4050C0D0 secondo la retta A^PQ che taglia la faccia piana #0^oA) *n un punto interno P"0 perché P'Q è per ipotesi interno al tetraedro A0J?0C0D0. Il piano AQgl incontra inoltre la faccia a tre dimensioni #0C0D0Zì'0 secondo una retta, la quale passando per il punto P'0 deve segare un'altra faccia di esso, per es. #0A #o in un punto in- terno P"'0. Il segmento A^'Q è l'intersezione del piano A^ colla faccia 4OJB0D0J 0. Ora la retta gl9 incontrando il lato A^odel triangolo AQPflQPf't0 in un punto interno P^, deve intersecare un'altro lato in un punto interno (teor. 111,51), e poiché il triangolo 40P"0Pr"0 è interno al pentaedro, vuoi dire che la retta g sega almeno un'altra faccia del pentaedro in un punto interno, per es. la faccia A^B^D^EQ. Non può essere che incontri un'altra faccia in un punto in- terno. Intanto da ciò che precede risulta che non può incontrare il lato (P'0P'r'0) in un punto interno, e quindi nemmeno la faccia B^CJD^E^ Sia XQ il punto di intersezione della retta P''0P"'0col piano #0C0#0, il quale deve essere esterno a questa faccia (teor. Ili, 95), e quindi la retta A0XQ è esterna al triedro A0. BQC^EQ. Il punto comune alla retta gl e alla faccia A^B^E^ è situato sulla retta A0XQ, dunque esso è esterno al pentaedro. Analogamente per la rimanente faccia -AcAAA, ed il teorema è cosi dimostrato (fig. 108). Teor. IV. Una retta che ha un punto interno a un pentaedro incontra la superficie di esso in due punti. Dim. analoga a quella del teor. IV, 95. Teor. V. Non vi sono due pentaedri identici aventi una faccia a tre di- mensioni in comune e coi vertici opposti dalla stessa parte di questa faccia. Dim. analoga a quella del teor. V del n. 95 basandosi sul teor. Vili, 144. 13. , Versi della, stella, di 2* specie, dei triedri di 2* specie e dei quadriedri Versi dello spazio e dei pentaedri. 146. Def. I. Nella stella (P0S3) i versi dello spazio direttore (def. IV, 96) de- terminano i versi della stella. Come spazio direttore di ogni stella si può con- siderare lo spazio n^ all'infinito (teor. I, def. I, 123). Teor. I. I versi della sfella di 2a specie sono determinati da quelli di un diedro di un suo triedro di 2a specie. Perché tale è la proprietà dei versi dello spazio all'infinito rispetto a quelli di un diedro di un suo triedro (teor. XVII, 96 e oss. I, 116). Coroll. Un verso di una stella determina versi uguali dei diedri dei suoi triedri di 2a specie (coroll. teor. XVII, 96 e oss. I, 116). Teor. II. Un verso di un diedro in un triedro di 2a specie determina i due versi di una stella a cui appartiene secondo che lo. si considera dall'uno o dall'altro punto all'infinito dello spigolo del triedro. Difatti un verso dello spazio all'infinito non viene determinato dal verso di una terna di raggi (aìaoblaoclao) di un triedro senza che sia dato il vertice del triedro stesso (oss. I, 116),

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494 Teor. III. I triedri di 2a specie a^b^d^ b^a^c^ c^d^b^ dl.c^blaì di un quadriedro 16lc1d1 sono dello stesso verso. Difatti tale è la proprietà dei triedri all'infinito del quadriedro (teor. XIV, 96 e 058. I, 116). Def. II. I versi dei diedri di 2a specie del quadriedro si chiamano versi del quadriedro. Cogli stessi simboli indicheremo anche i versi della superficie a tre dimensioni del quadriedro. Oss 1. Per questa indicazione seguiamo la stessa regola del tetraedro (ind. 1,96). Teor. IV. Le permutazioni pari nel simbolo a-fi^d^ di un quadriedro danno uno dei suoi versi, le dispari il verso opposto (teor. XV, 96 e oss. 1,116). Teor. V. Se due triedri di 2a specie di due quadriedri di una stella di 2a specie sono dello stesso verso9 sono pure dello stesso verso i due quadriedri (teor. XVI, 96 e oss. I, 116). Teor. VI. Se due triedri di 2* specie di due quadriedri sono dello stesso verso o di verso opposto lo sono pure i due quadriedri. Come pel teor. VII, 96. Teor. VII. Due quadriedri afac^ a^c^ aventi il medesimo vertice P0 e una faccia a tre dimensioni comune sono dello stesso verso o di verso opposto secondo che i rimanenti spigoli dl ed el di essi sono situati dalla stessa parte o da parti opposte rispetto alla faccia comune. Difatti nel primo caso sono dello stesso verso, perché lo sono i loro te- traedri all'infinito, mentre nel secondo sono di verso opposto (coroll. I, teor. Vili, teor. XVI, 96 e oss. I, 116) (fig. 109). Coroll. I. Due quadriedri A^CJD^ A'Q. B^D^ i cui spigoli si incontrano in uno spazio negli stessi quat- tro punti B^D^EQ sono dello stesso verso o di verso op- posto secondo che i loro vertici AQ e A'0 sono situati dalla stessa parte o da parti opposte dello spazio dato. flg l09 Difatti nel primo caso i quadriedri C0. A^B^E^ C0. AQBQDQEQ sono diretti nel medesimo verso, e quindi anche i triedri di 2a specie C^BoD^Eo C0A0'. B^E^ nella stella di centro CQ. Gli stessi triedri con- siderati invece nella direzione opposta del loro spigolo, cioè nelle stelle di centri A0 e A'0, sono di verso opposto ai primi due (teor. II), ossia hanno lo stesso verso dei triedri opposti in Co, i quali sono dello stesso verso (coroll. teor. I, 116 e teor. IX, 96 e oss. I, 116 e oss. I). Dunque i due quadriedri A^B^D^E^ A ^B^C^E^ sono dello stesso verso perché lo sono quelli di due loro triedri di 2a specie (teor. VI). Coroll. IL Un verso di uno spazio determina versi uguali nelle stelle i cui centri sono dalla stessa parte dello spazio, e versi opposti se i loro centri sono situati da parti opposte dello spazio dato. Teor. Vili. Stelle di 2a specie dello stesso verso o di verso opposto ad una terza hanno versi uguali. Come pel teor. IX, 9

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495 Corali. Dite stette di 2a specie l'una dello stesso verso V altra di verso opposto ad una terza sono di verso opposto. Teor. IX. Due quadriedri afifad^ alb\c\dl che hanno uno spigolo comune e le due facce (b^dj), (b\c\d{) in un medesimo spazio dello stesso verso o di verso opposto, sono dello stesso verso o di verso opposto. Dim. analoga a quella del teor. X, 96. Teor. X. Due quadriedri AQ.B^DQEQ. AQ.B fiQV QE Q, collo stesso vertice AQ e i cui spigoli incontrano uno spazio in due tetraedri 0COJD0#0 J?0C'0Dr0 "0 diretti o no nello stesso verso, sono dello stesso verso o di verso opposto. Dim. analoga a quella del teor. XI, 96. Teor. XI. Due quadriedri A^C^D^ A^QC^U^E^ sono dello stesso verso 0 di verso opposto secondo che le loro sezioni B0C0D0#0, 5r0C'0D'OJE"0 con uno spazio S3 sono o no dello stesso verso^ e i loro vertici sono o no situati dalla stessa parte di S3. Se invece le due sezioni sono di verso opposto i due quadriedri nel pri- mo caso sono di verso opposto, nel secondo dello stesso verso. Difatti nel primo caso i quadriedri AQ.BQD0D0EQy A'0.BQCQD0EQ sono dell stesso verso (coroll. I, teor. VII). Ma A'0.J?0C0D0 T0 e Ar0.#'0C'0#]^El'0 sono pure dello stesso verso (teor. X), dunque i due quadriedri dati sono dello stesso verso (teor. Vili) (fig. 110). Coroll. I. Due quadriedri a^c^, a-f)\c\dl aventi tre spigoli b^d^ b\c\d\ in un medesimo spazio a tre dimensioni e i triedri b^d^ b\c\dtl diretti nello stesso fig 110. verso9 sono dello stesso verso o di verso opposto, secondo che gli spigoli rimanenti al e a\ sono o no situati dalla stessa parte dello spazio. Se invece i due triedri 61c1d1, b\c\dfl sono di verso opposto, nel primo caso 1 due quadriedri sono di verso opposto e nel secondo sono dello stesso verso. Difatti se .È^'o sono i vertici dei due quadriedri, scelti in ajb^d^ a^b\c\d\ i punti AQ,BO,CO,DO; A'0,#o, V)'o, * quadriedri A0. 0C0I 0tf0, A'.B0ffQIf9ElQ sono nel primo caso dello stesso verso (teor. XI). Sono dunque del medesimo verso i due triedri di 2a specie AJE^B^C^D^ 4'0#o.#0C0D0 nelle stelle di centri A0 e A'0, e quindi anche gli stessi triedri nelle stelle di centri EQ ed E'QJ dunque ancora i quadriedri ^b.Ao^oCoDo, ITo.-A'otf'oCVD'o} ossia i quadriedri dati (fig. 110). Coroll. II. Due quadriedri a^c^d^ a\b\c\dtl con due spigoli 6j e b\ sulla medesima retta e diretti in verso contrario, e tali che gli spigoli e c\ si incon- trino in un punto C0 ; dì e d\ in un punto DQ e i rimanenti spìgoli a^ e a\ siano situati dalla stessa parte dello spazio clc'ldld*li sono di verso opposto. Se invece al e a\ sono situati da parti opposte rispetto a quello spazio, i due quadriedri sono dello stesso verso. Se j e b\ sono diretti nel medesimo verso, nel primo caso i due quadrie- dri hanno il medesimo verso e nel secondo versi opposti. Difatti se b e b\ sono sulla medesima retta e di verso opposto, ed E E^ i

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vertici dei due quadriedri,! triedri (^A^ ), (^cV^) sono ' nel primo caso di verso opposto nel tetraedro . basta per persuadersi adoperare per i due triedri sud- detti le indicazioni E^^C^ JToJftCyDb (teor. XV, 96). I quadriedri a^c^, a\b\d^^ se a^ e a\ sono dalla stessa parte dello spazio J^'oCoA), sono ^ vei's , opposto, altrimenti sono dello stesso verso (coroll. I) flg. m (% l11)- Similmente, se ^ e b\ sono dello stesso verso, i triedri b^d^ b\c\d\ sono invece dello stesso verso. Teor. XIL Dato un quadriedro a^b^d^se si scambia un, numero Dispari di spigoli coi loro prolungamenti si ottiene un quadriedro di verso opposto al dato; se invece si fa uno scambio pari il quadriedro che si ottiene è del me- desimo verso. Perché ciò avviene rispetto ai vertici di un tetraedro nello spazio ali1 in- finito (teor. I, 116). Coroll. I. Due quadriedri (o due angoloidi) opposti al vertice sono dello stesso verso (teor. I e li, 116). Coroll. II. Se gli spigoli di un quadriedro sono paralleli ' a quelli di un altro quadriedro, e inoltre due o tutti quattro gli spigoli dell'uno sono diretti nello stesso verso di quelli deW altro, i due quadriedri sono dello stesso verso. Negli altri casi sono di verso opposto. Perché tale è la proprietà dei loro tetraedri all'infinito (teor. I, 116). Teor. XIII. I versi dei quadriedri A^B^DJE^ B^C^D^A^ C^D^A^ DQ.E^AQB^CQ, EQ.AOBQCODQ del pentaedro A^B^E^ sono uguali. Se nel teorema precedente i due spigoli al ed a\ si incontrano in un punto E essi sono situati dalla medesima parte dello spazio ,AOJB0C0D0, e si ha in tal caso un pentaedro AJS^DJS^ (fìg. 108). Pel teorema precedente i due quadriedri A^B^D^ e B^A^CJ)^ sono diretti in verso opposto, mentre il primo e il quadriedro B^C^E^ sono di- retti nel medesimo verso (teor. XV, 96 e teor. X). Lo stesso accade per gli altri quadriedri. Teor. XIV. Le permutazioni pari dei vertici di un pentaedro danno un verso dello spazio S4, quelle dispari il verso opposto. Siccome in ogni quadriedro del pentràedro, peres. A^B^CoD^ si ottiene lo stesso verso sostituendo alla permutazione B^CJ)^ una permutazione pari qualsiasi dei quattro vertici, e siccome d'altra parte tenendo fissi i vertici AQtB^CfrDtoEo dei cinque quadriedri del pentràedro, e facendo sui loro simboli l'operazione testé indicata, si ottengono tutte le permutazioni pari dei cinque vertici -Ao-BoCoDo^o, così il teorema è dimostrato. Def. III. I versi di un quadriedro di un pentràedro si chiamano versi del pentaedro. Oss. IL Vale pei versi dello spazio S4 r analoga definizione a quella dello spa- zio S3 (def. IV, 96). Teor. XV. I versi dello spazio S4 sono determinati da quelli di un die- dro di un triedro di 2a specie. Perché lo sono quelli di una sua stella di 2a specie (teor. I).

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497 Corali. Un verso dello spazio determina uguali versi dei suoi triedri di seconda specie collo spigolo limitato ad un punto. Dim. analoga a quella del coroll, teor. IX, 61. Teor. XVI. Un verso di un triedro di 2a specie determina i due versi dello spazio secondo che lo si considera dalVuno o dall' altro punto all'infinito dello spigolo (teor. II). Versi delle figure identiche. Figure congruenti e simmetriche. 147. Def. I. Due punti aventi la medesima distanza da uno spazio S3 e si- tuati nella medesima normale a questo spazio si chiamano simmetrici rispetto allo spazio ^che è lo spazio di simmetria. E due figure sono simmetriche rispetto ad uno spazio a tre dimensioni, quando i punti dell'una sono simmetrici ai punti dell'altra. Coroll. Le due parti dello spazio S4, in cui viene diviso da uno spazio S3, sono simmetriche rispetto a questo spazio. Dim. analoga al coroll. I, def. 97. Teor. I. Un segmento ha per figura simmetrica rispetto ad uno spazio S3 un altro segmento uguale ad esso, e le rette dei due segmenti si incontrano in un punto di questo spazio. Se sono date due coppie di punti simmetrici A0,A'0; -Bo,#o; le due rette Ao A'0, BQB'o sono parallele, perché sono perpendicolari al mede- simo spazio 3 a tre dimensioni (coroll. II, teor. II, 128), e sono situate in un piano ad esso perpendicolare (teo- rema II, 130), che lo incontra secondo una retta I L essendo S^Q i punti d'intersezione delle rette .Xj -#o#o con lo spazio 3 (fig. 112). I due segmenti (AoJ90), '' /; (Adi?Q) sono simmetrici rispetto alla retta SbS'o* e quindi A anche rispetto allo spazio Sg, perché una normale alla flg. ut retta Sbtfo nel piano suddetto è pure normale allo spa- zio S3. Le loro rette si incontrano dunque in un punto della retta SQ Q. Teor. II. Un piano, o uno spazio, ha per simmetrico un altro piano^ o spazio, che incontra il primo in una reità, o in un piano, dello spazio di simmetria. Come pel teor. II, 97. Per la 2a parte basta appoggiarsi al teor. XIV, 122. Teor. ITI. Due quadriedri simmetrici rispetto ad uno spazio a tre dimen- sioni sono identici e di verso opposto. Dim. analoga a quella del teor. IV, 97. 148. Teor. I. La corrispondenza fra due figure identiche dello spazio S4 è determinata pienamente da due quadriedri corrispondenti uguali. Siano afac^ a\b\c\dtl i due quadriedri di vertici A0, A'0 (fig. 113). Se

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498 sugli spigoli del primo si prendono i quat- tro punti BQÌ C0, DO, EQ e su quelli corri- spondenti del secondo i punti -B'0,C'0,D'0,#r0 a distanze da A'o uguali a quelle che hanno i punti BQ, Co, D0, #0 dal punto A i trian- goli AgB0CQ^ A'0B'oCfo sono uguali per avere due lati e l'angolo compreso uguali, e quin- flg 113 di(50C0)EE( '0C'o); dunque gli spigoli dei due tetraedri B^D^E^ B QC'oI/oEre sono uguali, e perciò i due pentaedri A0^oCoD0 o A'0#'0C'oD'o#o sono figure corri- spondenti. Sia ora .F0 un punto della prima figura e congiungiamolo con A0; la retta 0 incontrerà lo spazio della faccia opposta 0CoA b in un punto XQ. Sic- come la figura dello spazio BoCoDo^o deve essere identica a quella dello spa- zio ^cy/o^'o, ne viene (teor. I, 98) che in questa vi sarà un punto jF*0 corri- spondente a FQ. Prendendo sulla retta A'0X*0 un punto F o in modo che si abbia (A'0Fo) = (^0F'0), e inoltre (X '0Fo} = (^Xó/^o), il punto F\ sarà il punto corrispon- dente del punto FQ. Corali. L La corrispondenza d? identità fra dite figure identiche è deter- minata da due pentraedri corrispondenti. Dira, analoga a quella del coroll. teor. I, 98. Coroll. IL Due figure identiche non possono avere cinque punti corrispon- denti comuni non situati in uno spazio a tre dimensioni. Teor. IL Nella corrispondenza di due figure identiche lo spazio ali' in- finito corrisponde a sé medesimo. Di m. analoga a quella del teor. II, 98. Teor. IH. I quadriedri corrispondenti di due figure identiche dello spazio S4 sono dirette nel medesimo verso o in verso opposto secondo che due qualun- que di essi hanno o no lo stesso verso. Dira, analoga a quella del teor. Ili, 98 (tìg. 113). Def. I. Due figure identiche, i cui quadriedri corrispondenti uguali hanno il medesimo verso, si chiamano dello stesso verso o congruenti; nel caso con- trario si dicono di verso opposto o simmetriche. Coroll. I. Due figure congruenti o simmetriche ad una terza sono congruenti fra loro. Coroll. II. Due figure, V una congruente e l'altra simmetrica ad un terza sono simmetriche fra loro. Questi corollari derivano immediatamente dal teor. precedente insieme col teor. Vili, del n. 146. Teor. IV. Due figure congruenti aventi quattro punti corrispondenti comuni e non situati in un piano coincidono, e se hanno tre punti corrispondenti in comune hanno in comune tutti i punti del piano dei tre punti. Dira, analoga a quella del teor. IV, 98. Teor. V. Se due figure simmetriche hanno quattro punti corrispondenti comuni hanno comuni i punti dello spazio determinato dai primi quattro, e sono simmetriche rispetto a questo spazio.

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499 Dim. analoga a quella del teor. V, 98. Teor. VI. Le figure rettilinee determinate da due gruppi di m punti sono identiche se i segmenti di m 5 di essi coi rimanenti e di questi cinque sono ordinatamente uguali. Dim. analoga a quella del teor. VI del n. 98. 15. Cono e Cilindro aventi per vertice una retta. Coni e cilindri di i9- e di 2* specie aventi per vertice un punto. 149. 055. /. I piani che congiungono una retta Pl coi punti di una circonferenza C^ situata nel piano polare del punto all'infinito .della retta, determinano un cono circo- lare avente per vertice la retta P1$ e il piano congiungente Pl col centro di C^ per piano asse. Le proprietà di questo cono si deducono in modo analogo a quelle del cono circolare in 8% (99). Solo osserviamo che ogni piano S^ normale di 1* specie al piano asse (def. 1,129) incontra il cono suddetto in un cer- chio, col centro $0nel punto d'incontro dei due piani (fig. 114). Il cilindro circolare avente per vertice una retta viene appunto generato da un cerchio e dalla retta all'infinito di un piano normale di la specie al piano del cerchio dato. Così si ha il cono circolare che ha per vertice un punto ed ha all'infinito una sfera e la sua opposta. Le proprietà di . iu questo cono si dimostrano pure in modo analogo a quelle del cono circolare in 83, sebbene si abbia evidentemente un caso diverso dal primo. Qui svolgeremo soltanto le proprietà del cono di 2* specie, che serve a risolvere il pro- blema della costruzione degli angoli di due piani, e perché in Sn non tratteremo di coni circolari fra i quali sia compreso come caso particolare il cono suddetto. Def. I. I piani che uniscono un punto P0 colle rette di una superficie cilin- drica,^ all'infinito di assi lw, a'lw (117) costituiscono una figura che si chiama superficie conica circolare di 2a specie. La parte di spazio S4 da essa racchiusa dicesi cono circolare o cono di 2* specie, di cui i piani suddetti sono i piani generatori, il punto P0 il vertice^ i piani P0^i poa'i* i piani assi o assi, il cilindro Cw il cilindro direttore della superficie conica e del cono di 2* specie. Uno spazio passante per uno dei piani assi si chiama spazio diametrale. Coroll. La superfìcie conica di 2* specie è una figura ad una dimensione rispetto ai suoi piani generatori^ e a tre dimensioni rispetto ai suoi punti. Difatti il cilindro Cm è rispetto alla sue rette una figura ad una dimen- sione. 089. II. Anche qui, quando non vi ha luogo ad equivoci si può scambiare la pa- rola superficie conica con la parola cono. Teor. I. I piani assi del cono di 2* specie sono perpendicolari di 1* specie. Difatti gli assi del cilindro sono due rette polari (teor. Ili, 117 e teo- rema I, 129). Teor. IL Un piano asse e ogni piano generatore sono piani di uguali angoli (teor. Ili, 117 e def. HI, 142).

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500 Cortili. I piani di uguali angoli con un piano dato e che lo incontrano in uno stesso punto P0, costituiscono un cono di 2* specie. Difatti le rette ali1 infinito dei piani generatori sono rette di ugual distanza colla retta all'infinito del piano dato. Teor. III. Un piano S2 passante pel vertice del cono e che incontra un piano generatore e un piano asse in una retta ed è perdendicolare ad uno di essi, è perpendicolare anche aWaltro. Difatti le rette all'infinito del piano generatore e del pia/io asse sono rette di ugual distanza, e la retta all'infinito del piano S2 incontra le due rette sud- dette ed è perpendicolare ad una di esse, e quindi è normale anche all'altra (def. II, 114). Teor. IV. Ogni spazio passante pel vertice e normale ad uno dei piani assi taglia il cono di 2a specie in un cono circolare, che ha per asse la retta d'intersezione dello spazio col piano asse. Difatti ogni piano perpendicolare ad un asse del cilindro C contiene due cerchi opposti del cilindro stesso (def. I, 117 e def. I, 99). Teor. V. Ogni spazio passante per uno dei piani assi incontra i piani generatori in due sistemi di raggi simmetrici rispetto ad esso* (teor. II, 117). Teor. VL Ogni spazio che contiene un piano generatore incontra il cono di 2a specie in un altro piano generatore (teor. V, 117). Teor. VII. Per ogni generatrice del cono di 2a specie passano due soli piani generatori (teor. Ili, 117). Teor. Vili. Un piano passante pel vertice del cono di 2a specie non può incontrarlo in più di due rette, e se lo incontra in una lo incontra anche in un'altra, che può coincidere colla prima (teor. IV, 117). Corali. Ogni retta non può avere col cilindro più dì due punti comuni, che possono coincidere. Def. IL Un piano che incontra il cono in due rette coincidenti si chiama piano tangenze lungo la retta data, che dicesi generatrice di contatto. Ogni retta che ha due punti coincidenti in comune col cilindro si chiama tangente nel punto dato. Teor. IX. Tutti i piani tangenti lungo una retta del cono di 2* specie giacciono in uno spaziOj che contiene i due piani generatori passanti per la retta data, ed è perpendicolare al piano normale condotto per la retta aW uno e ali* altro piano asse (teor. IX, 117). Def. III. Un tale spazio chiamasi spazio tangente lungo la retta data, che è la generatrice di contatto. Teor. X. Nel cono di 2a specie vi sono due sistemi di piani generatori. Quelli di sistemi diversi si incontrano in una retta, quelli di uno stesso sistema si incontrano nel solo vertice (teor. VI, 117). Def. IV. Un sistema circolare di rette in uno spazio a tre dimensioni avente per asse una retta data (103), senza che le rette di esso incontrino Tasse stesso, si chiama iperboloide circolare. La sua linea allVnfinito è un cer- chio (teor. X, JOB; def. I, 40 e teor. I, 84). Teor. XI. Un piano perpendicolare ad un piano asse incontra il cono di 2a specie in un cerchio col centro nel punto d? incontro dei due piani.

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501 Sìa VQ il vertice del cono. Un piano normale di 1* specie al piano asse A2 lo incontra in un punto AQ, e incontra un piano generatore G2in un punto G0. La retta G0A0 è perpendicolare al piano A2 (coroll. Ili, teor. I, 129), e quindi anche alla.retta VQA0. H piano O0Y0A0 è normale di 2a specie al piano A2 e quindi anche al piano G2 (teor. HI); dunque GO^O^O è l'angolo dei due piani, e perciò ( 0^o) è costante per tutti i piani generatori (teor. X, 55) ; dun- que ecc. (fig. 115). Teor. XII. Uno spazio S3 normale ad un piano asse taglia il cono di 2a specie secondo un iperboloide circolare. Difatti il piano *S2ao di S3 è perpendicolare alla retta all'infinito del piano asse A2. Il piano S2oo incontra il cilindro all'infinito in due cerchi opposti, e quindi le rette gl in cui lo spazio taglia i piani generatori formano lo stesso angolo colla retta al d'intersezione di S3 col piano asse A2 (teor. I, 130; teo- rema HI, 110 e def. I, 40) (zg. 115). Il polo SOM di è situato in lac, ed è coniugato al punto AQt all'in- finito della retta ar La retta VQAQ sia normale in AQ alla retta al nel piano A2; essa passa dunque per 0oo. Da .40,si conduca in S3 il piano normale S2 di 1* specie ad A2, che è perciò normale in S3 ad al (coroll. Ili, teor. I, 129). Lo spazio V0S2 passa per il punto S0oo, e perciò è normale allo spazio S3 (teor. I, 131 e def. II, 108). Sia G" il punto d'incontro della retta glM di G2 col piano (^\^SQao)f cioè il punto all'infinito della retta V0G0, che è l'intersezione del piano G2 collo spazio (VQS2). Ma le rette gì x e aìoo sono rette di ugual distanza (def. I), ed essendo le rette A^^G^ e SQ^G"^ perpendicolari ad 1(X, perché incontrano an- che la retta polare a'100 situata nei piani S2oo e (a'10A ) (teor. IX, 110), esse sono perpendicolari anche alla retta glao (def. II e teor. IV, 114). Di più, essendo (,40ooS0oo)=|- (teor. I, 108) si ha pure (G0ooG"0oo)EEE~ (teor. IV e teor. Ili, 114). La retta 0oo "o , ^ dunque la polare del punto G0oo nel piano Go x "(A oo (teor. VI, 69), ossia la retta gl è perpendicolare al piano V0GQA(iì e quindi anche alla retta GGA0 (coroll. V, teor. I, 87). Ciò ha luogo per ogni generatrice g^ inoltre i segmenti (^0^o) sono uguali (teor. XI); e i seg- menti normali comuni alle generatrici g e ad al sono situati nel piano S2; dunque le rette g^ formano in S3 un iperboloide circolare (teor. X; XI e Vili, 103 e def. IV). Coroll. Ogni spazio S3 parallelo ad ogni piano asse del cono di 2a specie taglia il cono in un iperboloide circolare. Perché lo spazio S3 contenendo la retta all'infinito del piano asse A3 con- siderato, il suo piano all'infinito è perpendicolare alla retta all'infinito dell'al- tro piano asse A\ (teor. Ili, 110), vale a dire S3 è perpendicolare ad A3. fig. 115

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502 Oss. ITI Siccome ( 0oo6r" j si ha che le generataci dell Iperboloide for- mano un angolo retto colle generatrici F0Gr0 del cono circolare che ha per vertice F0 e per direttrice il cerchio situato nel piano S3. Non si può dire che dato lo spazio S% e in esso l'iperboloide circolare di asse a1 ( ogni punto F0 del piano Aì determini con esso un cono circolare di 2* specie e nep- pure ogni punto F0 della perpendicolare ad al in A0 nel piano A2. Difatti l'angolo oFo4 essendo dato in tal caso (G(}A^ deve essere uguale all'angolo delle due rette aìf gii il che non è se il punto F0 è qualunque. Se il punto F0 cadesse all'infinito, ciò vorrebbe dire che l'angolo 6r0F0^0 sa- rebbe nullo, e perciò anche l'angolo (^1al), vale a dire in 83 non si avrebbe più un iperboloide circolare ma un cilindro, e si avrebbe un cilindro i cui piani generatori passerebbero per la retta F0ao^0(X) e incontrerebbero il piano S2 nei punti della cir- conferenza di centro A0 e di raggio (A^G^. vale a dire un cilindro di r specie (oss. I). 150. Costruzione degli angoli di due piani con elementi del campo finito. In conformità alla costruzione dei segmenti normali a due rette all'infinito, si costruisce un cono di 2* specie col vertice nel punto d'incontro P0 dei due piani A^B%. A tal uopo sul piano J82 scegliamo una retta ^ passante per P0, e sia Al la sua proiezione in A^ la quale in generale non ha per proiezione la retta BI in By Immaginiamo costruito il cono di 2* specie di asse Aì e co ir angolo del piani gene- ratori uguale all'angolo (A^). Il piano B2 incontra il cono in un'altra retta It^ La proiezione di l?i in A.2 sia A\. I piani che uniscono le bissettrici degli angoli (^1Br1). (A^\) col punto P0, mi- surano gli angoli dei due piani. 151. Os*. Non ci intratteniamo qui neppure sulle proprietà della sfera e delle in- tersezioni di più sfere e dei sistemi continui di figure invariabili, che incontreremo nello spazio / .

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CAPITOLO IL Spazio completo a quattro dimensioni. I- Proprietà principali dello spazio completo. 152. Oss. L Le proprietà dello spazio completo a quattro dimensioni si ottengono facilmente da quelle dello spazio Euclideo considerando come unità di misura delle distanze T unità infinita che corrisponde ali' unità angolare seguendo sempre lo stesso metodo generale tenuto sia per lo studio del piano completo (parte I, libro II, cap. II), come per quello dello spazio completo a tre dimensioni (parte I, libro IH, cap. II). Ogni retta* ogni piano ed ogni spazio dello spazio S4 completo, sono pure com- pleti; e valgono in esso colle dimostrazioni analoghe i teoremi dei n. 121 e 122; col- l'avvertenza che due enti fondamentali(retta, piano e spazio), i quali hanno un punto comune, hanno in comune anche il punto opposto. 153. Figure polari. Teor. I. I punti coniugati di ogni punto sono situati in uno spazio a tre dimensioni. Dim. analoga a quella del teor. I, 108 appoggiandosi al teor. I, 119. Def. I. Questo spazio si chiama spazio polare del punto, e del suo oppo- sto, e questi punti si chiamano i poli dello spazio. 0*5. /. Lo spazio polare di un punto è uno spazio limite assoluto rispetto alfu- nità Euclidea intorno al punto nello spazio generale, ed è lo spazio al l'infinito di ogni punto del campo Euclideo dello spazio a quattro dimensioni intorno al punto dato (teor. I, 123 conv. 28 e oss. 31). Coroll. I. Lo spazio polare di un punto dello spazio polare di un altro punto passa per questo punto. Coroll. IL Ogni spazio passante per un punto è spazio polare di due punti opposti dello spazio polare del punto dato. Dim. analoga a quella del eoroll. II, teor. I, 108. Coroll. TU. La retta polare, o il piano polare, di un punto AQin un piano, o in uno spazio9 passante per esso, è situata nell'intersezione collo spazio polare di A0. Come il eoroll. IV, del teor. I, 108. Def. IL Due spazi, uno dei quali contiene i poli dell'altro, si dicono coniugati. Teor. IL Gli spazi polari dei punti di una retta passano p * un piano, e gli spazi polari dei punti di questo piano passano per la retta. Dim. analoga a quella del teor. II, 108.

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504 Def. ZII. Una retta e un piano nelle condizioni del teorema precedente si chiamano polari coniugati o semplicemente polari. Coroll. I segmenti i cui estremi sono in una retta e in un piano polari sono retti. Perché i punti della retta sono coniugati a quelli del piano. Teor. IIL Ogni spazio ha due poli opposti. Difatti gli spazi polari di quattro punti non situati in un piano dello spa- zio dato si incontrano in due punti opposti AQ e A'Q. Se si incontrassero in una retta o in un piano, i quattro punti dati sarebhero in un piano o in una retta (teor. II); dunque AQ e A'0 hanno per spazio polare lo spazio dato. Teor. IV. I poli degli spazi passanti per una retta o per un piano sono situati sul piano o sulla retta polare della retta o del piano dato. Dim. analoga a quella del teor. IV, 108. Def. IV. Due elementi fondamentali A e B, che non sono elementi polari di S4 (punto, retta, piano o spazio), e tali che non siano situati in uno spazio $3 qualora i loro punti di determinazione non siano sempre compresi in un tale spazio, sono coniugati in S4 se l'elemento B è situato nell'elemento po- lare di A, oppure se passa per questo elemento. Oss. II. Così ad es. sono coniugati due spazi tati che uno di essi passa pei poli dell'altro, due piani uno dei quali passa per la retta polare dell'altro ; e due rette una delle quali è contenuta nel piano polare dell'altra. Se A e B sono situati in uno spazio 3, valgono le definizioni date per questo spazio. Così se una retta e un piano si incontrano in un punto, sono coniugati se il piano passa per la retta polare della retta data nello spazio a tre dimensioni da essi determinato. Teor. V. Se un elemento C è contenuto in un altro elemento A o passa per questo elemento, V elemento polare C di C passa per V elemento polare A' di A o è contenuto in questo elemento, e gli elementi C e A', C e A sono coniugati. Supponiamo dato il primo caso. Gli spazi polari dei punti di A si incon- trano nel solo elemento A'. Fra questi spazi polari sono compresi anche quelli dei punti di C che passano per C, e quindi (f passa per A'. Se invece C passa per A, gli spazi polari dei punti di C si incontrano sol- tanto in (7, e fra questi essendo compresi anche quelli dei punti di .4, che si tagliano in A', A' passa per C. Di più, nel primo caso per C passa l'elemento polare di A' e per A1 passa l'elemento polare di C, e quindi A' e C, C e A sono coniugati. Se invece C passa per A, l'elemento polare di A' è contenuto in C, mentre l'elemento polare di C è contenuto in A'; dunque anche in que- sto caso A' e C, C' e A sono coniugati. Coroll. Se A e B sono elementi coniugati, essi soddisfano ambedue alla def. IIL Se B è situato nell'elemento polare A di A (def. HI), l'elemento polare di B, cioè #, passa per A; e se B passa per A', ff è situato in A; dunque A è contenuto nel primo caso nell'elemento polare di B, e nel secondo passa per questo elemento; dunque ecc. (def. III). Teor. VI. Dati due elementi potati, due altri elementi contenuti rispetti- vamente in essi o passanti per essi, sono coniugati.

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505 Siano A e Aè gli elementi dati, C e D gli elementi contenuti in essi, C e D' gli elementi polari di C e D. Poiché C è contenuto in .4, C1 passa per A' e quindi anche per D, dunque C e D sono coniugati (def. Ili e coroll. teor. V). Teor. VIL Se A passa per B, esso taglia l'elemento polare I? di B nel- ? elemento polare ' di B in A. Difatti i punti coniugati a tutti quelli di B in A sono nell'intersezione di A con #, e tutti i punti di J5" sono coniugati in A a quelli di B. Teor. Vili. Due elementi A e B coniugati aventi un elemento comune C, tagliano V elemento polare di C in elementi che sono in esso polari; e inver- samente. Escludiamo il caso in cui gli elementi A e B sono contenuti in uno spa- a tre dimensioni, perché allora il teorema è già conseguenza dei teor. dati al n. 108 (oss. II). Non possono dunque essere una retta ed un piano, ma o una retta e uno spazio, o due piani, o un piano e uno spazio, o due spazi. Siano ai e $ gli elementi d'intersezione di A e B coir elemento Cf polare di C, e A',# gli elementi polari di A e B. Ciascuno degli elementi A e B non può essere contenuto nell'elemento polare dell'altro, che è contenuto in C* e passerebbe quindi per C, mentre due elementi polari non hanno alcun punto comune. L'elemento B = (CfX) passa per l'elemento polare A' di A = ( ? '), ma A' è contenuto anche in C1 (teor. V), dunque A' è contenuto in p, se non è lo stesso fi. Analogamente l'elemento B1 è contenuto in C ed in A, e quindi an- che in a'. Ma i punti di A sono coniugati a quelli di A, e quindi anche di B' contenuto in A, e quelli di H sono coniugati a quelli di A', dunque lo sono anche in C*. I due elementi A e B' sono polari in C\ e a' e j3', se non sono A e B*, sono coniugati (teor. VI). Inversamente, dati i due elementi polari A' e ff in O', l'elemento (CB') ha per polare un elemento contenuto in C* e in A', e così l'elemento polare di (CAr) è contenuto in B', quindi (CAr), (CB') sono coniugati (teor. VI). Coroll. I. Se l'elemento C non è un punto, e si sceglie un punto qualun- que CQ m C, lo spazio polare C3 di C interseca i due elementi coniugati A e B in elementi coniugati in C3. Difatti lo spazio polare C3 di C0 passa per C e incontra A e B in elementi a" e /3" che contengono rispettivamente come parti a' e /3\ e quindi anche B e A'. L'elemento 0" ha per elemento polare ( VO e quindi B1 è l'elemento polare di f ' in C3 (teor. VII), e perciò a" e /T sono coniugati in C3. Oss. III. Tralasciamo di enunciare le conseguenze immediate dei teoremi prece- denti (vedi n, 108). 154. Oss. Come per lo spazio completo a tre dimensioni si dimostra l'identità dello spazio completo S4 intorno ai suoi punti, alle sue rette, e ai suoi piani, nonché delle sue parti rispetto ad ogni suo spazio S3. 155. Elementi fondamentali perpendicolari 1). 1). Qui gli elementi fondamentali non sono identici come nella def. t 57 dell'introduzione, ma sono punti, rette, piani e spazi a tre dimensioni.

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506 Oss. L Poiché una retta e uri piatto che passano per Uno de! poli di uno Spazio S3 contengono anche il polo opposto, potremo parlare anche quando non vi sarà luogo ad equivoci, del polo di uno spazio ,. Teor. I. I segmenti di uno spazio servono a misurare gli angoli intorno ai poli dello spazio. Come pel teor. I, 110. Oss. IL Nello spazio S4 completo valgono le stesse definizioni dell* ortogonalità degli elementi fondamentali date nel campo Euclideo dello spazio S4 intorno ad un punto. Coroll. I. Se due elementi fondamentali (rette, piani e spazi) aventi un solo punto comune intersecano lo spazio polare del punto in elementi coniugati, essi sono perpendicolari. Teor. IL Due elementi fondamentali coniugati aventi un elemento d'inter* sezione comune sono perpendicolari ; e inversamente. Siano A e B questi due elementi e C (punto, retta o piano) l'elemento comune. Se C è un punto il teorema è lo stesso corollario del teor. I; negli altri casi è una conseguenza del coroll. I, teor. Vili, 153. Coroll. I. Una retta perpendicolare ad uno spazio è perpendicolare a tutte le rette di questo spazio passanti pel suo punto d"1 incontro con la retta data. Dira, analoga a quella del coroll. teor. II, 110. Coroll. II. Un piano perpendicolare ad un altro piano è perpendicolare a tutte le rette di questo passanti pel punto d'incontro dei due piani. Siano A2tC2 i due piani, A0 il loro punto comune ed A3 lo spazio polare di AOÌ che incontra C2 in due rette Blt Cl polari in A3 (teor. H). La retta A0C0 che unisce A0 con un punto C0 di Cl è perpendicolare al piano B perché nello spazio (B2C0)9 C0 è il polo del piano J52 (teor. VI). Coroll. III. Gli elementi passanti per un elemento A sono perpendicolari aW elemento polare Ar. Difatti i loro elementi polari sono situati nell'elemento A' (teor. V, 153), quindi sono coniugati ad A', ed hanno almeno con A' un punto comune. Es. Le rette, i piani e gli spazi passanti per un punto sono perpendicolari allo spazio polare di questo punto. Coroll. IV. Gli elementi perpendicolari ad un elemento A passano per r elemento polare A'. Perché essi sono coniugati all'elemento A e non sono contenuti in A. Es. Le rette, i piani e gli spazi perpendicolari ad uno spazio passano pei poli di questo spazio. Teor. III. Ogni retta che incontra una retta ed il suo piano polare è per- pendicolare ad entrambi; e inversamente ogni retta che incontra la retta (o il piano) ed è perpendicolare al piano (o alla retta) incontra il piano (o la retta) in un punto. Difatti siano R^R2 la retta e il piano polari, S^ la trasversale. Il piano incontra il piano R2 in un punto che è il polo nel piano S^ della retta e quindi la retta Sl è perpendicolare a R^ Analogamente lo spazio S^

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50? incontra la ^ nel polo del piano #8 in questo spazio (teor. Vii, 153), e perciò la Sl è perpendicolare al piano #2. Il teorema inverso è evidente (coroll. IV, teor. II). Teor. IV. Due spazi hanno una sola retta perpendicolare comune. La retta cioè che congiungc i due poli. Teor. V. Uno spazio ed un piano hanno un piano perpendicolare comune, e una sola retta normale, che li incontra tutti e due. Il piano cioè che con gì un gè il polo dello spazio con la retta polare del piano. La retta, che unisce i poli delio spazio col punto d'incontro del piano normale col piano dato, è la normale richiesta (coroll. IV, II, teor. II). Teor. VI. Uno spazio e una retta hanno uno spazio normale comune, e una sola normale che li incontra tutti e due. Quello cioè che congiunge i poli dello spazio col piano polare della retta. La retta,che unisce i poli dello Spazio col punto d'intersezione della retta data collo spazio normale comune, è la sòia normale richiesta. Teor. VII. Tre, o quattro spazi hanno un piano, o uno spazio, normale comune. Quello cioè determinato dai poli dei tre o quattro spazi. Teor. Vili. Due piani non situati in uno spazio a tre dimensioni hanno due rette normali comuni. Infatti siano R $t i due piani, ^ e Sl le loro rette polari ; ogni retta c.he incontra le.rette R^ e Sl e i piani Jf?2 e S2 è perpendicolare comune ai due piani. Lo spazio determinato dalle due rette -Rj,^ incontra i due piani in due rette #!,#, che sono in questo spazio le polari di RìfSl. Ora si sa che le quat- tro rette R19 JR\, S\ hanno due sole trasversali comuni, che sono normali comuni alle due prime (teor. X, 117 e teor. Vili, 110), e quindi ai due piani. Teor. IX. Una retta ed un piano, o due rette, che non si incontrano, hanno due normali comuni. Dim. analoga alla precedente. 156.0^5. /. Le proprietà per la distanza di un punto da uno spazio a tre dimensioni date al n 134 valgono anche nello spazio S4 completo. La distanza minima e la di- stanza massima di un punto ad uno spazio a tre dimensioni sono supplementari. Non valgono nello spazio completo le proprietà delle distanze fra rette, piani e spazi paralleli. Si aggiungono però nel)) spazio completo altre proprietà, cioè i segmenti normali a due rette, o ad una retta e un piano, o a due piani, e finalmente a due spazi a tre dimensioni, e aventi i loro estremi su di essi, i quali danno le distanze minime e massime tra i punti dell'uno ai punti dell'altro. Così si dimostra mediante la corrispondenza d'identità (teor. Ili, 15) che quando due tali coppie di elementi hanno le stesse distanze, esse sono identiche. Per gli angoli, i triedri di 2* specie, i quadriedri e pentaedri, pei versi delle fi- gure, per le figure congruenti e simmetrictie si dimostrano le proprietà analoghe ot- tenute nello spazio Euclideo procedendo collo stesso metodo usato sia nel piano com- pleto come nello spazio completo a tre dimensioni. È da avvertire che nello spazio completo S4 due figure opposte sono simmetriche, come nel piano completo. Così si definiscono le superficie coniche e la superficie sferica e la sfera dello spazio completo S4, e si dimostrano in modo analogo le loro proprietà. Slmilmente si procede rispetto ai sistemi continui di figure invariabili, fra i quali manca il sistema parallelo.

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LIBRO II. LO SPAZIO EUCLIDEO A N DIMENSIONI. CAPITOLO I. Lo spazio Euclideo a n dimensioni. i. Definizione e costruzione della stella di (n- )ma specie e dello spazio a, n dimensioni. 157. Oss. I. Dalla costruzione della stella di 2* specie e quindi dello spazio a quat- tro dimensioni e dallo studio delle loro proprietà fondamentali deduciamo ora facil- mente la costruzione delle stelle di specie superiore e degli spazi di qualunque numero w dato di dimensioni. Lo spazio a cinque dimensioni viene generato da uno spazio a quattro dimen- sioni e da un punto fuori di esso; lo spazio a sei dimensioni da uno spazio a cinque dimensioni e da un punto fuori di esso ecc., lo spazio a m dimensioni da uno spazio a m-l dimensioni e da un punto fuori di esso (def. II, 2). Def. I. Indicheremo in generale uno spazio a m dimensioni col simbolo Sm. Per spazio a zero dimensioni intenderemo il punto, ad una dimensione la retta, a due dimensioni il piano. Oss. II. La def. I è conveniente in vista dei teoremi generali che dimostreremo. Gli spazi fondamentali dello spazio a n dimensioni sono il punto, la retta, il piano, lo spazio a tre ecc. a n l dimensioni. 055. ILI. Le proprietà principali che enuncieremo nei seguenti numeri per lo spazio a n dimensioni comprendono in gran parte come casi particolari le proprietà già date per la retta, il piano e lo spazio a tre e a quattro dimensioni. Teor. I. Ogni retta avente due punti in comune con uno spazio Sm a m dimensioni giace interamente in questo spazio. Dim. analoga a quella data per lo spazio a tre e a quattro dimensioni (teor. II, 82 e 121) supposto che il teor. valga per lo spazio Sn-iy valendo già per n = 2 (teor. IV, 46). 055. IV. Supporremo che ogni spazio SM (m n) sia la figura rettilinea determi- nata da m -f-1 dei suoi punti che non giacciono in uno spazio inferiore, come avviene per la retta, per il piano, e per gli spazi a tre e a quattro dimensioni (vedi oss, VI).

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510 Def. IL Per spazi indipendenti nello spazio generale intenderemo quelli i cui punti di determinazione sono indipendenti (def. 1,15)1). r punti sono invece indipendenti in Sm (r m), o in uno spazio superiore, quando non sono situati in uno spazio Sr-2, o in spazi inferiori. Così dicasi di due o più spazi in Sm. Teor. II. Uno spazio Sm che ha m +1 punti indipendenti comuni collo spazio Sn giace interamente in esso. Difatti per T ipotesi precedente le rette che lo costituiscono sono situate in Sn (teor. I). Oss. V. La stella di w 2ma specie è una figura an 1 dimensioni rispetto alle sue rette o ai suoi raggi, tate essendo Sn-i rispetto ai suoi punti (int. HO). Teor. III. Uno spazio Sn viene generato da un suo spazio Sn-i e d un suo punto qualunque fuori di Sn-i Dim. analoga a quella dello spazio a tre e a quattro dimensioni (teor. IV, 82 e 121) appoggiandosi al teor. II e all'oss. IV, Coroll. n -f- 1 pùnti indipendenti determinano uno spazio a n dimensioni, che viene determinato da n -f- I dei suoi punti indipendenti. Difatti lo spazio S* è determinato da un suo spazio a n-r-1 dimensioni, cioè da n punti che determinano questo spazio e da un altro punto fuori di esso. Ora l'ipotesi suddetta è vera per n 2,3,4, dunque è vera in generale. Oss. VI. Dunque essendo vera la proprietà dell'ipotesi, che abbiamo fatta nel- l'oss. IV, sono pure veri i teor. Il e IH. Teor. IV. Due, tre, quattro ecc. n rette indipendenti di una stella di (n 2)tna specie determinano un fascio, una stella di 1% 2* ecc. n 3ma specie apparte- nenti alla stella data. Dim. analoga a quella data pel teor. I dei n. 82 e 121. 2. Intersezione di sp zi nello spazio a n dimensioni. 158. Oss. I. Per vedere quando e in quale spazio si incontrano due spazi dati Sm, e Sin' dello spazio SHsi potrebbe scegliere una via analoga a quella usata nello spa- zio a tre e a quattro dimensioni, cominciando a dimostrare che una retta un piano ecc. incontrano uno spazio n-i di Sn in un punto, una retta ecc. Ma questa via sa- rebbe piuttosto lunga. Qui invece daremo un metodo più generale per determinare le dimensioni dello spazio d'incontro di due o più spazi dati tanto nel caso che essi siano indipendenti (def. li), come quando abbiano una posizione particolare. Teor. I. Se due spazi Sm e Sm w hanno a -f-1 punti indipendenti comuni (e quindi anche lo spazio Sa determinato dai punti comuni), essi giacciono in un spazio Sm-t-mW-a- Due spazi indipendenti Sm e Sm(it nello spazio generale sono determinati rispettivamente da m -fi e m !)-f- 1 punti (coroll. teor. IV, 157). Essi apparten- gono allo spazio -Sm-4-mn +i determinato dagli m-f-w(1)-f-2 punti dati. Gli spazi i) L'indipendenza qui riguarda la determinazione degli spazi mediante un gruppo di punti, m* essi possono avere altre relazioni speciali.

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511 Sm e Sm(\ non si incontrano in alcun punto, se sono indipendenti (def. II, 157). Se avessero infatti un punto comune A09 per determinare Sm e Sm(i) potremmo prendere oltre A0 ancora m e w (1 punti indipendenti, e perciò i due spazi Sm e Sm(\) sarebbero situati in uno spazio Sm+m(i). Se essi avessero due punti comuni, e quindi anche la retta che li unisce (teor. I, 157), per determinarli, oltre a questi due punti basterebbero altri m 1 punti del primo e mW 1 punti del secondo spazio, e quindi sarebbero situati in uno spazio a m-f-mt*) I dimensioni. Analogamente se gli spazi dati hanno #-f- 1 punti indipendenti comuni. Teor. II. Due spazi Sm e Sm(i) ad m ed m^ dimensioni indipendenti nello spazio Sn si incontrano in uno spazio Sa , ove a = m -f- mM n. Supponiamo infatti che lo spazio a n dimensioni coincida con lo spazio Si -4- m(1) # Si avrà : W a = n (1) Coroll. Se a = o essi hanno un solo punto comune^ se a è negativo non ne hanno alcuno. Oss. li. Se m mW è chiaro che a può essere al massimo uguale ad rad) , nel qual caso Sm(i) è contenuto interamente in Sm Quando parleremo di spazi che si in- contrano intenderemo sempre che nessuno di essi giaccia interamente nell'altro, e che quindi a sia al massimo uguale a m(D 1. Teor. HI. s-f- 1 spazi indipendenti Sm, Sm(i). . . ., Sm(s) dello spazio Sn si tagliano in uno spazio Sp , ove p = 2 m sn (^=0, 1... s). Lo spazio a viene incontrato da un terzo spazio Sm(z) in uno spazio Sav dove è per relazione precedente (2) aiSssa + mW n = m -4- m*1 + m O 2n Lo spazio $ai viene incontrato da un quarto spazio Smw in uno spazio Saz, dove (3) a2 = al + m n = m + mW 4- m *) 3n. Così si giunge ad uno spazio Sas_2 che viene tagliato da un (s+\)mo spazio $m(s) in uno spazio Sas,l essendo as_i =i tìfs_2 4- ^(s) w 2 mW sn (/ s= O, l,...s). Teor. IV. s+ 1 spazi qualunque *Sm 'S'mfl v SMi*) in Sn si tagliano in uno spazio Sq , ove si ha q = 2 m^ + 2 dK sn (i s= 0, 1,... s ; k = 0,l,2,...5-2) ove alcuni o tutte i numeri d possono essere zero. Lo spazio Sq è indipendente dal? ordine in cui si considerano gli spazi dati. Se gli spazi Sm e Sm(i) si tagliano invece in uno spazio Sa+a in luogo di Sa (e si sa che a -j- d se m ^mM può essere al più uguale a mM 1 (oss. li) allora nella relazione (2) in luogo di a bisogna porre a + d, di modo che gli spazi SM, SmW9 SmW si tagliano in uno spazio Saj-*- i. Supponiamo invece che

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512 si incontrino in uno spazio $^+4+^, allora gli spazi m, Sm (i), SmW, * ? si incontrano in uno spazio Sa^+a+dv e così via. L'ultima proprietà del teorema risulta dalla simmetria delle grandezze mW e tfk nei numeri p e q. Corali. Due, tre, ..., n spazi a n-\ dimensioni indipendenti in Sn si in- contrano rispettivamente in uno spazio a n-2, n-3..., a zero dimensioni. Oss, III. Supposto che si abbia m rad) .., mf*) , e supposto che a + d abbia il suo valore massimo mU) 1, si ricava il valore massimo di d, cioè: d=n m 1. Dato questo valore massimo di ri, e supposto che aj -f- d + di abbia il suo va- lore massimo, cioè w( ) 1 si ricava il valore massimo di dl d = n mW Ammessi i valori massimi di df di...ds.2' e supposto che as-i -f- d -f- fj 4- ., -f- rfs-i abbia il valore massimo, cioè TH( ) 1, si ha: ds-i = n e in tal caso si ha infatti sostituendo nel valore di q q m( ) 1. Teor. V. Se una figura contenuta in uno spazio a n dimensioni viene in- contrata da ogni retta dello spazio Sn in un solo punto, essa è uno spazio a n-I dimensioni. Di m. analoga a quella del teor. VII n. 85 o del teor. XIII, 122. Teor. VL Se una figura contenuta nello spazio a n dimensioni viene in- contrata da ogni spazio a m dimensioni in un punto, essa è uno spazio a n ìn dimensioni. Infatti due punti della figura determinano una retta situata tutta nella figu- ra. Ma la figura non può essere una sola retta (teor. II), quindi vi devono essere altri punti fuori della retta. Uno di questi punti e la retta determinano un piano che appartiene per dato all'intera figura. Né questo piano può essere T intera figura essendo essa incontrata da ogni spazio Sm in un punto, se m è minore di n 2. Così seguitando troviamo che nella figura è contenuto uno spa- zio a n m dimensioni. Non vi possono essere due di questi spazi, perché la figura sarebbe incontrata da ogni spazio Sm in più di un punto (teor. II). 3. Spazi duali in Sn Piramide fondamentale in Sn. 159. Oss. Questo paragrafo non lo abbiamo trattato per la retta, il piano e gli spazi a tre e a quattro dimensioni; è chiaro però che esso vale anche per questi spazi dando ad n i valori 1, 2, 3, 4. Def. Mentre n punti indipendenti dello spazio Sn determinano uno spazio Sn.i, n spazi indipendenti a n-l dimensioni determinano un punto S0 (coroll. teo- rema IV, 158). Diremo perciò che il punto S0 e lo spazio S*-i sono elementi o spazi duali od anche correlativi.

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513 Così chiameremo duali o correlativi quegli spazi i quali sono determinati l'uno da un certo numero di punti indipendenti e l'altro da un eguai numero di spazi indipendenti. Sl ha per spazio duale lo spazio si ha dunque: Corali. I. La somma degli indici dì due spazi duali è uguale a n 1. Coroll. IL Se n 2m + 1, lo spazio Sm è duale allo spazio Sm, cioè è duale di sé stesso. Se n= 2 m, lo spazio Sm ha per spazio duale lo spazio -! Teor. I. Due spazi duali indipendenti non hanno in generale alcun punto comune. Ciò risulta dalla somma degli indici dei due spazi (teor. HI, 158). Teor. IL Congiungendo uno spazio Sm coi punti, colle rette, coi piani e cogli spazi di uno spazio duale Sn.m-i che non abbia con Sm alcun punto co- mune, si ottengono tutti gli spazi a m + 1, m 4- 2 ecc. n~\ dimensioni dello spazio Sn passanti per Sm. Difatti congiungendo uno dei due spazi, per es. lo spazio *Sm, coi punti dello spazio Sm-n-i si ottengono tutti gli spazi a m-f- 1 dimensioni passanti per Si , perché ogni spazio Sm+i passante per Sm incontra lo spazio Sn+m-i in un punto. Due punti dello spazio Sn + m-i non possono essere situati in uno spazio Sm-4-i passante per Sm, perché in tal caso gli spazi Sn+m-iQ Sm+i si incontrerebbero nella retta dei due punti (mentre in generale si incontrano in un solo punto), e sarebbero situati in uno spazio a n 1 dimensioni, e quindi lo spazio Sm incontrerebbe lo spazio Sn-m-i in un punto; il che è contrario al dato. Coroll. I. Lo spazio a n dimensioni può essere generato da due spazi duali qualunque Sm, Sn+m-i non aventi alcun punto comune, congiungen- do uno qualunque di essi, per es. Sm, coi punti, colle rette, coi piani e cogli spazi dell'altro. 4. Numero delle dimensioni dei sistemi di spazi di date dimensioni nello spazio Sn. 160. Ind. I. Diremo che un sistema ad una dimensione di infiniti elementi contiene O1 elementi ; e in generale che un sistema a m dimensioni, che ha per elementi Sì1 sistemi di O* -i elementi, contiene Qw elementi. Teor. I. Il sistema di spazi Sm in Sn è a (n m) (m+1) dimensioni. Una retta Sì è ad una dimensione (ass. II, a e ip. I), contiene cioè fì1 punti. Il piano ne contiene O2, e poiché un fascio di rette è ad una dimensione, e in ogni retta sono contenuti O1 punti, si vede che il piano contiene O2 rette, 33

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514 Facilmente si vede che in S3 sono contenuti Q3 S0, fì4^, O? S2 Vediamo che gli spazi 3 cominciano a comparire in 4, così uno spazio Sm comincia a comparire in Sm+ \. Il numero degli spazi j in S4 è Q4, H2*4 in 5, tì3-4 in S ecc. La legge è manifesta, e ammesso il teorema per lo spazio S^-i in w-i, colla generazione di Sn mediante Sn-i e un punto S0 fuori di esso, tenendo conto che uno spazio Sm contiene fìw punti, il teorema riesce dimostrato. Teor. IL II sistema degli spazi a m + s dimensioni passanti per uno spazio Sm di Sn è a (n m s) s dimensioni. Gli spazi Sm+i, Sm + z ecc. passanti per uno spazio Sm in Sn si otten- gono con giungendo lo spazio Sm coi punti, le rette ecc. dello spazio duale Sn - m - 1 (teor. II, 159). Il numero quindi degli spazi Sm+s passanti per Sm in Sn è dato da quello degli spazi a s 1 dimensioni di uno spazio duale. Ora pel teorema precedente il numero di questi spazi nello spazio Sn-m~i (n m s)s, dunque il teorema è dimostrato. Del'. L II sistema di spazi Sn-i passanti per uno spazio Sn.8 si chiama fascio di spazi #n.i, di cui lo spazio Sn-t è l'asse. 5. Alcune proprietà, dello spazio completo a, n-i dimensioni. 161. Oss. T. Le proprietà dello spazio completo a n-l dimensioni si deducono da quelle dello spazio analogo Euclideo considerando come unità delle distanze Punita angolare e tenendo lo stesso metodo adottato nel piano e negli spazi completi a tre e a quattro dimensioni. Ogni spazio dello spazio completo Sn-i è completo. Valgono per esso i teoremi dei numeri precedenti ; soltanto è da osservare che se due spazi si incontrano in un punto, essi hanno in comune anche il punto opposto. Teor. L Se uno spazio Sn-i ha n punti indipendenti nel campo limite as~ soluto di un punto AQ, esso è tutto situato in questo campo. Supponiamo che il teorema sia vero per gli spazi a n 2 dimensioni. Siano XJH9 X0(2), ...., Xow gli n punti che Sn-i ha in comune col campo limite assoluto del punto A0 (def. IV, 32). Gli spazi a n 2 dimensioni determi- nati dagli n punti (XQ) giacciono per ipotesi in questo campo. Lo spazio Sn è generato dallo spazio XQM...XJn-u e dal punto XQM, e le rette di esso pas- santi per X$n) incontrano lo spazio X/1)... XQ(n-1) (oss. I), quindi esse sono situate nel campo limite assoluto di Aò (teor. Ili, 32). Il teorema se vale per n 2 vale dunque per n 1 ; ma è vero per n=. 1, 2, 3 dunque vale anche in ge- nerale (int. Z, 39). Corali. L I punti coniugati ad un punto dato nello spazio Sn.\ completo sono situati in uno spazio a n 2 dimensioni (coroll. II, teor. I, 32 e def. 1, 69). Def. L Questo spazio si chiama spazio polare del punto e del suo oppo- 3to, e questi punti si dicono i poli dello spazio,

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515 Corott. II. Lo spazio polare di un punto dello spazio polare di un altro punto passa per questo punto. Teor. IL Gli spazi polari dei punti di uno spazio m passano per uno spazio duale Sn. m - 2 in Sn; e reciprocamente, gli spazi polari dei punti di Sn-m-ì passano per lo spazio Sm. Se m=l il teorema si dimostra in modo analogo al teor. II, 108. Sup- poniamo che il '.teorema sia vero per lo spazio m-i; dico che è vero anche per lo spazio Sm. Difatti siano A0o),A0 *),..., A^****) m4- 1 punti indipendenti di Sm. Gli m+1 spazi polari di essi s'incontrano in Snin uno spazio Sn.m.* Se si intersecas- sero in uno spazio *SW-m-3 allora i punti dati dovrebbero appartenere per l'ipotesi fatta ad uno spazio 5^-2, e non sarebero indipendenti. Gli spazi polari dei punti di Sn.m-t passano per gli m+l punti dati, ossia per lo spazio Sm, e quindi gli spazi polari degli altri punti di Sm pas- sano pei punti di ^n-m-z, ossia per lo spazio Sn-m-2 stesso. Ma il teorema è vero per m = l, dunque è vero in generale (int. I, 39). Def. IL Due spazi Sm, $n- m-z che soddisfano alla condizione del teore- ma precedente si chiamano polari. Coroll. I. I segmenti i cui estremi sono in due spazi polari sono retti. Perché i loro estremi sono coniugati (def. I, 69 e def. IV, 29). Coroll. IL Due spazi polari sono duali e non hanno alcun punto comune. Che siano duali è chiaro pel fatto che la somma dei loro indici è n 2 (coroll. def. I, 159). Che non possano avere un punto AQ comune, risulta dal fatto che A0 non può essere situato nel suo spazio polare (coroll. I, teor. I). Teor. III. Ogni spazio Sn.^ha due poli opposti. Dim. analoga a quella del teor. Ili del n. 108. Teor. IV. I poli degli spazi Sn.t passanti per uno spazio Sy* sono situati nello spazio polare Sn-m-2 ^ m 'Dim. analoga a quella del teor. IV, 108. Def. III. Due spazi Sw, Sr indipendenti in Sn-i si dicono coniugati se lo spazio Sr è situato nello spazio polare di Sm, oppure passa per questo spazio. Così ad es. sono coniugati due spazi - , tfn-2, uno dei quali passa pei pei poli deir altro. Se gli spazi Sm, Sr giacciono in uno spazio Sn per dimensioni inferiore a Sn-i, valgono in *Sn-i le definizioni per lo spazio Sn*. Teor. V. Se uno spazio Sr è contenuto in un altro spazio Sm, o passa per questo spazio9 lo spazio polare -SVr-2 di Sr passa per lo spazio polare Sn-i - 2 di Sm, o è contenuto in questo spazio; e gli spazi Sr e Sn-m-*i #m, -r-2 sono Dim. analoga a quella del teor. V del n. 158. Coroll. Ciascuno di due spazi coniugati soddisfa alla def. III. Come pel coroll. teor. V, 153. Teor. VI. Dati due spazi polari, due altri spazi contenuti rispettivamente in essi, o passanti per essi9 sono coniugati. Dim. analoga al teor. VI del n. 153. feor, VII, Dato uno spazio S^ e il suo spazio polare Sn.^.9 nello

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516 zio Sn-i, lo spazio Sr-m-i d" intersezione di uno spazio Sr passante per S^ con lo spazio Sn. m. 2 è polare di Sm nello spazio Sr Difatti nello spazio Sr i punti di Sr. m -1 sono coniugati a quelli di Sm perché appartengono allo spazio Sn-m-i polare reciproco di Sm in Sn, e non vi sono altri punti coniugati a quelli di Sm in Sr fuori dello spazio Sr-w-i (def. II, teor. II). Coroll. I. Lo spazio polare di un punto AQ in uno spazio Sm passante per A0 è lo spazio di intersezione di Sm collo spazio polare di A$ in Sn-\. Teor. Vili. Due spazi coniugati con uno spazio comune Sr tagliano lo spazio polare n-r-2 di Sr in spazi polari o coniugati; e inversamente. Dina, analoga a quella del teor. Vili, 153. Coroll. Se nello spazio Sr si considera un punto A0 (se non è esso stesso un punto) lo spazio polare di AQ interseca i due spazi coniugati in spazi po- lari o coniugati. Dim. analoga a quella del coroll. teor. Vili, 153. 162. Teor. I. I sistemi di spazi intorno agli spazi Sm dello spazio S^ com- pleto sono identici. Dati infatti due spazi Sm, S'm e i loro polari Sn-m-ti ^n-m-z, le còppie di spazi (Sm, Sn-m-i), ( m, S"n-m-1) sono identiche, perché facendo corrispon- dere identicamente Sm a m, Sn-m-i a S'n-m-i, i segmenti corrispondenti cogli estremi in spazi polari sono segmenti retti, e perciò si può stabilire fra le due coppie una corrispondenza d'identità (teor. Ili, 15). Coroll. I. Lo spazio S^-i completo è identico intorno ad ogni suo spazio Sm. Coroll. IL Le stelle di n 3ma specie dello spazio Sn-i completo sono identiche. Coroll. III. Lo spazio tfn-i completo è identico intorno ad ogni suo punto. Teor. II. Lo spazio polare del centro di una stella di n 3"10 specie dello spazio Sn completo la divide in due parti identiche opposte. Dim. analoga a quella del teor. Ili, 109. Coroll. Uno spazio Sn-z divide lo spazio Sn,\ completo in due parti iden- tiche e opposte. Teor. III. Le due parti opposte in cui Sm viene tagliato dallo spazio Sm. i d'intersezione con uno spazio Sn-z nello spazio Sn-i completo, sono situate da parti opposte delle spazio Sn- Dim. analoghe a quelle dei teor. IV e V, 109. 163. Def. I. Due spazi Sm, Sr che si incontrano in uno spazio Sa (a ^Eo) si di- cono perpendicolari se gli spazi d'intersezione collo spazio Sn-a-2 polare di Sa sono polari o coniugati. Oss. Noi abbandoniamo qui la definizione di ortogonalità data nello spazio or- dinario e nello spazio a quattro dimensioni sia nel campo Euclideo sia nel campo com- pleto. Seguendo questa via in generale bisognerebbe premettere le considerazioni sulle distanze minime e massime degli spazi nello spazio completo a n 1 dimensioni problema nella maggior parte dei easi non elementare. D'altronde il problema delle distanze nello spazio a n 1 dimensioni si appog- gia secondo il nostro metodo alla ricerca dapprima delle perpendicolari comuni che Incontrano due spazi dati nello spazio #*-?; il che dimostra dunque che in generale

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517 anche secondo il metodo prima adottato la teoria dell* ortogonalità fra rette e spazi deve precedere quella delle distanze. Teor. I. Due spazi Sm, Sr coniugati, con uno spazio comune Sa , sono per- pendicolari, e inversamente (teor. Vili, 161). Coroll. I. Una retta perpendicolare ad un spazio Sn-z è perpendicolare a tutte le rette di Sn i che passano pel punto d' intersezione di Sn - 2 con la retta data. Coroll. IL Gli spazi passanti per uno spazio dato Sm sono perpendico- lari allo spazio polare di Sm. Dim. analoghe a quelle del coroll. teor. 110 e del coroll. III. teor. II, 155. Es. Le rette, i piani e gli spazi passanti per un punto sono perpendicolari allo spazio polare del punto. Coroll. III. Gli spazi perpendicolari ad uno spazio Sm, che non sono con- tenuti con Sm in uno spazio di dimensioni inferiori a n 1, passano per lo spazio polare S -m-2 di Sm. Perché essi sono coniugati di Sm in Es. Le rette, i piani e gli spazi perpendicolari ad uno spazio a n 1 dimensioni passano pei poli di questo spazio. Teor. IL Lo spazio Sn-z polare di un punto dello spazio Sa comune a due spazi perpendicolari Sm, Sr taglia questi due spazi in due spazi polari o coniugali (coroll. teor. Vili, 161 e teor. I). Teor. III. Dati due spazi perpendicolari Sm, Sr collo spazio Sa comune, ad Sm sono perpendicolari tutte le rette di Sr che congiungono un punto qua- lunque AQ di Sa coi punti dello spazio Sn-m-2polare dello spazio Sm. Nello spazio Sn-i gli spazi Sm, Sr , Sa hanno per polari gli spazi Sn. w.2, S -r-2, Sn-a-z (def. II, teor. li, 161); e poiché Sm, Sr passano per Sa ; Sn-m-2, S -r-2 sono contenuti in Sn -a -2 (teor. V, 161) e rispettivamente in Sr e $ , essendo Sm ed Sr coniugati fra loro. Preso un punto AQ di Sa lo spazio polare An-2 di AQ passa per Sn-a-z e quindi anche per n-m-2 e n-r-* Scelto un punto C0 di Sn.m-2,che è contenuto in Sr , lo spazio (SmCQ) incontra lo spazio Sn-m-2 nel solo punto CQ (coroll. II, teor. II, 161 e teor. II, 158), e nello spazio (Sm C0) il punto C0è polo di Sm (teor. VII, 161). Dunque la retta AQC0 è perpendicolare ad Sm (coroll. II, teor. I). Teor. IV. Una retta che incontra due spazi polari è perpendicolare a questi* spazi. Siano Sm, Sn-m-* i due spazi polari; A BQ i punti d'intersezione della retta coi due spazi dati. Nello spazio (A0Sn-m-2) a n m 1 dimensioni, Sn -m_2 ha per polo il punto AQ (teor. VII, 161), dunque la retta AQB0 è perpendicolare a Sn.m-8. Per la stessa ragione è perpendicolare allo spazio Sm. Coroll. Due spazi Sm,Sr hanno tante perpendicolari comuni quante sono le trasversali comuni ai due spazi Sm,Sr e ai loro spazi polari l). 1) Se gli spazi 5m, Sr sono duali in Sn e non hanno alcun punto comune, dati i loro spazi polari

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518 Teor. V. Ogni retta che incontra uno spazio Sm, ed è a questo perpendì* colare, incontra lo spazio polare di Sm ed è a questo perpendicolare. Difatti lo spazio (SmA0jB0) incontra lo spazio polare Sn-ro-2 di Sm in un punto, che è il polo di Sm nello spazio (SmAQB^ e poiché la retta A^BQ è perpendicolare a Sm deve passare per questo polo (coroir. Ili, teor. I), ossia A0B0 deve incontrare m, ed è a questo perpendicolare (teor. IV). Teor. VL Uno spazio Sm e uno spazio Sn-z indipendenti nello spazio com- pleto Sn. i hanno una perpendicolare comune. Sia AQ il polo di Sn-2 e Sn.m-8 lo spazio polare di Sm. Lo spazio (SmAQ) taglia lo spazio *S .W.2 in un punto #0, e la retta AQBQ è evidentemente la sola perpendicolare a Sm e Sn- 164. Def. I. Per piramide polare o semplicemente polare nello spazio com- pleto n-i intendiamo quella i cui vertici sono poli delle facce opposte a n 2 dimensioni. Teor. L Esistono infinite piramidi fondamentali polari nello spazio .1. Supposto che una tale piramide esista nello spazio Sn-t si dimostra che esiste anche nello spazio n-i- Sia AJ1) un punto e An.2 il suo spazio polare in SH-I. Nello spazio1 An-t possiamo scegliere per ipotesi una piramide polare A0 * A0(3 .... A^"-*). Lo spa- zio AfiM.... A0 n-8) è evidentemente lo spazio polare di A^"-1). Il teorema è dunque dimostrato, perché è vero per n =2,3,4 (int. I, 39). Coroll. L Le facce opposte di una piramide polare sono polari. Coroll. IL Gli spigoli di una piramide polare sono retti, e due piramidi polari sono identiche in 1.2.3....n maniere diverse. Def. IL Le facce di una piramide fondamentale che passano per una fac- cia Fm o anche per uno spigolo o per un vertice e si corrispondono a due a due in modo che due facce corrispondenti prese insieme contengono tutti i vertici della piramide. Le chiameremo facce corrispondenti. Teor. II. Le facce corrispondenti di una piramide polare sono perpen- dicolari. Difatti se Fm è la faccia comune alle due facce corrispondenti, e i^n-m-2 la faccia polare opposta, i vertici non contenuti in Fm formano in Fn-m-z pure una piramide polare, e le due facce passanti per Fm intersecano -Fn-m-2 preci- samente in due facce opposte di questa piramide. Ma queste sono polari in sn-wl, s* co11* geometria proiettiva si dimostra facilmente che se m^5 n-m-l, i quattro spazi hanno in generale m-f-l trasversali comuni, mentre se m^n-m-l essi hanno n-m di queste trasversali. Se invece Sm, Sr non hanno alcun punto comune e sono situati in uno spazio inferiore, essi sono duali nello spazio sr^.w_i che li contiene, sr^m-1 incontra i loro spazi polari in sn nei loro spa- zi polari in Sr+m_l, e si applica il caso precedente. Finalmente se Sm e Sr hanno in sn uno spazio Ra comune (o^o) e non sono compresi in uno spazio inferiore, si ha r=n-4-a-m. I due spazi polari sono S'^-w-l, s1 m-a-lcne àono contenuti nello spa- zio polare Rn.a-\ di Ra. Lo spazio Rn.a_i incontra gli spazt sm e 3,^^ in due spazi sw.a.! sn-tn-i che sono duali e sono polari in Kn.a-1 agii spazt Sn.m.lt Sn-a-l e si ricade nel caso pre- cedente; dunque i quattro spazi sm, sr e i loro polari in sn hanno in generale se m-a^w-w, m - a trasversali comuni, e sem-a^.n-tn ne hanno n-m.

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519 2, dunque le due facce corrispondenti intorno a Fm sono coniugate (teo- rema Vili, 161), e quindi perpendicolari (def. I). Teor. III. Gli n vertici di una piramide polare nello spazio completo Sn~\ e i loro punti opposti determinano 2n piramidi polari, che costituiscono I* in- tero spazio Sn-i. Difatti siano ^0^), A0(*\ ...., A0 n i vertici della piramide polare data, A'^ A'0 2 .... Ar0tn i vertici opposti, i quali formano una piramide identica alla prima (teor. Ili, 30), e che è pure una piramide polare. Si ottengono altret- tante piramidi polari scambiando nella prima in tutte le maniere possi- bili i vertici di essa coi loro opposti. Le piramidi così ottenute sono 2n . Difatti supposto che per lo spazio /S^-2 siano 2*-1, le piramidi dello spazio Sn-i si ottengono scrivendo accanto ad un vertice e al suo opposto tutte le 2n'1 piramidi formate cogli n 1 rimanenti vertici e i loro opposti, cioè 2n. Il teo- rema è vero per n = 2,3 dunque è vero in generale (int. Z, 39). 6. Spazio all'infinito dello spazio Euclideo Sn Spazi paralleli. 166. Oss. I. Vale in Sn il teor. e il coroll. analoghi al teor. I e coroll. dei n. 84 e 123 e la def. relativa. Def.L Due spazi Sm, SMM (mtl) ^ m) si diranno paralleli di la specie o semplicemente paralleli quando lo spazio all'infinito /S^-i^ di Sm è situato nello spazio all'infinito *VLlao di Sm. Teor. I. Se per due spazi Sm, Sm(l) indipendenti si ha m -\-rnW ^n, da un punto qualunque di Sn si può condurre uno spazio Sm+m 0) parallelo ad entrambi. Per uno dei due spazi passa uno solo di questi spazi. infatti gli spazi all'infinito Sm.latt Sm(1)-ioo in Sm e SmM determinano uno spazio Sm+m W-i ove è m + mW 1 n 1. Lo spazio Sm+mW-i è dunque lo spazio all'infinito di infiniti spazi Sm+m^ di Sn paralleli ai due spazi dati. Per un punto qualunque AQ di Sn passa uno solo di questi spazi, e quando questo punto cade in lo spazio Sm- -m(i) contiene tutto m, perché contiene oltre al punto AQ lo spazio S^-i di Sm. Oss. II. Se invece è m -f- m(l) n, ponendo m -f- tn(i) n = a, i due spazi Sm,Sm(i) si incontrano in uno spazio Sa , e siccome essi non sono in generale contenuti in uno spazio inferiore a Sn come nel caso precedente, così per lo spazio Sm non si può con- durre alcun spazio parallelo a Sm(D. Da un punto A0 però si potrà ad essi condurre uno spazio parallelo ad a dimensioni il cui spazio alP infinito è precisamente quello di Sa. Si vede facilmente che se i due spazi /Sm-i , SmdJ-i^di Sm e Sm(i) giacciono in uno spazio Sn-ct-i all'infinito, allora per un punto AQ di Sn si può condurre ai due spazi Sm, Sm(i) uno spazio parallelo Sn-a. Per Sm o per Sw(i) passa uno solo di questi spazi. Teor. IL Due spazi paralleli Sm, Sr (m ^ r) sono sempre situati in uno spazio Sm+i inferiore a Sn , eccetto che sia m -j- 1 = n. Infatti lo spazio r.loo di Sr giace in tal caso nello spazio Sm_100 che è

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determinato da m punti indipendenti, tra i quali possiamo supporre siano com- presi gli r punti che determinano Sr-i*,. I due spazi Sm e Sr venendo deter- minati oltre che da quegli m punti da altri due punti, essi sono contenuti in un medesimo spazio Sm+i. Caroli. Due spazi paralleli non hanno nessun punto comune a distanza finita. Infatti i due spazi Sm e Sr in Sm-j-i si incontrano soltanto in uno spazio Sr-i situato tutto all'infinito (teor. Il, 158). Teor. II. Due spazi paralleli Am, A'm vengono tagliati in spazi paralleli da altri due spazi Br, r paralleli fra loroì ma non ai primi due. Infatti se Br e Am si incontrano in uno spazio Sa, e così A'm, -BV in uno spazio Sa', (supposto a' #), è chiaro che avendo Br e Am rispettivamente gli stessi elementi ali1 infinito di #V eA'm, lo spazio all'infinito di Sa* contiene lo spazio all'infinito di Sa. Nel caso d*=a i due spazi Sa, Sa hanno lo stesso spazio all'infinito. Oss. L I due spazi Am e A m essendo paralleli hanno lo stesso spazio all'infinito Am-iaoì quindi essendo questo spazio determinato da m punti, i due spazi Am, A'm sono contenuti in uno spazio Sm+i il quale avrà all'infinito uno 'spazio Sm^ che conterrà Am~i* - Analogamente succede pei due spazi Br , Sr. Essi sono situati in uno spazio ST-H che ha all'infinito uno spazio contenente lo spazio Br-ix* CorolL Se r = n m i due spazi Bn-m, B'n-m incontrano Am, A'm in due coppie di punti che formano un parallelogrammo. Infatti siano A0 e B0 i punti d'incontro di Bn-m con Am e A'm, e A'^ Q i due punti analoghi di -B'n-m- La retta AQBQ appartiene tanto allo spazio Sm+\ sopra considerato come anche allo spazio Bn-m, e il suo punto all'infinito è per conseguenza nel punto d'incontro dello spazio Bn-m-i con lo spazio (teor. II, 158).La retta A'Q Q ha lo stesso punto all'infinito,perché lo spazio B^n è comune ai due spazi Bn-m, n-m* Analogamente succede se consideriamo in- vece le coppie di punti A0A'0, #0#0 nei quali i due spazi Am, A'm tagliano gli spazi JW # -M. 166. Altri casi di parallelismo. Oss. L Oltre al caso precedente vi sono altri casi di parallelismo che non en- trano nella definizione data, ma che meritano di essere menzionati. Si è visto già nello spazio a quattro dimensioni che due piani , 2, indipendenti hanno un punto comune. Se questo punto cade all'infinito abbiamo detto che formano un al- tro caso di parallelismo differente da quello in cui i due piani hanno la medesima retta all'infinito. In quest'ultimo caso essi sono contenuti in uno spazio a tre di- mensioni. Gli altri casi di parallelismo oltre a quello testé considerato e che abbiamo chia- mato parallelismo di 1* specie, si ottengono quando m, Sr non hanno in comune uno spazio /S^-i, (se r.5 m), ma hanno invece in comune uno spazio di minori di- mensioni situato tutto all'infinito. Il numero delle dimensioni di questo spazio d'inter- sezione non potrà essere minore di m~\-r n, perché due spazi Sm e Sr si incon- trano sempre almeno in uno spazio Sm+r-n, se non si incontrano in uno spazio di dimensioni maggiori. Diremo dunque in generale: Def. I. Due spazi Sm, Sr, (m ^ r) sono paralleli quando il loro spazio di

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521 intersezione, qualunque sia la loro posizione nello spazio Sn) è situato tutto all'infinito. Teor. I. I casi di parallelismo di due spazi Sm, Sr sono n m se è Difatti essi si incontrano in generale in uno spazio ad m + r n dimen- sioni, ma possono incontrarsi in uno spazio a m + r n+1, m + r n-4-2 ecc. m-\~r n+ (n m l) = r 1 dimensioni. In quest' ultimo caso si ha il caso ordinario di parallelismo. Caroli. Fra due spazi Sm(m 1) e S^i in Sn vi è un solo caso di paral- lelismo, quello cioè di la specie. Oss. II. II caso di parallelismo di due spazi Sm, Sr non compresi in spazi infe- riori a Sn è precisamente quello in cui si incontrano in uno spazio a m -f- r n dimensioni. 7. Identità dello spazio Sn intorno ai suoi punti del campo finito Parti in cui esso viene diviso da un suo spazio a n-I dimen- sioni. 167. Oss. Con dimostrazioni analoghe a quelle date nel 8 del piano Euclideo, e nel 4 degli spazi 8$ e S4 si dimostra che le stelle di (n 2)naa specie coi vertici nel campo finito dello spazio Sn sono identiche, che Sn è diviso da ogni spazio Sn-\ in due parti opposte uguali, in una o nell'altra delle quali sono situati gli spazi paral- leli a Sn-i, e che le due parti in cui uno spazio Sm non parallelo a Sn-i viene diviso dallo spazio Sm-i d' intersezione con n-i sono situate rispettivamente nelle parti suddette. 8. Spazi perpendicolari. 168. Oss. I. Se due punti coniugati dello spazio all'infinito si congiungono con un punto AQ del campo finito si hanno due rette perpendicolari (def. V, 40). Così se si congiunge il punto A$ con un punto ed una retta coniugati all'infinito, si ottiene una retta ed un piano perpendicolare in Sn. Diremo quindi in generale: Def. I. Due spazi Sm9 Sr si dicono perpendicolari fra loro se i loro spazi all'infinito sono polari o coniugati (oss. 163). Teor. I. Due spazi paralleli di la specie a due spazi perpendicolari e del medesimo numero di dimensioni degli spazi dati sono fra loro perpendicolari. Perché i loro spazi all'infinito sono polari. Teor. IL Le rette perpendicolari ad uno spazio Sn-i sono parallele. Perché hanno lo stesso punto all'infinito. Teor. IIL Se gli spazi all'infinito di due spazi Sm,Sr sono polari^ gli spazi (eccettuati i punti) contenuti in uno di essi o passanti per uno di essi sono perpendicolari all'altro.

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522 Difatti i loro spazi all'infinito sono coniugati (teor. V, Ì6l). Teor. IV. Se gli spazi all'infinito di due spazi Sm, Sr sono polari, gli spazi (eccettuati i punti) contenuti in uno di essi o passanti per uno di essi sono perpendicolari agli spazi (eccettuati i punti) contenuti nell'altro o pas- santi per l'altro. Difatti i loro spazi all'infinito sono coniugati (teor. VI, 161). Oss. IL La risoluzione dunque dei problemi di condurre per dati elementi spazi perpendicolari a spazi dati si riconduce a quello di condurre per gli elementi dati degli spazi, i cui spazi all'infinito siano polari o coniugati con quelli degli spazi dati. Teor. V. Una retta perpendicolare ad uno spazio S^i è perpendicolare a tutti gli spazi contenuti in Sn.\. Dim. analoga a quella del coroll. V, teor. II, 128. Teor. VL Da un punto di una retta o fuori di essa si può condurre un solo spazio Sn-i perpendicolare ad essa. Basta congiungere il punto collo spazio polare del punto ali1 infinito della retta. Costr. Per costruire questo spazio cogli elementi del campo finito basta condurre per la retta n 1 piani non situati in uno spazio Sn-i, e in essi tirare le perpendi- colari dal punto dato alla retta, le quali determinano lo spazio richiesto. Se il punto è situato fuori della retta basterà condurre la perpendicolare alla retta nel piano determinato con essa, la quale incontrerà la retta in un punto A^. Lo spazio perpendicolare in A$ alla retta passerà anche pel punto dato è sarà il richiesto, Coroll. I. Tutte le perpendicolari condotte da un punto ad una retta sono nello spazio Sn-i perpendicolare a questa retta* Teor. VII. Da un punto di uno spazio a n 1 dimensioni o da un punto fuori di esso si può condurgli una sola perpendicolare. Basta congiungere il punto dato coi poli dello spazio ali' infinito dello spa- zio dato Sn-i. Costr. Per costruire questa normale cogli elementi del campo finito basta sce- gliere in n-i n 1 rette qualunque passanti per il punto dato e non situate in uno spazio inferiore, e condurre per il punto gli n 1 spazi normali a n 1 dimensioni che si incontrano nella normale richiesta, perché gli spazi ali9 infinito di essi passano pel polo dello spazio ali'infinito dello spazio dato. Teor. Vili. Per un punto dello spazio Sn passano n rette che non giac- ciono in uno spazio Sn-i, e sono fra loro due a due perpendicolari. Supposto che il teorema sia vero per lo spazio a n 1 dimensioni, pel teor. Vili risulta vero anche per lo spazio Sn ; ma è vero per n = 2,3,4, dun- que è vero in generale (int. I, 39). Teor. IX. Date n 1 rette non situate in uno spazio Sn-z vi è una sola direzione di rette perpendicolari alle rette date. Difatti il punto ali' infinito di questa direzione è il polo dello spazio Sn-t determinato dagli n 1 punti all'infinito delle rette date. Teor. X. Per un punto si può condurre un solo spazip Snw perpendico- lare ad uno spazio Sm che incontra il primo in un solo punto. Difatti lo spazio Sm.\M ali'infinito di Sm ha per polare uno spazio

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523 è quindi il punto dato con questo spazio determina un solo spazio Sn.m nor- male a /Si . Teor. XI. Per uno spazio Sr si può condurre uno spazio Sa perpendi- colare ad un altro ^n, quando lo spazio Sr-iM di Sr e lo spazio polare Sn-m-z di Sm-in sono situati in uno spazio #0-1 Difatti lo spazio Sa-iw e coniugato allo spazio Sn^ìao di Sm (def. Ili, 161 e def. I). Coroll. L Per una retta, un piano, uno spazio a tre ecc. an 2 dimen- sioni si può condurre un piano, uno spazio a tre, a quattro ecc. a n 1 di- mensioni perpendicolare ad uno spazio dato a n 1 dimensioni. Def. II. Lo spazio So-fon-n d' intersezione di -Sa con Sm si chiama proie- zione normale o proiezione dello spazio Sr nello spazio Sm . Teor. XII. Due spazi a n 1 dimensioni hanno una direzione di piani perpendicolari comuni. La direzione di questi piani è data dalla retta polare dello spazio a n - 3 dimensioni all'infinito dello spazio comune S^. Teor. XIII. Più spazi dati $OT(1), Sm \ Sm( hanno infiniti spazi normali comuni a n a 1 dimensioni, quando i loro spazi all'infinito sotio contenuti in uno spazio Sa^9 essendo a n 1. In tal caso lo spazio Sav ha per spazio polare uno spazio Sn-a-s che è 10 spazio di direzione di infiniti spazi perpendicolari agli spazi dati. Se a:=n 2 vuoi dire che gli spazi dati hanno una direzione di perpen- dicolari comuni, Teor . XIV. Due spazi Sm , Sm(l} hanno una sola perpendicolare comune che 11 incontra se m -f- mM + 1 = n e se i loro spazi ali' infinito determinano uno spazio Sn-2- Se i due spazi Sm-i, , Sm-iJ11 di due spazi Sm, SmM sono situati in uno spazio ^n-2 essi ammettono una direzione di rette perpendicolari. Supposto mmM, congiungiamo Sm col polo dello spazio Sn-2^; otteniamo così uno spa- zio tfwn-i. Poiché m + mM + \ n -o, questo spazio incontra Sm( l in un punto AQ. Tirando quindi per A0 la normale ai due spazi dati, essa interseca anche lo spazio Sm, essendo situata con questo nello spazio Sm+i (teor. II, 158). Oss. III. Se gli spazi all'i rifinito di due spazi m, Sr sono coniugati allora non ha luogo il teorema HI. Vi sono però spazi dell'uno che sono perpendicolari all'altro. Consideriamo lo spazio Sm-ioo ali' infinito di Sm, esso ha per polare uno spazio Sn-m-iao in Sn-ioo- Se lo spazio Sr passa per Sn-m.^ e se r w m tutti gli spazi Sn-m contenuti in Sr e che passano per S^-m-i,* sono perpendicolari allo spazio Sm (def. I), e quindi tutti gli spazi contenuti in essi: non però gli altri spazi fuori di essi e situati in Sr . Come vi sono due specie di ortogonalità fra due piani in S4 (def. 1, 129), così ab- biamo diversi casi di ortogonalità fra due spazi Sm, Sr (r , m 1) quando i loro spazi ali' infinito sono coniugati in uno spazio Sa , essendo a n 1 , e quando non sono in generale situati in un tale spazio. Facilmente si vede che sono n-m i casi di ortogonalità fra i due spazi w, Sr se è m^r. Così abbiamo in generale un metodo per la risoluzione dei problemi sulP ortogo- nalità degli spazi e sulla costruzione di enti ortogonali con soli elementi del campo finito ; e senza che noi li indichiamo, ognuno vede in qual modo si deve procedere in ogni caso particolare.

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524 $0. Distanze Angoli Identità dello spazio intorno ai suoi spazi Sm. 169. Oss. I. Come nel piano, così nello spazio a tre e a quattro dimensioni si dimo- strano i teoremi relativi alla distanza di un punto da uno spazio Sn-i* fra due spazi che ammettono delle perpendicolari comuni e fra spazi paralleli, senza bisogno che ci soffermiamo ulteriormente. Oss. IL Seguendo un metodo analogo a quello usato nella definizione degli an- goli di raggi, semipiani, semispazi a tre dimensioni fra loro (parte I, lib. Ili, cap. I, 7 e parte II, lib. I cap. 1, 7), per angoli di due spazi Sm, Sr intendiamo quelli che sono misurati dalle distanze normali minime dei loro spazi ali' infinito 1). In modo analogo a quello usato per lo spazio a tre e a quattro dimensioni si definisce il diedro di due semispazi a n 1 dimensioni e le sue proprietà, che sono analoghe a quelle dei diedri dello spazio a tre e a quattro dimensioni, si dimo- strano collo stesso metodo. Ad es. si ha che un piano normale a due semispazi a w 1 dimensioni li incontra in due raggi che formano un angolo uguale a quello dei due semispazi, così pure che le sezioni normali di due diedri uguali o disuguali sono pure uguali o disuguali, che due diedri opposti al vertice sono uguali, che un diedro (an-i -i) è identico allo stesso diedro percorso nel verso oppqsto, e osservando che il sistema di spazi di Sn intorno ad uno spazio Sm si ottengono congiurìgendo Sm collo spazio Sn-w-ioo polare dei suo spazio all'infinito, l'identità dello spazio Sn intorno a due spazi qualunque Sm, S'm si stabilisce mediante gli spazi polari dei loro spazi air infinito. io. Angoloide ennispigolo o enniedro Piramide fondamentale in Sn . 170. Def. L La figura formata da m raggi a^l\ af), .., a^ (m~ri) uscenti da un punto P0 dello spazio Sn e indipendenti si chiama angoloide od angolo solido a n dimensioni. I raggi sono gli spigoli, P0 il vertice, i settori angolari (a^aj ), (aJUajW ecc. le facce piane, i triedri (a^a^a^), (a^a^a^) ecc. le facce a tre dimensioni, gli angoloidi (a^a^ì .... a^-v ), (a^aj ....a^-Va^) ecc. le facce a, n 1 dimensioni, e finalmente i diedri a n dimensioni formati dalle facce a n 1 dimensioni si chiamano i suoi diedri a n dimensioni o diedri. Def. IL Se T apgoloide ha n spigoli esso si chiama ennispigolo o enniedro. Def. III. Due enniedri i cui spigoli sono raggi opposti si chiamano oppo- sti al vertice. Oss. L Se gli spigoli dell' enniedro sono fljt1),^*), ..., ojiw , e OQ^W oooo^v- o (n) i loro punti all'infinito, questi determinano una piramide fondamentale o enniedro dello spazio all'infinito Sn-i*,. Gii angoli delle facce piane dell1 enniedro sono misu- rati dagli spigoli del suo enniedro all'infinito: così gli angoli delle sue facce a tre, a quattro ecc. a n dimensioni sono misurati dagli angoli piani, dai diedri a quattro ecc. a n 1 dimensioni dell' enniedro, E quindi le proprietà degli spigoli, degli angoli piani e dei diedri a tre ecc. a n 1 dimensioni dell' enniedro ali* infinito danno altrettante proprietà degli angoli piani, dei diedri, a tre, ecc., a n dimensioni, deir enniedro. i) vedi nota n. 163. La ricerca degli angoli di due spazi fu fatta dapprima per via analitica da Jordan (Bull. de la Societó raath. de France, 1875): poi per via geometrica da Castani (Rendiconti dell'Acc. dei Lincei, 1885) e da castelnuovo (Atti delB. istituto Veneto, 1885). cistelnuovo dimostra con un processo elegante che gli n angoli di due spazi sn, s n in Sgn sono reali.

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525 Noi abbiamo visto che cosa s'intenda per parte interna ed esterna di una retta rispetto ad un segmento dato, di un piano rispetto ad un angolo piano, dello spazio a tre dimensioni rispetto a un triedro e a un tetraedro, dello spazio a quattro dimen- sioni rispetto a un quadriedro e a un pentaedro, e non solo nel campo Euclideo, ma eziandio nel campo completo dello spazio. Procedendo collo stesso metodo ammettiamo per lo spazio Sn-i e spazi di dimen- sioni inferiori la seguente proposizione, che è stata dimostrata per n 2,3,4 : ed segmenti che congiungono un vertice qualunque di una piramide fondamen- tale in Sn-i con i punti della parte interna della faccia opposta costituiscono una medesima parte dello spazio 1). Questa porzione dello spazio si chiama parte interna dello spazio Sn-i rispetto alla piramide o per maggiore semplicità parte interna della piramide. Da ciò risulta che un segmento avente i suoi estremi interni alla piramide e la parte interna di una piramide fondamentale a m vertici (m n 1) nel I1 in terno della piramide data giacciono neir interno di essa. (Vedi coroll. II, III, teor. I, 145). Si ha pure per l'ipotesi fatta che una retta che incontra una faccia a n 2 di- mensioni della piramide in un punto interno, o che ha un punto interno alla pira- mide, deve incontrare un'altra faccia, o due facce analoghe, in un punto interno, se- guendo la dimostrazione dei teor. IH e IV del n. 95 o del n. 145, Def. IV. La parte interna ed esterna dello spazio Sn-ico a[i i "'-aito di Sn rispetto alla piramide a0J1)....a^W danno la parte interna e IB, parte esterna dell'enniedro (a^.... ajn)) nello spazio Sn Applicando il teorema precedente alla piramide ali' infinito dell' enniedro ^0(n-f-i)^4o(i).. d(4o(n) si hanno le proprietà: Coroll. I. Gli angoli piani di cui un lato è uno spigolo dell'enniedro e V altro lato è una semiretta passante pel vertice di esso e situata nella parte interna della faccia opposta, sono situati nella parte interna del? enniedro. Coroll. II. Ogni angolo col vertice nel vertice dell9 enniedro e coi lati nel- r intemo, o su due facce a n 1 dimensioni di esso, giace nell* interno del enniedro. Coroll. III. La parte interna di un angoloide di n 1 spigoli (o di un numero minore) situati neW interno deW enniedro o almeno sue due facce an 1 dimensioni di mo, giace internamente aW enniedro. Teor. I. La parte interna di ogni piramide fondamentale di n vertici interni aW enniedro, o su due facce almeno a n 1 dimensione di esso, giace nelV interno dell ' enniedro. Ammesso che il teorema sia vero per un angoloide di n 1 spigoli, perché è vero per n = 3,4 ecc. le facce della piramide suddetta sono sulla superficie dell'enniedro. Scelti due punti A B0 di queste facce, se P0 è il vertice dell'ennie- dro, l'angolo P0.A0J?0 è interno ali'enniedro. Quindi tutti i segmenti che con- giungono due punti di due facce della piramide suddetta sono interni ali'en- niedro. Ma ogni segmento che ha un punto interno di questa piramide incon- tra due facce di essa in due punti interni (oss. I), dunque ogni punto interno della piramide è interno ali'eniiiedro. Il teorema è dunque dimostrato essendo vero per n t= 2,3,4. Teor. II. Le parti dello spazio Sn interne agli n-\-\ enniedri di una pi- ramide fondamentale coincidono. I) Vedi teor. H e oss. II.

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526 Là dim. è analoga a quella del teoiM 1,145. Questa proprietà è vera dun- que se è vera come abbiamo supposto nell'oss. I per lo spazio Sn-i. Ma è vera per w== 2,3,4 dunque è vera in generale. Oss. II. Dunque è vera la proprietà dell'oss. I, e quindi anche quelle che ne ab- biamo dedotto. Def. V. Le parti interne degli enniedri di una piramide fondamentale in Sn costituiscono una parte dello spazio Sn che chiamo parte interna della pi- ramide. La parte rimanente di Sn si chiama parte esterna. Corali. I. Il segmento di due punti interni ad una piramide fondamentale giace nell'interno di essa. Dim. analoga a quella del coroll. II del teor. I, 145. Teor. III. Ai raggi interni di un enniedro sono opposti i raggi dell' en- niedro opposto. Perché tale è la proprietà dei loro punti all'infinito rispetto alle due pi- ramidi opposte dei due enniedri. (Vedi teor. I, 115). Def. VI. Se la piramide all'infinito dell1 enniedro è polare, T enniedro si chiama ennirettangolo. Teor. IV. In un enniedro ennirettangolo gli angoli piani, i diedri delle facce piane a tre, a quattro eco. an l dimensioni sono retti (oss. II, 169 e co- roll. II, teor. I, teor. II, 164). Teor. V. Gli n spazi a n 1 dimensioni di un enniedro ennirettangolo dividono lo spazio Sn in 2W enniedri ennirettangoli due a due opposti (teore- ma III, 164). Teor. VI. Gli enniedri ennirettangoli sono identici. Perché lo sono le loro piramidi all'infinito (coroll. II, teor. I, 164). Teor. VII. Se gli ennaedri all'infinito di due enniedri in Sn sono uguali, lo sono pure i due enniedri. Si può stabilire una corrispondenza d'identità fra i due enniedri facendo corrispondere fra loro i vertici di essi e i loro ennaedri ali' infinito (teo- rema III, 15). Coroll. I. Due enniedri opposti al vertice sono uguali. Infatti i loro enniedri all'infinito sono opposti e quindi uguali (teor. Ili, 30). Coroll. II. Due enniedri, i cui spigoli sono paralleli e diretti neUo stesso verso o nel verso opposto sono uguali. Perché gli ennaedri all'infinito di essi sono uguali. Teor. Vili. Non vi sono due enniedri uguali aventi una medesima faccia comune a n 1 dimensioni cogli altri due spigoli situati dalla medesima parte dello spazio determinato da quella faccia. Il teorema è vero, se è vero che nello spazio Sn.\ (completo o no è la medesima cosa) non esistono due piramidi fondamentali uguali aventi una me- desima faccia a n 2 dimensioni comune e i rimanenti vertici dalla mede- sima parte di questa faccia. Ma questo teorema è vero se è vero che non possono esistere in S** due angoloidi di n 1 spigoli uguali aventi una me- desima faccia a n 2 dimensioni e i cui rimanenti spigoli siano situati dalla medesima parte della faccia comune ; dunque il teorema enunciato è vero se è

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527 vero per lo spazio a n I dimensioni. Ma è vero per %=: 3,4 quindi è vero anche in generale (int. I, 39). Teor. IX. Non esistono due piramidi fondamentali ugnali in Sn aventi in comune una faccia a n \ dimensioni e i vertici opposti dalla medesima parte di questa faccia. Difatti se ciò fosse, esisterebbero anche due enniedri uguali con una fac- cia comune a n 1 dimensioni e i rimanenti spigoli dalla medesima parte di questa faccia, che avrebbero i loro vertici in un vertice qualunque della faccia comune alle due piramidi contro il teor. Vili. Teor. X. Uno spazio a n 1 dimensioni che incontra internamente uno spigolo di una piramide fondamentale in Sn incontra internamente gli spigoli che uniscono uno o più vertici coi rimanenti, senza incontrare gli altri spigoli. Oppure : Separati i vertici della piramide in due gruppi, lo spazio può incontrare internamente gli spigoli che uniscono i vertici dì un gruppo coi vertici delV al- tro, senza poter incontrare internamente gli spigoli di un medesimo gruppo. Esistono sempre due di questi gruppi quando lo spazio taglia internamente uno spigolo della piramide. Supponiamo vero il teorema per una piramide fondamentate di n vertici, e sia A0 1U0 * ... A0" AJn-u la piramide fondamentale in Sn . Sia (A^ lo spigolo che viene intersecato dallo spazio S _i in un punto interno. Data la piramide Aff^AJ^ .... A0 n) e scelti i due gruppi di vertici .... vm) ; V* 4 (1) (i) di essa, lo spazio Sn~i incontra lo spazio di questa piramide in uno spazio Sn-2, che per 1' ipotesi fatta può essere scelto in modo da incontrare gli spigoli che uniscono i vertici di uno qualunque dei due gruppi con quelli dell'altro, ed esistono sempre due gruppi (1), perché Sn-i (e quindi anche Sn.z) incontra lo spigolo (A0WA0 tn"i~l)), ai quali devono appartenere rispettivamente i due ver- tici Aow, A0 W4-1). Per i punti ove lo spazio Sn.z incontra gli spigoli della pi- ramide di n vertici A0W ,...A0 n passa anche lo spazio n-i e soltanto per que- sti punti interni agli spigoli della piramide suddetta, sempre in conformità al- l'ipotesi fatta. Scelta un'altra piramide fondamentale di n vertici collo spigolo ad es. : (2) lo spazio *Sn-i incontra gli spigoli di essa che uniscono i vertici dei due gruppi AOU AO * .... V , V1-4-1' - V*"1* (3) Per l'ipotesi fatta il rimanente vertice A^**-**1) dovrà essere situato in uno o nell'altro gruppo, ed avremo le due possibilità: A0U A0 * .... A0W, jym-i.1) - A0 -i A0 "-Hi) (4) AJMAJÙ .... A0 Uo -*-i , A,/"*1' .... A0 *-i (4f) che possono ridarsi ad una sola quando cioè i gruppi (4 e (4r) siano composti

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528 dallo stesso numero di vertici. Si hanno dunque per la piramide in Sn i due tipi : Difatti se lo spazio Sn-i potesse incontrare un altro spigolo, questo do- vrebbe essere uno degli spigoli che congiunge due vertici del medesimo gruppo, per es- AJMAJ , ed allora scegliendo la piramide: vi sarebbe uno spazio S * che incontrebbe gli spigoli che uniscono i vertici dei due gruppi (1) e ancora lo spigolo AJ^AJ*), contro l'ipotesi. Dunque se il teorema è vero per lo spazio S^i è vero anche nello spa- zio Sn, ma è vero per n== 2,3,4 dunque è vero in generale (coroll. I teor. II, 95 e coroll. I teor. II, 145, int Z, 39). Coroll. I. Se uno spazio che non passa per alcuno dei vertici di una pi- ramide fondamentale incontra gli n spigoli passanti per un vertice in punti esterni esso taglia gli altri spigoli in punti esterni. O ss. III. Valgono anche per la piramide fondamentale in Sn le proprietà rela- tive ai punti d'intersezione di una retta che ha un punto interno ad una faccia a w 1 dimensioni della piramide od ha un punto interno ad essa (oss. I e II). IL Triedri, Quadriedri eoe. Enniedri di specie differenti. 171. Oss. Trattando delio spazio a quattro dimensioni abbiamo trovato i triedri di 2* specie che hanno per vertice una retta (142) e si distinguono dai triedri di 1* specie appartenenti allo spazio a tre dimensioni. Così nello spazio 5 in modo ana- logo si trovano i triedri di 3* specie che hanno per vertice un piano e per facce tre spazi a tre dimensioni. Così si trovano in S5 i quadriedri di 2' specie che hanno per vertice una retta e per facce quattro piani passanti per essa. Così l'enniedro di 1* specie lo s'incontra nello spazio a m dimensioni; nello spazio a m -fi dimensioni si ha Penniedro di 2* specie che ha per vertice una retta e nello spazio a n dimensioni si ha l' enniedro di (n m)ma specie che ha per vertice uno spazio a n m 1 dimensioni e le cui facce sono m spazi a n m dimensioni passanti pel primo. Le proprietà di questi enniedri di specie differenti si deducono da quelle degli enniedri di 1* specie. Non ci abbisogna di fermarci ulteriormente su questi enti geometrici. 12. Versi degli enniedri e delle piramidi fondamentali nello spazio Sm . 172, Oss. I. Supposto che i versi della stella di n 3 specie in Sn-i e dello spa- zio Sn~i stesso siano determinati da quelli di un diedro a n 1 dimensioni di un an- goloide a n 1 spigoli indipendenti, analogamente al piano, alio spazio a tre e a quattro dimensioni, i versi dello spazio SW-io, di Sn o di uno spazio direttore qua- lunque determinano i versi della stella di n 2ma specie,

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529 Rispetto alle stelle di n 2 a si dimostrano collo stesso metodo le proprietà ana- loghe ai versi delle stelle di 1* specie dello spazio a tre dimensioni (96) oppure delle stelle di 2' specie dello spazio S4 (146). In modo analogo, definendo i versi dello spazio Sn e col processo della dimo- strazione da n 1 a n, si ha che i versi dello spazio Sn sono determinati da quelli di un diedro di un suo enniedro, e con ciò rimane dimostrata la proprietà sopra am- messa. Noi enunciamo e dimostriamo qui le proprietà relative ai versi degli enniedri e delle piramidi fondamentali, per meglio conoscere l'impiego del processo suddetto di dimostrazione. Oss. II. Supponiamo sia vera la proprietà che nello spazio Sn.\ due piramidi fondamentali che hanno una faccia a n 2 dimensioni comune sono dello stesso verso o di verso opposto secondo che i loro vertici rimanenti sono situati dalla stessa parte o da parti opposte della faccia comune . Questa proprietà vale già per il piano, lo spazio a tre e a quattro dimensioni (Vedi teor. V e oss. Vili). Teor. I. Due enniedri a^a^.... a^ f a^a^ .... a\(n) aventi il medesimo vertice P0 e una faccia comune a n 1 dimensioni sono dello stesso verso o di verso opposto secondo che i rimanenti spigoli a^ e a\W sono situati dalla stessa parte o da parti opposte rispetto alla faccia comune. Difatti nel primo caso sono dello stesso verso, perché lo sono le loro pi- ramidi all'infinito per l'ipotesi fatta, mentre nel se- condo caso sono di verso opposto, (fìg. 116). \ Oss. III. Si dimostrano allo stesso modo i coroll. I e II del teor. VII del n. 146. Così vale colla dimostrazione analoga a quella del teo- rema XI, 96 o X, 146 il teor. relativo ai versi di due ennie- dri collo stesso vertice e i cui spigoli incontrano uno spa- zio Sn-i in due piramidi aventi o no il medesimo verso. fig, 116 Teor. IL Due enniedri a^a^ .... aj^, a^a\^a\^ .... Vn) cne hanno uno spigolo e il vertice comune e le due facce (a^ ...a^), (#V2) .... #Vn)) ìn un medesimo spazio dello sfesso verso o di verso opposto, sono dello stesso verso o di verso op- L //ll\ A posto. Difatti se gli angoloidi (a^... /n)) (Xi(2) d\(n} ) intorno al vertice comune sono dello stesso verso, le, loro piramidi all'infinito AQ^AJ^^... A'QM oo ^'o(?) )^V3) A'0(H)oo sono del medesimo verso (oss. I), e quindi anche i due angoloidi A^^A^...^^*, AQw*. A'Q M .... Ar^ , (oss. Ili), e perciò anche i due enniedri. Teor. III. Due enniedri AQW. V2 .... AJ +l), A'J . A'QW .... A'J" -*- sono dello stesso verso o di verso opposto secondochè le loro sezioni A^ ... AJn*~l), A'QW ... ^yn-H) con uno spazio Sn.\ sono o no dello stesso verso e secondochè i loro vertici sono o no situati dalla stessa parte di Sn-i Se invece le due sezioni sono diverso opposto, i due enniedri nel primo caso sono di verso contrario, e nel secondo dello stesso verso. Dim. analoga a quella del teor. XII, 96 o XI, 146 (fig. 117). Os*. IV. Da ciò deriva coir analoga dimostrazione il corollario analogo al co- roll. I del teor. XII, 146, 34

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530 Caroli. I. Due enniedri a^a^ .... a^n)f a\(l)a\(^.... a\W con due spigoli a^a\^ sulla medesima retta e diretti in verso contrario e tali che gli spigoli #i(3)Xi(3) sì incontrino in un punto AJ ; a^\ a\W in un punto A0(4 , e così via, gli spigoli a/n),a'/w) in un punto A^ ^ e i rimanenti spigoli a^^a'^ situati dalla stessa parte dello spazio a^a\^a^a\(^.... a^a'^^sono di verso op- posto. Se invece a^ e a\w sono da parti opposte rispetto allo spazio suddetto i due enniedri sono dello stesso verso. Se a^ya\(^ sono diretti nel medesimo versoìnel primo caso i due enniedri hanno lo stesso verso e nel secondo sono di verso opposto. Oss. V. Questa proprietà risulta in modo analogo al coroll. II del teor. XI del n. 146; soltanto bisogna supporre dimostrata la proprietà che le permutazioni pari dei vertici della piramide in Sn-i danno un verso e le permutazioni dispari danno il verso opposto, come avviene nel piano, nello spazio a tre e a quattro dimensioni (Vedi teor. IV). Teor. IV. Le permutazioni pari dei vertici di una piramide fondamentale dello spazio Sn danno un verso dello spazio Sn, le permutazioni dispari danno il verso opposto. Abbiamo supposto che il teorema sia vero per lo spazio Sn.\ (oss. IV). Scelto l'enniedro A^. A0(2).... A0 w+1 della piramide fondamentale in Sn , le per- mutazioni pari dei vertici della piramide A0ft .... A^n+1) nello spazio S^i di essa danno lo stesso verso di Sn.\ e quindi anche lo stesso verso dell'enniedro di vertice A0W (teor. III). Le permutazioni dispari dei vertici A0 2)... A^*1-*-1) danno il verso opposto. Ma tenendo fissi gli n-\-1 vertici A0W, A0 8 ,...., A^+v degli n-\-\ enniedri della piramide fondamentale in Sn e scambiando gli altri ver- tici si ottengono tutte le permutazioni degli n+1 vertici. Ora se nel corol- lario I del teor. Ili si suppone che a^l\a\W si incontrino in un punto A^1*-*"1* e i vertici dei due enniedri siano A^ e A0 2), i due spigoli a^a'^ sono situati dalla stessa parte dello spazio A0(1)A0(2 .... A0 ) e i due enniedri AJl}. A /2)A0(3 ... ... Ao"-*-1, A0(2 . A0MAJ ... AQ( +U sono di verso opposto (coroll. I, teor. IH). Ma l'enniedro A0^.A0(3)A0(1)A0W...A0 "-H è di verso opposto all'enniedro A0(2 .A0OU0(3)... A^- -1); dunque i due enniedri AJV. AJ AJ*).... Aj +U, A0( ).A0(3U0(1)....A0^+i) sono dello stesso verso. Ma A0 DA0 Aro....A0' -M, A^AJtìAJ" .... AJ + ) sono due permutazioni pari degli n -h 1 vertici della piramide fondamentale data, dunque il teorema è dimostrato, se è vero per lo spazio Sn-i. Malo è per ^ 2,3,4 dunque è vero in generale. Essendo dimostrato il teor. IV in ogni caso, in generale è vero anche il coroll. I del teor. III. Def. I. Diremo anche che le permutazioni pari danno un verso della pi- ramide, le permutazioni dispari il verso opposto. Oss. VI. È però ancora da dimostrare l'ipotesi fatta nell'oss. II, sulla quale ab- biamo basate le dimostrazioni precedenti. Teor. V. Due piramidi fondamentali in Sn che hanno una faccia an \ dimensioni comuni sono o no dello stesso verso secondo che i rimanenti ver-* tici sono o no situati dalla stessa parte della faccia comune,

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531 Questo teorema è mediante la def. I un'altra forma del coroll. Idei teor. I (oss. III). È vero dunque se è vero nello spazio Snri', ma lo è per n =2,3,4; dunque è vero in generale (int. Z, 39). Oss. VII. Restano così dimostrati in ogni caso i teoremi derivati dall'ipotesi fatta nell'oss. I. Teor. VI. Dato un enniedro a^a^ .... a^ , se si scambia un numero di- spari di spigoli coi loro prolungamenti si ottiene un enniedro di verso opposto al dato; se si scambia invece un numero pari di spigoli coi loro ^ralungamenti si ottiene un enniedro dello stesso verso. Dim. analoga a quella del teor. XII, 96 o XIII, 146 (teor. V). Coroll. /. Due enniedri opposti al vertice in Sn sono dello stesso verso o di verso opposto secondo che n è pari o dispari. Difatti se n è pari, lo scambio che si fa degli spigoli del I1 enniedro coi loro prolungamenti è pari, se invece n è dispari lo scambio è dispari. Oss. Vili. Relativamente ai versi degli enniedri cogli spigoli paralleli vale il corol- lario analogo al coroll. Ili, teor. XII, 96 o al coroll. II, teor. XIII, 146 colla analoga dimostrazione. Coroll. U. Due ennaedri opposti nello spazio completo S^.\ sono diretti nello stesso verso o in verso opposto secondo che n è pari o dispari. Ciò risulta dal coroll. I stesso, considerando lo spazio n-i come spazio polare del vertice degli enniedri. 13. Versi delle figure identiche Figure congruenti e simmetriche, 173. Oss I. Data la definizione di punti e di figure simmetriche rispetto ad uno spazio Sn-i, come si è fatto nel piano, nello spazio a tre e a quattro dimensioni (47, 97 e 147), si dimostrano allo stesso modo le analoghe proprietà, e fra le altre quella che due enniedri simmetrici rispetto ad uno spazio Sn.\ sono di verso opposto, e che gli spazi simmetrici si tagliano nello spazio di simmetria. Allo stesso modo si dimostra pure che la corrispondenza d'identità fra due figure identiche è determinata da due enniedri e quindi anche da due piramidi fondamentali delle due figure, e perciò che due figure identiche non possono avere più di n -f- 1 coppie di punti corrispon- denti comuni. Si dimostra pure che le figure rettilinee determinate da due grup- pi di m punti sono identiche se i segmenti di m (n+l) di essi dai rimanenti, e i segmenti di questi sono uguali, e così che se due enniedri di due figure identiche sono del medesimo verso o di verso opposto tutti gli enniedri corrispondenti sono dello stesso verso o di verso opposto. Data la definizione di figure congruenti e simmetriche come nel piano, nello spa- zio a tre e a quattro dimensioni C58, 98 e 148) si ricava che due figure congruenti o simmetriche ad una terza sono congruenti fra loro; che due figure Tuna simmetrica e T altra congruente ad una terza sono simmetriche fra loro, e finalmente che due figure congruenti aventi n coppie di punti indipendenti corrispondenti comuni coin- cidono, mentre se sono simmetriche hanno in comune tutti i punti dello spazio Sn-% determinato dalle n coppie di punti coincidenti.

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532 Superfìcie sferica, a n i dimensioni. 174. Def. I. Tutti i punti distanti da un punto P0 nello spazio Sn di un seg- mento dato costituiscono una figura che si chiama superficie sferica ; il seg- mento dato raggio, il punto Pn centro. Due punti situati in due raggi op- posti si dicono opposti, e diametro il loro segmento. 055. I. La superficie sferica è una figura a n 1 dimensioni, perché lo è la stella di n _ gma specie rispetto ai suoi raggi. Così vale il cor. analogo al cor. della def. 1,101. Def. IL Tutti i diametri o tutti i raggi della superficie costituiscono una parte dello spazio Sn che si chiama sfera. Oss. II, Vale una definizione analoga alla def. Ili del n. 101 rispetto alla parte interna ed esterna della sfera; cosi pure F oss. II, 101. Def. HI. I piani e gli spazi a tre, ecc. a-n 1 dimensioni passanti pel centro della sfera chiamansi piani e spazi diametrali. Coroll. Ogni piano ed ogni spazio Sm diametrale tagliano rispettivamente la sfera a n 1 dimensioni in una circonferenza e in una sfera an 1 di- mensioni. Questa proprietà risulta immediatamente dalla definizione. Teor. I. Una retta non può incontrare la superficie sferica a tre dimen- sioni in più di due punti. La stessa dim. del teor. I, 101. Ind. f. È per questo che indicheremo la superficie sferica a m 1 dimensioni col simbolo 2n-i, indicando con n 1 il numero delle dimensioni e con 2 il nu- mero massimo dei punti d'intersezione con una retta. Teor. IL Un piano qualunque taglia la sfera S2n-i in una circonferenza, in uno o nessun punto, secondo che la su i distanza dal centro è minore, uguale o maggiore del raggio. Infatti lo spazio diametrale che unisce il piano col centro, taglia la sfera SVi in una sfera a due dimensioni S22, che viene tagliata dal piano in una circonferenza, in uno o nessun punto (teor. II, 101). Teor. III. Uno spazio a m dimensioni (m^ 2, m^n 1) taglia la sfe- ra S^i in una sfera S2m-i, in uno o in nessun punto, secondo che la sua di- stanza dal centro è minore, uguale o maggiore del raggio della sfera S2n-i Dim. analoga a quella del teor. II, 101. Teor. IV. Uno spazio diametrale Sm incontra la sfera S2n-i in una sfera Sm-i di raggio massimo. Dim. analoga al teor. IH, 101. Coroll. Un piano diametrale taglia la sfera /S^n_i in un cerchio massimo. Def. IV. Una sfera S2m situata in uno spazio diametrale Sm si chiama per ciò sfera massima. Def. V. Una retta tangente in un punto ad una circonferenza massima dicesi tangente alla superficie /SV* in quel punto, che è il punto di contatto.

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533 Teor. V. Le tangenti iti, un punto della superficie sferica S2n-i sono situate in uno spazio an 1 dimensioni perpendicolare al raggio passante pel punto dato. Dim analoga a quella del teor. IV, 101. Def. VI. Lo spazio Sn.\ che contiene le tangenti alla sfera S2n.i in un punto si chiama tangente alla sfera nel punto dato, che è il punto di contatto. Teor. VI. La sfera S2n.\ giace tutta da una parte di un suo spazio tangente a n 1 dimensioni. Dira, analoga a quella del teor. V, 101. Def. VII. Ogni spazio Sm che ha colla sfera S2n.i un solo punto comune, contiene infinite tangenti alla sfera e nominasi perciò spazio tangente alla sfera nel punto dato, come punto di contatto. Teor. VII. Lo spazio Sn-i perpendicolare nel punto di mezzo di una corda alla corda stessa passa pel centro della sfera. Dim. analoga a quella del teor. VI, 101. Coroll. Ogni spazio diametrale Sn-\ divide la sfera S2n-i in due parti sim- metriche rispetto ad esso. Dim. analoga a quella del coroll. teor. VI, 101. Teor. Vili, n -f-1 punti indipendenti determinano una sfera S2n-ìf che è determinata da n-\-l qualunque dei suoi punti. Dim. analoga a quella del teor. VII, 101. Coroll. Una sfera n.\ è sempre contenuta in uno spazio Sfi,. Difatti essa è situata nello spazio ^determinato dagli w-f-1 punti in- dipendenti che la determinano. 15. Linee e superficie o sistemi continui nello spazio generale e di dato ordine nello spazio Sn. 175. Def. I. Dato un sistema di linee (def. I, 36) ad una dimensione nello spazio generale tale che ad ogni punto di una linea corrisponda un punto della linea successiva e così via, e se i sistemi di punti corrispondenti sono continui, ossia linee, il sistema di linee dato dicesi continuo a due dimensioni rispetto al punto come elemento, od anche superficie a due dimensioni. Esso si chiama anche continuo ad una dimensione rispetto alle linee di cui si compone. Dato un sistema ad una dimensione di superficie a due dimensioni, se fra i loro punti ha luogo la stessa proprietà dei punti delle linee del sistema anzidetto, si ha un sistema continuo a tre dimensioni rispetto al punto come elemento, oppure continuo ad ima dimensione rispetto alle superfìcie di cui si compone, e si chiama superficie a tre dimensioni. Ottenute così le superficie a quattro, a cinque ecc. a m 1 dimensioni, allo stesso modo si ha la super- ficie a m dimensioni. Le linee dei punti corrispondenti si chiamano linee direttrici, le linee o le superficie del sistema si chiamano linee o superficie generatrici.

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534 Def. II. Un sistema ad una dimensione dì linee che soddisfa alla def. I si chiama sistema continua ad una dimensione rispetto alle linee, o a due dimensioni rispetto al punto. Dato un sistema di sistemi a m r dimensioni tale che ad ogni punto di un sistema corrisponda un punto nel suo consecutivo, e così via; e i punti corrispondenti appartengano ad un sistema continuo a r dimensioni; il sistema si chiama continuò a r dimensioni rispetto ai sistemi dati che è a, m dimen- sioni rispetto al punto come elemento. Chiameremo anche la linea sistema continuo ad una dimensione di punti (def. I? 36). Oss. I. I punti corrispondenti di due linee o superficie consecutive nelle costru- zioni secondo le def. I e II possono avere una distanza quanto piccola sì vuole (def. i, 36;. Oss. II. Quando diremo superficie o sistema continuo a m dimensioni, intende- remo che tale sia rispetto al punto come elemento. Oss. III. Vedremo fra poco che le superficie coniche e sferiche che abbiamo in- contrate in 3 e S4 soddisfano pure alla def. I. Teor. I. Per due punti consecutivi XQ, Y0 di un sistema generatore *Gm-r secondo la def. II passano due sistemi direttori consecutivi. Siano Lr WLr (v\ i due sistemi direttori ; come loro punti corrispondenti si possono considerare quelli che essi secondo la def. II hanno in comune con ciascun sistema generatore Gm.r. Sia G'm.r il sistema generatore consecutivo di Gm-r, X'0 e F0 i punti in esso corrispondenti ad X0 e Y0, e quindi corri- spondenti fra loro in Lr(x\Lr(y). Quando (X0X'0) diventa minore di ogni seg- mento dato, tale diventa per la def. II anche (yoY'0), e perciò quando (XY) de- cresce indefinitamente ciò ha pure luogo per (Y^X'^) e per (X'0Y0) (coroll. ass. IV) ; dunque i punti corrispondenti di Lr (oc\Lr ^sono consecutivi, vale a dire i due sistemi direttori sono consecutivi (oss. I). Teor. II. Un sistema continuo a r dimensioni di sistemi a m r dimen- sioni è un sistema continuo a m r dimensioni di sistemi a r dimensioni. Difatti se (Gm.r) è il gruppo dei sistemi generatori e ( Lr ) quello dei si- stemi direttori, ogni punto di un sistema Lr è un punto di un sistema Gm-r, e inversamente (def. II). Per punti consecutivi di Gm.r passano sistemi diret- tori consecutivi (teor. I), e riguardando come corrispondenti i punti di Gm.r, Gm-r è un sistema direttore nel nuovo sistema ed Lr un sistema generatore. Teor. III. Ogni sistema continuo a m dimensioni nello spazio generale, che non è una linea, è una superficie a m dimensioni. Il sistema a due dimensioni, generato quindi da un sistema ad una di- mensione di linee, è una superficie a due dimensioni, poiché in tal caso la def. II coincide colla def. I. Sia ora r = 2 ed m = 1, vale a dire sia dato un si- stema 2 continuo a due dimensioni di linee. Una qualunque delle superficie diret- trici L2 del sistema è generata da un sistema continuo di linee ad una dimen- sione. Consideriamo una linea direttrice L di una superficie L2. Per un punto A0 di L^ passa una linea Gl della superficie Z2; e per esso passa una linea ge- neratrice gl del sistema dato. Per ogni punto Xn di gl passa una superficie direttrice e in quella del

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535 punto ^0 consecutivo ad À$ si consideri una linea generatrìce consecutiva alla linea Gj. Tutte le linee G costituiscono una superficie a due dimensioni G2 di cui gl è una linea direttrice. Tutte queste superficie a due dimensioni otte- nute dalle linee gl passanti pei punti di Ll costituiscono un sistema 2\ continuo ad una dimensione colla linea direttrice Ll (def. I). Le generatrici di G2 lo sono anche del sistema 2, perché due ge- neratrici consecutive di due superficie L29 L'2 hanno i loro punti in genera- trici del sistema 2 (def. II e teor. I) ; dunque ogni punto della superficie (GgLJ, ossia 21!, essendo situato in una G2 almeno, è pure situato almeno in una ge- neratrice gl del sistema 2. Inversamente, se Y0 è un punto di 2; per esso passa una generatrice glt la quale deve avere un punto T'0 sulla L2 (def. II), che a sua volta è in una generatrice G, di L2. La retta Gl ha un punto F'0 in Z/j pel quale passa una generatrice g\ di 2. La superficie G"2determinata da g'\ e Gl contiene la glf perché la superficie consecutiva L'2 di L2 passa pei punti consecutivi corrispondenti e la generatrice G\ di L'2, consecutiva di Gl in L29 è data dai punti consecutivi a quelli di Gl sulle generatrici gl che in- contrano Gj in L2 (teor. I). Dunque la G"2 contiene anche il punto F0, e per- ciò i due sistemi 2 e 2' coincidono. Il teorema è dunque in questo caso dimostrato (def. I). 11 teorema sia vero per m 1 ; e si ponga m 1 = r -f- m r 1. Si ot- tiene ogni gruppo di due numeri la cui somma è il numero m, quando si ag- giunge un'unità a r o a m. r-r 1 nei gruppi corrispondenti a m 1. Sia ora dato un sistema ad r dimensioni di sistemi a m r dimensioni, i quali per ipotesi sono superficie a m r dimensioni. Data quindi una su- perficie direttrice Lr del sistema, un punto 40 su di essa e la superficie Gm.r generatrice che passa per Aw si scelga in Gm-r una linea direttrice L^ e una su- perficie generatrice Gm-r-i passanti ambedue pel punto A0. Costruite come nel caso precedente per Gm-r le superficie consecutive Gm.r.\ pei punti consecutivi di Lr , esse costituiscono con Lr un sistema a m 1 dimensioni, che per ipotesi è una superficie dello stesso numero di dimensioni. Considerando quindi le superficie Lr passanti pei punti di Zlt si ottiene precisamente una superficie Fm che per ragioni analoghe alle precedenti appartiene al sistema dato e lo contiene. Ma il teor. vale per m = 2, 3, dunque vale in generale (int. ?, 39). Teor. IL Una superficie F a m dimensioni può essere generata nello spazio generale da un sistema continuo ad r dimensioni di superficie ad m r dimensioni o di linee. Dimostriamolo anzitutto per r = 2. Consideriamo una linea Ll di punti corrispondenti della superficie Fm e in una superficie generatrice Gm-i a m 1 dimensioni una linea direttrice Gj e una generatrice Gm-* che passino pel punto P0 che la superficie Gm.\ ha nella linea Lr Si consideri inoltre nella superficie successiva alla data la linea direttrice in modo da essere consecutiva alla li- nea G19 tale che i punti consecutivi di esse siano situati in linee direttrici della Fm (teor. I). Si ottiene così un sistema continuo ad una dimensione di linee che ha per direttrice la linea cioè una superficie a due dimensioni le cui direttrici sono direttrici della Fm. Per ogni linea Ll che incontra la Gm-z si ha un tal sistema, e quindi si può costruire un sistema a due dimensioni di superficie

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536 #w-f situato sulla superfìcie data, che la copra interamente, e in modo che i punti corrispondenti siano situati in una superficie a due dimensioni. Le superficie 7m-2 generatrici del sistema sono le generatrici delle superficie Gm.\. Supponiamo ora che il teorema sia vero per la superficie Fm.i e per r \ e sia data una superficie Fm a m dimensioni determinata nel modo stabilito dalla def. I. Scelta una linea di punti corrispondenti L^ delle superficie gene- ratrici jFm-i, le quali per ipotesi possono essere generate da un sistema continuo a r 1 dimensioni di superficie a m r dimensioni, consideriamo una super- ficie direttrice 6rr-i di Fm.i, passante pel suo punto d'incontro con L19 e così facciamo per le superficie consecutive Fm_i. Tutte le superficie direttrici Gr-\ consecutive nelle superficie Fm.\ i 1 dimensioni lungo la linea L^ determi- nano una superficie a r dimensioni. Otteniamo così un sistema continuo a r dimensioni di sistemi Fm.r9 che copre l'intera superficie Fm, e i cui punti corrispondenti sono in una superficie a r dimensioni. Il teorema è vero per rc=2, dunque è vero in generale. 176. Def. I. Se m + 1 punti (XQ) indipendenti di uno spazio Xm.i hanno per limiti altri m punti indipendenti (A0) (def. II, 10), lo spazio Am.i determinato dai punti (A0) dicesi spazio limite dello spazio Xm.ìt Teor. I. Se la distanza di un punto dai punti di una serie (Xn) in uno spazio Sm diminuisce inde finitamente ì il punto appartiene allo spazio. Dato uno spazio Sm qualsiasi, se un punto non è nello spazio Sm, esso ha una distanza normale da Sm differente da zero, la quale è minore di ogni altra distanza obliqua (oss. I, 169); la sua distanza dunque dai punti di una serie (Xn) di Sm non può diventare indefinitamente piccola, vale a dire non può essere limite di (Xn) senza cadere in Sm. Oss. I. Il teorema fu dimostrato diversamente per la retta (teor. V, 10), e po- teva essere dimostrato in questo modo riferendosi però ai teor. I e IV del n. 79. Teor. If. Se imo spazio Am.\ è limite di uno spazio Xm.ìf ogni punto di Xm-i può essere punto limite di uno ed un solo plinto di Xm.\. Il teorema fu dimostrato per m = 2 (teor. IV. 12). Supponiamo sia vero per uno spazio Xm.z , e siano A^.... A0 w gli m punti indipendenti (.40), che determinano lo spazio m 1, e sono limiti degli m punti indipendenti (X0). Ogni punto delle facce a m 2 dimensioni della piramide (X0) per l'ipotesi fatta può aver un punto limite sulla faccia corrispondente della piramide (AQ). Ora lo spazio Xm.\ è determinato dalle rette che congiungono ad es. Xjm} coi punti della faccia opposta della piramide (A^). Ciascuno dei punti di queste rette può avere un solo punto limite sulle rette corrispondenti della piramide 040); dunque il teorema valendo per m = 2 vale in generale (int. I, 39). Teor. IV. Se m punti ( A 0) indipendenti sono limiti di altrettanti punti (X0), i punti (X0) in intorni sufficientemente piccoli dei punti (A0) determinano uno spazio Xm.i. Il teorema è vero per m = 2 (teor. I, 12). Supponiamo sia vero per m 1, e siano A^...A^ i punti indipendenti limiti dei punti XJto.... XJm\ In in- torni sufficientemente piccoli dei punti (A0) i punti (X0) determinano a m 1 a m 1 m spazi a m 2 dimensioni 3Tm.2. Se gli m punti (XQ) non fossero

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537 indipendenti sarebbero situati in uno spazio Xn-s e tutti gli spazi Xm.z sud- detti coinciderebbero. Lo spazio X^.^X^ avrebbe per l'ipotesi fatta per spazi limiti gli spazi a m 2 dimensioni determinati dagli m punti (A^ (def. I) che per dato sono distinti; e XQ m) potrebbe avere quindi un punto limite Ar0 m situato ad es. nello spazio A^.A^^ e distinto da AJ \ il che è assurdo (teor. IV, 10). Dunque valendo il teorema per m= 2 vale in generale (int. ?, 39). Teor. III. Un sistema dì spazi Sm determinati da m 2 punti dati A0(lK..AJm- e da ogni punto XQ situato in un sistema continuo an dimensioni Fn dello spazio generale è un sistema continuo a m -f- n dimensioni. Supponiamo che il sistema Fn sia una linea Fr Ogni punto X0 che è in Fl punto limite di un punto YG1 determina uno spazio Smw che è limite dello dello spazio Sm{T) determinato da Y0 (def. I), e ogni punto di Sr*W può avere per limite uno ed un solo punto di W (teor. I e teor, IV, 10). Ora se noi consideriamo la serie di spazi Sm che si ottengono dai punti XQ di Flt noi possiamo stabilire in questo modo una corrispondenza fra i punti degli spazi Sm così che ad ogni punto di uno spazio corrisponda un punto del suo spazio con- secutivo, riguardato questo spazio come spazio limite del primo. Avremo in questa guisa un sistema F\ di punti ad una dimensione tale che ogni punto di esso è li- mite nel sistema e nello spazio. Di più, ad un segmento (X0Y0)di Fì corrisponde un segmento (X'oyo) di F*^ II segmento (XQYQ) s* compone di segmenti conse- cutivi quanto piccoli si vuole (def. I, 36), e a questi corrispondono in (X'^Q) delle parti quanto piccole si vuole, che altrimenti se la distanza di due punti ZM W0 di esso potesse rimanere maggiore di una distanza *, uno dei due spazi Sm passanti per essi non potrebbe essere limite dell'altro spazio nel verso (Z'QW'Q) o (W'0Z'0), essendo distinti per costruzione i due spazi Sm passanti per ^"0,W0; mentre diventando indefinitamente piccola la distanza dei punti corrispondenti Z0,WQ in F1? Z\ ha per limite W0, cioè (Z\W^ deve decre- scere indefinitamente. Il sistema F\ soddisfacendo alla def. I, 36 è una linea, ed in tal caso fi teor. è dimostrato. Supposto vero il teorema per n 1, siccome Fn è una superficie (teor. I, 175), si supponga Fn generata da un sistema di superficie generatici Gn-i e da una linea direttrice j. Il sistema SmGn-\ è per ipotesi continuo, ed applicando la dimostrazione precedente il teorema vale pure per n\ ma è vero per n=*l dunque vale in generale (int. ?, .39). Coroll. Il piano, lo spazio a tre ecc. a n dimensioni sono sistemi continui. Teor. IV. Se in ogni superficie Gm di un sistema continuo (GmLn) si considera un punto e in modo che i punti in superficie consecutive siano con- secutivi, tutti questi punti determinano una superficie a n dimensioni. Che determinino un sistema ad n dimensioni è chiaro, perché tale è il sistema di superficie Gm nel sistema dato. Se n = 1 il processo della dimo- strazione è il medesimo della precedente per dimostrare che i punti corri- spondenti formano una linea F\. Ammesso il teorema per n le generando la superficie Fn mediante superficie Gn-i e una linea L19 i punti determinano un sistema continuo ad una dimensione di superfìcie a n 1 dimensioni, vale a dire una superficie d'ordine n.

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538 Caroli. I coni circolari e te superficie sferiche fin qui considerati sonò sistemi continui. Oss. L Poiché il piano, Io spazio a tre ecc. a n dimensioni, che nello spazio ge- nerale sono superficie speciali essi si chiamano anche superficie lineari o sistemi continui lineari Ogni superfìcie, od ogni sistema continuo, non si può chiamare spazio se le pro- prietà fondamentali degli spazi devono essere date dagli assiomi geometrici, i quali non sono definizioni puramente formati, ma sono dedotti dall'esperienza. Volendo adope- rare una sola parola per tutti gli enti geometrici, può servire la parola figura o si- stema. Ma se si vuole usare la parola spazio come è ormai invalso, ed anche per- ché ciò può essere utile in ricerche speciali, come ad es. noi abbiamo chiamato spazi il punto, la retta e il piano, bisogna avvertire che allora si perde con essa il concetto primitivo di spazio dato dagli assiomi e dalla def, II del n. 2, nonché dalle ipotesi astratte non contraddicenti agli assiomi suddetti né fra loro. Anche tutte queste denominazioni possono essere usate, perché secondo le questioni speciali che si trat- tano può riuscire più conveniente una denominazione piuttosto che l'altra. Per spa- zio generale intendiamo però sempre il sistema di punti che soddisfa alla def. II del n. 2. 177. Oss. L Per la dimostrazione del teor. 1 di questo numero ci appoggiamo ad un teorema di Weierstrass^ cioè che un gruppo infinito di punti nel camqo finito di Sn ha sempre un punto limite L; e quindi pel teorema I, 10, nel gruppo vi è ajmeno una serie illimitata di 1' specie (Xn) che ha il punto limite L. Questo teorema si può dimostrare nello spazio Sn collo stesso metodo adoperato da De Paolis nello spazio 83 *). Per la linea secondo la def. I, 36 valgono i teor. IV e V del n. 13, e mediante il teor. suddetto si dimostrano allo stesso modo i teor. Ili, VI e VII, 13 nello spazio Sn. Lasciamo qui indiscussa la questione (perché non ne abbiamo bisogno) se possa essere dimostrato il teorema di Weierstrass coi nostri assiomi I, V insieme coir as- s;oma della nota XVI, oppure colle ipotesi V e VI e VII, per un gruppo infinito di punti nel campo finito dello spazio generale intorno ad un punto, perché la serie (Xn) di punti in questo caso può non essere contenuta in alcun spazio Sm, essendo m un numero intero dato qualsiasi della serie naturale. Teor. I. Ogni linea in Sn avente due punti estremi di un segmento della linea, opposti rispetto ad uno spazio Sn~\, incontra questo spazio almeno in un punto. Siano Zt la linea, Sn.\ lo spazio dati e A9BQ i punti situati da parti op- poste di 8n.\. Congiungendo uno spazio Sn-z di Sn-i coi punti del segmento (^0#o) s* ottiene un sistema continuo di spazi in Sn-\. Dobbiamo supporre che Sn.z non abbia alcun punto comune col segmento (A050), che altrimenti il teorema non avrebbe bisogno di dimostrazione. Ciascun punto X0 di (^0^c) situato ad es. dalla parte di AQ rispetto a Sn-ij determina con Sn.z un semispazio (Sn-zX0). Fra il semispazio ( n.f X0) e lo spazio Sn-i esistono, qualunque sia X0, altri semispazì (SnJtX'o), perché scelto un punto X*0 vicino quanto si vuole a XQ1 il semispa- zio (5^-2^0)nou Può essere situato dalla parte opposta di Sn-i. Difatti dovrebbe anche essere da questa parte X'0, e il segmento (X0X'0) incontrando Sn-i in un punto SQ interno e dato, (oss. 167), X'Q non potrebbe accostarsi indefinitamente a XQ. 1) Teoria dei gruppi geometrici, \ e. pag. 23. Questa dimostrazione si appoggia al postulato delle parallele nel senso di Euclide,

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539 La serie dì punti 3T0 della linea L^ data dai semispazì (Sn. Q che incon- trano in un punto almeno il segmento (A0BQ) e sono situati dalla stessa parte di AQ rispetto a Sn-\, ha quindi in (AQBQ) un punto limite X0 (teor. IH, 13 e oss. I) ; dunque la serie (Sn^XQ) ha uno spazio limite che è precisamente n-i, e perciò y0 è situato in Sn.i. Teor. II. Se una linea Lx ha un punto AQ da una parte di uno spazio Sn.i, vi sono dei segmenti di L^ da un a parte e doli* altra di A^(e da una sola parte se AQ è estremo di LJ tali che i loro punti sono situati dalla stessa parte del punto A^ rispetto ad *Sn-i. Difatti supponiamo che A'0 sia un punto di un segmento 040^'o) di L^ si- tuato da parte opposta di A0 rispetto ad Sn-i (def. I, 36). Questo segmento in- contra Sn-i in un punto interno Y0 (teor. I). Se in'(.A0Y0) vi fosse un altro punto AQW situato da parte opposta di /S^.i, avremmo in (40A0(2)), e quindi an- che in (AQY0) un punto yo appartenente allo spazio /Sn-i; dunque se così fosse in ogni segmento quanto piccolo si vuole di (A0A'0) in L19 il punto AQ sarebbe limite della serie (Y"0), vale a dire A0 apparterrebbe allo spazio #n-i, contro il dato (teor. I, 176). Teor. III. Ogni superficie ap dimensioni in Sm avente due punti, estremi di un segmento di linea della superficie, opposti rispetto ad uno spazio Sn-i, incontra questo spazio in una linea o in una superficie a p 1 dimensioni. Sia dapprima p = 2. Pei punti A0 e J?0 passano due linee direttrici L^ e Z/6) della superficie F2 (def. I, 175). Ad un punto X0 che ha per limite A0 in L^ corrisponde un punto X'0 che ha per limite B0 in L^ e così nelle altre linee direttrici passanti pei punti del segmento (^0#o) (def. 1 teor- ! I75)- Esistono dunque dei segmenti (^0A'0), (#0#0) corrispondenti che non contengono punti da parti opposte di A0 e BQ rispetto a Sn.\ (teor. II). Le generatrici che uniscono i punti dei segmenti (A0A'0)9 (^o^o) incontrano dunque n-j in una serie di punti. A due di queste generatrici consecutive gl e g\ corrispon- dono punti consecutivi d' intersezione con Sn-i. Siano G0 e G\, due punti d'intersezione di gl e g\ con Sn-\. Se G"Q è il punto corrispondente di G0 in g\j la distanza ((70G"0) diventa più piccola di ogni segmento dato. Se G'0 ha per corrispondente un punto G'"0 in g^ consecutivo di G0, anche (G0G'0) di- venta indefinitamente piccola (coroll. ass. IV). Se G'"0 non è consecutivo di G0 in g^ essendo G'"0 limite di G'0, e poiché G'0 è sempre in Sn-i, G"r0 appartiene ad Sn-i (teor. I) e quindi nella serie di punti (G0) in Sn-\ vi è un punto Gr"0tale che (G'0Cr"'0) diventa più piccolo di ogni segmento dato. La 2a parte della def. I, 36 è pure soddisfatta, considerando ad es. le generatrici date dai segmenti (^40Ar0), e (BQ Q) in L^ L^\ dunque la serie di punti G0 in Sn-z è una linea. Supposto vero il teorema per n 1 lo si dimostra per w, ma vale per n = 2 dunque vale in generale J). Oss. Abbiamo escluso tacitamente da questa dimostrazione quei punti eventuali di una linea che non sono punti limiti di gruppi di punti della lìnea. 1) Dalla dimostrazione di questi teoremi che riguardano una linea che ha due punti opposti ri- spetto ad una retta nel piano, e una linea od una superficie che hanno due punti da parti opposte ri- spetto ad un piano in S%, si vede che queste proprietà non sono cosi facilmente dimostrabili, come si ritiene in alcuni trattati elementari, addirittura in generale (Vedi nota 2, 51 e nota LXXH).

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540 Def. I. Un sistema continuo (lìnea o superficie) ap dimensioni in 8n che viene incontrato da uno spazio Sn-p di Sn al più in un gruppo non continuo di punti o che non contiene gruppi continui di punti secondo la def. I, 36 chia- masi irreducibile. Oss. IL Noi ci occuperemo soltanto di questi sistemi. Teor. IV. Un sistema continua a p dimensioni in uno spazio Sn non può essere incontrato da uno spazio Sr (r^ n p) in un sistema continuo a più di p -J- r n dimensioni. Supponiamo r = n p-f-1 e che uno spazio Sr incontri il sistema dato in un sistema a due dimensioni Fy Prendendo due punti AQ e #0 di un seg- mento di linea sulla F2 (def. I, 36 e def. 1,175) e facendo passare per un punto interno al suddetto segmento uno spazio Sr~i, esso taglia la F2 in una linea (teor. Ili), contro la def. I. Dunque per r = n p -h 1 il teor. è dimostrato. Supposto che sia vero il teorema per r = n p -\-m I ^n 1 lo si dimostra nella stessa guisa per r = n p + m, e perciò il teorema è dimo- strato (int. li 39). 178. Def. L Una linea in Sn, che viene incontrata da ogni spazio Sn-\ di Sn al più in m punti, si chiama linea d'ordine m. Una superficie a p dimensioni, che viene incontrata da uno spazio Sn.p al più in m punti, si chiama d'ordine m. . Una tale superficie la indicheremo col simbolo Fmp . Teor. I. Una sistema continuo Fmp in Sn viene incontrato da ogni spazio r (r^ n p) al più in un sistema continuo a p + r n dimensioni e del- l'ordine m. Difatti al più lo spazio Sr incontra un tal sistema in un sistema con- tinuo a p -f- r n dimensioni (teor. II, 177). Essendo r^ n p, uno spazio Sn.p di Sr interseca il luogo che la super- ficie F P ha in Sr in m punti (def. I), dunque è dell'ordine m. Teor. IL Una linea dell' ordine m non può essere contenuta in uno spazio Sm+i senza giacere in uno spazio inferiore. E una superficie Fmp non può essere contenuta in uno spazio a p -f- m dimensioni senza essere contenuta in uno spazio inferiore. Supponiamo che una linea L^ sia contenuta in uno spazio a m+ 1 di- mensioni. Essa viene incontrata da ogni spazio S,* in m punti. Ma se esiste un punto di LÌ fuori di Sm, pei primi m punti e per il nuovo punto di Z^1 n passa uno spazio ' che contiene tutta la linea Lf* (def. II). Se una superficie Fmp è contenuta nello spazio Sp+m ogni spazio Sm la incontra in m punti (def. I). Scelto un altro punto di FMP , per questo e per i pigimi m punti passa un altro spazio m che incontra la superficie in m-\-\ punti, e quindi la superficie deve essere contenuta almeno in uno spazio Sp+m-i (def. I). Coroll. Ogni superficie di 2 ordine F*p è contenuta in un solo spazio senza essere contenuta in spazi inferiori.

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541 16. Superficie coniche in uno spazio a n dimensioni che hanno per vertice un punto. 179. Def. I. Sia dato uno spazio S^i , e un punto Y0 fuori di esso e nello spazio $n-i un sistema continuo (linea o superficie) F*np a p dimensioni di ordine m. La figura costituita da tutte le rette che uniscono il punto V0 coi punti del sistema F P si chiama superficie contea o cono di la specie che indi- cheremo col simbolo V0 FMp . V0 è il vertice e Fmv è il sistema direttore del cono. Le rette che congiungono il vertice coi punti del sistema direttore sono le generatrici del cono. Teor. I. La superficie conica Y0 F"*p a p + 1 dimensioni e di ordine m è tagliata da uno spazio Ss passante pel vertice V0 al più in un cono VQ Fms+p.n a s -f- P n -f- 1 dimensioni e di ordine m, che può ridursi ad un sistema di m rette. Ogni spazio Sn-p passante pel vertice taglia lo spazio Sn.\ in uno spazio Sn-p-i (def.Ie teor. II, 158) che ha al più con la Fmp m punti comuni (def. I, 177), i quali congiunti col vertice danno m generataci del cono situate nello spazio Sn-p Ogni spazio Ss di Sn-i taglia la Fmp al più in una superficie Fs+v-n a s + p n dimensioni (teor. II, 177). Congiuugendo il vertice V0 del cono V0 Fp m con lo spazio Ss.\ si ha uno spazio Ss che lo taglia in un cono VQ Fs+p.n a s p n+1 dimensioni e di ordine m. Se s = n 1 il cono d'intersezione è ap dimensioni; se p~n 2 un piano passante pel vertice interseca il cono Y0 Fp-\m al più in m rette. Teor. IL Uno spazio qualunque Sn.\ che non passa pel vertice taglia il cono V0 Fp m in un sistema F'p m d' ordine m. Difatti lo Spazio Sn-\ incontra tutte le generataci del cono in un punto, e quindi lo taglia in un sistema a p dimensioni; e ogni spazio Sn-p che passa pel vertice e lo taglia in m generatrici, taglia lo spazio tfn.i i" uno spazio Sn-p-i che ha colla superficie al più m punti comuni. Teor. III. Uno spazio qualunque Ss taglia il cono V0 Fp m al più in una superficie a s-\-p n-j-1 dimensioni e di ordine m. Congiunto lo spazio Ss col vertice Y0 si ha uno spazio Ss+\ che incontra il cono V0 Fp m al più in un cono V0 F s+p.n+i (teor. I) che viene in- tersecato dallo spazio Ss in una superficie ^s-H -n-n d'ordine m (teor. II). Teor. IV. Il cono V0 Fp m può essere contenuto in imo spazio a p -f- 1 , p 4- 2 ecc. p + m dimensioni senza essere contenuto in uno spazio inferiore dì dimensioni (teor. II, 178). 180. Oss. I. Se la superficie Fmp dello spazio Sn.\ è una superficie di 2 ordine o una sfera S^n-i, il cono è di 2 ordine. In tal caso si ha che ogni piano passante pel vertice non può incontrarlo in più di due generatrici, ogni spazio a tre, a quattro ecc a n 1 dimensioni passanti pel vertice lo tagliano al più in coni di 2* ordine rispettivamente di due. tre. ecc. n 2 dimensioni. Ogui retta lo taglia al più in due punti, un piano al più in curve del 2*

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542 ordine, ecc., uno spazio a w 1 dimensioni al più in una superficie di 2* ordine ri- spettivamente a due, tre ecc- n 2 dimensioni. Def. I. Congiungendo una tangente, un piano con uno spazio a n 2 di- mensioni tangente in un punto della superficie ^Vi col punto V0, si ottiene un piano, uno spazio a tre ecc. a n 1 dimensioni tangente al cono V0 S*n-i lungo una sua generatrice. Come in un punto di S*n4 si hanno infinite tangenti che sono tutte situate nello spazio tangente n 2 dimensioni in quel punto, così tutti i piani tan- genti lungo una generatrice del cono V0 *S2n- giacciono nello spazio a, m 1 dimensioni tangente lungo quella generatrice. Def. II. Se la sfera S2n-t è all'infinito il cono si chiama circolare. La retta che unisce il vertice col centro della sfera si chiama asse del cono. Teor. I. Le generatrici del cono circolare formano lo stesso angolo con l'asse. Perché due distanze uguali ali1 infinito danno angoli uguali nel campo finito. Teor. II. n raggi uscenti da un punto V0 determinano un cono circolare a n 1 dimensioni. Perché la sfera S2n^w è determinata da n punti. Teor. IfL Ogni spazio a n 1 dimensioni passante pel vertice taglia al più il cono V0 *S^ -2M in un cono circolare a n 2 dimensioni col medesimo asse. Teor. IV. Ogni spazio a n 1 dimensioni normale all'asse taglia il cono circolare in una sfera a n 2 dimensioni col centro sull'asse. Di m. analoga a quella del teor. Vili, 99. Caroli. Un piano o uno spazio normale aliasse incontra il cono circolare in una circonferenza o in una sfera. Teor. V. Se la superficie direttrice dì una superficie conica V0 SVi è sferica, ogni spazio parallelo a quello della superficie direttrice taglia il cono ' in una superficie sferica. Sia infatti S'n-\ lo spazio parallelo a quello della direttrice. Conduciamo la retta che unisce V0 col centro C0 della sfera direttrice Stn-% fino alP in- coii fcro in CQ con SVi Così facciamo per due punti A0,B0 di Sn-t e otterremo due punti corrispondenti C^jB'o in n-i* Si ha facilmente che (C"04f0) = (C'0#'0). Def. IfL Se il vertice Y0 del cono V0 Fp m cade ali1 infinito la superficie conica si chiama superficie cilindrica. Nel caso poi che F9 m sia una sfera in uno spazio n-i perpendicolare alla direzione del vertice, il cilindro si chiama circolare.

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543 17. Coni e Cilindri aventi per vertice uno spazio Sm. 181. Def I. Consideriamo uno spazio Sn.m-i duale a uno spazio Sm e che non 10 incontra. In Sn-m-i sia data una superficie Frp , ove è p n m 1. Gli spazi a m 4-1 dimensioni che congiungono lo spazio Sm coi punti della superficie Fr p costituiscono una, super fide conica o cono di r ordine, che è ap-f-m-j-1 dimensioni; Sm lo spazio vertice, Fr p la superficie direttrice del cono. Gli spazi che congiungono lo spazio Sm del cono coi punti della diret- trice si chiamano spazi generatori del cono. Teor. I. Uno spazio Sm+s passante per lo spazio vertice SM taglia il cono Sm Fr p al più in un cono a s+p n + 2w 4- 1 dimensioni di vertice Sm e o? ordine m. Difatti uno spazio Sn-m-* di 5n-m-i taglia al più la F**p in una superficie Frp-\\ perciò congiunto lo spazio n-w-2 con Sm si ha un spazio Sn-\ che incontra al più il cono Sm Fmp in un cono Sm F* p-\. Se si considera uno spazio Ss.\ di Sn-m-i, esso taglia la Fmp al più in una superficie d'ordine r e dis-j-p n + m dimensioni, e quindi uno spazio Ss+m passante per lo spazio $m taglia 11 cono Sm Fr p al più secondo un cono Sm Fr s+p-n+m s-+~P n-f-2m-f-1 dimensioni. CorolL Gli spazi Sn-i, Sn_2, ...., Sn.m passanti per lo spazio vertice incon- trano rispettivamente il cono Sm Fp m in una superficie a p 4- m, p -f- m 1,.... p+\ dimensioni di ordine m. 182. Def. L Se la superficie Fr p nello spazio Sm-n-i è una sfera SPn-m-* il il cono Sm 52n-m-2 ^ di 2 ordine a n 1 dimensioni. Ogni tangepte, ogni piano ed ogni spazio tangente in un punto alla S^-m-s congiunti con lo spazio Sm danno degli spazi a m-}-2, w-j-3 ecc. che diremo tangenti al cono lungo uno spazio generatore. Teor. /. Un cono Sm 2n-m-2 viene tagliato in una sfera da ogni spazio S'n-m-i parallelo di la specie allo spazio della direttrice. Lo spazio SVm-i e quello Sn.m-ì della direttrice essendo paralleli di la spe- cie sono situati in uno spazio Sn-m9 il quale taglia Sm in un punto V0 e la su- perficie Sm ^n-m-s in un cono V0 #Vwt- , dunque ecc. (teor. V, 180). Def. IL Se lo spazio Sn-w-i è all'infinito ed è polare allo spazio Sm-i ^ di Sm, il cono si chiama circolare. Lo spazio Sn+i che congiunge lo spazio m col centro della sfera è lo spazio asse del cono. Teor. IL Gli spazi generatori del cono Sm ^n-wi-2 fanno lo stesso an- golo con lo spazio asse. Difatti la distanza di due punti di Sn-m-i misura l'angolo dei due spazi Sm+i passanti per Sm, perché congiungendo i due punti con un punto di Sm si ottiene un piano normale a Sm stesso (oss. II, 169). Teor, III, Uno spazio Sn.ni normale allo spazio vertice S^ taglia il cono

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544 V0 tfVw-2^ in un cono circolare a n m 1 dimensioni col vertice nel punto d'intersezione dei due due spazi $n-w * Difatti Io spazio Sn.m incontra Sm in un punto V0e gli spazi generatori in rette passanti per V0. La rette di Sn-m sono normali allo spazio Sm, perché i loro spazi all'influito sono polari, e quindi due di esse misurano l'angolo formato dai due spazi generatori, di cui sono le intersezioni (oss. II, 169). Le rette suddette hanno i punti all'infinito sulla sfera d'intersezione dello spazio ali' infinito di Sn-m colla sfera 3 -ro-2 Teor. IV. Uno spazio Sn-m-i normale allo spazio asse e che lo incontra in un solo punto AQ taglia il cono Sm 2n-m- ae in una sfera. Difatti per lo spazio Sn.m.i conduciamo uno spazio normale Sn-m allo spa- zio Sm. Lo spazio Sn-m-ioe polare dello spazio Sm-i^ di Sm passa per lo spazio Sn-m-2oo all'infinito di Sn-m-i, mentre n-tn-2 , è polare di Smoo dello spazio asse. Lo spazio Sn-m condotto per S^M.i ha per spazio all'infinito lo spazio Sn-ro-ioo polare di Sm-i , Lo spazio Sn-m incontra il cono in un cono circolare a n m 1 dimensioni di vertice Y0 e di asse V0A0 (teor. Ili), il quale viene tagliato nello spazio Sn-m da Sn-m_i , che è normale all'asse T7^, in una sfera a n m 2 dimensioni (teor. IV, 180). Def. HI. Questa sezione si chiama sezione normale del cono Sm fiPn-m-2 Teor. V. Gli spazi che congiungono uno spazio Sm coi punti di una sfera a n m 2 dimensioni di uno spazio Sn-m-i ? che non incontra Sm ed è perpen- dicolare allo spazio che congiunge Sm col centro della sfera, costituiscono un cono circolare di vertice Sm. Lo spazio Smoo dello spazio asse è polare dello spazio Sn-m-2 di V i-i. Lo spa- zio Sm-iM di Sm essendo contenuto in Smoi) ha il suo spazio polare Sn-m~i che passa per ^-m-s^; dunque per Sn.m.i possiamo condurre uno spazio normale Sn-m, a Smj che lo incontra in un punto AQ9 pel quale passa la normale con- dotta dal centro della sfera SVm-2 allo spazio Sm . Se X0 è un punto qualun- lunque di questa sfera, i raggi (^0^o) (^o^o) misurano l'angolo dei due spazi (SmXQ)9 ( SWC0), che è costante qualunque sia X0, per l'uguaglianza dei trian- goli A0C0X0 rettangoli in C0 e aventi i cateti uguali. La superficie così gene- rata ha dunque nello spazio polare Sn.m-ÌM di ^i^ una sfera SVw-2oo co1 centro nel punto d'intersezione col piano asse; ed il teor. è dimostrato. Def. IV. Se in quest'ultimo caso lo spazio Sm cade all'infinito la super- ficie conica o cono si chiama superficie cilindrica o cilindro. Altre proprietà della, sfera, SVi. 183. Teor. L Da un punto della parte esterna della sfera S2n.\ si possono condurle infinite tangenti che formano una cono circolare a n I dimensioni col vertice nel punto dato, il cui a^se è il diametro passante pel punto dato. Dim. analoga a quella del teor. Ili, Vili, 101. Coroll. L I punti di contatto delle tangenti condotte da un punto alla super- ficie sferica J n-\ sono situati in una superficie sferica *S^n-i il cui spazio è normale al diametro passante pel punto dato.

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545 Dim. analoga al coroll. I del teor. Vili, 101. Def. I. Questa superficie 2w-i si chiama la sfera di contatto del cono tan- gente alla superficie 2n-i col vertice nel punto dato. Una tangente., un piano, o uno spazio tangente alla superficie S^n-i da un piano o uno spazio tangente al cono. Coroll. IL I piani e gli spazi tangenti al cono tangente di un punto ad una superficie sferica S?n-\ sono tangenti ad essa nei punti della superficie sfe- rica SPn-i di contatto. Oss. .1. Supponiamo che da uno spazio Sn-z di Sn-i esterno ad una sfera fi^n-2 le si possano condurre due spazi tangenti a w 2 dimensioni che formino angoli uguali collo spazio diametrale passante per Sn-3, essendo vera questa proprietà per w=3 fcoroll. ni, teor. Vili, 101). Coroll. III. Gli spazi tangenti Sn-2 che si possono condurre da uno spazio Sn-3 esterno ad una superficie sferica S*n.i formano un cono circolare a n 1 dimensioni, il cui asse è lo spazio diametrale a n 2 dimensioni passante per lo spazio Sn-3* Conduciamo infatti per lo spazio diametrale che congiunge lo spazio Sn_s col centro della superficie S2n-i, uno spazio a n 1 dimensioni che la segherà in una sfera a n 2 dimensioni, alla quale da Sn-z si possono condurre due spazi tangenti che formano il medesimo angolo collo spazio diametrale suddetto (oss. I). Coroll. IV. I punti di contatto degli spazi Sn-i tangenti condotti da uno spazio Sn-3 alla superficie S2n-i sono situati in una circonferenza, il cui piano è perpendicolare allo spazio diametrale che passa per Sn-s* Dim. analoga al coroll. I, teor. Vili, 101. Def. III. Questa circonferenza chiamasi linea di contatto del cono. Coroll. V. Gli spazi tangenti di un cono tangente aventi per vertice uno spazio #n.3 sono tali anche per la superficie sferica S2n-z nei punti della sua circonferenza di contatto. Difatti una tangente della circonferenza di contatto di un cono tangente di 1* specie da uno spazio tangente al cono. Teor. L Da uno spazio Sn-z di Sn si possono condurre due spazi tan- genti a n 1 dimensioni ad una sfera S2n.i. Al cono circolare tangente che ha per vertice uno spazio *SV -a si possono condurre da uno spazio Sn-z passante per #n-3 due spazi tangenti, perché da un punto si possono condurre due tangenti alla circonferenza di contatto del cono suddetto (teor. IV, 60), e gli spazi tangenti a n 1 dimensioni sono tan- geuti anche alla sfera. Ma il teorema è vero per n = 3, dunque è vero in generale. Oss. II. Essendo vera la proprietà dell'ipotesi dell'oss. I sono veri anche il co- roll. Ili dei teor. I che abbiamo dedotto da essa. Teor. IV. Gli spazi tangenti Sm+.\ che si possono condurre da uno spa- zio Sm esterno alla sfera S2n-ì formano un cono circolare avente per vertice lo spazio Sm e per asse lo spazio diametrale passante per esso. Conduciamo per lo spazio diametrale Sm+i passante per Sm uno spazio che taglia la sfera SVi in una sfera 2m-f-i alla quale da Sm si possono 35

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546 condurre due spaza tangenti Sm+ì che formano lo stesso angolo collo spazio asse. Corali. I punti di contatto degli spazi tangenti a m -f- I dimensioni con- dotti da uno spazio Sm alla sfera S2n-i sono situati in una sfera ^n-m-z M cui spazio Sn-m-i è perpendicolare allo spazio diametrale Sm+i passante per Sm. 19. Intersezioni di due, tre eoe. n, sfere a n i dimensioni in . 184. Def. I. Se due superficie sferiche a n 1 dimensioni hanno uno spazio tangente Sn-i in un punto comune AQ, si dice che si toccano nel punto A^ Se sono situate dalla medesima parte dello spazio tangente si toccano internamente, se invece sono situate da parti opposte si toccano esternamente. Nel primo caso la sfera che ha il raggio minore è contenuta nell'altra. Teor. I. Se due sfere tf^-i, #2n-i in Sn hanno un punto comune non si- tuato sulla retta dei centri (asse centrale) le due sfere hanno m comune\ una sfera a n 2 dimensioni col centro suir asse centrale e il cui spazio è perpen- dicolare a questo asse. Dim. analoga a quella del teor. I, 102. Oss. 7. Vale lo stesso teor. II del n. 102 colla dim. analoga Teor. IL m superficie sferiche a n I dimensioni di Snche non conten- gono una medesima superficie sferica a n I, n 2,..., n m -f- 1 dimensioni o non hanno in un medesimo punto uno spazio tangente comune a n 1, n 2, ....,n m-t-2 dimensioni, s'incontrano in una sfera a n m dimensioni, in un punto o in nessun punto. Nel primo caso lo spazio Sn-m-M della sfera d'intersezione riesce normale allo spazio Sm-i che unisce i centri della m sfere; e nel secondo caso hanno uno spazio tangente comune a n m -f- 1 dimensioni. Siano Vi, V2,...-, (m)n-i le m sfere date. Se le superficie U -i, # 2 -2 s'incontrano in una superficie K^n.Z9 e così K n-i, KWn.i ecc. Ifl"1-1)*-!, m n-i in un'altra superficie K^n-z ecc. ^w-lm n_2, gli spazi a n 1 dimensioni di queste sfere $18)w-i S(23)n-i ecc. sono normali alle rette che uniscono i centri 1, 2; 2, 3; ecc. m 1, m. Essi s'incontrano quindi in uno spazio n.m-t-1 nor- male allo spazio Sm determinato dagli m centri. Se questo spazio incontra la sfera (12 n-2 in una sfera Kzn.m, questa è situata in ambedue le sfere HL(I) -I JK^ n-i- Ma la sfera R 2) -* appartiene alla K(*)n-i,9 e quindi essendo lo spazio Sn-w-M e la sfera K^n.\ situati nello spazio tf^n-i, la #(83)n-2 sarà incontrata dallo spazio /Sn-m-f.i in una sfera K'2n-m che è situata sulla /CWn-i, dunque la sfera iTVm coinciderà con la X2w.m. Siccome la KWn-* appartiene alla J^)n-i vuoi dire che la l n-m appartiene anch' essa alla K"3)n-i. Analogamente si di- mostra che la K2n.m appartiene a tutte le rimanenti sfere. Se le m superficie sferiche date avessero un altro punto comune fuori della sfera anzidetta lo spazio determinato dal punto collo spazio della sfe- ra incontrerebbe le m superficie in ung, superficie sferica a n -^ m -|- 1 di-

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547 mansioni comune. Quando lo spazio normale invece non incontra una delle superficie, allora le m superficie non hanno evidentemente alcun punto co- mune. Nel caso che lo spazio normale comune agli spazi delle sfere K l^n.^ #(23)n-s ecc. tocchi una di queste sfere, le m superficie -KWn-i #(8Jn-i } -K^n-i hanno quello spazio come spazio tangente comune. Coroll^ n superficie sferiche a n 1 dimensioni dello spazio Sn che non hanno in comune né una superficie sferica né una circonferenza, o che non hanno in un medesimo punto alcun spazio tangente comune, esse si tagliano in due punti simmetrici rispetto allo spazio dei centri (spazio centrale) o in due punti coincidenti o in nessun punto. Nel secondo caso esse hanno una tangente comune perpendicolare allo spazio dei centri. Dim. analoga a quella del teor. Ili, 102. 20. Sistemi continui di figure invariabili in Sn. 185. Sistema circolare intorno ad un piano. Def. I. Dai sistemi continui di figure invariabili nello spazio all'infinito si ottengono intorno ad un pnnto P0 dello spazio Sn dei sistemi continui di fi- gure invariabili che chiameremo sistemi sferici, di cui P0 è il centro. Def. IL Data una retta, i sistemi sferici intorno al punto ali' infinito di essa danno intorno alla retta dei sistemi continui di figure che chiameremo sistemi conici intorno alla retta come asse. Così seguitandosi può dire : dato uno spazio m, i sistemi conici circolari che hanno per assejo spazio all'infinito di Sm danno dei sistemi continui di figure invariabili intorno allo spazio Sm, che si chiamano sistemi conici circolari in- torno allo spazio Sm come asse. Def. III. Da un sistema di segmenti invariabili sopra una retta rlao otte- niamo intorno ad uno spazio Sn-i il cui spazio ali'infinito è polare dirlco, un sistema di diedri invariabili a n 1 dimensioni, che chiameremo sistema circo- lare di diedri a n 1 dimensioni, di cui lo spazio Sn.i è V asse, e i diedri i diedri ali' asse. Teor. I. Lo spazio asse dì un sistema circolare di diedri corrisponde a sé stesso. Ammesso il teor. per n 1 lo si dimostra per n, essendo vero per n = 2,3. Oss. I Valgono con analoghe dimostrazioni i teor. Ili, IV, V, VI, VII, la def. Ili e il teor. Vili del n. 103. Teor. IL Le figure di un sistema circolare sono congruenti. Se l'asse del sistema si considera come appartenente ad una figura, esso corrisponde a sé stesso in tutte le figure.

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548 Se (40#0), (A'0B'Q) sono due segmenti corri- spondenti e sono dati n 2 punti P0w, .... ?0oo dello spazio asse, gli euniedri P0.P0 ,.... 00oo^0^o PVPQ #00X0^0 sono dello stesso verso, perché lp sono i due driedri P0ao.... Q^AJP^B^ P0co.... ?000^P7#0 (teor. IV, 103 e oss. I), e quindi es- flg. uà ' sendo congruenti due enniedri corrispondenti lo sono anche le due figure (oss. I, 173), dunque anche senza I1 asse del sistema (fig. 118). Teor. III. Le rette, i piani e gli spazi corrispondenti di un sistema circo* lare formano lo stesso angolo coli'asse. Dijn. analoga a quella del teor. X, 103. Oss. IL Valgono il coroll. I del teor. X e i teor. XI, XII, del n. 103 colle stesse dimostrazioni. Teor. IV. Due figure simmetriche rispetto ad un piano in uno spazio a a n 2 dimensioni appartengono in Sn ad un sistema circolare intorno allo spazio Sn-i come asse. Dim. analoga a quella del teor. XIII, 103. 186. Sistema parallelo. Def. I. Se Tasse Àn.z di un sistema circolare di diedri è all'infinito, tutti gli spazi Sn-\ passanti per esso sono paralleli, e scelta una retta perpendicolare alla direzione di essi, i segmenti di essa servono a misurare Je parti del fa- scio determinate dagli spazi di esso (oss. I, 169). Considerando sulla perpendicolare un sistema continuo di segmenti inva- riabili si ha un sistema continuo di parti del fascio suddetto, che si chiama sistema parallelo, e la direzione degli spazi del sistema direzione del sistema. La parte di un fascio di spazi paralleli chiameremo zona del fascio. Oss. I. Sussistono i teor I, II, III del n. 104, il teor. analogo al teor. IV, e la def. II dello stesso numero. Teor. I. Le figure di un sistema parallelo sono congruenti. Dim. analoga a quella del teor. V, 104. 187. Sistema generale ad una dimensione. Teor. I. Data una figura e una linea I nello spazio Sn, ta figura appar- tiene ad un sistema continuo ad una dimensione di figure invariabili del quale la linea data è una linea di punti corrispondenti. Dim. analoga a quella del teor. II, 65. Teor. II. Due figure di un sistema continuo ad una dimensione di figure invariabili sono congruenti. Dim. analoga al teor. II, 105. Coroll. Due figure simmetriche di Sn non possono appartenere ad un si- stema continuo di figure invariabili in Sn. Oss. Qui vale la stessa osservazione fatta al n. 65 pei sistemi continui di figure invariabili a più dimensioni.

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549 21. Applicazione del linguaggio del movimento ai sistemi di figure invariabili. 188. Oss. I. Corpi che si muovano realmente ne vediamo soltanto nel nostro mondo sensibile esterno (oss. emp. 1 e 37), quandi H movimento nello spazio S t a puramente astratto, come tale è anche lo spazio, vale a dire senza che pei nostri sensi abbia un corrispondente oggetto esterno che ne concreti approsimativamente la realtà. Ma per il principio del n. 18 dell1 introduzione noi possiamo immaginare, sempre astrattamente, che lo spazio generale e quindi anche Sn sia dato, e perciò si può ap- plicare ad esso il linguaggio del movimento, come si è stabilito al n. 67 dell'intro- duzione . Con questo linguaggio si possono esprimere diversamente le proprietà dei si- stemi continui, anche se le linee di punti corrispondenti del sistema non godono tutte le proprietà di quelle intuitive (oss. emp., def. I e II, 36), supposto però che ai lin- guaggio del movimento non sia data tutta la libertà del n. 67 dell'introduzione, ma che esso sia applicato ai soli sistemi continui. Dire che una figura può muoversi liberamente in Sn rimanendo invariabile si- gnifica che immaginiamo dati tutti i sistemi di figure invariabili in Sn di cui fa parte la figura data, considerando le altre figure di questi sistemi come posizioni diverse di questa figura (int. 67). Le proprietà del teor. li, 187 e del suo corollario si espri- mono dicendo che due posizioni di una stessa figura sono congruenti, e che due fi- gure simmetriche di Sn non possono trasportarsi runa sull'altra in S , ma possono trasportarsi. P una sull'altra in $n+i. Il teorema che due figure congruenti di Sn non possono avere n coppie di punti corrispodenti comuni e indipendenti senza conincidere (oss. 1,173), col linguaggio del movimento esprime che una figura non può muoversi senza deformazione (def. II, 37) tenendo fissi n dei suoi punti indipendenti. Si dimostra in modo analogo al teor. X, 106 che due figure congruenti possono trasportarsi runa sull'altra mediante una tra- slazione en l rotazioni o mediante n rotazioni.

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CAPITOLO IL Operazioni del proiettare e del segare In Sn. Appli- cazione di esse allo studio delle configurazioni di un numero finito di spazi in ogni spazio Sr (r *)1). i. Operazioni del proiettare e del segare. Figure omologiche complete. 189. Def. I. Proiettare i punti, le rette, i piani e gli spazi di Sn da uno spazio Sm (m ^n 1) significa con giungere i punti, le rette, i piani e gli spazi Sp di Sn (r ^ n m 2) con Sm. Def. IL Segare uno spazio Sr con uno spazio Sm significa determinare lo spazio -Sa d'intersezione di Sr con Sm , perciò deve essere r -\- m n ^ o (teor. II, IV, 158). Lo spazio Sm si chiama spazio di sezione. Def. III. Le operazioni del proiettare e del segare si chiamano duali perché allo spazio che proietta Sr da Sm si può far corrispondere lo spazio d' intersezione di Sn.r-i duale di Sr collo spazio Sn-m-i duale di Sm (def. 159). Def. IV. Proiettare da un Sm uno spazio Sr sopra o in uno spazio Sm si- gnifica determinare lo spazio d'intersezione Sa dello spazio Sm+-r-* i collo spa- zio Sm'. Lo spazio Sa chiamasi proiezione di Sr in Sm' ; Smf spazio di proiezione, i spazio proiettante, ed Sm centro. Oss. I. L'operazione dei proiettare da un Sm in un Sr si compone di una pro- iezione e di una sezione, e quindi ad essa non è duale in Sn una sola sezione, ma una sezione ed una proiezione. Def. V. Se lo spazio di proiezione è uno spazio duale Sn-m-i allo spazio centro Sm e che non lo incontra in alcun punto, ogni punto AQ di Sn ha per proiezione un punto ed un solo punto A'Q in Sn-ro-i e la proiezione si chiama univoca. Oss. II. In tal caso uno spazio Sr proiettato da un Sn-m-i in Sm da in questo spazio un Sr . ColPoperazione duale in Sn si sega con Sm lo spazio Sn-r-i , e poi si proietta da Sn-m-i' Ma lo spazio d'intersezione di Sm con Sn-r-i è Sm-r-i (teor. II, 158), che è duale a Sr in Sm- Rispetto allo spazio Sm le due operazioni del proiet- tare in Sm e del segare con Sm sono dunque duali. Oss. III. Come è facile vedere, ogni proiezione secondo la def. IV si deduce da una proiezione univoca; basta dunque che ci limitiamo a quella della def. V. La i) m questo capitolo non facciamo uso che dei teoremi sulle intersezioni degli spazi in sn.

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561 proiezione univoca non è però reciproca (ini. def. II, 42) perché il puntolo è proie- zione di tutti i punti dello spazio (Sm^o). Oss. IV. Per proiettare in una retta il centro di proiezione deve essere uno spa- zio Sn-2, che è duale alla retta. Così per proiettare in un piano o in uno spazio a tre dimensioni il centro di proiezione deve essere uno spazio 8^.3 o uno spazio Sn^ (co- roll. def. 1, 159). Con questa operazione noi otteniamo delle figure nella retta, nel piano e nello spazio 3 segando gli spazi passanti per gii spazi Sn-2, n-3, e n-4; questa opera- zione è dunque compresa in quella più generale di segare colla retta, col piano e collo spazio 83 delle figure qualunque dello spazio Sn . Ma la ragione della distinzione della prima operazione dalla seconda, la si vede quando data una figura di $n si proiettano ad es. i suoi punti e le sue rette, le sue linee in 2, e poi si tagliano i suoi spazi e le sue superficie col piano S2 o con un altro piano. Si ottengono cosi in generale figure diverse in S.2. 190. Oss, I. Qui supponiamo nota la Corniola che da le combinazioni di n oggetti r a r, che è indicata dal simbolo ( JJ V Def. 1. Per piramide completa in Sn intenderemo la figura formata da N punti (2V^~w-f-l) e dagli spazi che sono da essi determinati, che si chia- mano spigoli^ se sono rette, o facce piane, a tre ecc. a n 1 dimensioni se sono piani, spazi a tre, ecc. a n dimensioni. Teor. I. Quando in uno spazio Sr i vertici diq 1 piramidi sono situati rispettivamente a q 1 a q 1 inp rette passanti per un punto P0, e si pone q n r-f-2, p = N (n r-f-1) quelle piramidi determinano mediante le intersezioni dei loro spigoli , facce piane..., facce a r 1 dimensioni Sr-i una figura di /JP+2 1 \ / N \ _ /p+2-1 x o (N^ _ V q-l ) S" \n-r+%) = \ q ) ^"" \n) \q+r-2 Per ogni SQ passano N (n r+l =p Sl9(N^n^r+l^) = (!) ,, . . . /N (n r-f-l)\ / p \ ( r-1 ^^Vr-i;^' Sr-z N (n l) = p r -f 2 Sr-\ Ogni Sl contiene n r 4- 2 = q S0 1\ _ /g-f-r 3\ /n 1 , /g-fr 3\ r-3 *-i Questa figura ha le stesse proprietà rispetto a ciascuno dei suoi spazi delle stesse dimensioni. Per esempio se si parte da un punto qualunque della figura si hanno q 1 nuove piramidi di p 1 vertici, i quali giacciono ri- spettivamente a q I a q I in p rette passanti per quel punto, e che deter- minano la stessa figura.

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552 Questa figura può riguardarsi come la sezione detto spazio Sr in cui essa giace, colla figura completa di N punti nello spazio Rn; e viceversa, da una tale configurazione di N punti di Sn si ottiene con la sezione fatta da uno spazio Sr di Sn una figura analoga alla prima. Questa figura è anche la proiezione della figura completa di JV=p -f- q 1 spasi Sp-i nello spazio Sp fatta da uno spazio Sp.r.\ su Sr. Siano dati N punti indipendenti in Sn che indico con le cifre 1,2,3..., N dove 1. Essi determinano a due a due, a tre a tre, ecc. a n a n 2-----(w+l) S -----(w-r-f i Di questa figura: Per ogni /S^ passano (N 2) S .... ( m3i ) ^m . ., S2 (2V-3) r _ /*T i\ . /N r l Sn-r (2V-(n-r+l)) flW-Hi... (""Vii 9 ^1 r. ) r+3)i Ogni ^ contiene 2 3 ^ Sn-r (n r+1) S0, ... (n r-f-1) * (w r+2) S0, ... (w- (w-r+3) S0, .. 1 ^)^**-r ( r 2 /

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553 Seghiamo óra questa figura con uno spazio Sr . Uno spazio Sr interseca gli spazi Sn-r della figura in punti, gli spazi $n-r+i in rette e così via, gli spazi -! in spazi Sr-\. In tal guisa la figura sezione è costituita da tanti punti rette ecc. e spazi Sr-\ quanti sono gli spazi #n-r, Sn.r+i ecc. e Sn-i della figura completa degli N punti in Sn . Siccome ciascun spazio Sn.r di questa figura si ottiene da una combinazione degli N punti a (n r-l-1) a (n r-f-1), e ciascuno Sn-r+i da una combinazione degli N punti a (n r-J-2) a (n r-{-2) ecc., così possiamo utilizzare queste combinazioni per I1 indicazione dei punti, delle rette, dei piani ecc. della figura sezione. Se noi indichiamo per es. gli N punti con i numeri 1, 2, 3, . . . ., N9 lo spazio Sn.r determinato dagli n r-j-1 punti 1, 2, 3, .. . (n r), (n r-\-l) ci da un punto della figura in Sr che indicheremo col sim- bolo 123 ... (n r) (n r-t-1). Ma per quello spazio Sn-r passano tutti gli spazi ^n-r+i che si ottengono aggiungendo successivamente agli n r+1 punti di Sw uno ad uno gli N (n r-j-1) rimanenti punti. Uno spazio Sn-r+\ viene ta- gliato dallo spazio Sr in una retta; quindi pel punto 12t . . . (n r) (n r+1) passano tutte le rette della figura di Sr i cui simboli contengono il simbolo del punto, cioè: ...(n r-H)(n-r+3), ...123...(^ r+l)(N (n Sopra ciascuna di queste rette giacciono oltre al punto 1 2 3 ... (n r-j-1) altri n r -f- 1 punti della figura, perché in ogni Sn.r+i sono contenuti n r-{-2 n-r-25 essi corrispondono alle combinazioni degli n r + 2 nu- meri n r -f- J a n r+1 del simbolo della retta. Così per es. nella prima retta giacciono i punti 1 2 3... (n 1) (n-r+2), 2 3... (n r \) (n r+1) (n r+2),... ; nella seconda i punti 1 2 3... (n r) (n r+3),2 3,.. (n r I) (n r+1) (n H-3), ecc. Se congiungiamo due punti di una stessa colonna, otteniamo un' altra retta' della stessa figura. Per es. se congiungiamo i due primi punti della prima colonna, si ha la retta: 1 2 3 ... (n r) (n r+2) (n r+3) e per quelli della seconda colonna la retta 2 3 ... (n r l) (n r-f-1) (n r-f2) (n r-f2) ecc. Queste due rette s' incontrano in un punto della figura, cioè nel punto 23... (n r 1) (n r+2) (n r-f-3). Per ciascun punto della figura passano dunque N (n r+1) rette di essa, e in ciascuna di queste giacciono, oltre al punto dato, n r + 1 punti della stessa figura. Noi possiamo formare quindi con essi n r -f- 1 piramidi di N (n r+l) vertici, che giacciono rispettivamente in quelle N (n r+l) rette. Una tale piramide è formata con quei punti, i cui simboli hanno comuni n r numeri, come per es. i 2 3 ... (n r) (n r+2), 1 2 3 ... (n r) (n r+3)... ; 1 23... (n r)(N (n r+l)). Si può domandarsi se la figura di queste n r-f-1 piramidi è una fi- gura generale, oppure se una figura generale di n r -f 1 piramidi in Sr , i cui

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554 vertici giacciono rispettivamente in tf - (n ?H-t) rette passanti per un pun- to, può essa pure considerarsi quale sezione di una piramide di N punti di Sn . La risposta è affermativa. Infatti supponiamo date le N (n r-f-1) retta passanti per un punto che indichiamo col simbolo 1 23...(n r+1), e sopra di esse i vertici delle piramidi in Sr indicati con gli stessi simboli di prima. Dal punto 1 2 3 ... (n r) (n r-f-I) conduciamo uno spazio Sn-r che incontri Sr nel solo punto dato, e in questo spazio prendiamo n r -f- 1 punti del tutto indipendenti, che indichiamo con 1, 2, 3,..., n r-f- 1. Congiungiamo ora i vertici, che giacciono nella retta 1 2 3 ... (n r-j-2), per es. il vertice 1 2 3 ... (n r) (n r+2) coi punti 1,2, 3, ..., (n r) di Sn-rì otteniamo un nuovo spazio *Vn.r, e per tutti i vertici di quella retta otteniamo n r-j-1 spazi Sn-r i quali sono situati entro allo spazio Sn-r+i determinato dalla retta e dal primo spazio Sn.r passante pel punto 123... (n r-f-1). Questi n r + 1 spazi Sn-r si incontrano quindi in un punto (teor. Ili, 158) che noi indicheremo col numero n r -\- 2. Se ripetiamo questa stessa ope- razione per le altre rette passanti pel punto 1 2 3 ... (n r-J-1), otteniamo in tutto N (n r+l) nuovi punti, che coi punti 1,2,3,... n r 4- 1 sopraindi- cati danno N punti. Dalla figura completa di questi punti si ottiene mediante una sezione la figura delle n r -f 1 piramidi date in Sr . Per dimostrare l'ultima proprietà, osserviamo anzi tutto che gli spazi Sr-\ della figura sono (-^"f r~2/ cioè in numero uguale o maggiore dei suoi punti, essendo ,ZV:~ n-f- 1- Scegliamo uno di questi spazi Sr-iì in esso sono contenuti n~q 4- * 2 spazi *SV-2, e per ciascuno di questi passano N n-h i ~p r-f 2 spazi Sr-i. Si vede dunque che la figura precedente può essere ottenuta colla proiezione di un'altra configurazione. Se noi supponiamo che nello spazio Sn si abbiano N spazi Sn-i in luogo di N punti, essi determinano la figura correlativa alla prima, che si compone evidentemente di (f Sn.2, (f Sn.3, ..., (n_^1 Sr-i (n \ n) ^o e in ciascun Sr-\ sono situati: N-(n-r+l)Sr.t, ...... Proiettando questa figura da uno spazio Sn-r-i qualunque sopra uno spazio Sr che è correlativo al primo e che supponiamo non abbia con esso alcun punto comune, si ottiene in Sr la figura correlativa alla precedente, ricor- dando che gli spazi Sr-i, Sr-z, .... SQ sono proiettati in spazi dello stesso nu- mero di dimensioni. In uno spazio qualsiasi Sr-i di essa sono situati p spazi Sr-2 e per ciascuno dei quali passano q spazi *SV-i, coinè in ogni spazio 8^,+^ della figura precedente sono situati q spazi Sn-r ove q = n r + 2 p = N (n r+l). Ora per avere i valori di n' ed N* tali che questa figura coincida con quella del teorema, basta porre evidentemente p r + 2 = ri r + 2

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555 da cui Osserviamo che si ha pj=sq^ij essendo q \=zN p. Oss. I. Gli spazi di una tal figura possono essere indicati con due simboli diffe- renti, secondo 'Che la si considera come sezione o come proiezione di una figura data in uno spazio superiore. Oss. IL Questa proprietà ci permette di ottenere i teoremi delle figure complete analoghe in una maniera molto semplice, cioè mediante il principio del proiettare e del segare. Def. II. Quando noi partiamo dal punto 123...% r+ 1 della figura del teor. I colle successive intersezioni degli spigoli e delle facce delle q 1 pira- midi si giunge allo spazio (n r-f-2).. (N (n ^+1)) (quando però questo simbolo corrisponda ad uno spazio della figura (vedi esempi . 3). Siccome i simboli del punto e dello spazio S presi insieme ci danno tutti gli indici degli N punti, così li chiameremo complementari; e in generale sono complementari due spazi della figura i cui simboli hanno per somma il numero N. Oss. III. La piramide più semplice in Sr ha r 4- 1 vertici, vale a dire la pira- mide fondamentale. Def. III. Consideriamo due di queste piramidi in Sr i cui vertici siano due a due allineati con un punto O. Due tali piramidi si chiamano omologi- che ed O il centro d'omologia. Due vertici di esse allineati con O si chiamano corrispondenti e così due facce che passano per lo stesso numero di vertici. In questo caso # = 3 = n r -}- 2, p = r + 1 = N (n r+1) da cui n = r + l, JV=:r-f-3. Coroll. I. Gli spigoli piani ecc. e le facce Sr-i di dite piramidi omologiche cor- rispondenti si intersecano in punti, rette9 piani ecc. di uno spazio Sr-i, che cor* risponde al centro d'omologia. La figura completa si compone di *"' 2 - Q - 23 - l " " - 2 r-4- T r(r-4-\} rfr-4-11 Per ogni S0 passano r + l S19 ^ ^ S 'M T Sr~l Sl Ogni Sl contiene 3 SQ S2 6 SQ, 3 Sl ecc. Questa figura si ottiene con la sezione dello spazio Sr da una configu- razione di r 4- 3 punti dello spazio ST+I. Se noi poniamo nel teorema precedente per N ed n i valori ora trovati, vediamo che il numero degli spazi Sr-i della figura completa di queste due piramidi è ^ ^ - - -9 cioè uguale al numero dei punti della medesima; dun- que la figura è duale di sé stessa, ed inoltre i suoi spazi complementari sono duali. Possiamo indicare i punti della figura coi simboli 12, 13, ecc. le rette

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556 coi simboli 123, 124 ecc. e gli spazi Sr.{ coi sìmboli 1 2 3 4 ... r -f 1, cosi che lo spazio 3 4 ... (r-f- 3) è complementare al punto" 12. Se il punto O viene in- dicato con 12, i vertici delle due piramidi coi vertici allineati con O, sono 13, U,..,,l(r+3), 23, 24 ____ ,2(r-f3) Gli spigoli delle piramidi sono quindi 134, 135, . . . , 145, 146, ecc. 234, 235, ____ , 245, 246, ecc. I punti d'incontro degli spigoli corrispondenti 134, 234 oppure 34 135, 235 35 appartengono allo spazio 3 4 5 ... (r-f-2) (H-3), che corrisponde al punto 12. La figura completa di due piramidi omologiche fondamentali di Sr può riguardarsi anche come la proiezione di una figura di r 4- 3 punti qualunque di Rr-t-i; per conseguenza uno spazio della prima può essere, espresso o col simbolo già indicato, oppure con quello dello spazio complementare. Def. IV. In generale noi diciamo che due piramidi con più di r+ 1 ver- tici in Rr sono omologiche, quando non solo i loro vertici sono allineati due a due con un punto (centro di omologia) ma anche quando i loro spigoli, piani ecc. si tagliano in uno spazio Rr.\ (spazio di omologia). Pel corollario dato la seconda condizione non è necessaria per due pi- ramidi fondamentali. Coroll. IL Se i vertici di due piramidi in Sr sono r se sono allineati a due a due con un punto, gli spigoli e le facce di esse s9 incontrano in uno spa- zio Sr-s-l Teor. IL La figura completa di due piramidi omologiche fondamentali in uno spazio Sr si scompone in r 3 gruppi di due piramidi duali di r + 2 ver- tici^ rispettivamente di r -j- 2 facce a r 1 dimensioni 5r-i, le quali non hanno alcun spazio comune e che prese insieme formano la figura primitiva. Consideriamo ancora due piramidi fondamentali omologiche in Sr , il cui centro d'omologia sia 12. Con questo punto e coi vertici di una delle due pira- midi, per es. 13, 14, . , . , 1 (r-f- 3) formiamo una piramide di r-f- 2 vertici, cioè 12, 13, . . . , 1 (r + 3), e consideriamo anche la piramide duale 34. ... (r-f- 3), 245 .... (r -f 3), . . . ., 23 .... (r -f 1) (r -f- 2). Queste due piramidi non hanno alcun spazio comune, perché tutti i simboli degli spazi della pri- ma contengono la cifra 1, mentre 1 non è contenuto nei simboli di quelli della seconda. Vediamo però ancora che (r -f- 2) vertici della prima e gli (y-1- M H- ) della seconda presi insieme danno precisamente gli u o " punti S0 della figura completa delle due prime piramidi. Di questi gruppi ce n' è tanti quanti sono le cifre contenute nei simboli di questa figura, cioè r-j-3.

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557 Ref. V. Date le due piramidi duali di uno degli r + 3 gruppi, per es. 12, 13, ..., 1 (r + 2), 1 (r + 3) 345 ... r + 3, 245 ... r+3, ..., 234,. ,(r + l)(r + 3), 234 .. .(r + l)(r + 2), consideriamo l'ultima di esse ; r delle sue facce a r 1 dimensioni si incon- trano in un punto; per es. le prime r hanno comune il punto (r + 1) (r + 2), il quale corrisponde allo spazio d'intersezione Sr_2 delle due ultime facce, cioè 234 ...r (r-f-1). Il punto (r + l)(r + 2) e questo spazio Sr-z determinano uno spazio Sr-i, che chiameremo spazio diagonale della piramide. Abbiamo dun- + 2) que in tutto spazi diagonali, che costituiscono la figura dia- gonale della piramide. Se r=2 si hanno 3 sole rette diagonali. La seconda piramide può essere rappresentata dal simbolo 234 ... r + 3, vale a dire mediante r+2 cifre della serie 1, 2, 3, ..., r + 3. Teor. HI. Tutte le piramidi diagonali di r + 2 facce Sr-i degli r + 3 grup- pi della figura completa di due piramidi fondamentali omologiche in Rr , sono due a due omologiche per un punto e per uno spazio della stessa figura quale centro e spazio di omologia. La stessa cosa accade per le r + 3 piramidi rimanenti di r + 2 vertici duali alle prime. Siano date due di queste piramidi per es. 2345 ... (r + 3), 1345 ... (r + 3) Le loro figure diagonali sono date dai seguenti spazi Sr.\ : Ia 3 45 4 35 ... r + 3 ... r + 2 13 45 ... (r + 3) 14 35... (r + 3) r- + 3) 34 ... r + 2 l(r + 3) 3 i... (r+2) 5+1) 23 ...(5-1) (5+2) ... (r+3) 4H-D 1' ....(.-1MH-2) ... (H-3) r+3) 23 .... (5 1) (5+1) ... (r+2) (r+3) 1 3 ... (a-l)(*+l) ... (r+2) ,+2) (r+3) 234 ... r + 1 (r+2) (r+3) 13... (r+1) Da questo specchietto risulta che le due piramidi diagonali sono omolo- ghe per il punto 12 quale centro e per lo spazio 345 ... r + 3 quale spazio di omologia. Infatti lutti i punti di queste piramidi, i cui simboli non contengono né la cifra 1 né la cifra 2, corrispondono a sé medesimi, perché essi sono si- tuati nello spazio 345 ... r + 3. Una coppia di punti, come 13 e 23 giace in una retta passante pel punto 12. Se consideriamo un' altra coppia di punti \s, 2$, dove = 4, 5,- ... , (r + 3), si vede che questi punti giacciono per diritto col punto 12, e che le rette 13, Is; 23, 2* si incontrano nel punto 35 dello spazio d'omologia.

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558 Teor. IV. Affinchè la figura in Sr del teorema I sia ditale a sé stessa si deve avere p = q + r 2. Bisogna che il numero dei punti S0 della figura sia uguale a quello de- gli spazi Ss-i, vale a dire si deve avere : / N \-/N\ m Vn-r-fl/ - Vn/ W* Si può soddisfare a questa uguaglianza ponendo: N n+r=n-f-1 da cui N=*2n r+\. (2) Ma n q + r 2 N=p + q 1 dunque p=g+r-2 (3) E inversamente se ha luogo questa relazione, sussiste la (2) ed anche la (1). Da ciò che precede risulta facilmente che: Corali. Una tale figura duale di sé stessa si ottiene colla sezione * dello spazio Sr con una piramide di JV=2n r + 1 punti dello spazio Sn; colla proiezione sullo stesso spazio Sr della piramide duale in Sn. o o Applicazioni al piano e allo spazio S3. 191. Applicazioni al piano. Dal teorema I, 190 abbiamo per r 2, ossia per il piano: qs=n, ps=N n + 1 a) II caso più semplice è q =*3 e p = 2, allora JV=4, vale a dire si ot- tiene nel piano un quadrilatero. b) 0 = 3, p=3, JV=s5 Otteniamo nel piano la figura completa di due triangoli omologici cioè quella di 10 punti, che giacciono tre a tre in 10 rette. Questa figura si scom- pone in cinque gruppi di un quadrangolo e di un quadrilatero completo, che non hanno alcun vertice e alcun lato comune e che presi insieme formano l'in- tera figura. Si ha pure che due dei cinque quadrangoli o quadrilateri sono omologici. Il centro e l'asse di omologia coincidono con un punto e colla retta corrispondente della fignra x). Questa figura risulta segando un pentangono completo dello spazio R%. e) g=4, p = 3, N=6 In tal caso si hanno 20 punti, che a 4 a 4 giacciono in 15 rette, che a tre a i) Nella Memoria sopra resagrammo di Pascal (Atti della R. Acc. del Lincei, 1877) abbiamo dimo- strato che le 60 rette di Pascal formano 10 di queste figure, i cui punti sono punti di Kìrkman ; che una di questa figura o polare reciproca di sé stessa rispetto ad una conica g. H quadrangolo e il quadrilatero di uno dei 5 gruppi citati sono polari reciproci rispetto alla conica ff.

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559 tre passano pei 20 punti. La figura così ottenuta si scompone in 10 coppie di punti complementari per es. 123, 456; ecc. l). d) 2 = 4, p = 4, N=7 Abbiamo tre quadrangoli 124, 125, 126, 127; 134, 135, 136, 137; 234, 235, 236, 237 i cui vertici sono situati sulle rette 1234, 1235, 1236, 1237 che passano per il punto 123. I lati dei tre quadrangoli sono 1245, 1246, 1247, 1256, 1257, 1267 1345, 1346, 1347, 1356, 1357, 1367 2345, 2446, 2347, 2356, 2357, 2367. I lati corrispondenti s*incontrano nei punti 145, 146, 147, 156, 157, 167 245, 246, 247, 256, 257, 267 345, 346, 247, 356, 357, 367 che giacciono tre a tre nelle rette 1456, 1457, 1467, 1567 2456, 2457, 2467, 2567 3456, 3457, 3467, 3567 le quali s'incontrano tre a tre nei quattro punti 456, 457, 467, 567 della retta 4567. Questa retta corrisponde dunque al punto 123. La figura si compone quindi di 35 punti, che giacciono 4 a 4 in 35 rette, passanti 4 a 4 per i 35 punti. e) Per le figure duali nel piano si deve avere N=2n l cioè : p = n, q = n 192. Applicazioni allo spazio S.ò. Poniamo ora r = 3, cioè seghiamo la figura degli Spunti ili Sn con uno spazio Sy Si ha: q = n i, p~N ^4-2 a) Sia gs=3, p = 4, da cui JV=6, n = 4. Otteniamo in R3 la figura di due tetraedri omologici, cioè 13, 14, 15,16 e 23, 24, 25, 26, i cui vertici sono situati due a due nelle quattro rette 123, 124, 125, 126 passanti pel punto 12. Gli spigoli e le facce piane corrispondenti si tagliano in punti e rette di un piano. La figura si compone di 15 punti situati 3 a 3 in 20 rette e 6 a 6 in 15 piani, i quali passano 3 a 3 per le 20 rette (coroll. teor. I, 190). Per ciascun I) fissa o analoga alla figura delle 10 coppie di punti ai Steiner iiell'egagrammo di Pascal.

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560 punto passano 4 rette, e in ciascun piano ne giace un eguai numero. Al punto 12 corrisponde il piano 3456. Dunque: La figura completa di due tetraedri omologici in S3 è duale di sé stessa. Essa si scompone in sei gruppi di un pentagono e di un pentaedro. Due qual- unque dei pentagoni o dei pentaedri sono omologici. Il centro e il piano di omologia cadono in un punto e nel piano corrispondente della figura *). b) 2 = 4, p = 5 da cui n =3 5, JV=8 si ottiene una figura di 56 punti, che giacciono 4 a 4 su 70 rette, passanti 5 a 5 per i 56 punti, vale a dire si ottiene una figura duale di sé medesima. Al punto 123 corrisponde il piano 45678. E così via. 3. Configurazioni generali di un numero unito di punti o di spàzi. 193. Def. I. Un gruppo qualunque di n punti, o rette, piani e spazi in uno spazio Sm non contenuto in uno spazio inferiore chiamasi configurazione di Sm 2). Def. IL Due configurazioni sono della stessa specie in due spazi SM e m quando si possono ottenere una dall'altra mediante un numero finito di proie- zioni e di sezioni successive. Oss. I. Tenendo conto fra due configurazioni del solo fatto che si possono ot- tenere o no in questo modo, possiamo dire che due configurazioni della stessa specie sono configurazioni uguali (int. def. IV, 9), Per dimostrare il seguente teorema ci appoggiamo ai teorema che. date due pi- ramidi fondamentali P%P' di Sn si può dedurle per proiezione e sezione l'ima dal- l'altra, e in guisa che ad uno spazio Sr che taglia o proietta P in un Sn-r-ii corri- sponda uno spazio SV che taglia o proietta P in uno spazio SW-i e che le due con- figurazioni in Sr * SY, o Sn-r-i, #Vr-i siano della stessa specie 3): Teor. I. Ciascuna configurazione di n 4- 1 o meno din-\- 1 punti in uno spazio Rr y può ottenersi quale proiezione di infinite piramidi fondamentali di Sn, o quale sezione di infinite piramidi fondamentali di uno spazio supe- riore di Sr . Una tale configurazione può essere ottenuta mediante proiezione e sezione da infinite piramidi fondamentali di quanti si vogliono spazi. Reciprocamente, da una piramide fondamentale di Sn si possono ottenere con proiezione (o sezione) tutte le specie di configurazioni di (n-\-l) o meno di n -f- 1 punti (oppure spazi Sr-\} di uno spazio inferiore Sr. 1) La figura completa di due piramidi omologiche è polare reciproca di sé stessa rispetto ad una superficie di 2 grado (Vedi A. Behandlung der proiect. Verhàltaissen eco. Matti. Ann. Voi. XIX) rispetto alla quale sono polari due qualunque delle piramidi duali di esse (teor. 111,190). Cosi nel caso di r 3 i pentagoni e i pentaedri duali dei sei gruppi della figura completa di due tetraedri omologici in 83 sono polari reciproci rispetto ad una superficie di 2 grado. S'incontra questa figura in quella com- pleta di 6 complessi lineari in involuzione di Klein e della superficie dei centri di curvatura di una superficie di 2 grado (vedi A Sopra alcune notevoli configurazioni ecc. Memoria II. Atti della R. Accademia dei Lincei, ISSI, pag. 75 e s g.). 2) La teoria generale delle configurazioni di un numero finito di spazi non riguarda soltanto quelle nelle quali ad es. gli n punti di una configurazione sono situati p ap in rette o spazt che pas- sano r a, r per gli n punti dati, ma anche quelle nelle quali gli n punti sono situati in curve e su- perficie. Qui noi riguardiamo il problema in questo senso più generale. Del resto la geometria {def. IH, 2) non è che la scienza dei gruppi o configurazioni di punti. 3) vedi A. Behandlung der proiect. Verhàltnissen der Baume von mehereren Diraensionen 1. e.

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561 Siano dati n-H punti arbitrar! ad es. in un piano R^ che naturalmente non siano situati su una stessa retta, e proiettiamoli da uno spazio qualsiasi Sn.^ che non incontra il piano. Per lo spazio Sn-s passano dunque n + 1 spazi Sn-z, i quali però non giacciono in uno spazio Sn.\, poiché si è escluso il caso in cui^n-3 ahbia uno o più punti comuni con S2. Noi possiamo quindi scegliere neglin-\-\ spazi Sn-z altrettanti punti, in modo però che non siano situati in uno spazio inferiore a Sn ; essi formano una piramide fondamentale. Dunque la fi- gura degli n -f 1 punti dati nel piano è la proiezione di infinite piramidi fonda- mentali di Sn. Si comprende ancora meglio il teorema duale. Date n -f- 1 rette sul piano che non passano per un solo punto, per ciascuna di esse facciamo passare uno spazio Sn-i in Sn ; gli n-\-\ spazi Sn-\ così ottenuti determinano una pi- ramide fondamentale di f$n, di cui la figura delle n 4- 1 rette non è che una sezione della piramide fatta col piano S# È evidente che la stessa dimo- strazione vale anche per ogni configurazione di n + 1 punti o di n -f- I spazi Sr-i in uno spazio Sr , purché sia r n e r^ o. Si vede che da una piramide fondamentale di Sn non si deducono soltanto con proiezione o sezione tutte le specie di configurazioni di w-f-1 punti o di n -f 1 spazi Sr-\ di Sr , ma an- che tutte le configurazioni di s punti, dove è r * w 4- 1. Infatti se per es. 10 spazio Sn-r-i che proietta la piramide fondamentale in Sr passa per n s-f- 1 dei vertici di essa, è chiaro che la proiezione si comporrà soltanto di 5 punti. Oss. II. Lo studio delle configurazioni di un numero finito di punti e rette nel piano, di punti, rette e piani in 83, ecc., di venta con questo teorema più semplice e più in- tuitivo. Per determinare tutte le configurazioni di n-f- 1 punti del piano o del nostro spazio basta trovare tutte le posizioni di uno spazio ^-3, o Sn-4 rispetto ad una pi- ramide fondamentale di Sn. Da queste diverse posizioni per es. di Sn^ proiettan- do sopra un piano S% che non incontra Sn-3 si avranno tutte le configurazioni ri- chieste. possiamo dire subito che se dagli n-\-l punti della piramide fondamentale in Sn si vogliono otterfere n -j-1 punti della retta, del piano o dello spazio S3, bisogna che gli spazi proiettanti non abbiano nessun punto comune con gli spigoli di quella piramide. Se per es. lo spazio proiettante Sn-3 sul piano S2 avesse un punto comune con lo spigolo 12, esso determinerebbe con questo spigolo uno spazio Sn-2, che incontrerebbe 11 piano S2 in un solo punto, e si avrebbe allora in esso una configurazione di TI.punti. Osservo poi un'altra cosa che facilita la ricerca delle posizioni degli spazi proiet- tanti rispetto alla piramide fondamentale di Sn, e cioè che invece di proiettare di- rettamente per es. da uno spazio Sn-s sopra un piano, si ottiene lo stesso risultato proiettando successivamente da un punto sugli spazi successivamente inferiori a Sn sino a che si arriva al piano. Tutti i punti di proiezione determinano lo spazio Sn-3. In questa guisa il problema di determinare le posizioni speciali dello spazio Sn-3 ri- spetto alla piramide di Sn si risolve nel determinare le posizioni speciali dei centri di proiezione rispetto ad essa e alle sue successive proiezioni. Così si ha anche il vantaggio di studiare nel medesimo tempo le posizioni speciali di tutti gli spazi proiet- tanti la piramide negli spazi inferiori ad Sn, e quindi anche in x). 3) Con questo metodo abbiamo studiato un'estesa classe dì configurazioni in S9 e 3 nella no- stra memoria mtérpretations géom. de la théorie des substitutions de n lettres. Annali di Matema- tica, 18 . 36

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562 AGGIUNTA Primi principii di geometria analitica a n dimensioni. 194. Come si parte dalla geometria elementare ordinaria per stabilire la geometria analitica del piano e dello spazio a tre dimensioni, in modo analo- go si può svolgere la geometria analitica dello spazio a n dimensioni. Qui ac- cenniamo soltanto i primi principi. Date n rette indipendenti in Sn passanti per un punto (origine), esse de- terminano un sistema di assi coordinati Cartesiano, che è ortogonale quando le rette sono due a due perpendicolari, il che è possibile (teor. Vili, 168). Un punto P0 è determinato dagli n segmenti paralleli agli assi coordinati passanti per P0, considerati dal punto P0 fino al punto d'intersezione cogli spazi a n 1 dimensioni (coordinati) determinati dai rimanenti assi (teor. II, 158). Le lun- ghezze di questi segmenti si chiamano coordinate del punto PÒI e s* indicano Basandosi su teoremi precedenti si trova facilmente che la distanza fra due punti di coordinate Xi e oc'i (e = l, 2,... n) nel sistema ortogonale è . (1) Se uno dei punti cade nell'origine, indicando con an a2,... an gli an- goli che un raggio forma cogli assi, e quindi anche del raggiò parallelo con- dotto dall'origine al raggio dato (oss. II, 169) si ha: 2cos2 * = l (2) Le forinole di trasformazione fra un sistema obliquangolo e un sistema ortogo- nale colla stessa origine sono: Xi = 2 oc i cos a* (3) e quindi si stabiliscono facilmente le relazioni fra due sistemi Cartesiani qua- lunque. Scelto uno spazio parallelo ad uno degli spazi coordinati, ad es. (a?2... Xn} (def. I, 166), i suoi punti soddisfano alla relazione #1 =JP (4) e inversamente una tale relazione (equazione) rappresenta uno spazio paral- lelo allo spazio coordinato suddetto. Con una trasformazione da un sistema obliquangolo ad un sistema orto- gonale di cui un asse è perpendicolare ad uno spazio Sn-z dato, facendo uso delle forinole (3) si trova che la sua equazione rispetto al sistema obliquan- golo è 2 Xi COSOK p --= o (5) Facilmente si dimostra colle forinole di trasformazione che un'equazione di le grado nelle coordinate (variabili) rappresenta uno spazio Sn.\. Pati n spazi indipendenti, si presenta il problema della determinazione

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563 delle coordinate del punto d'intersezione degli n spazi, le quali sono le solu- zioni comuni alle n equazioni lineari che rappresentano gli n spazi dati. Introdotto il sistema Plùckeriano nel quale uno spazio è determinato da n coordinate m, cioè dai valori inversi negativi dei segmenti che lo spazio S^.1 determina sugli assi coordinati a partire dall'origine. Uno spazio Sm in Sn può essere determinato da m -f- 1 punti o da m -f-1 spazi Sn-i indipendenti (coroll. teor. Ili, 157 e teor. II, 159), e analiticamente sia nell'uno come nell'altro caso esso viene rappresentato da m4-1 equazioni lineari secondo che le variabili sono coordinate di punti o coordinate di spazi a n 1 dimensioni. Un' equazione a n variabili ha così una doppia rappresen- tazione geometrica. In questa doppia rappresentazione geometrica riposa il principio di dualità. Scelta una piramide fondamentale di riferimento per coordinate di un punto Po s'intendono n 4- 1 grandezze (lunghezze) Xi tali che p Xi = IH . pi (6) dove pt sono costanti arbitrarie diverse da zero, e pi le distanze normali con- dotte dal punto alle facce della piramide. Analogamente le coordinate di uno spazio Sn-i soddisfano (oss. I, 169) alle relazioni oui=\i.qi (7) dove \t sono costanti arbitrarie diverse da zero e qt le distanze normali dei vertici della piramide fondamentale dallo spazio dato. Stabilite le forinole di trasformazione fra il sistema cartesiano e I1 ultimo sistema e con un'opportuna scelta delle costanti in (6) e (7) si trova la cou- dizione acciocché un punto xt sia situato in un spazio m , cioè 2 m Xi = o (i s= 1, 2,.,. n +1). (8) Dati m -f- 1 punti indipendenti di coordinate oc{K\ (k =. 1, 2,....,m + 1), le coordinate di ogni punto dello spazio Sm da essi determinato si mettono sotto la forma: p oci = 2 X(fc) ccWi ove \k sono k parametri. Stabiliti i sistemi di riferimento, come nella geometria descrittiva si stabili- scono i metodi di rappresentazioneJ), si procede ora adoperando l'uno ora l'altro sistema di coordinate secondo le questioni che si vogliono trattare. D'altronde basta osservare che il sistema Cartesiano si ottiene dall' ultimo sistema quando una delle facce a n 1 dimensioni della piramide fondamentale cade all'in- finito. Basta questo rapido cenno per far rilevare la natura tutta geometrica dei nostri spazi 2). 195. Proiettività assoluta. Se sono dati quattro punti sulla rotta assoluta (ip. I, 18) le cui distanze i) Vedi A. Georn. descrittiva a quattro dimensioni Atti R. Istit. Veneto 1883. $) vedi pref.

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564 dall'orìgine sono rappresentate dai numeri |u |2, |3, |4 , per rapporto auarmo- monico dei quattro punti s'intende la funzione li A Dato A e dati |p |2, |3, possiamo calcolare |4 mediante le operazioni fondamentali applicate un numero finito di volte, si ha cioè: g.fA-U + g.-g.A Basta considerare pel nostro scopo quei numeri infiniti e infinitesimi for- manti coi numeri finiti un gruppo che ci trasforma in sé medesimo nel senso del teor. m del n. 93 dell'introduzione, come abbiamo supposto pei segmenti nell'oss. I del n. 16. Valgono del resto le stesse considerazioni per tutta la classe dei numeri da noi trovata. Ebbene, siccome le operazioni fondamentali sono a senso unico e va- riando i loro oggetti variano anche i loro risultati, così variando 3 varia an- che |4, e 4 può essere un numero finito o infinito o infinitesimo del gruppo suddetto. È chiaro dunque che essendo date tre coppie di elementi di due serie In l'i 5 1*2 : la l's ad UD elemento 4 corrisponde un determinato elemento 1*4, in modo che: L'equazione della proiettività è come ordinariamente: !f +j3! + 7r + a=o (3) ove a, jS, 7, 8 dipendono da |D 2, f3, f^, |'2, |f3. E facile vedere che anche hi questo caso la corrispondenza proiettiva fra serie continue di elementi sulla retta è continua e reciproca. Difatti da (3) si ha: La differenza è la quale, se e diventa più piccolo di ogni numero del gruppo, ha per lim. as- soluto lo zero, e quindi a due elementi ( indefinitamente vicini corrispon- dono due elementi ff1 pure indefinitamente vicini. Si ha dunque: Si può stabilire la proiettività di due punteggiate indipendenti dair ass. V. cT Archimede.

Appendix

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APPENDICE Studio storico e critico dei principii della geometria. Siccome in queste, più che in altre ricerche è necessario uno studio parti- colareggiato delle opere altrui, così abbiamo creduto opportuno, specialmente per la scuola di magistero, di raccogliere qui le nostre osservazioni sui prin- cipali lavori sui fondamenti della geometria, a preferenza su quelli pubbli- cati in questo secolo; completando così la prefazione e le note del testo stesso, e facendo conoscere le idee che dominarono fin qui in questi argomenti, come si svolsero, quale sia la loro importanza e quali le loro difficoltà. Un tale studio non è veramente la cosa più facile, quando si tratta non di una semplice esposizione di un solo lavoro, ma di un raffronto fra molti lavori esposti con metodi talvolta disparatissimi ; e quando si tratta, come qui, di dovere non di rado criticare. Noi non abbiamo però l'intenzione di fare uno studio storico critico completo di questi lavori,ma di accennare soltanto i punti più importanti 0 che possono dar luogo a ulteriori discussioni scientifiche. Sarebbe bene però speciaknente peit giovani, che questo lavoro fosse fatto ; come in generale per tutti gli argomenti importanti delle matematiche moderne. Dalla storia ben fatta di un argomento si può meglio intravederne l'ulteriore sviluppo e la sua connessione con altre teorie. S'intende che qui non ripeterò le osservazioni generali della prefazione, che il lettore dovrà tener presente. Mi giustifico anzi fin d'ora se forse ho di- scussi più spesso i difetti che i pregi delle opere altrui, sebbene esse meritino per altri titoli la stima e talvolta la più schietta ammirazione. La critica imparziale ed attenta, così nelle matematiche come in ogni altra speculazione scientifica, è strumento efficace nella ricerca del vero, perché il notare gli errori rende più difficile che si rinnovino e più facile la via nel- l'eliminarli. Ma sia^mo altresì pienamente convinti del valore che hanno tutti 1 lavori coscienziosi in questa difficile questione, anche se non sempre rag- giungono il rigore e lo scopo desiderato in ogni particolare, imperocché la scienza matematica, e specialmente la geometria, anche nei principi procede e si perfeziona per gradi. Creile disse che nello stabilire i principi della geo- metria non vi sono minori difficoltà che nello svolgimento delle teorie più complicate: queste sono rivolte verso l'altezza, quelle verso la profondità;

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536 ed altezza e profondità sono ugualmente illimitate ed oscure l). Certo è che le difficoltà che s'incontrano nella seconda direzione richieggono un tempo ed una costanza molto maggiori che nelle ricerche superiori, ove un' idea nuova e feconda può condurre presto a importantissimi risultati. Esprimere invece delle idee sui fondamenti vale poco o nulla se non si mostra che affettiva- mente esse possono attuarsi. Mettere sotto una nuova forma anche un vecchio principio in guisa da far risaltare alcune sue relazioni con altre teorie è già un progresso ; onde questi lavori non vanno tanto giudicati per i difetti che even- tualmente contengono quanto principalmente per i risultati e i miglioramenti effettivamente ottenuti e le idee sulle quali si appoggiano. E poiché un autore nulla deve pubblicare senza la convinzione di avere ottenuto qualche vantag- gio; trattandosi in questi argomenti di proprietà in gran parte note, così mi pare opportuno che l'autore giustifichi egli stesso la sua convinzione acciò il lettore possa meglio giudicare i suoi risultati, senza per questo meno- mare i meriti altrui. Nel giudicare però i difetti stessi bisogna tener conto che ve ne sono di diverse specie, e non sempre della stessa importanza; che vi sono anche errori i quali non dipendono da leggerezza del pensatore ma dal momento storico della scienza, e che tali errori furono e sono utili nel senso che mettono gli altri sulla traccia della verità. Gauss ad es. ha manifestato pubblicamente l'opinione dell'impossibilità della dimostrazione del postulato V di Euelide in seguito alla critica da lui fatta ad alcune dimostrazioni di questo postulato 2). S'intende che l'errore, specialmente in questi lavori,deve essere evitato; ma bisogna distinguere errore da errore. Non si può poi disconoscere che nella ricerca si bada, e si deve badare da principio, più alla fecondità delle idee nuove, che a circoscriverne bene il campo di validità, come del resto dimo- stra chiaramente lo svolgimento storico della scienza; e sarebbe quindi in- giusto togliere ogni merito a coloro che seminano il campo d'idee feconde, e che altri va poi depurando dalle erbe cattive; anzi dico il merito princi- pale , imperocché senza nuove idee nessuna scienza ha mai progredito. Per dare un esempio, nelle Geometrische Untersuchungen di Lobats- chewsky vi sono due difetti non piccoli; l'uno che egli si appoggia ta- citamente sulla retta infinita, in modo da lasciar credere che oltre alla geometria Euclidea non esista che il suo sistema; l'altro che egli non ha reso evidente l'indimostrabilità del postulato V di E u e 1 i d e. Così E u e 1 i d e non ha dimostrato la possibilità del suo postulato, per quanto lo svolgi- mento della sua geometria la confermi; e, come abbiamo già osservato nella prefazione, egli deduce delle conseguenze che non derivano dai suoi principi, nella forma in cui sono dati. Egli è ben certo che si deve cercare di evitare ogni errore, anche di forma, ma sarebbe ridicolo il dire che per questo Euclide e Lobatschewsky hanno fatto della poesia, come sarebbe assurdo contrastare il grande impulso che questi lavori fondamentali hanno dato alla scienza geometrica. l)Giorn. di CreIle voi. 45. Zur Theorìe der Ebene. Questa memoria fu letta all'Acc. di Berlino nel J834. 2) Gòtt. Gelehrte Anzeigen, 1816

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567 Abbiamo insìstito su di ciò perché vi è anche una crìtica la quale crede di poter demolire i lavori degli altri soltanto perché vi è qualche difetto, non importa di qual natura, e alla quale basta che un teorema ammetta un caso di eccezione, che una teoria contenga qualche conseguenza sbagliata per di- chiararli falsi, senza badare che il teorema negli altri casi e la teoria senza la conseguenza suddetta possono essere anche di un'importanza capitale per la scienza. Questa critica esagerata, anche quando è fatta in buona fede, non può avere che degli effetti perniciosi pei giovani che si cimentano con ardore nelle paciflche lotte del pensiero, perché li abitua ad un scetticismo funesto verso sé e verso i proprì maestri. Così non è utile quella critica che trova tutto da lodare, oppure si trat tiene per un esagerato sentimento di delicatezza di rilevare anche i difetti, quando essi meritino menzione. E non possiamo neppure approvare quella critica che vuole attribuire ad ogni costo ai grandi uomini ciò che spetta agli altri, e va a questo scopo interpretando a modo suo ogni frase ed ogni pensiero loro per trovare appoggio alle sue asserzioni. Noi pure vogliamo che nella storia della scienza si tenga conto delle idee appena accennate; ma sarebbe ingiusto attribuire una teoria ad un autore, solo perché appena vi si trova per incidenza qualche idea o qualche caso speciale. Non bisogna dimen- ticare che di nessuna teoria si può dire : Prólem sine maire creatam. Così dicasi di quella critica, la quale trattando per es. di Euelide vuole attri- bruire gli errori, o quelli che si credono tali, dei suoi libri senza una prova certa a cattivi traduttori o a commentatori poco fedeli, soltanto perché ciò sembra più glorioso per lui. La gloria di Euclide non diminuisce per questo anche se nei suoi famosi Elementi vi sono non pochi difetti. Bisogna guar- darsi anche nei proprì giudizi da un mal1 inteso sentimento di nazionalità, poi- ché se si comprende come sia piacevole e doveroso di rilevare il valore dei proprì compatrioti, specialmente quando questo non è conosciuto dagli stranieri, questo sentimento non deve però far velo a pregiudizio della veri tu. L'imparzialità deve andare sempre sopra ad ogni altro sentimento e sopra ad ogni altra consi- derazione personale. La critica vuoi essere alta, serena, coscienziosa, col l'a- nimo verso il bene; deve combattere l'errore nell'unico interesse della scienza, ma deve pure riconoscere i meriti acquisiti e l'importanza e la fecondità delle idee o dei risultati altrui. La critica fatta così, può anche cadere in qualche errore di interpretazione o di giudizio, ma non solo deve essere rispettata ma eziandio incoraggiata; coloro che mal tollerano anche questa critica mostra-* no di non avere uno spirito superiore, e di essere più amanti di sé che della scienza. Per l'indole stessa, di questo trattato tralascio di parlare di tanti opuscoli o libri che si occupano degli assiomi geometrici dal punto di vista filosofico; a certi giudizi dati veramente con molta leggerezza e poca o nessuna conoscenza dell'argomento, che talvolta dal campo fllosofico si spingono entro il recinto matematico della questione, risponde il mio libro da sé. Nemmeno mi intrat- tengo di quei lavori di matematici nei quali si discorre degli assiomi geo- metrici troppo in generale e indeterminatamente perché si possa dar loro qualche valore nella storia dell'importante questione; quantunque tanto gli uni

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568 che gli altri contengano spesso osservazioni giuste e sottili, e sia utile la loro lettura. Così non ci occupiamo qui espressamente dei trattati di geometria elementare; di alcuni fra i migliori abbiamo già parlato talvolta nella prefa- zione e nelle note del testo; come pure escludiamo quei lavori che riguardano i principi dei metodi geometrici; ci occupiamo invece di quelli che riguardano i principi della geometria in sé, ma non di quelli che pur occupandosi di que- stioni elementari non hanno per scopo precipuo i principi stessi. In questo studio non seguiamo rigidamente nessun ordine prestabilito, ci regoliamo secondo il caso; però anziché all'ordine cronologico badiamo più alla divisione dei lavori in gruppi secondo le idee in essi prevalenti. Sino alla fine del secolo scorso nessuno ha posto mai in dubbio la validità degli assiomi di E uclide, e si può dire che nessuno si allontanò mai dalle idee e dal metodo del grande geometra greco nella trattazione degli Elementi. I ten- tativi di dimostrazione del postulato delle parallele risalgono a tempi remoti. Gemino, Frodo, Tol o meo, l'arabo Nassaradin e Clavio furono certo fra i primi in questi tentativi 1). Ma non è a credere che fino al principio di questo secolo non si sia sentito il bisogno di una riforma nei principi della matematica e della geometria. Archi mede considerò la retta come la linea più corta compresa fra due punti. Questa proprietà come definizione della retta viene oggidì giustamente combattuta da molti geometri, perché contiene un concetto analitico molto complesso 2). Ma il grande siracusano ha dato con un postulato questa proprietà della retta senza voler definire con essa la retta stessa; sebbene contro il postulato si possano fare analoghe osservazioni. Tale definizione fu poi peggiorata dal celebre Legendre col dire che la retta è il più corto cammino fra due punti, potendosi intendere per cammino non la linea ma la sola lunghezza della linea 3). L e i b n i z, sommo filosofo, e matematico, si occupò con molto amore anche del nostro problema, cercando di dimostrare alcuni assiomi di Euclide e proponendo varie definizioni per la retta e per il piano 4). Egli definisce ad es. il piano dopo aver definito la sfera come luogo dei punti equidistanti da due punti dati A e J?, e la retta come il luogo dei punti I) M. Cantor : Vorlesungen ùber Gesch. der Math. pag. 358; H. Hankel: Zur Gesch. der Matti, p. 272; Clav ius: Euclidis Elementorum, Francoforte; 1654, pag. I, 29-30. Si fa spesso ad Eucl ide l'ap- punto di aver confuso gli assiomi sulle quantità cogli assiomi geometrici, e difatti in molte tradu- zioni si da al postulato delle parallele il numero XI, in altri il numero XII. Nell' edizione greca pubblicata con una traduzione latina da Heiberg (l.c.) i primi assiomi sono chiamati nozioni comuni, mentre i postulati sono separati da esse e sono in tutto cinque. Fra le nozioni comuni vi è l'assioma vili, cioè due cose che coincidono sono ugnali al quale non si sa veramente che significato Euclide abbia voluto attribuire, mentre poi fa uso del princi- cipio del movimento dei corpi rigidi fin dalla IV prop. del libro I. L'appunto suddetto va fatto invece senza dubbio al Legendre che nei suoi Èléments de geometrie mescola gli assiomi delle quantità cogii assiomi geometrici. 2) De sphoera et Cylindro. Vedi a tal proposito: DuBois Reymond: Erleuterungen zu den An- fangsgrlinde der Variationsrechnung-Math. Ann. XV, 1879. 3) Botte!. {Essai critique sur les principes fondamentaux de la geometrie; Paris, 1882) osserva giustamente che gli autori che danno una tale definizione della linea retta per coerenza dovrebbero dare per definizione del piano il postulato III di Are hi mede, e cioè: la superficie piana è più pic- cola di tutte quelle che sono terminate dal medesimo contorno 4} Le i b n i z e a s math. Schriften, herausg. v. G. J. Gerhard t, Ber Un, 1849 Voi. 5. Caracteristica geometrica. Analysis geometrica propria. III. De analysi situ IV. in Euclidis

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equidistanti da tre punti A,fyC. Si vede dunque che anche Leibniz ebbe l'idea di generare il piano e la retta mediante la sfera 1). Considerò anche la retta come la linea i cui punti non si nuovono tenendo fìssi due dei suoi punti, definizione già nota prima di Leibniz. Ma le definizioni di cui egli fa più spesso uso sono queste: il piano è quella superficie che divide lo spazio in due parti congrue, e la retta è invece la linea che divide il piano in parti congrue 2). Per figure congrue intende quelle che sono uguali e simili. Queste figure sono identiche nel senso nostro, ma non sono sempre dirette nel medesimo verso, sebbene poi nella definizione di esse Leibniz aggiunga che si possono sosti- tuire in ogni luogo (s'intende nello spazio a tre dimensioni)3). L'uguale Io rife- risce ali'area o al volume, o come diciamo noi alla grandezza intensiva, e il simile alla forma. V. Giordano gli osserva però giustamente che la linea che divide il piano nel modo suddetto potrebbe essere anche curva 4). Leibniz fa una critica delle definizioni e degli assiomi di Euclide, ma egli tenta invano di dimostrare ciò alcuni assiomi. Egli crede ad es. di dimostra- re il postulato delle parallele e riporta alcune dimostrazioni di Pro ci o non sempre soddisfacenti. Il P. Saccheri, professore all'università di Pavia, ci lasciò nel 1733 un libro molto importante sui tentativi da lui fatti su questo proposito 5), e che fu messo in luce dal prof. Bel tra m i 6). L'A. considera nel piano un quadran- golo ABCD con due angoli retti in A e #, i cui due angoli in C e D sono uguali e possono essere retti, ottusi od acuti. Le ipotesi risultanti da questi tre casi le chiama ipotesi/dell'angolo retto, dell'angolo ottuso e dell'angolo acuto, e dimostra che se in un solo caso è vera una delle tre ipotesi, è vera in ogni altro caso (prop. V, VI e VII). Dimostra poi che nel triangolo rettangolo la somma dei due angoli non retti è uguale a un retto nell'ipotesi dell'angolo retto, minore di un retto nell'ipotesi dell'angolo acuto e maggiore di un retto in quella dell'angolo ottuso (prop. IX). E ancora: se in un triangolo qualunque ABC la somma degli angoli è uguale, minore o maggiore di due retti valgono rispettivamente le ipotesi dell'angolo retto, acuto ed ottuso (prop. XV); e quin- di, per la prop. IX, ciò vale per ogni triangolo. Qui evidentemente il P. Saccheri dimostra il teorema dato molto tempo dopo da Le gè nel re, e cioè che se in un triangolo la somma degli angoli è uguale a due retti, tale è pure in ogni altro triangolo. 1) Vedi anche la lettera a Huge ns t. e. voi. ir, pag. 20. 2) 1. e. voi. Il, pag. 174 e la lettera aV. Giordano, voi. i, pag. 196. 3) 1. e. voi. V pag. 172. 4) Voi. i pag, 198. Vitale da Bitonto fu lettore di matematica nella Sapienza di Roma. Nel suo Archimede definisce la retta come la linea revoluta intorno ai suoi estremi immoti, le di cui parti ri- tengono sempre il medesimo sito di prima; ritiene però ottima la definizione di Euclide, ma nel suo Euclide restilulo (Roma 1086) fa uso della definizione secondo la quale la retta è la più breve fra due punti, perché più facile ali' intelligenza degli inesperti (1. e.). 5) Euclides ad omni nsevo vindicatus ecc. Mediolani 1733. 6) Un precursore italiano di Legendre e di Lobat se h e w sky: Rend. delPAcc. dei Lincei, marzo 1889. Recentemente P. Mansion si è occupato pure di questo libro importante (Annales de la Societé scientifique de Bruxelles. I89D- Questo mio cenno serve anzi a completare in qualche parte le critiche suddette ed è da esse completato.

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570 Da questo breve cenno appare manifesto come il Saccherì avesse ìntrav- veduto la teoria delle parallele in tutta la sua generalità, mentre Isegend re, Lobatscliowsky e G. Bolyai hanno escluso a priori senza saperlo l'ipotesi dell'angolo ottuso, o l'ipotesi Riemanniana. Ma il P. Saccheri vittima del preconcetto del suo tempo, secondo il quale la sola geometria possibile era l'Euclidea, nonostante una discussione sottile, e tanto più efficace in quanto è condotta col metodo Euclideo, si affaticò ad abbattere colle proprie mani l'edifizio che egli stesso aveva innalzato, vale a dire a dimostrare la falsità delle sue due nuove ipotesi. Per la prima vi riesce facilmente per un errore fondamentale contenuto nelle sue considerazioni su questa ipotesi, che s'incontra nella prop. XIII, nella quale dimostra che se (AC) e (BD) sono perpendicolari alla retta AB in A e B e gli angoli in C e D sono retti, ottusi od acuti, (CD) è uguale o mi- nore o maggiore di (AB). Nella dimostrazione del secondo caso, che corrisponde appunto all'ipotesi dell'angolo ottuso fa uso della prop. XVI del 1 libro di Euclide, e cioè che un angolo esterno del triangolo è maggiore di ciascuno degli interni opposti, la quale esclude appunto l'ipotesi dell'angolo ottuso. E nella dimostrazione della falsità di questa ipotesi (prop. XIV) si appoggia1 alla prop. XVII del 1 libro di Euclide, cioè che due angoli di un triangolo hanno una somma minore di due retti; la quale dipende dalla XVI sopra ci- tata. Egli fa uso di questa prop. anche negli altri due casi, e quindi toglie molta generalità alle sue considerazioni, poiché essa è una proprietà dipen- dente dalla retta infinita. Ma le conseguenze che se in un solo caso T ipotesi dell'angolo ottuso è vera essa vale in ogni caso; che se in un triangolo la somma è maggiore di due retti lo è in tutti gli altri, sono dimostrate con qualche imperfezione, facile a togliersi, e tanto più restano dimostrate le proprietà relative alle altre due ipotesi. L'A. non ha sottoposto fin da principio ad alcun esame l'assioma che una retta è determinata da due dei suoi punti; ma in fondo se con questo assio- ma viene esclusa la prima forma Riemanniana rimane possibile la seconda. La dimostrazione della falsità dell'ipotesi dell'angolo acuto non riesce al Saccheri cosi facile come quella dell'angolo ottuso, ma prima di dimostrar- ne la falsità svolge considerazioni molto simili ad alcune altre di Lobat- schewsky. Il difetto in questa dimostrazione, come osserva il Bel tram i, sta specialmente nella prop. XXXVII, ove il Saccheri tenta dimostrare la falsa proposizione che la curva CBD, luogo degli estremi delle perpendicolari di data lunghezza erette sul segmento rettilineo (AB) nell'ipotesi dell'angolo acuto, è uguale alla base opposta (AB); il che ammette implicitamente l'ipotesi del- 1' angolo retto. Da questo breve resoconto risulta dunque che se il Saccheri non fu un grande innovatore della scienza geometrica, egli fu un vero precursore di Legendre, di Lobatschewsky e di Riemann. I tentativi per dimostrare il postulato V di Euclide continuarono; fra que- sti notiamo quelli di Bertrand di Ginevra e di Legendre x). Questi nei suoi i) Bertrand: Développement nouveau de la partie élém. des matti. Généve: 1778, Voi. ir. 17-19.

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571 Éléments de geometrìe, stampati la prima volta a Parigi nel 1794, credette dalla 3a fino ali18a edizione di avere esposto la teoria delle parallele senza alcun postulato speciale. Accortosi però che la sua dimostrazione non era sce- vra da errori tornò nella 9a edizione al suddetto postulato, ma nella 12a e altrove sostenne nuovamente di aver potuto dare con ulteriori riflessioni la desiderata dimostrazione 1). Gli sforzi quantunque vani dei matematici, e speci al mente" di Le gè nd re, nella dimostrazione del postulato Euclideo devono aver influito senza dubbio a richiamare l'attenzione dei geometri sullo spinoso argomento. E difatti, come dicemmo fu Gauss il primo che esaminando alcune dimostrazioni di questo postulato ha espresso l'opinione che esso non sia dimostrabile. Questa idea è ripetuta anche nella lettera scritta a Bessel il 27 genn. 1829, ma l'idea con- creta di una conseguente geometria senza il postulato suddetto si trova solo nelle lettere a Schumacher dal 1831 al 1846 2). Dalla lettera scritta a Bolyai nel 1799 e riportata da Schering, in cui domanda a V. Boiyai no- tizia dei lavori.di questo sui principi della geometria, non risulta effettiva- mente che Gauss si occupasse allora della geometria non Euclidea. Fino a prova contraria non possiamo dunque dire che Gauss si sia occupato prima di Lobatschewsky di una tale geometria, tanto più che per quanto sappiamo nessun scritto del sommo matematico fu pubblicato dopo la sua morte su que- sto argomento 3). Noi crediamo perciò nostro dovere di attribuire la prioritìi della teorìa col postulato delle due parallele al geometra russo, il quale svolse una tale geometria col metodo puramente geometrico, scegliendo però como si è detto l'ipotesi della retta infinita, dalla quale, escluso il postulato delle parallele di Euclide, risulta che per un punto si possono condurre due paral- lele ad una retta data 4). Nella memoria di lui stampata nel giornale di Creile conclude che la geometria immaginaria è concepita sopra un piano più gene- ralq di quello della geometria ordinaria, che questa è un caso particolare della prima, ed è la sua geometria differenziale; che i valori degli elementi diffe- renziali delle linee curve, delle superficie e dei volumi dei corpi sono gli stessi nella geometria immaginaria e in quella ordinaria. Nelle Geometrische Un- 1) Pref. alla 12 edizione. Réflexìous sur différentes manières de démontrer la théorie des paral- leles, Mém. de l'Ac. Paris; 1833. Degli Elementi di Legendre, nonostante alcuni pregi e riuovi concetti importanti ecco cosa dice H otte 1: Legendre, trascinato dall'esempio dei suoi contemporanei, non ha saputo conservare in tutta la sua purezza i metodi veramente geometrici degli antichi, e li ha pro- fondamente alterati, mescolando i procedimenti aritmetici dell'analisi moderna (i. e. pag. 5). si può anche aggiungere che non sempre nelle dimostrazioni vi è lo stesso rigore che si riscontra in E u e 1 i d e. 2) La corrispondenza con Schumacher relativa a questo argomento fu tradotta in francese da Hoùel, epubblicataneHe Mém, de la Societé des sciencesdi Bordeaux tom. v. 1869. Vedi Schering Gauss' Geburtstag nach Hundertjàhriger Wiederkehr; 1877. Gauss zum Gedàchtniss. v. Sartorius.v. "Walters hausen; Leipzig 1856. 3) Notiamo anche che Voi fango Bolyai fu in grande intimità con Gauss, mentre suo figlio Giovanni nuli i disse nella sua celebre Scienza assolutamente vera dello spazio sulla priorità di Gauss in tale questione. 4) Le ricerche di Lobatschewsky furono stampate nel corriere di Kasan del 1829, poi nelle memorie dell'università di Kasan degli anni 1836-37 sotto il titolo: Nuovi principi di geometria, coti una teoria delle parallele; poi nel Giorn. di Creile del 1837 sotto il nome di Geometria immaginaria e ancora nel 1840 nei suoi Studi'di geometria sulla teoria delle parallele pubblicati a Berlino nel 1840, e finalmente nella sua Pangeometria stampata nel 1855 a Kasan, la quale fu tradotta in italiano da Battaglili i nel suo giornale e a parte (2 ed. Napoli 1814) e in francese da II o uè 1 1. e.

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5-72 tersuchungen ottiene pure il risultato che la geometria dell* orisfera è iden- tica a quella del piano ordinario. Egli aggiunge che non vi è altro mezzo oltre alle osservazioni astronomiche per decidere sull' esattezza della geometria or- dinaria; che la differenza delle somma degli angoli di un triangolo da due retti bisogna cercarla nei triangoli più grandi, e che questa somma nei trian- goli astronomici più grandi da lui misurati non differisce neppure di un cen- tesimo di secondo da due angoli retti. La geometria di Lobatschewsky anche se fosse vera nel mondo esterno non troverebbe dunque applicazioni che nelle osservazioni astronomiche, mentre per la pratica usuale basta e si deve preferire la geometria Euclidea. G. Bolyai nel 1832 svolse la medesima idea l). È da osservare che col nome di scienza assolutamente vera, egli non intese dire che la geometria non Eu- clidea sia assolutamente vera, perché con questo nome intende quella che com- prende tutte e due queste geometrie. Egli dice infatti: Si ha dunque una trigonometria piana a priori nella quale il solo sistema stesso ((rimane ignoto, e quindi solamente le grandezze assolute delle espressioni restano ((incognite, però un solo caso noto fisserebbe manifestamente tutto il sistema. La a trigonometria sferica poi è stabilita assolutamente . Soltanto non si può ritenere assolutamente vera perché per lo meno Bolyai ammette la retta infinita. Coi lavori dei due citati geometri si collega quello di Batta gli ni Sulla geometria immaginaria *). L'illustre autore stabilisce per via analitica il principio della nuova teoria delle parallele, sia per il piano che per lo spazio, e perviene in modo diverso alle relazioni tra le parti di un triangolo in questa geometria. Egli trova dapprima la funzione che esprime la rotazione colla quale da una data retta Q0 intorno ad un punto p in un piano P si passa ad una retta 2^ . Analogamente per la rotazione di un piano dello spazio e dello scorrimento di un punto sulla retta. Egli introduce poi il concetto dei punti ideali di una retta dati su di essa da quelle passanti per un punto non comprese nelP angolo di parallelismo relativo al punto dato 3); e ne enuncia alcune pro- prietà importanti. L'idea di Leibniz di generare il piano e la retta colla sfera viene svolta in un nuovo indirizzo da V. Bolyai nell'esposizione dei principi della geometria 4). Siccome non abbiamo potuto leggere le sue pubblicazioni ori- 1) Sulla scienza dello spazio assolutamente vera e indipendente dalla verità o dalla falsità del- l'ass. XI di Euclide (giammai da potersi stabilire a prioriMn appendice al trattato del padre Ten- tamen jnventutem studiosam matheseos purae etc. Maros-Vàsàrhely, 1832; trad. ital. di B^at tagli ni, Napoli 2. ed. 1875; trad. frane, di F. Sch m id t: Mòra, de la Soc. de Bordeaux t. V, e a parte; Paris, 1868. Veggasi anche Frischauf: Elemente der Abs. Geometrie nach G. Bolyai bearbeitet; Leipzig, 1872. Sui lavori di V. Bolyai veggansi le notizie date dal sig. Schmidt nella traduzione suddetta. Ci è impossibile di constatare la parte di priorità in alcune questioni particolari che spetta a G. Bolyai in confronto di Lobatschewsky, imperochò non conosciamo le ricerche pubblicate in russo da questo geometra nel corriere di Kasan. 2) Rendiconti della R. Acc. di Napoli, giugno 1867. 3) Questo angolo è la metà di quello delle due parallele alla retta data condotte da un punto qualunque del campo finito del piano. Esso dipende dalla distanza del punto dalla retta. 4) 1. e. e Kurzer Grundriss eines Versuchs: I Die Arit. etc. II In der Geometrìe die Begriffe der Ger. Linie, der Ebene, des Winkels allgemein, der Winkellosen Formen etc. Maros Wàsàrhely: 1851.

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573 ginali, così ne riferiamo alcune notizie togliendole dall'opuscolo citato di Hoùel. Se A e lì, A' e B1 sono due sistemi di punti, si può immaginare che ciascuno a di questi sistemi faccia parte d' un sistema solido qualunque. Se si può trasportare una di queste figure sopra 1' altra in modo che posto A in A'9 B possa coincidere con (( #, si dirà che le loro distanze sono uguali. Dopo di che da la definizione della sfera come quella superficie i cui punti sono equidistanti dal centro. Una sfera separa lo spazio in due parti, l'una interna e T altra esterna. Un punto non può passare dall'una al Tal tra di queste parti senza incontrare la sfera . Una sfera scorre su sé stessa facendola ruotare intorno al suo centro. Due sfere di centri differenti non possono coincidere. Con un centro dato si può sempre descrivere una sfera passante per un punto dato. Si può con un centro dato descrivere una sfera che racchiuda nel suo interno (( una figura data qualunque di dimensioni finite. Siano date due sfere e /S* di centri O e O', e tali che ciascuna di esse passi per il centro dell'altra. Siccome ognuna di queste due sfere ha una parte interna alP altra, esse avranno necessariamente dei punti comuni. Se A è uno di questi ( punti, facendo ruotare l'insieme delle due sfere intorno ai due centri supposti fissi, esso descriverà il luogo dei punti comuni alle due sfere. Questo luogo sarà una curva a chiusa C, che scorrerà su sé stessa e alla quale daremo il nome di cerchio. Se la figura ruota in modo che O venga in O e O' in O, S coinciderà con /S", e S' con S. Per conseguenza, il cerchio C ricadrà nella prima sua posizione. Dunque il cerchio è sovrapponitele a sé medesimo per rotazione. Coi centri O e O' descriviamo due altre sfere S^ S'i uguali fra loro e invilup- panti rispettivamente le sfere S e 5T. Ciascuno dei centri O e O' sarà interno alle due sfere, onde si conclude facilmente che le due sfere, aventi una parte interna comune, devono necessariamente incontrarsi. Si vede ugualmente che la loro inter- (( sezione è un nuovo cerchio C^ che può scorrere su sé stesso, e sovrapporsi su sé medesimo per rotazione. Se si costruiscono così due serie di sfere uguali, che si estendono in modo a continuo sino all'infinito, il luogo dei cerchi secondo i quali esse s' incontrano a due a due, si estenderà indefinitamente, e formerà una superficie che può scorrere suf sé stessa, allorquando la si fa ruotare intorno ai punti Gè O', ed è sovrapponi- ti bile a sé medesima per rotazione. Noi chiameremo questa superficie un piano. Quando si capovolge la figura ponendo O in O' e O' in O si può far sì che un punto A del cerchio C ritorni nella posizione prima occupata. Da una parte e dal- ie T altra di A i punti del cerchio si disporranno a due a due gli uni sugli altri, e si distribuiranno così simmetricamente rispetto ad A. Se si indicano con M e Jfi' due (( qualunque di questi punti simmetrici, essi potranno essere considerati come le posi- /ioni simultanee di due mobili che partano da A e percorrano il cerchio in senso con- ce trario. Questi si incontreranno necessariamente in un punto B, che con A divide il cerchio in due metà sovrapponibili AMB^ AM'B. Il ribaltamento della figura potrii a essere considerato come prodotto da una mezza rotazione attorno ai due punti A e li, che nel ribaltamento restano immobili. Nella semirotazione della figura intorno ad A e B, ciascun punto m del piano, appartenente al cerchio e, descrive una semicirconferenza, e si porterà in u un punto m' dello stesso cerchio; e fintante che questo cerchio non si ridurrà ad un punto unico non potrà ritornare alla sua primitiva posizione, se non quando avrà compiuta la intera rivoluzione. Ora, in ogni cerchio e vi sono due punti che si trovano nella loro posizione primitiva dopo la prima rotazione. Dunque questi punti hanno dovuto descrivere due cerchi nulli, vale a dire essi non hanno cambiato posizione durante la ro- te tazione. L'insieme di tutti questi punti forma una linea, che resta immobile allorquando

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574 ala si fa ruotare intorno a due dei suoi punti, Questa linea si chiama linea retta. Con questo metodo e sempre mediante il movimento Bolyai da le proprietà che la retta può scorrere su sé stessa, e che due rette coincidono quando hanno due punti comuni. Analogamente per le proprietà del piano. Abbiamo riportati questi cenni del lavoro di Bolyai perché sebbene, come Ho(iel stesso osserva, questa teoria presenti dei punti oscuri (e davvero così come è esposta presenta molte lacune) la si incontra poi trattata da parecchi altri autori, che non hanno conosciuto questo lavoro di Bolyai. Non di rado succede in queste ricerche di vedere autori svolgere le stesse idee di altri, senza che lo sappiano e senza che cerchino di togliere i difetti e di colmare le lacune dei lavori precedenti; forse anzi aggiungendo nuovi errori e nuove lacune. Lobatschewsky nella sua Pangeometria dichiara di aver preferito di incominciare la geometria con la sfera e col cerchio, definendo il piano come fa appunto Bolyai, e la retta come luogo geometrico delle intersezioni di due serie di cerchi uguali concentrici situati tutti in un piano. Egli non ag- giunge però nuli1 altro in proposito, né sappiamo se in qualche altro lavoro precedente egli abbia fatto conoscere questo suo metodo. % i , Parleremo in seguito di questo indirizzo; intanto osserviamo che i due autori suddetti non partono dal concetto di distanza ma da quello di coppia. Chi ci ha dato per primo una discussione profonda sui principi della geometria fu il Riemann nella sua memoria Ueber di Hypothesen die der Geometrie zu Grunde liegen presentata per la sua abilitazione ali' insegna- mento nella facoltà filosofica dell'università di Gottinga *) nell'anno 1854 e puhblicata dopo la sua morte nel 1867. Questa memoria oltre che aver richia- mata l'attenzione dei matematici sulle varietà ad n dimensioni e in ispecie su quelle a curvatura costante, nelle quali è compresa come caso particolare la varietà corrispondente allo spazio ordinario, ha accennato pure alla possi- bilità di un altro sistema di geometria nel quale la retta è finita, vale a dire che da un punto non si può condurre alcuna parallela ad una retta data, pur rimanendo inalterati gli altri assiomi di E nel i de e senza contraddire alla esperienza attuale. Riemann è oscuro nella definizione del concetto di grandezza. Egli parla di Aufeinanderlegen der zu vergleichenden Gróssen (della sovrapponici ita delle grandezze da confrontarsi), e che il misurare richiede ein Mittel die eine Gròsse als Massstàb auf die andere fortzutragen* (un mezzo per tra- sportare una grandezza quale scala su di nn altra). Qui, siccome non da altra spiegazione, adopera il concetto del movimentò dei corpi rigidi in varietà pu- ramente astratte. Egli parte pure dall'idea di continuità e del discreto senza definirli (I, 1), ma ammette poi tacitamente noto il continuo numerico e delle funzioni in generale (11,2). Veinfache ausgedehnte MannigfattigTieit (varietà semplicemente estesa) è distinta dal fatto che da un elemento (punto) è possibile i) Abh. der Kòn. Gesellschaft der Wiss. zu Gottingen. Voi. XIII, 1867. B. Riemann s gesam- nelte Matti- Werke; herausg. von H. Weber. Leipzig, 1879. V jdi trad- frane. U Ho ti e I negli Annali li Motam^ti i o irn I III \Q1(\ di Matematica voi. ni, J870..

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575 un avanzamento (Fortgang) continuo e secondo due versi (Seiten), avanti e in- dietro. Come si vede questa non è astrattamente una definizione ben determi- nata,, perché manca la definizione di versi, e di avanti (vowàrts) e indietro (riickwàrts) e del continuo. Egli parla poi di un verànderliches Stùck (parte variabile) di una va- rietà ad una dimensione senza dire che cosa intenda per Stùck di una tale varietà (I, 3). Se Rie m an n avesse voluto determinare meglio i suoi concetti prima di am- mettere il continuo numerico (oc^oc^... ocn ) e la continuità delle funzioni, che ap- plica poi alla ricerca delle relazioni di misura in una varietà a n dimensioni, egli avrebbe dovuto, io credo, trasformare radicalmente tutti i primi paragrafi '). Dopo aver data la generazione di una varietà ad n dimensioni, dimostra che l'elemento di essa viene determinato da n grandezze continue indipendenti ^,,^2,.., ocn , e inversamente n grandezze cc^...xn determinano un solo elemento della varietà. Egli suppone anche tacitamente che la corrispondenza fra gli ele- menti della varietà e il continuo aritmetico (x^x^^xn ) sia continua, vale a dire che ad una variazione infinitesima dell' elemento corrisponda una varia- zione infinitamente piccola del continuo (a?n#2v-^n )i e reciprocamente; inten- dendo per infinitesimo quello potenziale e non l'attuale. Questa è in fondo la prima ipotesi di Riemann. Egli dichiara espli- citamente al capitolo li che carattere essenziale (wesentliches Kennzeichen) di una varietà ad n dimensioni è la determinazione dell'elemento per mezzo di n grandezze (coordinate). Il sig. G. Cantor ha invece osservato che questo carattere non basta perché occorre eziandio la continuità della corrispondenza fra gli elementi della varietà e i sistemi di valori del continuo (x^xv.9ocn ), impe- rocché non ammettendola si può ridurre la determinazione dei singoli elementi della varietà ad una sola variabile o coordinata reale e continua; di guisa che senza la condizione suddetta il numero delle coordinate indipendenti reali e continue che sqrvono alla determinazione unica e completa degli elementi di una varietà ad n dimensioni può essere ridotto ad un numero arbitrario di variabili 2). Il sig. Netto ha fatto poi vedere in generale che la condizione suddetta è anche sufficiente per la determinazione della varietà 3). La seconda ipotesi di Riemann riguarda l'indipendenza della lunghezza delle linee dal luogo, e perciò come egli dice ogni linea è misurabile per mezzo di ogni altra 4). Per la determinazione della linea, secondo Riemann, le coor- dinate dei suoi punti devono essere funzioni di una variabile. Se ben comprendo, egli suppone qui delle funzioni tali che le linee da esse rappresentate siano misurabili mediante l'una qualunque di esse. L'ipotesi suddetta non riguarda però la rigidezza della linea, ma soltanto la conservazione della sua lunghezza. 1) Veggasi la nostra introduzione. 2) Crelle's Journ. Voi. 84, 1878. trad. francese negli Acta Math., voi. II. 3) Ein Beitrag zur Mannigfaltigkeislehre; giorn. di ere Ile, voi. 86,1879. Di tale questione si erano prima occupati anche L ti r o t h , Jurgens e Toma e. 4) Egli si esprime cosi : Massbestimmungen srfordern eine Unabhàngigheit der Gròssea vom Ort, die in mehr einer Weise stattfinden kann; die zunàchst sich darbietende Annahme, welche ich hier verfolgen will, ist wohl die, dass die Làuge der L,inien unabhàngig von der Lago sei : also jede Lime $t*rch je$e mestar sei in, I).

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576 La terza ipotesi esprime che l'elemento lineare della varietà è uguale alla radice quadrata di una funzione intera omogenea e positiva di 2 grado delle grandezze dx, nella quale i coefrìcenti sono funzioni continue delle grandezze oc. La quarta ipotesi ammette la curvatura costante della varietà, la quale corrisponde alla proprietà della sovrapponibilità delle parti della varietà. Queste ipotesi, come si vede sono geometricamente tutt' altro che semplici e ancora meno intuitive. Il metodo è indiretto, perché se non si sapesse che l'elemento lineare per lo spazio Euclideo è is = I/2da?2, non verrebbe certo in mente di scegliere questa ipotesi anziché quella che l'elemento lineare si esprima mediante la radice quarta di un'espressione differenziale-di 4 grado1). L'ipotesi della curvatura costante non è da sola sufficiente per la geo- metria, che deve corrispondere ai dati dell' esperienza. Gauss ha dimostrato che la curvatura di una superficie non muta quando essa viene piegata senza rottura o stiramento, o come si dice quando essa è flessibile ma inestendibile, e per conseguenza i rapporti di misura rimangono i medesimi. Però bisogna osservare che nel piegare una superficie sopra un' altra della stessa curvatura, essa può coprire più volte, ad es. un numero finito o infinito di volte la se- conda, come avviene pel piano sul cilindro, e quindi la geometria della seconda superficie è soltanto identica a quella della prima quando la si consideri come un numero finito o infinito di superficie differenti, costituenti una sola super- ficie, che altrimenti riguardandola come una sola e semplice superficie le pro- prietà di posizione sulla medesima possono essere diverse. Ad esempio per- ché il cilindro rappresenti tutto il piano Euclideo occorre considerarlo come infinite superficie cilindriche non coincidenti, in modo da formare una sola superficie; il che si vede dividendo il piano in tante striscie piane uguali, e piegandone una a cilindro si pieghino tutte le altre sullo stesso cilindro. Ma la geometria del cilindro semplice non corrisponde in tutto al piano; ed è poi contraria ai dati dell' esperienza in quanto che in un intorno di un punto per quanto piccolo si vuole si possono costruire due geodetiche, ad es. una gene- ratrice e un'elica, in modo che abbiano in esso due punti comuni, mentre nel campo delle nostre osservazioni due rette del piano non possono avere due tali punti senza coincidere. L'insufficienza della curvatura costante per lo spazio ordinario o a n dimensióni è ancora più manifesta nel nostro spazio generale. Invero, in questo lo spazio dato non si può scambiare con una varietà di punti a tre (o a n dimen- sioni) della stessa curvatura, perché per due punti dello spazio generale passa per lo più una sola geodetica, cioè la retta. Ho creduto bene di dir ciò perché non si creda, che piegando il piano in modi diversi, le forme da esso assunte possano sempre essere considerate come piani Euclidei corrispondenti a tutte le proprietà geometriche del piano dato dal!' esperienza. Si può soltanto dire che la geometria metrica rimane 1) R i e m a n n stesso dice : Per lo spazio quando si esprime la posizione dei punti mediante coordinate rettangolari; lo spazio è dunque com- preso in questo caso più semplice.

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577 sempre la stessa. Il piano dunque nello spazio generale è uno soltanto, sebbene vi siano altre superficie a due dimensioni a curvatura costante nulla. Osservo anche che per lo spazio generale questa questione non esiste, perché esso non si può piegare, in quanto che questa operazione esige una dimensione di più. Le ipotesi di Riemann non soltanto confermano quella di Loba- tschewsky, ma egli stesso ha fatto rilevare che lo spazio sebbene illimitato può essere finito. E questo è a mio parere il risultato più importante della memoria di Riemann, per quanto ad esso si possa giungere in un modo molto più semplice. Il primo però a svolgere il concetto matematico delle varietà a n dimen- fu H. Grassmann nella sua citata Ausdehnungslehre, pubblicata la prima volta nel 1844. Si deve alla forma involuta e spesso indeterminata nel prin- cipio, ed anche al nuovo calcolo simbolico del quale principalmente si occupa, se parecchie idee profonde che v* si trovano non sono state abbastanza ap- prezzate, e sono state introdotte poi da altri sotto forma più propria o almeno più opportuna allo svolgimento di quelle stesse idee 1). Anche Grassmann si occupò alquanto dei principi della geometria, ma delle sue idee in proposito ci occuperemo più avanti. Con la precedente memoria di Riemann si collega quella di Beltrami Sulla teoria degli spazi a curvatura costante 2) la quale serve di comple- mento e di schiarimento a quella di Riemann. Questo importante lavoro si collega a sua volta con altro precedente 3) e con la celebre memoria dello stesso autore che abbiamo citato nel frontespizio del nostro libro. Nella seconda egli ottiene un risultato notevolissimo., e cioè che le sole superficie suscettibili di essere rappresentate %opra un piano in modo che ad ogni punto corrisponda un punto, e ad ogni linea geodetica una linea retta, sono quelle la cui curva- tura è dovunque costante. Quando questa curvatura è nulla, la legge di cor- rispondenza non differisce dall'ordinaria omografia, e quando non è nulla, questa legge è reduttibile alla proiezione centrale sulla sfera ed alle sue trasformazioni omografiche, teorema codesto che è in stretta relazione coi principi della geo- metria piana, come fece vedere il Klein 4). Nel saggio sulla geometria non Euclidea Beltrami parte da una forinola che rappresenta il quadrato dell' elemento lineare di una superficie la cui cur- vatura è dovunque costante e negativa, e che egli chiama superficie pseudosfe- rica. Il risultato principale a cui egli giunge è che la geometria delle superficie pseudosferiche semplicemente connesse nello spazio Euclideo è identica alla geometria piana di Lobatschewsky, dimostrando che in una tale geometria due punti determinano sempre la retta 5). Beltrami ha indicato un modo per costruire approsimativamente una 1) Vedi la nota sulle definizioni di spazio e di geom. a n dimensioni eco. 2) Annali di Mat. serio II. t. II, 1868; trad. francese di Hoiiel negli Annales de rÈcole normale sup. 1869 3) Risoluzione del problema: Riportare i punti di una superficie sopra un piano in modo che le linee geodetiche vengano rappresentate da linee rette. Ann. di Mat. serie I, t. VII, 1866. 4) Ueber die sogennante Nicht Euclidische Geometrie. Math. Ann. voi. VI, pag. 135. 5) Egli ottiene un tale risultato appoggiandosi all'analoga proprietà del sistema Euclideo. Di ta}e proprietà noi abbiamo dato una dimostrazione diretta e puramente geometrica (Vedi pag. 233). 37

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578 parte della pseudosfera o meglio una parte della superficie di rotazione che serve di tipo alle pseudosfere l). Nella prima memoria sopra citata egli estende questi risultati alle va- rietà analitiche ad n dimensioni partendo dall' elemento lineare sotto la forma : ds== ove le n+ 1 variabili ocì x^...xn soao legate dalla relazione o?2-f ^2 + ...-f^n2 = rt2 (2); prova che la varietà è a curvatura costante e semplicemente connessa entro allo spazio limite determinato dall'equazione (2), esclusa la #, supposto che le x, R ed a siano reali ; e dimostra che in una tale varietà si possono sce- gliere le variabili in modo che le geodetiche siano rappresentate da equazioni lineari, e le trasformazioni le quali lasciano inalterati i rapporti di misura sono rappresentate da equazioni lineari. Mette poi in relazione questa teoria con la geometria Euclidea e non Euclidea 2). Fu osservato aLobatschewskyeaG.Bolyai che non hanno dimostrato la pos- sibilità del loro sistema, sebbene abbiano stabilite le forinole della trigonometria di que- sto sistema contenenti una costante fc, le quali danno il sistema Euclideo quando k di- venta infinita. La stessa osservazione può esser fatta imene a Riemann, poiché nel lavoro di lui una vera dimostrazione, almeno esplicita della possibilità logica di una varietà a curvatura costante positiva negativa o nulla, non e1 è, sebbene per ciò che dicemmo nella prefazione non vi sia alcuna ragione per dubitarne. Per la geometria a due dimensioni si ha una prova sperimentale della indimostrabilità dei postulato di Euclide cogli altri suoi postulati, la quale è data dalla superficie sferica entro il campo delle nostre osservazioni esterne, come pure da una parte della superficie pseudosferica sulla quale la somma degli angoli del triangolo è minore di due retti. In questo caso non si può dubitare che mutino le proprietà della superficie estendendo maggiormente il campo d" osservazione e quindi anche la superfìcie stessa, perché nei triangoli più grandi la differenza da due retti cresce sempre più. Non si ha in- vece una prova analoga per la geometria che si ritiene la più vera. Difatti il piano che è una superficie, esistente indipendentemente dai postulati che noi diamo per determinarla, può soddisfare, allargando il campo d'osservazione, tanto alla geome- tria di Riemann quanto a quella di Lobatschewsky, anche se presentemente la somma degli angoli dei triangoli più grandi è con grandissima approssimazione uguale a due retti. Per lo spazio a tre dimensioni si ha un'altra prova per i sistemi di Lobat- schewsky e di Riemann considerando una superfìcie di 2. grado (reale o imma- ginaria) nel campo d'osservazione e applicando ad essa la definizione della distanza e dell'angolo diCayley, e quindi poiché nel sistema di Lobatschewsky la geome- tria dell' orisfera è identica alla geometria del piano Euclideo, si ha pure una prova della possibilità del postulato di Euclide nella geometria piana. Così potendo costruire nell' ambiente esterno colla geometria descrittiva la proie- zione parallela di una superficie di 2 grado a tre dimensioni riguardata come asso- luto, il cui contorno apparente nel nostro spazio è una superficie di 2 grado ordi- 1) Sulla superficie di rotazione che serve di tipo alle .superficie pseudosferiche. Giorn. di B atta- glii! i, voi. X, apr. 1872. Di tale superficie nel 1873 si occupò pure il de Tilly. Bulletin de l'Ac. royale de Belgique voi. XXXV. 2) Molti lavori di altri autori furono pubblicati dopo quelli di Riemann e diBeltrami special- mente sulla teoria della curvatura delle varietà a più dimensioni; ma essi non hanno per iscopo i principi della geometria. Rilevo però in relazione a questa teoria il teorema di Eri 11 secondo il quale lo spazio p^eudosferico a tre dimensioni non esiste nello spazio Euclideo a quattro dimensioni, ma esiste però nello spazio a cinque dimensioni,

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579 naria, possiamo costruire nel suddetto ambiente un sistema di Lobatschewsky a tre dimensioni. E così via La possibilità dunque delle tre ipotesi è provata speri- mentalmente. Abbiamo dato nel testo delle spiegazioni per persuadere il lettore della possibi- lità logica delle nostre ipotesi II, 111 e IV, che risiede nel!' indipendenza del campo infinito dal campo infinito, nel senso da noi inteso, e la cui possibilità è evidente per la semplicità delle stesse ipotesi; ma qualora, come abbiamo fatto per le nostre ipo- tesi delPintroduzione se ne desse una dimostrazione più rigorosa, sarebbe posta fuori di questione T indimostrabilità del postulato Euclideo con ragioni puramente logiche1). I lavori della geometria non Euclidea hanno dato luogo ad una vivìssima pole- mica sulla dimostrabilità o no del postulato di Euclide, come era da aspettarsi dopo l'opinione di Kant sull'assoluta verità di tutti gli assiomi geometrici quali forme a priori delT intuizione spaziale. Sicuro che con filosofi, i quali in cose in cui non si ha punto alcuna certezza dicono: è così anziché dire: forse è cose, la discus- sione non può degenerare che in polemiche appassionate, le quali non conducono ad alcun risultato. È davvero curioso come chi accusa gli altri di mancanza di buon senso in tali polemiche ha generalmente torto; e queste accuse fra scienziati che si rispettano non dovrebbero mai essere permesse, non solo per cortesia ma eziandio perché non servono a nulla 2). Un altro lavoro di capitale importanza in questi studi generali sui prin- cipi della geometria fu pubblicato nel 1859 da A. Cayley, uno dei più fecondi e originali matematici moderni 3). Questa memoria si riferisce alla geometria ad una e a due dimensioni riguardandole come un'interpretazione della teoria 1) Secondo il sig. Rausenberger (Die Eleni. Geom. System, u. critisch behandelt-Leipzìg; 1887, pag. 54) non è escluso ancora che la geometria non Euclidea non possa essere logicamente impossibile t e ritiene che la dimostrazione dell'indimostrabilità del postulato di Euclide non si potrà forse mai dare. Il sig. Lindemann (Vorlesungen ti. Geometrie v. Clebsch.2. voi. Leipzig; 1891, p. 552-563) per dimostrare che il postulato suddetto non è conseguenza logica degli altri postulati di Euclide dice che se la geometria di Riemann e di Lobatschewsky conducesse ad un assurdo, ciò dovrebbe accadere pure sulle superficie a curvatura costante positiva o negativa esistenti nella geo- metria Euclidea, e quindi anche il postulato V. di Euclide sarebbe incompatìbile cogli altri postu- lati, e perciò sarebbe in generale impossibile ogni ricerca geometrica. Come non mi sembra nel vero il sig. Rausenberger, non ci sembrano buoni gli argomenti del sig. Linde in ann. 2) Fra i matematici contrari a questa geometria rilevo alcuni nomi illustri. Anzitutto Q. Ber- trand, il quale nei Comptes Rendus del 1869 difese una dimostrazione dei postulato delie parallele data dal sig. C a r t o n, e data venti anni prima dall'italiano sig. Minar eli i nel tomo Vili dei Nouvelles Annales di Terquem. Bertrand qualifica tale geometria quale debauché de logique. La dimostrazione di Minare Ili, come dice Gè noe chi (Bulletin de r Ac. de Belgique t. XXXVI, pa- gina 193) assomiglia a quella di Jvory e la cui insussistenza fu dimostrata da Legendre stesso. Bellavitis nella XI Rivista dell'Istituto Veneto (1872), pur essendo contrario alla geometria non Euclidea osserva giustamente che nei principi della geometria bisogna procedere di definizione in definizione senza chiedere nulla alla geometria stessa. Così Gè nocchi credette ad una possibile dimostrazione del postulato Euclideo nonostante i lavori di Riemann, Beltrami, Klein, Helmoltz e de Tilly: 1, e. Sur un Ména de Daviet de Foncenex et sur les géométries non Enclidiennes: Mem. delle R. Acc. de Torino 1877. Lettre a M. Quetelet, Bulletin de l'Ac. Roy. de Bel- gique t. XXXVI, 1873. G. Bertrand e Bel lavi ts negano giustamente che si possa fondare la geometria sul solo ra- gionamento, perché fa d'uopo ricorrere ali' intuizione spaziale; ma vanno troppo in là quando comò i Kantiani sostengono l'assoluta evidenza del postulato V di Euclide. Questi, come altri matematici, hauno trascurato la considerazione che sebbene dall'esperienza o dall'intuizione, che si esercita in un campo limitato dello spazio, noi ricaviamo i nostri assiomi; nella, geometria sono possibili tutte quelle ipotesi astratte che non contraddicono ali' intuizione spaziale. Però, come abbiamo detto nella prefa- zione non sono nel vero neppure quei matematici i quali considerano la possibilità geometrica dal solo pun'to di vista astratto o analitico. Fra le tante critiche alle dimostrazioni del postulato di E u e 1 i d e noto quella di L u r o t h: Ueber Bertrand' s Beweis des Parallelen A xioms-Zeitsch. von Schlòlmich. XXI pag. 204-297. 3) A sixth memoir upon quantics. Phi}. Trans, of thè Roy Society of Lpndon, 185 ; opp. Collecteq* Papers ; London, voi. Il, J889,

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580 delle forme binarie e ternarie svolte nelle memorie precedenti dallo stesso au- tore. Scopo principale di essa è quello di derivare la geometria metrica dalla geometria proiettiva. Egli assume perciò assiomaticamente la pro- prietà che ogni punto della retta o del piano è determinato da due o da tre coordinate omogenee, e inversamente (salve le debite eccezioni) ; senza dare però, come Riemann, alcuna ragione geometrica di questo assioma complesso. Poi stabilisce pure assiomaticamente che un'equazione lineare rappresenta una retta, dimodoché una retta viene determinata da tre coordinate omogenee che sono precisamente i coefficenti della sua equazione. Con queste sole proprietà il Cayley svolge i principi della geometria proiettiva della retta e del piano senza alcun concetto metrico, ottenendo così uno splendido risultato. Premessi questi principi, e specialmente la condizione affinchè due coppie di punti siano coniugate armoniche, egli introduce l'originale concetto della distanza riferita ad un altro ente geometrico, che chiama assoluto. Nella retta l'assoluto è dato da una coppia di punti A^. Considerando un'altra coppia di punti PP, che riguarda come inscritta in A^, determina i punti doppi dell'involuzione A^A^ PP'. Uno di questi punti lo chiama centro d'inscri- zione, l'altro asse di inscrizione. La coppia PP è chiamata dàll'4. point^pair circle o circle (cerchio); il centro e l'asse di inscrizione sono il centro e rosse del circle . E per definizione stabilisce che i due punti di un circle sono equidistanti dal centro. Per ottenere la scala costruisce P" in modo che PP" sia un circle ri- spetto a P' come centro, vale a dire P" è il punto corrispondente di P nel- l'involuzione determinata dalla coppia A^ e dal punto doppio P'. Il punto P è interno al segmento (PP"). Così nello stesso modo si costruisce P" che è ad ugual distanza di P' da P", e, come si vede, il punto PM si avvicina inde- finitamente ad Ay Slmilmente dalla parte opposta. Le distanze di tre punti qualunque A, B, C le sottomette alla seguente relazione, che costituisce pure un assioma: dist. (AB) -f dist. (BC) = dist. (AC). Se l'equazione dell'assoluto è data da una forma di 2 grado: ax 2 = (alxl -f- a2x2) 2 = O, (an = aKi = *#* = ak a* ), dalla relazione delle coppie armoniche si ricava la condizione dell'equidistanza, e quindi coli' aiuto della relazione suddetta si ottiene l'espressione della distanza di due punti Zi e yt sotto la forma: are cos ------- Nel piano come assoluto si ha una conica, la quale determina l'assoluto sopra ogni retta. L'assoluto intorno ad ogni punto è dato invece dalle due tangenti che dal punto possono condarsi alla conica. Assume il quadrante, cioè , come unità di misura in tutti questi sistemi, per la quale unità i due punti su una retta sono armonici rispetto all'assoluto, Così, la distanza di due

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581 punti è uguale alla distanza delle loro polari rispetto ali* assoluto, e inversa- mente, e quindi la distanza di un punto da una retta è definita come il com- plemento della distanza della polare del punto dalla retta data. Donde si ri- cava che la distanza del polo dalla sua polare è il quadrante. Una conica in- scritta nell'assoluto, che tocca cioè l'assoluto in due punti, si chiama cerchio^ il suo centro è il punto d'intersezione delle due tangenti e l'asse è la retta congiungente i due punti di contatto. Tutti i punti del cerchio sono equidi- stanti dal centro, e tutte le tangenti lo sono dall'asse; e la prima distanza è complementare alla seconda. L'espressione della distanza di due punti qua- lunque del piano ha una forma simile a quella sulla retta. Facilmente si rica- vano le espressioni della distanza di due rette e quelle di un punto da una retta. Cayley considera poi il caso che l'assoluto sulla retta si riduca ad un punto, e nel piano a due punti, nel qual caso si ottiene l'espressione della distanza nel sistema di EucHde quando l'assoluto è supposto all'infinito. Egli considera pure il caso della sfera. Da un tale punto di vista le proprietà me- triche di una figura non sono proprietà della figura considerata in sé, ma in relazione con un'altra figura, cioè l'assoluto. Rispetto alla questione dei principi della geometria, oltre che non si giustifica come il punto sia determinato nel piano da tre coordinate omogenee, e non si studiano le parti semplici di tale principio, dal punto di vista geometrico vi è l'altra questione ancora più im- portante e più complessa, cioè la rappresentazione della retta nel piano me- diante un'equazione lineare, e inversamente. Osservo inoltre che in confronto con questo metodo la distanza è per noi un ente che dipende invece dalla figura in sé *), e le sue diverse espressioni analitiche dipendono dall'assioma delle parallele. E questo è il metodo geometricamente più proprio. Il processo e le idee di questo lavoro di Cayley sono puramente analitici 2). Molto probabilmente Cayley non conosceva all'epoca in cui scrisse questa memoria i lavori diLobatshewskyediG. Boi y a i, perché con facilità avreb- be potuto porre le sue ricerche in relazione colla geometria non Euclidea. Colle precedenti ricerche, e specialmente nell'indirizzo di Cayley, si collegano i lavori di Klein su questa geometria ì), nei quali nuovi e im- portanti concetti sono svolti, sempre dal punto di vista analitico, sebbene essi abbiano un carattere geometrico più spiccato. Scopo principale di essi è sempre la teoria delle parallele e le relazioni fra la geometria proiettiva e quella metrica. Klein, partendo nella prima sua memoria dalla rappresentazione dei punti della retta mediante due grandezze numeriche omogenee e dalle pro- prietà fondamentali della distanza e dall'osservazione che lo scorrimento in una retta e la rotazione in un fascio equivalgono ad una trasformazione lineare che muta la forma in sé stessa, determina l'espressione della distanza di due 1) Vedi intr. n. ili. e parte I, n. 5 e la nota sul movimento. 2) Altri lavori di Cayley che hanno intime relazioni con questi sono l'Abstract Geometry (Phil. Trans, of thè Roy. Society of London, 1870) e una nota sulla geom. non Euclidea (Math. Ann. Voi. V, 1871) nella quale partendo dalla espressione della distanza e dell'angolo data da Klein nella geometria iperbolica deduce le formole della trigonometria, supponendo per maggior semplicità che l'assoluto sia un cerchio.

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582 punti quale logaritmo del rapporto anarmonìco dei due punti con quelli del- l'assoluto, moltiplicato per una costante, che in Cay'ley è uguale a Y2 ]/-l 2). Così opera analogamente nel piano considerando la conica assoluta di Cayley. Da qui Klein entra in campo con nuovi e importanti concetti de- terminando quelle trasformazioni piane che corrispondono ai movimenti del piano, le quali sono appunto quelle che trasformano la conica assoluto in sé medesima, e che formano un gruppo nel senso che applicando una trasfor- mazione dopo un'altra si ottiene sempre una trasformazione del medesimo gruppo. Le trasformazioni suddette sono di due specie, quelle della prima for- mano un gruppo continuo, non così quelle della seconda specie; e poi fa ve- dere che in queste trasformazioni i rapporti di misura non cambiano. La geometria di Lobatschewsky odi Riemann e di E u ci i de corri- spondono ai casi in cui l'assoluto è reale, immaginario o ridotto sulla retta ad un solo punto. È perciò che Klei n le chiama geometrie iperbolica, ellittica semplicemente e doppiamente elìttica) e parabolica. È il Klein che ha rile- vato per primo la distinzione di queste due forme della geometria Riemanniana3). La geometria parabolica viene considerata da Klein come caso limite della geometria iperbolica. Non basta definire in questo caso i movimenti 'Come quelle trasformazioni, o meglio una classe delle medesime, che lasciano inalte- rata la conica assoluto, perché una coppia di punti (che tale è l'assoluto nella geometria parabolica) si trasforma in sé stessa mediante un sistema quattro volte infinito di trasformazioni, mentre quelle corrispondenti ai movimenti, sono in numero tre volte infinito. Basta stabilire a tal'uopo che il cerchio è una linea chiusa. Un altro concetto importantissimo e che'facilmente risulta da quelli di di Cayley è l'indipendenza della geometria proiettiva dall'assioma delle pa- rallele. Klein fa anche osservare che la geometria proiettiva può essere svolta prima della determinazione della misura, o in altre parole che il rap- porto anarmonico non contiene questo concetto. Egli vi dedica nel primo suo scritto poche parole piuttosto oscure; il che non è certo un pregio trattan- dosi che questo è il punto fondamentale della sua ricerca, e che quindi di primo acchito doveva essere posto fuori di discussione. Questo bisogno di mag- giori schiarimenti l'ha sentito il Klein stesso, tanto che nella sua seconda memoria vi è tornato sopra con più particolari. Egli suppone dato un campo limitato verso l'infinitameute grande nello spazio ordinario colle seguenti proprietà: 1) Math. Annalen, voi. IV. e vi. 2) L'espressione della distanza di due punti quale logaritmo del rapporto armonico di due punti e dei due punti ali1 infinito della retta nella forma data da Rie in fu trovata anche da Pie ^. Ma- rie (Ètudes analitiques sulla théorie des paralleles; 1871, pag. 28 e 48). Però questa forma presso P He S. Marie non o che accidentale, mentre in Klein è il concetto fondamentale indipendente da qualsiasi concetto di misura prestabilito. 3) Non si può dire veramente che la doppia forma di questa geometria sia sfuggita a Riemann perché egli da quella della sfera come un esempio. Essa è sfuggita però a Bel trami, in fondo pri- ma degli studi ai Klein essa poteva passare inosservata, inquantochò non si tratta che di un carat- tere fondamentale che le distingue, mentre d'altra parte si possono dedurre facilmente l'una dal- l'altra. Vedi la parte I pag. 257, 258. Però anche dopo le memorie di Klein la 1 forma sfuggi ades. a de Ti 11 y, Frischauf e Po i ne are. Di una tale questione si sono pure occupati Newcomb: Ele- mentary theorems relating to thè Geometry of a space of tree ditnensions and of uniformes positive curvatura in thè fourth dimension. Giorn di Creile, voi. 83, 1877 ; e Ki 11 ing (I. e.)

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583 1) mediante tre punti arbitrar! dello spazio dato passa una ed una sola superficie del sistema; 2) la curva d'intersezione che può essere comune a due superfìcie del si- stema, appartiene a tutte le superfìcie che contengono due punti della curva. In fondo qui ammette che ogni coppia di punti determini una retta, e che ogni retta avente due punti comuni col piano vi giaccia per intero. Bisogna badare che r A. ha qui in vista uno scopo speciale della geometria, cioè che per un tale sistema di superficie e di curve vale la geometria proiettiva nello stesso senso del sistema di rette e di piani di uno spazio limitato a tre dimensioni, oppure che si può stabilire una corrispondenza tale che ai punti dello spazio dato corrispondano dei numeri in modo che le superficie del sistema siano rappresentate da equazioni lineari. Come si vede questo importante risultato è appunto l'ipotesi da cui parte il Cayley. È da osservare che i due principi suddetti valgono anche nel nostro spazio generale rispetto alle rette e ai piani, e che per mezzo di essi si può dimostrare che dati tre punti ABC, il quarto armonico D è determinato ed unico. Ma non si può ricavare il risultato analitico suddetto senza ammettere che lo spazio sia a tre dimensioni, proprietà che è inclusa dunque tacitamente nei principi anzidetti 1). Per stabilire la geometria proiettiva secondo i concetti dello Staudt, Klein introduce l'assioma della continuità; e poiché la proietti vita dimostra che vi è una relazione costante fra quattro elementi, questa relazione, egli dice, si può considerare come un numero reale. Si indichino tre elementi A,B,C come elementi fondamentali, e agli altri elementi D si distribuiscano secondo una legge arbitraria i numeri reali fra oo e 4-o ; allora ad ogni gruppo ABCD, corrisponderà un numero. Dai rapporti anarmonici si sale poi alle coordinate omogenee che non sono altro che i valori relativi dei rapporti anarmonici. È il Fredler che ha trattato per primo di queste coordinate e ha dimostrato , che la retta e il piano sono rappresentati rispettivamente nel piano e nello spazio ordinario da un'equazione di 1 grado 2). Il modo con cui poi il Klein ha spiegato il concetto fondamentale della prima sua memoria ha sollevato dei dubbi da parte di Cayley stesso 3) e di sir R. B a 11 4) tanto che li Klein vi torna sopra di nuovo in un suo recente scritto 5) seguendo però un'altra via, simile a quella tenuta anche da De Paolis 6), e che si trova sviluppata nelle lezioni citate di Clebsch-Lindemann. 1) Lindeman n (1. e.) da questi principi indipendentemente dalla limitazione dello spazio; ma li da per lo spazio a tre dimensioni, senza definirlo nei principi stessi. A ciò si può riparare aggiun- gendo come terzo principio che se due piani hanno un punto comune, essi hanno almeno un altro punto comune. 2) Die Darstellende Geometrie, Leipzig. 1871; trad. italiana dei prof. Padovae Sayno: Firenze 1874. UFiedler stesso prima di cominciare a trattare delle coordinate proiettive esprime pure l'opi- nione che la geometria elementare si possa considerare come un caso speciale della geometria proiet tiva introducendo i concetti di misura colla teoria dell'involuzione. 3) Collected Papers-Notes and References 4) on thè theorie of. Contenti Irish Ac. of. Dublin, 1889 5) zur Nicht Euci. Geometrie Math. Ann. voi. XXXVII, 1891 6) Sul fondamenti della geom. proiettiva. Atti della R. Acc. dei Licei 1880-81. Oltre a questa me- moria le osservazioni di Klein sulla costruzione delle forme proiettive hanno dato luogo ad alcune

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584 Klein fa anche vedere nella prima memoria come dai concetti di ley si passi a quelli di Riemann e di Delirami, e nella seconda si occupa altresì delle varietà numeriche a più dimensioni 2). Nell'ultima si occupa dell'interessante problema di determinare le diver- - se forme Euclidee e non Euclidee a due e a tre dimensioni, in particolare di quelle Euclidee a due dimensioni. Nell'indirizzo dei lavori di Gay ley, di Battaglini e di Klein è d'an- noverare la memoria già citata di sir R. Bali, sehhene egli parta da principi alquanto diversi. Egli chiama Content ciò che è secondo Grassmann un System dritter stufe . Chiamale singole grandezze del Content oggetti. Supponendo che al9 a2, a3, a4, siano oggetti, indipendenti, ogni altro oggetto del Content è espresso dal simbolo 3#3 4- #?4a4 ove x^oc^x^Xi sono grandezze numeriche qualunque. Le espressioni della for- ma x^ -f- #?.2rt2, a?i i -i-^2^2 + 'ìay rappresentano rispettivamente un range e un extent . Egli stabilisce cinque assiomi perla funzione che chiama' in- tervene fra due oggetti, la quale corrisponde alla distanza di due punti dello spa- zio ordinario e cinque altri assiomi analoghi per la departure fra due ran- ges , che corrisponde all'angolo di due rette; e aggiunge poi un undecimo as- sioma per stabilire che se due ranges hanno una departure nulla, il loro oggetto comune è all'infinito, e inversamente. Mette poi il Content in corrispondenza univoca con lo spazio ordinario. nel quale riguarda il punto determinato senz' altro da quattro grandezze omo- genee a?!, a?2, #?3, #?4. Cogli assiomi stabiliti trova l'espressione della distanza e dell'angolo secondo il concetto di Klein2). In questa memoria, come in altre, che partono dal punto di vista di Gay ley, e si appoggiano sulla rappresenta- zione analitica, non ci pare ben dimostrato che ad es. il luogo dei punti al- l'infinito del piano, soltanto perché in ogni retta vi sono due tali punti, sia pro- prio una conica, o almeno che si possa considerare come tale 3). I risultati di Gay ley e di Klein, specialmente di quest'ultimo, hanno servito al sig. Pasch per trattare sistematicamente col metodo puramente geometrico ed elementare la geometria proiettiva indipendentemente dall'as- sioma delle parallele 4). Ciò che distingue anzitutto il metodo del Pasch, si è che egli non riconosce nella geometria una scienza astratta le cui forme siano tipi a cui si accostino note di Zeuthen e Ltìroth (Math. Ann. voi. VII), di Toraae (Geom. der Lage),di Darboux (Math. ADQ. voi. XVII), di schur (Math. Ann. XVII) e di Pasch (I. e.). 1) Vedi più avanti. 2) Di questa teoria, e specialmente della teoria del movimento nello spazio ellittico si occuparono altri matematici inglesi, fra i quali lo stesso S. R. Bali (Proc. of thè Roy. Irish Ac. 1885-1886), Clif- ford. 1. e., Buchheim: London M. S. Proc. XV, 1883, e. XVI, 1884. 3) Noi abbiamo veduto che il luogo dei punti ali1 infinito nel sistema Euclideo può essere consi- derato come una retta rispetto all'unità Euclidea, e abbiamo ammesso che lo sia effettivamente in senso assoluto coir i p. VII (parte I, n. 49 e 68). Di ciò si è pure occupato 11 sig. Pasch (Neuere Geome- trie, Leipzig 1832). 4) 1 e.

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gli oggetti reali stessi fuori di noi, ma sono per lui questi oggetti medesimi. Un punto è quindi per lui un corpuscolo, che non si lascia ulteriormente di- videre in parti entro i limiti dell'osservazione diretta1); così analogamente per la linea e per la superficie. Gli assiomi geometrici devono essere dati sol- tanto per gli oggetti stessi del campo limitato delle nostre osservazioni, e nessun'altro assioma, né nessun'al tra ipotesi, de ve essere data per gli oggetti fuori di questo campo, anzi questi oggetti stessi sono introdotti con denomi- nazioni mediante certi enti geometrici costruiti coi soli che si ammettono co- me effettivamente esistenti. È per questo che l'A. separa gli enti geometrici fon- damentali in due campi: gli enti proprl (eigentliche), e gli enti improprì (unei- gentliche). Ma il campo degli enti proprì non è soltanto illimitato verso l'illi- mitatamente grande,.come suppone il Klein nei principi sopra enunciati, ma anche verso l'illimitatamente piccolo. Il sig. Pasch dunque vuole applicare i dettati del puro empirismo alle forme geometriche, senza però che egli dimo- stri impossibile il metodo seguito da Euclide e dagli altri geometri2). Oltre che per le considerazioni svolte nella prefazione e nell'introduzione 3), non possiamo approvare questo metodo anche pel fatto che mentre anch'egli vuole il rigore matematico nelle dimostrazioni indipendentemente dalla osser- vazione (1. e., pag. 43), in ogni assioma e in ogni dimostrazione porta appun- to l'incertezza e l'inesattezza dell'osservazione stessa, dimodoché per molti teo- remi da principio vi è l'incertezza del campo della loro validità, e occorre poi dimostrarli nuovamente per gli enti improprì; il che naturalmente complica as- sai il metodo stesso 4). 1 corpusculi (punti) si possono ottenere in diversi modi, ad es. come parti comuni di due aste cilindriche o di due aste parallelopipede sottilissime, e non si sa veramente come i punti si possano ritenere identici, mentre in realtà così non lo sono. Da quanto dice il Pasch sulla congruen- za, due punti sono identici perché si possono trasportare in modo da toccarsi l'un coli'altro; ma due corpi possono toccarsi senza essere punto uguali, an- che àe piccolissimi. Altrove egli dice che la geometria proiettiva non può far senza della congruenza se non ammette l'assioma della continuità della pun- teggiata5); che questo assioma però non è ammissibile col metodo del puro empirismo. Ma per stabilire quando due figure sono congruenti il sig. Pasch ricorre al movimento senza deformazione, vale a dire tacitamente in senso astratto all'esistenza di sistemi continui di figure invariabili. Bisognerebbe dun- que che l'A. avesse mostrato come in senso astratto si possa definire la con- gruenza senza il criterio del continuo, nascosto nell'idea di movimento. Egli sostiene infatti giustamente che la dimostrazione in sé deve essere indipen- dente dall'intuizione della figura, o meglio secondo lui, dalla pura rappresen- tazione sensibile della figura (1. e. pag. 17 e 99); ma perché ciò possa ottenersi 1) Anche noi non abbiamo bisogno nei nostri assiomi di dire come fa Euclide, che il punto non ha parti; ma nell'introduzione ( i. cap. IV,) ne abbiamo fatto uso per spiegare le ipotesi sul continuo. 2) Vedi DuBoisReymond Aligera Th. ecc. 3) Intr. 1, cap. IV. 4) L'analogia fra le classi di punti e quelle dei numeri a cui ricorre il sig. Pasch (I. e. p, 40) non è che lontana, perché ogni classe di numeri è logicamente ben determinata, mentre non è cosi di quella dei punti proprl, almeno come è data dal sig. Pasch. 5) Projective Geometrìe und analy. Darstellun-i: Math. Ann. voi. XXX, pag. 129.

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in modo completo bisogna, coinè noi abbiamo sostenuto nella prefazione, che anche gli assiomi, fatta astrazione dall1 intuizione, ci diano delle [proprietà astratte ben determinate, mentre non è così delle figure congruenti, chiaman- dole tali quando si possono trasportare l'una sull'altra, senza dire astratta- mente che cosa significhi questo trasporto l). Non ci pare poi che egli si mantenga sempre fedele ai principi del puro empirismo. Egli dice infatti che due figure sono congruenti quando si possono trasportare in modo che i punti di esse vengano a toccarsi (an einander stos- sen). Egli suppone dunque la penetrabilità dei corpi che non è certo un'ipo- tesi puramente empirica, essendo le figure i corpi stessi e non degli enti ideali. Inoltre ci pare che non sempre, come a pag. 115-120, vi sia abbastanza chia- rezza in modo da non lasciar dubitare che gli assiomi II, IV e Vili conducano fuori del campo delle nostre osservazioni, il che toglierebbe la differenza fra punti propri e improprì del campo finito, e si verrebbe meno con ciò al prin- cipio di stabilire gli assiomi soltanto per gli oggetti osservabili2). 1} il prof. Klein nel!1 ultima sua memoria citata esprime alcuni giudizi sugli assiomi geome- trici che dobbiamo discutere. Egli è contrario alle vedute del sig. Pasch in quanto riguarda la dimostrazione geometrica, che secondo noi debbono anzi essere estese agli stessi assiomi, sebbene ci appoggiamo sempre al processo costruttivo dell1 intuizione spaziale; il che non fa certamente chi prima o poi usa il formali- smo analitico in modo più o meno intuitivo. Klein per giustificare la sua diversità di vedute dice che si cita a questo proposito il processo della geometria analitica puramente calcolatrice che astrae dalle figure, ma che egli non può rite- nerla come geometria propriamente detta. Mi è impossibile, egli dice, di svolgere logicamente una considerazione geometrica senza avere continuamente dinanzi agli occhi la figura a cui si riferisce . E più sotto : Una considerazione geo- metrica la penso in modo che la figura di cui si tratta la teniamo come tale sempre davanti agli oc- chi, e ci riferiamo agli assiomi ogni qualvolta si tratta di dimostrazioni rigorose . In fondo, quanto al metodo siamo pienamente d'accordo; ma Klein non ha spiegato come si possa tenere la figura fortgesetzt vor Augen attraverso i calcoli di cui egli pure fa uso. Anzi dove egli usa il linguaggio comune senza simboli, il vero metodo suo è generalmente l'analitico. Certo che Klein si accosta molto più nei suoi lavori al metodo intuitivo di altri matematici, ad es. di Cay- 1 e y, che trattano la geometria col metodo analitico, ed egli sa fare frequente uso di considerazioni geometriche anche nelle ricerche d'analisi. Se ben intendo, non siamo neppure d'accordo per quanto egli dice sulla considerazione geome- trica, perché per noi la dimostrazione, specialmente nella questione dei principi, deve essere sempre ri- gorosa, e quando non lo è, essa è più o meno diffettosa. Quanto poi ali1 opinione di Klein che l'irrazionale debba essere fondato aritmeticamente, non posso che riferirmi alla mia introduzione stessa, oppure sottto altra forma alla mia nota citata sul continuo rettilineo. Sono invece pienamente d'accordo con Klein quando dice che gli assiomi sono la domanda mediante la quale stabiliamo delle affermazioni esatte nell'intuizione inesatta. lo mi esprimo in- vece dicendo che gli assiomi sono il risultato dell'intuizione e dell'astrazione insieme, che cosi sono formati gli oggetti geometrici, i quali non chiamiamo comunemente astratti ma intuitivi, dando la pre- valenza all'intuizione. 2) Come corollario dell' assioma II si ha che dato un segmento (AB), i cui punti A e B sono pro- prl, in ognuno dei prolungamenti di (AB), ad es. da. A a. B vi è un altro punto proprio B' tale che U )== (AB). L'assioma IV è espresso cosi: Se Ci giace nel segmento AB, e si prolunga il segmento ACl del segmento congruente C2 C3, e cosi via, si arriva a un segmento Cn Cn^ che contiene il punto B . Come si vede questo è l'assioma d'Are hi mede. L'ass. Vili stabilisce che se si aggiunge ad una figura un punto proprio, si può fare altrettanto per una figura congruente alla prima in modo che le figure risultanti sono pure congruenti. Slano dati ad es. due triangoli ABC, A'B'c' congruenti, i cui vertici siano punti proprl in modo però che A'B'C' siano sulla superficie limite del campo della nostra osservazione per il quale soltanto devono essere dati gli assiomi. Si abbia inoltre un punto proprio D fuori del piano ABC; può darsi che il punto D*ì tale che i due tetraedri ABCD, A'B'C'D' siano congruenti, sia un punto improprio, os- sia non situato nel campo suddetto. Se il sig. Pasch ritiene che l'assioma valga soltanto quando D' è proprio, non si sa spiegare perché dopo avere esteso i) concetto della congruenza a punti qualun- que egli dia il teor. 4 a pag- 115, secondo il quale in figure congruenti qualunque a un punto proprio dell1 una corrisponde un punto proprio dell'altra.

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feflt 11 sìg. Pasch da ventici uè assiomi per la geometria proiettiva dello spazio ordinario, cioè otto per la retta, partendo dal segmento rettilineo, quattro per il piano e dieci per le figure congruenti, tutti comuni alle ipotesi Euclidea e non Euclidee. Egli dichiara che non si occupa di spiegare col suo metodo quale di queste ipotesi corrisponda alla realtà, e non si occupa della geometria metrica; così manca nel suo libro una parte principale dei fondamenti della geometria. Dopo avere introdotto il concetto di punto matematico col quale non in- tende altro che un sistema di quattro numeri reali, non contemporaneamente nulli (pag. 191), parrebbe che il metodo empirico fosse stato adottato per ar- rivare a questa definizione, mentre l'A. torna ancora sul concetto empirico di punto quando stabilisce che il trasporto della figura in numeri e il ritorno ad essa dai risultati numerici non può seguire con la stessa precisione (p. 200); cosa del resto notissisima senza bisogno di tanti sviluppi, quando la figura si considera come oggetto sensibile. Ma anche avesse abbandonato i concetti empirici, il punto geometrico ideale non è niente affatto un sistema di numeri, e per questa idea non occorrono certamente tutte le considerazioni che ha svolto dapprima il sig. Pasch T). Se si adotta poi l'analisi nello studio della geometria, e la scienza così ottenuta si chiama geometrìa analitica, la quale è allora da distinguere dalla geometria propriamente detta, si abbandona il campo delle osservazioni dirette per stu- diare la geometria, ciò che fa appunto la geometria ideale o astratta. È poi da osservare che il sig. Pasch come è empirista in geometria, lo do- vrebbe essere pure in analisi, ma egli stesso confessa che la matematica se non si vuoi restringere ad un campo limitatissimo deve accettare il numero irra- zionale, ossia il continuo numerico. Ora il continuo numerico non è accettato dall'empirista, perché tutto deve potersi ricondurre a rappresentazioni sen- sibili. Il numero irrazionale richiede appunto un processo infinito che l'empi- rista non ammette 2). Si dirà che l'analisi si può svolgere per via puramente numerica, ma bisogna vedere se effettivamente l'analisi dal punto di vista em- pirico possa essere svolta per questa via. Ma anche ammesso che l'analisi si possa svolgere dal punto di vista empirico accettando l'irrazionale, la con- clusione a cui egli arriva conferma la ragione d'essere della geometria ideale, la quale appunto si confonde astrattamente colla geometria che si ottiene ap- plicando l'analisi senza restrizioni. Il sig. Pasch esclude col suo metodo a priori (ma non posteriori) la, geo- metria a più di tre dimensioni, basando la possibilità geometrica sulla sola os- servazione diretta e greggia; mentre noi la basiamo altresì sui fatti mentali3). i) Vedi intr. i, cap v e parte I oss, emp. t. ) Nel libro: Einleitung in die differential u. Integ. Rechnung. 188-2. pag 13, il sig. Pasch dice: mentre la misura empirica da un numero che vatia col 1 finite dell'esattezza, la matematica cerca re- gole generali indipendenti da speciali rapporti di osservazione, e perciò non può far senza dei nu- meri irrazionali, quando non vuole restringersi in un campo troppo angusto . Vedi Du Boi s Rey cnond: Allg. Theorie ecc. ad es pag. 178 e 205-206. 3) Abbiamo già detto che anche Helmo Itz pure essendo quello tra i matematici che più che al- tri ha sostenuto I1 urto dei Kantiani e l'origine empirica della geometria, non la pensa quanto alle forme geometriche come il sig. Pasch Citerò anche Clifford il quale arriva pure per via sperimeli-

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588 Per quanto non si possa essere favorevoli al metodo empirico del Pasch, pure bisogna lodarne lo scopo di voler porre la geometria su basi indiscutibil- mente vere e compatibili fra loro, e il metodo appunto da lui usato inteso a scom- porre gli assiomi in parti semplici, sebbene egli non dica le ragioni per le quali li ritiene indipendenti. Sono poi importanti in questo libro specialmente i capitoli relativi alla corrispondenza proiettiva e alla rappresentazione dei punti della retta e dei rapporti anarmonici con numeri ; teoria questa di cui si era occupato anche De Paolis1). Il libro di Pasch sia pel rigore nelle dimostrazioni, sia per il metodo puramente elementare e geometrico che egli adopera va con- siderato come un notevole contributo nella questione dei principi della geo- metria proiettiva. Un'altra via in questi studi fu aperta, subito dopo di Riemann, da H. v. Helmol tz, uno fra i più grandi pensatori di questo secolo, nella sua memoria Ueber die Thatsachen die der Geometrie zu grunde liegen 2). Partendo da un punto di vista più intuitivo di quello di Riemann, egli ha stabilito quat- tro assiomi, che valgono per tutti e tre i sistemi di geometria, e per le va- rietà ad n dimensioni, che egli chiama spazi sebbene egli svolga poi le sue ipotesi nello spazio a tre dimensioni. La prima ipotesi è la seguente: Lo spazio ad n dimensioni è una varietà estesa di nm specie, vale a dire che il suo particolare, il punto, viene determinato mediante la misura di n grandezze (coordinate) qualunque, variabili in modo continuo e indipendenti fra loro. Ogni movi- mento di un punto è perciò accompagnato da una variazione continua almeno di una coordinata. Se devono aver luogo delle eccezioni, ove o la variazione sia discontinua oppure a malgrado del movimento non abbia luogo alcuna variazione di tutte le coor- dinate, queste eccezioni sono soltanto limitate a certi luoghi determinati da una o più equazioni (cioè punti, linee, superfìcie e così via), che rimarranno dapprima escluse dalla ricerca. È da osservare inoltre, che per continuità della variazione nel movimento non è soltanto inteso che vengono percorsi tutti i valori estremi delle grandezze varia- bili, ma eziandio che esistono i quozienti differenziali)). Questa è la prima ipotesi di Riemann. C'è soltanto la differenza che qui entra in campo l'idea del movimento, come si vedrà meglio in appresso. He 1* moltz non da la generazione delle varietà, ma la fa dipendere senz' altro dalla corrispondenza col continuo numerico. La seconda ipotesi suppone l'esistenza dei corpi rigidi e mobili, vale a dire che si mantengono inalterati mediante il movimento, come è necessario, egli dice, per poter confrontare le grandezze spaziali (mediante la congruenza. E da la seguente definizione di corpo rigido: Tra le n coordinate di ciascuna coppia di punti, che appartiene ad un corpo rigido ha luogo un'equazione (Gleichung) indipendente dal movimento, che è la tale alla nozione del punto comunemente inteso. La superficie, egli dice, non è uno strato sottilissì- mo del corpo, come la linea non è una parte di superficie, e il punto una parte della linea : The com- mon sense ofthe exact sciences. Questa opera postuma dell1 illustre matematico inglese fu tradotta lu italiano del prof. Maggi: Milano, 1886. Essa non ha la pretesa di stabilire i principi della scienza in modo logicamente rigoroso, ma la cui lettura crediamo utile ai giovani. 1) Sui fondamenti ecc. 1. e. 2) Gòtt. nach. 1868, opp. Wiss. Abh. voi. Il, pag. 618.

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589 medesima per tutte te coppie congruenti di punti. Congruenti sono quelle coppie di punti che insieme o una dopo l'altra possono coincidere con la medesima cop- pia di punti . Lie ha formulato in modo più preciso per lo spazio a tre dimensioni le ipotesi suddette. La prima ipotesi dice che sono possibili delle trasformazioni della forma ijs'=^f(xty^z,al, a* ..... ) y' = p (x, y, z, ax, a2 ..... ) (A) z' = $(3C,y,z9alta^....) ' ove flj a2...,. sono dei parametri, f.fety funzioni analitiche di cui le altre proprietà sono determinate dagli altri assiomi. Indicando con w (5?^, ylM z , a?2, y2, *d un' invariante dei due punti (a^, y^ 5^, (o72, y 2, 2), la seconda ipotesi significa per una qualunque delle trasformazioni (A) che si ha: Indipendentemente dall'idea del movimento suddetto, la seconda ipotesi di Helmoltz secondo le nostre considerazioni sui sistemi continui di figure invaria- bili si può ridurre a questa: che dato un sistema di elementi (S) i cui elementi appartengono ciascuno ad un continuo lineare avente la proprietà della prima ipotesi, e in modo però che fra questi sistemi continui lineari vi sia una cor- rispondenza univoca e dello stesso ordine (supposto anche che uno o più di questi continui possano ridursi ad un solo elemento) vi è fra le coppie di pun- ti corrispondenti la stessa funzione delle coordinate, che si chiama distanza degli elementi della coppia. In tal caso (S) si chiama corpo rigido, e due po- sizioni di (S) si chiamano congruenti 2). La terza ipotesi di Helmoltz ammette la piena libertà di movimento dei corpi rigidi, che consiste in questo: che ogni punto può trasportarsi al posto di ogni altro, o senza I1 idea di movimento: che due punti qualunque dati ap- partengono ad una linea colle suddette proprietà, tenendo però conto delle di- stanze che lo legano agli altri punti del corpo a cui appartiene. (( II primo punto di un sistema rigido è dunque assolutamente mobile. Quando esso è fissato, per il secondo puntò ha luogo un'equazione, e una delle sue coor- dinate è funzione delle altre n-1. Dopo che è fissato anche il secondo, si hanno ((due equazioni per il terzo, e così di seguito. In tutto si richiedono n (n+l)/2 co- stanti per la determinazione di un sistema rigido . Secondo Lie (I. e.) questa ipotesi equivale a quest'altra. Il punto x^ y^ zl può essere trasportato in qualunque punto dello spazio; quando esso rimane fisso, ogni al- tro punto (di posizione generale) può prendere oo2 posizioni che sono determinate dall'equazione data dall'uguaglianza delle distanze del punto mobile dal punto fisso. Se i due punti x^ y^ zl; a?2, t/2, z2 rimangono fissi, allora un terzo punto di posizione generale #3, y3, z3 occupa oo1 posizioni determinate da due equazioni analoghe ; e fi- nalmente quando tre punti x^ y^ zl ; x2, y2, zz ; o?3, #3. % rimangono fissi (salvo quando hanno una posizione speciale) allora le tre equazioni della forma (C) (a (a?i, yt, z^ o?4, y^ z4) w (# , yi, zi ; a?4 , y4', z4') (i=l, 2, 3) devono essere soddisfatte dalle sole coordinate a?'4 = o?4, y'4 = y4, z\ = z4. 1) Bemerkungea zu v. Helmoltz Arbeit ùber die Thatsachen ecc. Berichte der Ges. der Wiss zu Leipzig, 1886. Ueber die Grundlangen der Geometrie (ib. ott. 1890) 9) Vedi pref. e le nostre osservazioni sul movimento senza deformazione.

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590 Lie fa qui un'osservazione importante. Helmoltz non ha accennato alla posi- zione generale dei punti mobili, e non tenendone conto Lie fa vedere che i movi- menti dello spazio Euclideo sono caratterizzati dai soli tre primi assiomi. La quarta ipotesi è la seguente: Infine dobbiamo attribuire allo spazio un'altra proprietà che è analoga alla monodromia delle funzioni ad una variabile complessa, la quale esprime che due corpi congruenti rimangono anche congruenti dopo che l'uno di essi ha eseguito una rotazione intorno ad un asse. La rotazione è distinta dal fatto che le coordi- nate d'un certo numero di punti del corpo mobile rimangono inalterate durante il movimento. Si ha invece rinversione del movimento quando le coordinate prendono gli stessi valori complessi già percorsi in modo continuo. Noi possiamo esprimere questo fatto nel seguente modo: Quando un corpo rigido ruota intorno ad n~l dei suoi punti; se questi sono scelti in modo che la sua posizione dipenda da una sola variabile indipendente, la rotazione conduce il corpo senza inversione nella posizione primitiva dalla quale è partito . * Parrebbe dalla prima esposizione di questa ipotesi e dal titolo che le dàTA. in una sua precedente nota !) che non fosse possibile il movimento di un corpo rigido ad es. intorno a due punti fìssi nello spazio ordinario, mentre ciò è già ammesso dalle precedenti ipotesi, perché se il corpo è rigido secondo le ipotesi II e III, esso si mantiene nel movimento sempre congruente a so me- desimo e a qualunque altro ad esso congruente. Nella seconda dizione sotto- segnata si comprende invece che Helmoltz non sembra voler dire la mede- sima cosa, ma bensì ammette che il corpo pur mantenendosi invariabile nella rotazione ritorni senza inversione nella posizione primitiva da esso occupato. In altro luogo sostiene pure la possibilità geometrica che manchi la ipo- tesi IV2). Sarebbe possibile, egli dice, una geometria nella quale ciò non avesse luogo. Questo si vede nel modo più semplice per la geometria del piano. Si supponga che in ogni rotazione di ciascuna figura piana le sue dimensioni lineari crescano pro- porzioQalmente ali* angolo di rotazione, allora dopo un intera rotazione di 360 gradi la figura non sarebbe più congruente alla sua posizione iniziale. Del resto ciascuna altra figura che nella prima posizione fosse ad essa congruente potrebbe esserlo an- che nella seconda quando fosse fatta ruotare di 360 gradi. Con questa ipotesi sa- rebbe possibile un conseguente sistema di geometria non compreso nella form:t Riernaimiana . de Tilly ha per primo sostenuto che questa ipotesi per lo spazio deriva dalle precedenti: poi Lie e Klei n, quest'ultimo con una dimostrazione molto semplice e in- tuitiva3). Per la geometria del solo piano l'assioma suddetto, come ha dimostrato Helmoltz stesso, è invece necessario. Alla fine del suo lavoro egli nota anche la soluzione che ottiene per la geo- metria piana compatibile coi suoi assiomi, e cioè che i! cerchio abbia assintoti 1) Questa nota è un sunto della memoria citata e pubblicato precedentemente nelle Verh. der nat medie. Verein zu Heidelberg del 1866, tradotta in francese da H olì e I nelle Mém. de la Soc. des scien- ces de ttordeaux, 1867. Helmoltz intitola questa ipotesi: ipotesi dell* indipendenza della forma dei corpi rigidi dalla rotazione. 2) Populàre Wiss. Vortrage Heft. IH, 41. Brauaschweig. 1876. 3) de Tilly: Essai sur les principes fond. de la geometrie et de la meo. Bordeaux, 1879; Lie 1. e.; lilein: Zur Nicht. Eucl. eoe. \. e. pag. 565.

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591 reali. Secondo noi queste due soluzioni della geometria piana sono soluzioni improprie da doversi rigettare a priori perché contrarie all'esperienza, seb- bene matematicamente possibili l). Li e dimostra nei senso spiegato che sono possibili i gruppi di movimenti dei sistemi Euclideo e non Euclidei, e diversi altri gruppi, fra i quali cinque in cui non ha luogo libertà di movimento pei punti di un intorno arbitrariamente piccolo. In que- sti gruppi tenendo flsso un punto, rimane fisso una certa cuva passante per esso, in modo che quando si tien fisso un punto, ogni punto assume oo2 posizioni, eccettuati quelli della classe suddetta. La distinzione molto importante di questi gruppi deriva dal concetto di posizione generale dato nella III ipotesi. G. Cantor oltre T osservazione già citata nota pure l'arbitrarietà della corri- spondenza fra i punti dello spazio ordinario e i valori del continuo aritmetico (#, y, z). Difatti egli dice, è un'ipotesi a cui non ci si sente spinti da alcun bisogno quella che a ciascun sistema di valori razionali o irrazionali di a?f y* s corrisponda realmente un punto dello spazio. Egli dimostra poi che si possono immaginare degli spazi discon- tinui nei quali fra due punti N e N' è possibile un infinito numero di movimenti con- tinui. Un tale spazio si ottiene ad es. dall' ordinario separando da esso tutti quei punti le cui coordinate sono numeri algebrici. Egli conclude quindi che dal solo mo- vimento continuo non si può nulla decidere intorno alla continuità dello spazio in tutto e per tutto, e che per conseguenza sarebbe utile lo studio della meccanica nello spazio discontinuo avente le proprietà sopra accennate per dedurre possibilmente dal suo confronto colla realtà qualche fatto in appoggio della perfetta continuità dello spazio dipendente dall'esperienza 2). Le ipotesi III e IV di Helmoltz sono certamente più intuitive di quelle di di Rie mano, ma non si può dire altrettanto della prima e della seconda, ol- tre che il metodo di svolgimento è prettamente analitico e tutt1 altro che ele- mentare. L'A. non si occupa poi di mostrare come dai suoi assiomi senza altre ipo- tesi si possano dedurre le proprietà fondamentali degli enti principali della geometria elementare. Colle ipotesi di Helmoltz i movimenti infinitesimi intorno ad un punto scelto come origine delle coordinate sono dati dalle seguenti equazioni: don dy - dz Lie fa ad Helmoltz l'appunto di non tener conto nello svolgimento che ie coefficienti a^ bt, a possono annullarsi contemporanea'rente pur soddisfacendo le equazioni di trasformazione alle ipotesi suddette. In tal caso però tutti i punti infini- tamente vicini all'origine rimarrebbero fissi, facendo astrazione da grandezze infini- tesime di 2o ordine. E difatti Lie trova un gruppo siffatto che corrisponde alle ipotesi di Helmoltz, compreso poro il concetto di posizione generale dato nella 111 ipotesi, che a dire il vero in quella di Helmoltz non c'è. T) Vedi pref. 2) Math. Ann. voi. XX, pag. 119, opp. Acta Math. voi. 2. Veggasi a questo proposito la nostra nota al l dei cap. IV della nostra introduzione.

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592 Helmoltz aggiunge due altri assiomi: V. Lo spazio è a tre dimensioni. VI. Lo spazio è esteso ali1 infinito; i quali assiomi, come egli stesso avverte non bastano ancora a separare il si- stema di E11 ci i de da quello di Lobatschewsky. Qui si osserva una certa confusione nelle denominazioni dell'assioma V e dei precedenti, nei quali per spazio ad n dimensioni s'intende una varietà ad n dimensioni (ip. 1). La chia- rezza nella discussione dei concetti fondamentali è un requisito principale, e ci pare che questo manchi nel lavoro di Helmoltz. Una più precisa scelta di nomi avrebbe forse risparmiato ad Helmoltz gli attacchi di alcuni filosofi1). Egli ha pure cercato in uno splendido discorso di popolarizzare l'idea della possibilità dei tre sistemi di geometria valendosi di eleganti considerazioni fisiche e delle ricerche già note, specialmente delle memorie già citate di Bel - trami. Helmoltz accenna che potrebbe non essere vero il principio che un corpo muovendosi non si deformi senza che ce ne accorgiamo, o nel nostro linguaggio che lo spazio vuoto possa non essere un sistema identico nella po- sizione delle sue parti, perché si può concepire che lo spazio goda di questa proprietà e non abbia luogo invece il suddetto principio. In ta*l caso la .cur- vatura dello spazio in ogni suo punto non sarebbe costante 2). Non è a credere però che il sistema di Lobatschewsky o quello sferico richiedano che ciò avvenga; ciò ha luogo soltanto nella rappresentazione dei sud- detti sistemi nel sistema Euclideo. Clifford a questo proposito dice: ora potrà darsi che le lunghezze si alterino pel solo fatto che si trasportano da un luogo all'altro, senza che ce ne accorgiamo? Chiunque voglia meditare seriamente su questa questione, fi- nirà per persuadersi che essa è interamente priva di senso 3). Altrove Helmoltz dice cbe gli assiomi si lasciano ricondurre ai tre seguenti : 1) Fra due punti è possibile una linea più corta, che chiamasi retta. 2) Per tre punti passa un piano. Un piano è una superficie nella quale giace interamente ogni retta che ha con essa due punti comuni. 3) Per un punto è possibile una linea, che è parallela ad una linea retta. Pa- rallele sono due rette che giacciono nello stesso piano, e non si incontrano a distanza finita 4). Come si vede, Helmoltz adotta qui i principi citati di Klein, salve alcune differenze che non si possono ben giudicare non avendo egli definiti tutti i concetti che questi assiomi contengono. Gli assiomi della precedente memoria di Helmoltz conducono al metodo (o ad uno simile) di costruire il piano e la retta mediante la sfera, il che, come si è visto, fu tentato da V. Bolyai e da Lobatschewsky. Un libro importante che mette in relazione gli assiomi di Helmoltz col- l'indirizzo di V. Bolyai è quello già citato di de Tilly 5). Il metodo da cui 1) Vedi alla fine la nota sulta def. dello spazio e della geom. a più di tre dimensioni. 2) Vedi anche Erdmann, Le. pag. 59-60. 3) 1. e. 4) Die Thalsachen etc. 1. e. 5) II valente geometra belga si è occupato per primo della meccanica astratta in una memoria presentata nel 1868 all'Accademia del Belgio e pubblicata nelle Mémoires couronnées del 1870. Questa memoria si divide in cinque parti : la i.a parte contiene un'esposizione sommaria della geometri^,

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593 parte è sempre analitico, sebbene nello svolgimento egli voglia far uso del me- todo sintetico. Egli da le prime nozioni empiriche di superficie, di linea e di punto, e spiega come il punto possa essere determinato da tre grandezze (coordinate) indipendenti e variabili in modo continuo, ammettendo però l'ipotesi che in- torno ad un punto possa essere costruito un sistema continuo di superficie chiuse inviluppantesi le une colle altre e senza punti o linee singolari. Le no- zioni di de Tilly oltre che su queste proprietà di cui fa uso altrove, hanno il loro fondamento sulle tre dimensioni dello spazio, che non da come assioma. Non definisce astrattamente la linea e la superficie, ma dal metodo analitico si sa che cosa devono essere. Alle nozioni tien dietro il primo assioma composto di due parti, che egli chiama assioma della distanza. Questa è introdotta come una grandezza di cui abbiamo la nozione intuitiva o sperimentale e comparabile con le grandezze della medesima specie considerate nello stesso tempo o in tempi diversi ; non dice però di quale specie essa sia. L'assioma è il seguente: a) La distanza varia nello spazio in modo continuo, vale a dire se si considera una linea limitata qualunque AB^ la distanza dei punti di questa linea ad una delle due estremità, per es. B, varia in modo continuo da AB fino a zero. Però se la linea AB è qualunque, la distanza in questione potrà avere dei massimi e dei ((minimi, ma senza cessare d'essere continua; e poiché essa deve tendere a zero, vi sarà necessariamente nella vicinanza del punto P una regione BB nella quale la distanza del punto B andrà sempre diminuendo, se si cammina verso J?, e cre- (( scendo se si parte da B* 6) Essendo dato un sistema di punti in numero finito o infinito ABCD (in altri termini una figura qualunque) e un punto B' tale che AB' == AB, esistono dei punti 7D'... tali che il sistema A'B'C'D'... è assolutamente identico al primo; vale a dire che in questi due sistemi le distanze fra le coppie dei punti corrispondenti od omologhi sono tutte uguali a due a due, intendendo per punti omologhi o cor- u rispondenti quelli indicati da una medesima lettera . Introdotta.l'idea di movimento de Tilly da un' altra forma alla 2a parte del suo assioma, cioè: Essendo dato un sistema di punti in numero finito o infinito ABCD... (in altri termini una figura qualunque) e un punto J? dello spazio tale che AB' = AB, il sistema dato si può muovere intorno al punto A tenuto immobile in modo che questo sistema rimanga invariabile, e che il punto B sia portato in , intendendo che la invariabilità di un sistema consista nelT invariabilità di tutte le distanze fra i punti che lo compongono . astratta, ove basandosi su considerazioni meccaniche svolge dapprima la trigonometria cinematica piana e sferica; la 2.a parte da alcuni complementi di geometria, sempre sotto il punto di vista mec- canico; la 3.a si occupa della cinematica; la 4.a della statica; e infine la 5.a della dinamica. E arriva alla importantissima conclusione che nulla si oppone nella meccanica teoretica ad ammettere che la som- ma degli angoli del triangolo rettilineo sia minore di due angoli retti. Non possiamo discutere i principi esposti in questo interessante e originale lavoro, perché ciò ci condurrebbe lontani dallo scopo che qui ci siamo prefissi, sebbene si tratti di argomento molto affine al nostro. Genocchi si è pure occupato contemporaneamente al de Tilly di alcuni principi della mec- canica astratta, ma nel senso di trovare piuttosto un punto di appoggio alla geometria Euclidea, che di arrivare alla conclusione citata di de T i 11 y (Mem. delia società dei XL 1. e. ecc.). Della geometria non Euclidea il de T il I y si occupò anche nel Bull. de PAc. Roy. de Belgique serie 2, t. XXX, 1870 pag. 28-37; t XXXVI, p. 124; 3 serie t. XIV, 1887; Bull. de Barbo ux t IH, 1872 pa- gina 191-138. 38

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594 Egli aggiunge però che questa seconda forma non è una traduzione let- terale della redazione primitiva, poiché non soltanto si ammette per questo assioma l'esistenza dei due sistemi identici ABCD....,A'JBfC'D'.., ma una serie continua di sistemi tutti identici, e dei quali ciascuno è infinitamente vicino a quelli che lo precedono e a quelli che lo seguono. Ma questa proprietà, egli dice, è una conseguenza dell'assioma dato nella prima forma, vale a dire del principio di continuità combinato con l'esistenza del sistema identico ad ABCD... per qualunque posizione del punto B. Anzitutto dalla prima forma non risulta punto la continuità dello spazio come egli la suppone, lo che deriva anche dalla ultima osservazione già citata del Cantor, e inoltre de Tilly non dimostra come dall1 assioma nella prima forma i due sistemi AÉCD..., A' (? '... appartengano ad un sistema continuo di sistemi ad essi identici; imperocché è chiaro che la seconda redazione del- l'assioma ammette qnalche cosa meno e qualche cosa più della prima. Ed in- vero secondo la dentizione data di figure identiche i due sistemi ABCD..., A'JffCfD'... possono essere anche di verso opposto, per es. due triedri opposti al vertice. Se così è, non è vero che per la continuità essi appartengano nello spazio a tre dimensioni ad una serie continua di triedri ad essi identici. Nella seconda redazione invece si ammettono questi sistemi, ma allora le figure sono congruenti, vale a dire identiche e del medesimo verso in S3. Se de Tilly intendeva accennare soltanto alle sole figure congruenti nella prima redazione, come appare anche da quanto dice a pag. 17 del suo libro sul mo- vimento dei corpi rigidi ove Pidentità e la congruenza sono la stessa cosa, allora la sua definizione di figure identiche è troppo generale, perché comprende anche le figure simmetriche. Doveva dunque nella prima redazione aggiungere la condizione che i due sistemi ABCD..., A'B'CD'..., appartengano ad un sistema continuo, esaminando poi se sia o no necessaria la condizione imposta da Hel- moltz alle linee descritte nel movimento nella definizione della congruenza, questione di cui noi pure ci siamo occupati. In tal caso però per provare la identità di due figure non occorre soltanto dimostrare la uguaglianza delle distanze, ma eziandio che è verificata l'altra condizione suddetta *). Siccome de Tilly fa poi uso continuo dell'intuizione del movimento senza deformazione, per il modo con cui I1 adopera in parecchie dimostrazioni, non si può dire che egli abbia resa la geometria indipendente dall'intuizione del movimento stesso, anzi si nota nell'autore della meccanica astratta una forte tendenza a trattare la geometria con considerazioni meccaniche. L'A. ammette in seguito l'assioma che la distanza possa diventare in- finitamente grande (che corrisponde alla VI ipotesi di Helmoltz) e da ul- timo da il postulato delle parallele di Euclide. Nelle nozioni di de Tijly è compresa in fondo la prima ipotesi di Helmoltz, e nell'assioma della di- stanza la seconda ipotesi, conquesto che Helmoltz definisce la distanza come una quantità o una funzione delle coordinate. Così pure nel suddetto assioma dato nella 2a redazione è compresa la possibilità del movimento di rotazione intorno ad un punto fisso, ma non ammette in esso che ogni altro punto possa i) vedi pref, pag. 203-3Q5 e la nota sul movimento.

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595 acquistare oo2 posizioni. Egli non dimostra una tale proprità, mentre senza di essa non è possibile la sfera. L'assioma di de Tilly contiene però una condi- zione di più, cioè la continuità della distanza quando il punto si muove in una linea. de Tilly da due teoremi che sono fondamentali nella sua ricerca, e cioè che in ogni linea e in ogni superficie a partire da un puntovi è una région a croissance continue finita, nel senso che le distanze di un punto A ad es. di una linea dagli altri punti della linea vanno in un tratto finito sempre aumentando fino ad un determinato valore diverso da zero ; e poiché egli non da la definizione della linea e della superficie e si appoggia al metodo analitico, le dimostrazioni di questi teoremi lasciano insoddisfatti, e avrebbero certo bisogno almeno di un maggiore svolgimento per far vedere che nes- sun'altra ipotesi è qui nascosta1). Osserviamo ancora che nella dimostrazione delle proprietà della sfera, egli si serve dell'assioma che la distanza di due punti può essere infinita, mentre la sfera ne è indipendente. Il modo appunto di cui fa uso dell'intuizione del movimento e del tempo lascia pure spesso perplessi sul rigore della dimostrazione, ad es. della dimostrazione alla pag. 32, che se un sistema invariabile si muove intorno ad un punto fisso, un punto mobile A si porta in B e nello stesso momento B si porta in C ecc. e si ottiene una linea che scorre su sé medesima. Così non ci pare soddisfacente la dimo- strazione che due punti AB determinano la linea retta, la quale, dalla sola esi- stenza di superficie generate da tratti di linea AMB le une dentro alle altre, stabilisce che il volume generato da esse ha per limite una linea AB. Subito dopo il 1 assioma egli si appoggia sul fatto che la distanza di due punti può aver tre espressioni analitiche diverse, come dimostra poi alla fine del suo libro, le quali corrispondono ai tre sistemi di geometria più volte citati. A parer mio vi è però un' imperfezione in questo metodo, cioè che il calcolo dato a pag. 158 per determinare la funzione della distanza non è deri- vato subito o poco dopo 1' assioma stabilito, come avrebbe dovuto essere, ma bensì anche dall' uso di tre assi ortogonali e delle forinole di trigonometria ge- nerale, fondate sulle conseguenze lontane di quell'assioma. In altre parole de Tilly da principio ammette il fatto che la distanza di due punti può avere tre espressioni analitiche diverse che soddisfano al suo assioma, e ne trae le conseguenze. Il piano secondo de Tilly viene generato da una retta normale ad un'al- tra retta che la incontra e ruota intorno ad essa 2). L'angolo è dato secondo lui da due rette o da due raggi limitati da un punto comune. i ) Veggasi anche R i 11 i n g : Erw. des Raumsbegriffs, pag. 3. 2) Creile (I. e.) attribuisce a Fourier la priorità di questa definizione del piano. Nelle Séan- ces des écoles normales citate Fourier propone, come Leibniz, di definir* la retta come luogo dei punti che hanno rispettivamente la stessa distanza da tre punti fissi, e il piano come luogo di punti chn hanno rispettivamente la stessa distanza da due punti fissi, definizione che non furono però approvate da M o n gè. Rispondendo a Fourier questi osserva : le considerazioni di cui fai uso nella tua definizione hanno qualche cosa di più complicato della linea retta che tu vuoi definire; e suppongono un'abitudine della geometria che non si può avere acquistata senza la nozione della li- nea retta . Cassani ha particolarizzato la suddetta definizione della retta usata anche da Genocchi (I. e.) supponendo che la terna di punti sia equilatera Q come egli dice regolare, (I nuovi fond.- della gè o m. Giorn. di Battagli ni, voi. X^).

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596 Abbiamo già dette le ragioni nella prefazione e nell'introduzione per le quali non è conveniente scegliere a fondamento della geometria il concetto di distanza senza quello della retta. E per ora neppure coloro che intendono con questo concetto la coppia di punti anziché una funzione delle coordinate, che poi in fondo esprime la lunghezza del segmento rettilineo compreso fra i due punti, hanno saputo evitare il concetto numerico, anche se lo hanno evi- tato apparentemente, poiché non hanno ben stabilito per via puramente geo- metrica quando una coppia è maggiore o minore di un'altra senza cui non si può definire la parte interna ed esterna della sfera e la continuità di queste parti. Osservo qui ancora che nei lavori i quali si svolgono col concetto della distanza o con quello di coppia, oltre che fa bisogno di operare diretta- mente nello spazio a tre o a n dimensioni, che un tale metodo non è applica- bile nello spazio generale, non si studia dapprima il problema se una sfera abbia uno o più centri, perché anche per ogni raggio r sufficientemente pic- colo è possibile immaginare a priori che ne abbia più d'uno. Difatti nelle no- stre ricerche prima di deciderci per l'uno o l'altro dei sistemi conosciuti, ab- biamo dovuto supporre che vi siano coppie di punti vicinissimi che non deter- minino la retta; e soltanto dopo abbiamo dimostrato che il gruppo di punti che a due a due non determinano la retta è finito, e poi che nella retta aperta con vi è alcuna coppia di questi punti, mentre sulla retta chiusa soltanto i punti opposti possono avere tale proprietà. Questa ricerca sulla sfera, pare a noi, dovrebbe premettersi allo studio dell' intersezione di due sfere. Di più a coloro che come V. Bolyai vogliono seguire il metodo geometrico puro si può chie- dere come definiscano il continuo dello spazio di cui hanno bisogno. Dal libro di de Tilly, ove il concetto di distanza come concetto fonda- mentale, e la generazione della retta e del piano per mezzo della sfera si trova trattata con maggior cura ed esito che negli altri, si riconoscono meglio i difetti e le difficoltà di questo metodo. Rispetto poi all'insegnamento l'A. stesso, quando applica le sue ricerche al trattato di geometria elementare di Rou- ché e Comberousse riconosce esplicitamente l'impossibilità di seguire il suo metodo nella dimostrazione delle proprietà fondamentali della retta e del piano. Nonostante però questa critica, non è a credere che il libro di de Tilly non meriti molta considerazione dal punto di vista generale dei me- todi sui principi della geometria; imperocché se abbiamo fatto qua e là delle osservazioni, non abbiamo però detto che i difetti non si possano togliere com- patibilmente col metodo scelto. Molti si sono provati prima e dopo di de Tilly a far senza dell'assioma del piano, dando di esso una costruzione o mediante due serie di sfere con- grue concentriche, oppure mediante la rotazione di una retta normale ad un'al- tra e che la incontra in un punto. Noto fra questi oltre agli autori già nomi- nati Dehana, Gerling, Erb, Creile, Duhamel, Flie S. Marie, Gas- sani e Fri se bau f 1). i) Dehana: Diss inaug. Marburg, 1837 Gerling: Giorn. di Creile voi. 20 pag 332. Erb : Die proty. der geradeneqc,Ueidelberg, 1846. Creile: 1. e. Duhamel: Dos méthodes dans lesspiences

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597 Questo metodo in fondo ha da una parte la sua origine avuto forse in un malinteso, e cioè che la linea retta non si possa definire, mentre si dice si può definire la sfera. Ora è chiaro, come abbiamo fatto vedere nell'introdu- zione, che bisogna partire almeno da una forma fondamentale che non si può costruire, ma la cui definizione si può dare mediante le sue proprietà che ser- vono a distinguerla dalle altre forme; e noi abbiamo fatto anche vedere nel- l'introduzione come sia più conveniente di scegliere come forma fondamentale il sistema continuo di elementi identico nella posizione delle sue parti e de- terminato dal minor numero di elementi, quando esso esista come nella geo- metria. Ora nel metodo suddetto, come forma fondamentale o si considera la distanza o la coppia di elementi. D'altronde la sfera per essere costruita ha bisogno appunto della definizione di spazio a tre o an dimensioni, e che per questa vi sono maggiori difficoltà che per la definizione della retta. D'altra parte il detto metodo ebbe un'origine più giustificata nell'osser- vazione già citata di Gauss sull'imperfezione dell'assioma del piano; che da noi si trova completamente tolta senza ricorrere alla sua generazione me- diante la sfera o mediante il movimento di rotazione di una retta. Abbiamo data la dimostrazione pel solo sistema Euclideo basandoci sulla teoria delle parallele, mentre per il sistema Riemanniano abbiamo fatto uso dell'ip. VII. Crediamo ad una possibile dimostrazione indipendentemente dal postulato delle parallele, e abbiamo detto altrove le ragioni di questa nostra credenza, indi- cando anche la via secondo la quale riteniamo si possa riuscire l). Da ha mei nel voi. II del suo ottimo libro citato da dell'assioma del piano una dimostrazione più empirica che geometrica. È degno di nota il metodo elegante con cui egli introduce il concetto di lunghezza delle linee e ne svolge le conseguenze. Cassa ni ha il merito di essere stato uno dei primi in Italia ad occuparsi dei principi della geometria seguendo l'indirizzo di V. Bolyai e di Helmoltz, sebbene egli non distingua bene in principio gli assiomi dalle definizioni. Cassani nella sua Geometria rigorosa ha riconosciuto la necessità di dimostrare che due sfere non pos- sono tagliarsi che in una circonferenza, e quindi studia con maggior cura che negli altri lavori analoghi l'intersezione di due sfere. Non sempre però le sue dimostra- zioni soddisfano interamente. Il libro di Frischauf è manchevole dallato dei concetti fondamentali, e quindi non si può dire che egli abbia raggiunto lo scopo di poter chiarire a quei lettori che ne sentono bisogno le oscurità degli elementi ) perché le sue dimostrazioni da principio hanno molte lacune alle quali il lettore deve supplire con la propria in- tuizione ; ma ottenuta la retta ed il piano egli procede con metodo geometrico sem- plice alla trattazione sistematica della geometria elementare, specialmente di Lo- batschewsky, e da un cenno dei concetti fondamentali dei lavori di Riemann, di Helmoltz e di Bel trami. Con spirito geometrico sono dettati gli assiomi di Houel nel suo citato opu- scolo. Il primo di essi stabilisce che la posizione di una figura nello spazio è fissata da tre dei suoi punti in generale ; il secondo afferma l'esistenza della linea retta de- terminata da due qualunque dei suoi punti, e tale che ogni porzione di essa si ap- plica esattamente sopra ogni altra porzione, allorquando queste due porzioni hanno de raìsonnement, 1866. Pii e S. Marie 1. e. Cassani: Geometria rigorosa Venezia 1872. Intorno alle ipotesi fondamentali della geom.Giorn. di Battaglini voi. XI e XX. Prischauf: Elera. der abs. Geometrie ; Leipzig, 1876. 1 Vedi pag. 379-3 0.

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598 due punti comuni ; il terzo riguarda la esistenza del pianò che contiene ogni retta avente con esso due punti comuni, e del quale ogni porzione può essere applicata esattamente sulla superficie piana stessa, sia direttamente, sia dopo averla capovolta facendole eseguire una mezza rotazione intorno a due dei suoi punti ; e finalmente il quarto assioma dice che per un punto si può condurre una sola parallela ad una retta data. Ma sia per il modo con cui sono esposti sia per la sostanza non si può dire che essi soddisfino al rigore che l'A. stesso reclama. Sono notevoli e degne di considerazione le osservazioni che egli fa intorno alTinsegnameuto della geome- tria nelle scuote secondarie. Un altro importante indirizzo in questi studi dal punto di vista gene- rale, e al quale abbiamo già accennato parlando dei lavori di Helmoltz, è quello di riguardare la teoria geometrica di una data varietà come quella di un gruppo finito continuo di trasformazioni. Il primo a introdurre questo con- cetto di gruppo fu il Li e, e la teoria feconda di questi gruppi va già acqui- stando ognora maggiore importanza per le sue svariate applicazioni, mercé appunto il trattato fondamentale di Lie su questa teoria *). Però Klein quasi alla stessa epoca fu il primo ad introdurre questo concetto nello studio della geometria nel senso anzidetto 2). Egli chiama gruppo principale quello che lascia inalterate le proprietà di un ente geometrico. Questo gruppo nello spazio ordinario si compone delle trasformazioni corrispondenti ai movimenti in numero sei volte infinito, delle trasformazioni simili in numero semplicemente infinito e delle trasformazioni per simmetria rispetto ad un piano. Da questo concetto così capitale il Klein fa discendere le diverse teorie geometriche, poiché ciascuna di esse è caratterizzata da un gruppo che contiene il gruppo principale. Così ad es. fa vedere che il gruppo della geometria metrica ordinaria è contenuto nel gruppo delle trasformazioni lineari, che corrisponde alla geometria proiet- tiva, e così per un teorema di Bel tram i osserva che anche il gruppo corri- spondente ad una varietà di curvatura costante mediante conveniente deter- minazione delle coordinate è contenuto nel gruppo delle trasformazioni lineari, e che quindi la trattazione di una tale varietà è compresa in quella proiettiva. Lie, come dicemmo, posti gli assiomi di Helmoltz sotto una forma più precisa applica la sua teoria. Mentre Klein si limita a considerazioni gene- reli, il Lie invece determina tutti i gruppi continui di trasformazioni corri- spondenti ai movimenti dello spazio che soddisfano agli assiomi suddetti colla modificazione indicata. Abbiamo già accennato agli importanti risultati dei la- vori di Lie già comunicati nella sua prima nota del 1886 3). Rileviamo qui che il metodo di Lie è prettamente analitico, e che trovati i gruppi di trasforma- 1) Theorie der Transformationsgruppen; Lelpziff 1888-1890. L'origine di questa teoria si trova in quella dei gruppi di sostituzioni di n oggetti, ove però si tratta soltanto di gruppi discreti. Va segnalata in questa teoria la memoria di C. Jordan sui gruppi li movimenti dello spazio (Annali di Mat. serie II, voi. Il}, la quale ha però un carattere speciale ri- spetto alla teoria generale. La def. di gruppo di trasformazioni in generale data da Lie (Atti della Società delle scienze di Cristiania, 1871} è questa. Dato un sistema finito o infinito di traformazioni fra x e o*, esso si chiama un gruppo quando due trasformazioni del sistema eseguite I1 una dopo l'altra danno un'altra trasfor- mazione che appartiene allo stesso sistema. 2) Vergleich. Betr. ecc. 1. e. e Math. Annalen VI 3) ci dispiace che avendo conosciuto l'ultimo lavoro citato di Lie soltanto poco tempo fa non abbiamo potuto prendere cognizione della prima parte di esso.

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599 zionì non si occupa dì fai* vedére còme da essi sì possa svolgere la geometria elementare. ' In questo indirizzo va citato iip lavoro dell'eminente matematico francese sig. Po in care *). L'A. ammette copie conosciuta l'algebra e l'analisi e parte dai due assiomi: A. Il piano è a due dimensioni. B. La posizione di una figura nel suo piano è determinata da tre condizioni. Applicando la teoria dei gruppi questi due assiomi conducono ai gruppi delle geometrie che Poi ne are chiama qiiadratiche, e ad altri gruppi i quali si separano dai primi mediante l'assioma: C. Quando una figura piana non abbandona il suo piano, e due dei suoi punti restano immobili, la figura resta tutta immobile. E per scegliere fra le geometrie quadratiche da l'assioma: D. La distanza di due punti non può essere nulla se non quando i due punti coincidono. Oppure : E. Allorquando due rette si incontrano, l'una di esse può ruotare intorno al punto d'intersezioue in modo da coincidere con P altra. Per scartare la geometria sferica (non però la 2a forma Riemanniana) da l'assioma: F. Due rette non possono tagliarsi che in un solo punto. E rìnalmente per avere il sistema Euclideo: G. La somma degli angoli di un triangolo è costante. Da quest' ultimo assioma, egli dice, derivano le ipotesi D, E ed F. Come si vede egli tratta del problema nel solo piano, né si sa se gli as- siomi che avrebbe dato trattando dello spazio avessero escluso tutti o in parte questi assiomi* del piano. P o i n e a r è ritiene come possibili sistemi di geometria che secondo noi non lo sono, ad es. un piano nel quale una retta ruotando intorno ad un punto non possa assumere sempre la posizione di un' altra retta passante per lo stesso punto; che come Klein aveva già prima notato non corrisponde all'esperienza nel campo delle nostre osservazioni *). L'illustre autore asserisce che nessuno degli assiomi dati nei trattati di geometria elementare ha il carattere di assioma, ma avrebbe fatto bene, ci pare, di dare delle spiegazioni in proposito, poiché ad es. l'assioma che egli cita in appoggio alle sue considerazioni due quantità uguali ad una terza sono uguali fra loro da gran tempo non è riconosciuto dai geometri come un assioma geometrico a). Egli fa inoltre uso fin da principio per stabilire i suoi assiomi delle proprietà delle superficie di 2 grado, sulle quali con pro- li Sur les hyp. fond. de la gèo m. Bull. de la S. M. de France. 1887. In questo indirizzo va anche citato il lavoro anteriore di Killing: Erweiterung ecc- 1. e. 2) Math. Ann. Voi. 4 pag. 590. Vedi la nostra pref. 3) Vedi pag.

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cOO cedimenti puramente convenzionali stabilisce le nozioni della distanza e del- l'angolo seguendo quelle di Klein. Sarebbe interessante di vedere svolta la geometria elementare con questi assiomi (modificandoli per lo spazio ordinario) per poter giudicare se essi abbiano quel carattere di assiomi geometrici che egli non attribuisce a tutti quelli ad es. di Euclide. Daremo ora alcune notizie sugli assiomi di H. Grassmann e del sig. V. Schlegel. Grassmann nella sua Ausdehnungslehre del 1844 da il seguente as- sioma J). Lo spazio è uniforme in tutti i luoghi e in tutte le direzioni; vale a dire in ututti i luoghi e in tutte le direzioni si possono eseguire uguali costruzioni. Oppure : 1) si può immaginare un'uguaglianza in diversi luoghi; 2) si può immaginare un'uguaglianza in diverse direzioni, e particolarmente an- che in direzioni opposte . E chiamando costruzioni uguali e dirette nel medesimo verso (gleichlàufig) quelle che risultano nello stesso modo in diversi luoghi, assolutamente uguali quelle che differiscono solo pel luogo e per la direzione, ed uguali e dirette in verso contrario (ungleichlàjifig) quelle che vengono generate nello stesso modo in diversi luoghi e in direzione contraria, Grassmann pone il suo as- sioma anche sotto la forma seguente: 1) Ciò che è determinato da costruzioni uguali e dirette nel medesimo verso è pure uguale e diretto nel medesimo verso . 2) Ciò che è determinato da costruzioni uguali e dirette in verso opposto è pure uguale e diretto in verso opposto. 3; Ciò che è determinato da costruzioni uguali in senso assoluto Tanche in di- versi luoghi e secondo diverse direzioni iniziali) è pure assolutamente uguale . La relativa limitazione dello spazio viene stabilita dal seguente assioma: Lo spazio è un sistema di 3* specie (a tre dimensioni). A schiarimento di questi assiomi, Grassmann, come egli stesso dice, si riferisce a quanto stabilisce precedentemente per l'Ausdehnungslehre. Egli aggiunge poi: Che questi assiomi bastino per la geometria può soltanto essere dimostrato collo sviluppo della geometria stessa da questo embrione. La proprietà che fra due punti è possibile una sola retta, o come si esprime Euclide, che due rette non ((racchiudono alcun spazio, .... è contenuta nel primo assioma giustamente inter- pretato; invero se due rette aventi un plinto comune ne avessero un altro, lo spazio in questo secondo punto si comporterebbe diversamente che nel primo, se le due rette non avessero tutti i loro punti comuni, oppure non coincidessero)). Evidentemente questa è una dimostrazione che non regge; anche intorno a due punti opposti nel sistema sferico lo spazio si comporta ugualmente, ep- pure per essi passano infinite rette. L'A. stesso dubita della sua esattezza. i) Pag. 36 e seg.

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601 Tralasciando pure di osservare che in questi assiomi sono compresi con- cetti così complessi; il guaio è che questi concetti ridotti in parti semplici non sono ben definiti nelle premesse dell' Ausdéhnungslehre. Come ho osservato egli parte dal concetto del continuo e del discreto definendoli in una forma che lascia adito a molte critiche *). Al 14 egli dice: L'ente estensivo di 1* specie è semplice quando le variazioni (dell'elemento') sono uguali fra loro, dimodoché se con una variazione da un elemento a si ottiene un elemento 5, e ambedue appartengono al detto ente estensivo semplice, allora con una variazione uguale dall'elemento b viene generato un elemento e del medesimo ente; e questa uguaglianza ha ancora luogo quando a e b sono due elementi successi- avi in modo continuo (stetig an eiuandergrànzende). perché questa uguaglianza dove aver luogo durante la generazione continua)). E poi: L'uguaglianza del modo di variazione viene rappresentata nella geometria dall'uguaglianza di direzione, la linea retta infinita si presenta cume sistema sem- plice di 1* specie . Chiama grandezze dello stesso verso quelle che risultano dalla continua- zione dello stesso modo di generazione (die durch Fortsetzung derselben Er- zeugungsweise hervorgehen); tali sono tanto le grandezze positive come le ne- gative; mentre una grandezza positiva e una negativa le chiama di verso op- posto. Sia le grandezze dello stesso verso come quelle di verso opposto le chiama gleichartige . E al 14 continua : Ciò che nell* Ausdehnungslehro si chiama gleichartig appare nella geometria come parallelo, ed il parallelismo presenta pavimenti due facci e, quale parallelismo dello stesso verso e di verso opposto . E propone anzi di distinguerlo con le due parole gleichlàufìg e ungleichlàttfig usate nella terza forma dell'assioma. È chiaro che qui Grassmann allude al parallelismo di Euclide, come dimostra l'esempio da lui dato al 23. Anzi l'assioma suddetto nella terza forma, come prova queir esempio, contiene come caso particolare quello che se due triangoli hanno due lati paralleli anche i rimanenti lati sono paralleli. Osserviamo che al sistema semplice di la specie si possono far corrispon- dere nella geometria tutte le linee omogenee e i sistemi omogenei ad una di- mensione, e non la retta soltanto, e in secondo luogo che Grassmann pone a fondamento della geometria il concetto di direzione che corrisponde a quello di variazione. Dal concetto di variazione tenta dedurre la proprietà fondamentale del piano ( 18 e 21), e qui cade in maggiore oscurità per la mancanza di una definizione del continuo; ma una tale dimostrazione mediante la nostra cor- rispondenza di proporzionalità può essere resa rigorosa. Grassmann genera il piano mediante due serie di rette parallele, che per una proprietà che è imme - diata conseguenza dell'assioma sopra accennatoci incontrano fra loro. Una certa analogia c'è fra il concetto della dimostrazione di Grassman n e il nostro, ma noi non ammettiamo l'assioma suddetto ed il teorema fondamentale sul triango- i Vedi la nostra nota della pag.

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602 lo1), lo deriviamo dall* assioma delle parallele insieme cogli altri assiomi ; né noi generiamo il piano nel modo indicato da Grassmann, né dimostriamo la proprietà suddetta del piano cogli stessi concetti. A titolo di giustificazione va però detto che egli non ha inteso di svol- gere il problema dei fondamenti della geometria; che se lo avesse fatto, avrebbe certamente determinato meglio i suoi assiomi; ma difficilmente, cre- diamo, avrebbe potuto stabilire un sistema rigoroso partendo dal concetto di direzione anziché da quello della retta. Né il libro System, der Raumlefoe 2) del sig. V. Schi egei, che costan- temente ha cercato di mettere in luce i pregi dell' Ausdehnungslehre, ci pare più fortunato. Osserviamo anzitutto che in questo libro gli assiomi non sono ben distinti dai teoremi, mentre una tale distinzione è necessaria in un trattato che si propone di studiare con rigore i principi della geometria (pref. pag. X e XII). E poiché anche il sig. S eh le gel parte come Grassmann dal concetto di direzione, così crediamo opportuno di sottomettere i principi di questo libro ad un esame particolareggiato trattandosi come si vede di un nuovo indirizzo in questi studi. A pag. 3 lo Schegel da la seguente definizione di direzione, a Vi è una mol- teplicità (Menge) illimitata di movimenti tra i quali un punto ha da scegliere nel principio della sua variazione. Il contrassegno di un tale movimento iniziale si ((chiama direzione precisamente secondo il concetto di Grassmann. E a pag. 4 soggiunge: Un punto 'mobile determinato (bestimmter bewegter Punkt) equivale ad una serie di punti fissi arbitrar i . Non si sa che cosa siano i punti fìssi, la variazione, la serie; se questa sia o no continua, e in tal caso quale sia la definizione di continuità; Lasciando dunque da parte il concetto di movimento, che sembra egli voglia poi evitare, la definizione di direzione significa che due punti consecutivi della serie deter- minano una direzione. Lo S eh le gel a pag. 3 continua: ((Se il punto continua nel movimento iniziale, il suo movimento totale si chiama semplice. ali contrassegno di un movimento semplice è la direzione . Evidentemente qui è nascosto il concetto della linea retta, senza la quale non sappiamo comprendere come un punto possa continuare il movimento nella direzione iniziale.E difatti lasciando il movimento, che spesso c'inganna nella discussione dei principi, ciò significa che se si hanno due direzioni AA', A'A" esse sono uguali se sono situate in linea retta. Invece lo Sehlegel, seguendo Grassmann, si serve del concetto di direzione per definire la retta. Egli dice a pag. 6: ((Quando un punto muta la sua posizione mediante un movimento semplice, (d'ente geometrico da esso generato (il suo cammino), si chiama linea retta. ((Le proprietà della linea retta sono determinate 1) dalla posizione (Lage) di uno ((dei suoi punti generatori; 2) da una determinata direzione (Richtung) del movimento adi questo punto)). 1) Vedi pag. 296. 2) Leipzig, 1872.

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m t contrassegni di Una retta sorto : posizione e direzione. Ciascun punto sopra la medesima retta può generarla. Ciascuno di questi punti divide perciò (daher) la retta in due parti, e può muoversi in due direzioni)). Ma anche sulla sfera un punto può muoversi in due direzioni opposte nel cerchio massimo, e due punti infinitamente vicini determinano uno di questi cerchi massimi; eppure un punto non divide la circonferenza in due parti. Il perciò dunque non va. ((Ciascuna retta rappresenta perciò due direzioni opposte e una determinata classe di posizioni (s'intende di punti). Mediante un punto qualunque sopra di essa u è determinata la posizione di una retta e mediante un secondo punto la direzione^ i(perché questo secondo punto può essere considerato come un'ulteriore posizione del primo, e quindi indica anche la direzione del movimento , Egli tenta de lurre che nel movimento di un segmento sopra una retta se (AB), (A^B^\ sono due delle posizioni del segmento, si ha (AAl)^(SBl)'9 ma questa proprietà non è in generale dimostrata perché occorre per essa la legge commu- tativa. Anche in Grass mami pei seguenti incommensuràbili manca una di- mostrazione rigorosa di tale proprietà. Né dalle sue premesse risulta che (AB) = (BA). A pag. 18 prima di parlare del piano lo Schlegel scrive: use una retta ha cambiato la sua posizione, nessun punto può appartenere al- l'una e all'altra retta; altrimenti potrebbe questo punto generare le due rette,vale a dire esse avrebbero la stessa posizione ; mentre nel sistema Euclideo due rette aventi la stessa direzione hanno nel senso nostro un punto comune reale all'infinito, e possono medesimamente considerarsi come posizioni diverse di una stessa retta. Qui dunque si suppone tacitamente escluso l'infinito attuale. Schlegel chiama Schiebung (traslazione) il cambiamento di posizione di una retta. Come la posizione di una retta è pienamente determinata da un suo punto qualunque, così il suo cambiamento di posizione è determinato da quello di uno dei suoi punti . Chiamiamo semplice il movimento della retta, quando lo è quello di ciascuno dei suoi punti, vale a dire quando ciascuno dei'suoi punti descrive una retta arbitraria . Quando una retta cambia la sua posizione mediante un movimento semplice^ Tente così generato si chiama piano (superficie piana). Secondo questa definizione però l'ente generato può essere anche per un es. iperboloide ad una falda. Le proprietà del piano sono determinate: te 1) mediante la posizione e direzione di una sua retta generatrice ; 2) mediante posizione e direzione di una seconda retta che viene percorsa da un punto della prima; oppure, siccome le due rette possono essere determinate dalla stessa posizione' 1) mediante posizione e direzione di una retta generatrice ; 2) mediante la posizione di uà punto arbitrario fìsso fuori di questa retta nel piano, ovvero se si sostituisce la retta in 1), mediante due dei suoi punti : 1) mediante la posizione di tre dei suoi punti non situati in linea retta . I contrassegni del piano sono dunque : una posizione e duo direzioni; oppure due posizioni ed una direzione, oppure tre posizioni.

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604 Anche qui non sì comprende corte dalla prima definizione si posSà rica- vare l'ultima di esse. Dopo aver stabilito così le proprietà fondamentali delle rette e del piano l'autore applica il calcolo diGrassmann. Lo scopò quindi di Schlegel espresso a pag. XII rispetto ai fondamenti della geometria non si può dire raggiunto. Preferiamo che le questioni difficili siano poste nettamente, e si cerchi di risolverle anziché nasconderle in una forma più o meno involuta. Per il secondo scopo di Schlegel, d'invo- gliare cioè i matematici allo studio dell' Ausdehnungslehre avrebbe fatto me- glio, ci pare, di ammettere i principi della geometria Euclidea tali e quali sono conosciuti. Quanto all'importanza che ha avuto ed ha oggidì o potrà avere l'analisi geometrica di Grassmann non possiamo qui occuparci. Alla pocacon^ siderazione in cui fu tenuto Grassmann vivente, nonostante la sua opera profonda e le altre sue ricerche matematiche, seguì una giusta reazione nella stessa Germania contro l'oblio immeritato verso quest'uomo, che morì pro- fessore di una scuola secondaria. Noi non osiamo però di essere ancora entu- siasti dell'analisi suddetta, forse perché non la possediamo abbastanza, pur am- mirando l'alto valore delle idee che qua e là sono sparse nell'opera citata, imperocché i suoi stessi ferventi sostenitori, e fra i quali anche di illustri, non hanno dimostrato ancora coi fatti l'importanza del metodo Grassman- niano nella ricerca scientifica a preferenza del metodo sintetico e del metodo analitico, che oggidì tengono il campo. E sarebbe interessante fosse fatto uno studio storico e critico dell'analisi suddetta in relazione ai metodi di Mòbius di BellavitisediHamilton,il quale dimostrasse tutti i vantaggi ottenuti con questo metodo, e quali si possano ripromettersi. Per le ragioni dette nella prefazione siamo però in ogni caso contrari nell'insegnamento degli elementi a qualsiasi formalismo o meccanismo che sostituisca sistematicamente e pos- sa menomare se non annientare una delle più belle facoltà dello spirito, l'in- tuizione spaziale, il cui aiuto nello studio scientifico degli elementi va inteso nel senso da noi spiegato. Un nuovo indirizzo nello studio dei tre sistemi di geometria più volte nominati è quello tracciato da Flie S. Marie nel suo libro citato. Egli, par- tendo dalla considerazione che nell'indefinitamente piccolo vale la geometria Euclidea indipendentemente dall'assioma delle parallele, come aveva osser- vato già Lobatschewsky stesso, ottiene per integrazione la geometria Eu- clidea e la non Euclidea, supponendo però la retta infinita. Questo indirizzo fu seguito anche dal sig. Killing con spirito più critico e geometrico nel suo libro Ueber die Nicht-Eucl. Raumformen e senza la condizione suddet- ta. Abbiamo già avuto occasione di citare questo libro interessante. Vi si tro- vano trattati anche gli iperspazi in gran parte col metodo analitico. In una memoria precedente *) Killing aveva dimostrato che escluso l'as- sioma della retta infinita e quello delle parallele le forme Euclidea e non Eu- clidee conosciute sono le sole possibili pel campo reale. Si suppone però con questo metodo clje il movimento di una parte dello i) Die Reclmung in dea Nicht-Euciid. Raumformea. Giara, di Creile, voi. 99.

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v 605 spazio determini un movimento di tutto lo spazio in sé stesso; mentre Klein nell'ultima sua memoria citata ammette l'ipotesi opposta, come ciò si verifica sulla superficie dello spazio ellittico trovata da Clifford. A questo proposito osserviamo che tutti gli assiomi i quali esprimono delle proprietà fuori del campo d'osservazione o dell'intuizione possono essere sottoposti ad una di- scussione simile a quella del postulato delle parallele, e possono dar luogo ad ulteriori e importanti -ricerche. Descartes *) e Leibniz 2) ebbero per primi l'idea di rappresentare tutti i concetti mediante un sistema di segni deducendoli da un dato numero di essi e per dedurre colla combinazione e colle regole di questi segni non solo le verità già conosciute ma eziandio altre di nuove. Leibn i z ne tentò anzi qualche applicazione alla geometria. Con questa idea si collega intimamente il calcolo della logica deduttiva, i cui principi furono formulati dapprima in un corpo di dottrina dairinglese G. Boole, e sul quale l'opera più recente e completa è quella di E. S eh roder 3). Primo scopo di questo calcolo è quello di evitare nella discussione dei prin- cipi della logica le imperfezioni che provengono dal linguaggio comune, ove spesso processi differenti logici vengono indicati collo stesso vocabolo, mentre altre volte processi uguali vengono indicati con vocaboli diversi. Perciò i con- cetti e le operazioni si indicano con segni, i quali devono avere un solo si- gnificato, e mediante determinate regole si deducono dai principi ammessi, ridotti al minor numero possibile, altre verità logiche. Questa teoria non si può dire compiuta, come osserva il sig. Schroder, perché la logica delle re- lazioni, che è la più difficile, è ancora nello stato primordiale di sviluppo. L'interesse teorico di una tale dottrina nello studio della logica non ci pare si possa contrastare, ma bensì che se ne esageri l'importanza sia nell'esercizio pratico della logica, sia nella sua sostituzione al linguaggio comune, di cui del resto si fa uso più o meno abbondante per spiegare e fissare il significato dei segni stessi, e il quale d'altronde è il sistema di segni più completo e più naturale per esprimere i nostri pensieri. Quali matematici, vediamo con compiacenza i tentativi intesi ad applicare i processi matematici alla logica e alle altre scienze; lo stesso Leonardo da Vinci con quell'in- tuito che lo ha reso uno dei più grandi geni, se non il più grande, del rinascimento, riconobbe che le scienze tanto più sono vere quanto più si in- formano ai metodi della matematica 4). Noi non possiamo però entrare in par- ticolari e neppure mostrare da quali principi parte la logica deduttiva per stabilire il calcolo logico; ciò ci condurrebbe troppo lontani dal nostro scopo. Però dobbiamo osservare che non è esclusa la possibilità di diversi cal- coli logici secondo i principi e le operazioni da cui si parte. Per esempio noi ci siamo occupati nel cap. I dell'introduzione delle nozioni comuni, senza vo- ler proprio trattare della logica; ma egli è ben certo che nell'ordine delle nostre idee, che riteniamo naturalmente il migliore per raggiungere i nostri 1) Epìstola; i, ili Amsterdam 1632. 2} 1. e. 3) Vorlesungen ttber die Algebra der Logik; Leipzig, 4) Trattato della pittura ed. 189Q,

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606 scopi, il calcolo attuale logico non ci avrebbe servito. Inoltre non è escluso che anche col linguaggio comune, con la debita attenzione non si possa giungere ad un'esposizione chiara dei principi e delle operazioni della logica stessa che occorrono per stabilire i concetti fondamentali della matematica. Noi non possiamo esaminare questo calcolo che nelle sue applicazioni che fu- rono fatte nello studio dei principi della matematica e in particolare della geometria, specialmente dall'egregio prof. Peano 1). E dobbiamo esprimere subito la nostra convinzione che anche se si avesse un linguaggio completo di segni logici per esprimere tutte le verità conosciute delle scienze matematiche nell'ordine che ci pare migliore e atto ad esprimere con semplicità le nuove, vi sarebbe sempre una differenza notevolissima tra l'interesse logico di questo sistema di segni e l'interesse matematico. Né vediamo per ora ragioni scien- tifiche sufficienti perché un tale sistema di segni debba sostituire sistematica- mente nelresposizione non solo delle ricerche superiori, dove già anche nella geometria i vocaboli si riducono, se ben si guarda, a ben pochi ; specialmente poi se si usa il calcolo numerico; ma neppure nelle questioni dei principi stessi. La questione che un vocabolo abbia significati logici diversi, ad es: è, o, eecc. è spesso per la matematica una questione di pura forma. In matemàtica anzi non di rado occorre usare delle locuzioni abbreviate che possono essere interpretate in modi diversi stando al significato delle singole parole, come ad es: uno, qualunque, dimostrazione analoga alla precedente ecc. per non cadere appunto in pedanterie senza necessità. Per il matematico basta che dal contesto della proposizione risulti ben chiaro il senso che l'autore ha voluto attribuirgli, senza bisogno che sia rigorosamente determinato dalle singole parole quando non vi è una necessità matematica. Egli è certo che la forma vuoi essere più che sia possibile esatta, e non potremmo mai approvare che si dicesse ad es. che 2 e 3 sono 5 , ma non bisogna esa- gerare perdendo di vista le questioni di maggior momento 2). Da nessuno fu dimostrato che vi siano proposizioni di matematica che non si possano espri- mere esattamente col linguaggio comune, perché se non altro basterà sosti- tuire ai segni logici i vocaboli coi quali si fissa il significato dei segni o com- pletando il linguaggio stesso; mentre è per lo meno incerto se si possano esprimere tutte le relazioni matematiche coi segni logici conosciuti. Bisogna badare che nelle scienze il linguaggio non è che un mezzo non lo scopo, e che il problema scientifico più difficile ed anche più importante è quello appunto di stabilire le ipotesi da cui si parte e di passare da esse a nuove verità. Nello svolgimento del pensiero serve meglio a tale scopo il linguaggio comune, il quale meglio si adatta, ad esprimere le idee scientifiche e a collegare i principi dolle varie scienze fra loro. Occorre infatti che il pensiero non sia ostacolato 1) I. e. I principii della geometria logicamente esposti. Torino 1889. 2) Ad una questione più di forma che di sostanza va considerato runico appunto che il sig. Peano fa al sig. P a s e h cioè che questi anziché dire due punti determinano un segmento rettilineo doveva dire due punti distinti ecc. mentre risulta chiaramente dal contesto del discorso che cosi appunto vuoi dire il sig. Pas eh senza considerare poi che due punti in generale nella geometria non sono coincidenti, come lo sono due numeri uguali nell'aritmetica. A questioni di pura forma appar- tengono anche le traduzioni che il sig. Peano ha fatte in segni logici delle proposizioni di qualche libro degli Elementi di Euelide, che meglio dj altre si adattavano ad essere tradotte nei segni suddetti.

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607 dal mezzo di cui si serve, mentre nello stato attuale delle applicazioni del calcolo logico il pensiero per comodità dei segni è obbligato a seguire una via piuttosto che un'altra. I mari di parole che non significano nulla non di- pendono dalle imperfezioni del linguaggio ma dalla vacuità delle idee. Ma an- che se il sistema dei segni logici fosse completo, eccetto che non ne fosse dimostrata la necessità o la grande utilità, non sarebbe opportuno nel senso che esso invoglierebbe molto meno allo studio della scienza per le difficoltà che si incontrano nel maneggio del nuovo linguaggio. Noi comprenderemmo l'applicazione del sistema di segni alla trattazione dei problemi matematici, se come quello numerico servisse con regole determinate e feconde a pas- sare da date verità ad altre nuove importanti. D'altronde con esso non si evi- tano neppure con rigorosa certezza almeno per ora i difetti che possono deri- vare dall'uso dell'evidenza nelle dimostrazioni *). Non neghiamo che quando sia possibile usare questi segni e quando si ab- bia una certa abilità nel maneggio di essi si possa con maggior sicurezza in- dagare le parti semplici di date dimostrazioni e di date proprietà, e neppure vogliamo negare che la logica deduttiva possa servire con ulteriori sviluppi a trattare alcune parti delle questioni dei principi meglio che col linguaggio comune, forse anche di stabilire una specie di lingua ufficiale per l'esposi- zione delle ricerche matematiche* A quest' ultimo scopo però farebbe d'uopo sopra tutto che gli scrittori di questa logica non dessero il cattivo esem- pio di scegliere segni diversi per indicare gli stessi concetti, altrimenti per leggere le differenti opere occorrerà in avvenire un dizionario speciale. Os- serviama però che l'idea di scindere le proposizioni matematiche in parti semplici e di ricondurle al numero minore possibile di postulati, non è pro- pria della logica deduttiva, perché si hanno anche antecedenti esempi dati col linguaggio comune, come per es. quello sui principi dell'aritmetica del sig. De- de kind. Questo nostro libro e la nostra nota citata sul continuo si informano appunto a questo procedimento. Le osservazioni precedenti sono confermate dall'esame dei lavori citati del sig. Peano, che sono l'ultima espressione di quel metodo che si può chia- mare signicismo. In quello di geometria egli segue quanto alla sostanza le idee del Pasch, ma si occupa soltanto di quei principi che precedono nel ci- tato libro di Pasch la teoria della congruenza, sebbene sembrerebbe dalla prefazione e dal titolo stesso che dovesse occuparsi di tutti i principi della geometria elementare. E diciamo ciò non già perché non si possa trattare con molto profitto di una parte soltanto dei principi, ma perché non avendo trattato di tutti si ha fondata ragione di dubitare che.il sig. Peano stesso, così maestro nel maneggio del calcolo logico che gli deve nuovi e interessanti risultati, non abbia ancora potuto applicare il linguaggio dei segni agli altri principi, e rimane più forte il dubbio che volendo trattare di tutti e delle proprietà che da essi derivano si debbano mutare i segni stessi e dare gli assiomi in un ordine diverso per evitare complicazioni nel calcolo logico. I) Ve4i Peano op. il, pag. 29-30

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608 Che Tidea sia schiava del segno, almeno per ora, lo si vede nell'opuscolo di geometria dove fin da principio per comodità dei segni si esclude per es. il sistema sferico, ed è forse da attribuirsi alla stessa ragione il fatto che con- tro Fuso comune egli esclude dai punti che formano il segmento rettilineo gli estremi, II sig. Peano indica inoltre nell'opuscolo d'aritmetica per es. l'unità col segno 1, e collo stesso segno indica nella geometria il punto. Prevalendo questo metodo ci pare che si cada facilmente nel difetto rimproverato al lin- guaggio comune, nel quale spesso un vocabolo indica concetti logici diversi; che anzi qui la cosa si aggrava trattandosi di concetti matematici. Non entriamo a discorrere in particolare delle modificazioni che il sig. Peano ha introdotte negli assiomi del Pasch. Vi è però una differenza so- stanziale fra i metodi dei due autori, imperocché il sig. Peano non mette alcuna restrizione empirica alla validità dei suoi assiomi, e in ciò ottiene se- condo noi un notevole vantaggio, ma egli non si occupa di dire le ragioni per le quali egli li ritiene compatibili fra loro. Quanto al metodo potremmo fare alcune osservazioni su alcuni degli as- siomi del sig. Peano, specialmente sui primi, come anche sull'uso di' pre- mettere definizioni e dedurre teoremi che dipendono da assiomi dati più tardi; ma il lettore che legga attentamente questo lavoro potrà farle da sé 1). Dall'opu- scolo sui principi dell'aritmetica, che abbiamo citato nel testo e che ci sem- bra il migliore, non possiamo qui occuparci. Egli dice altrove 2) che il voca- bolo aggregato entra più tardi di quello di numero nel dizionario dei bambini e che quindi l'idea di numero è più semplice di quella di aggregato. Sembra qui che senza il nome della cosa il bambino non possa avere il concetto sia pure greggio di essa, il che non è. Io ho veramente osservato nei miei bam- bini che essi acquistano ben presto l'idea di uno e di più (molti) oggetti, da cui si ha il concetto di molteplicità, che precede quello di numero; che ab- bastanza presto essi distinguono il prima dal poi, che intendono il significato AG,}^ uguale e del diverso e il significato della preposizione disgiuntiva o. Si- curo che i nostri principi sono dati in seguito ad una meditazione sulle no- stro operazioni mentali che i bambini e i ragazzetti non fanno. È lodevole però nei lavori di Peano lo spirito critico, ristretto che sia in giusti e convenienti confini, e lo scopo di ottenere il massimo rigore possibile; e noi aspettiamo che colla sua abilità incontestata nel calcolo logico, per farne apprezzare l'utilità, ottenga importanti risultati tali da giustificare l'abban- dono del linguaggio comune, il quale ha ora così grandi vantaggi sia scienti- ficamente che didàtticamente sul sistema di segni logici finora conosciuti. 1) Vedi ad es. le proposizioni del 2 e il teor. 2 del 5. 2) Rivista matematica apr.-maggio 1991.

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609 Sulle definizioni di spazio- e di geometria a n dimensioni e del principio di proiezione e di sezione. Non crediamo inutile di far conoscere come si è svolto questo concetto della geometria a più di tre dimensioni, acciò si possa coli'aiuto della nostra pre- fazione e del testo vedere quale posto occupano i nostri lavori e quelli che seguono lo stesso indirizzo in queste ricerche; tanto più che non sempre fu ben inteso il carattere di questi lavori e dei risultati in essi contenuti. E cominceremo anzitutto dalle definizioni. È difficile rintracciare chi ab- bia avuto per primo l'idea di uno spazio a tre dimensioni contenuto in uno a quattro dimensioni: da quanto abbiamo detto nella prefazione pare l'abbia avuta il Kant stesso *). Così la si trova accennata in una nota del calcolo ba- riceiitrico di Mòbius, quando questi fa osservare che per sovrapporre due fi- gure simmetriche dello spazio ordinario, abbisognerebbe uno spazio a quattro dimensioni; egli aggiunge però che un tale spazio non può essere pensato (gedacht) 2). L'ipotesi metafisica dell'esistenza materiale dello spazio a quattro di- mensioni fuori di noi e indipendentemente da noi è contenuta esplicitamente nell'opera citata di Zòllner, mediante la quale egli vuole spiegare, come abbiamo detto, certi esperimenti spiritistici. Ma qui non siamo ancora in geo- metria, perché manca in questa idea indeterminata di uno spazio material- mente contenuto in un altro una definizione chiara e puramente geometrica di questo spazio, la quale possa servire di base alle deduzioni geometriche. La prima definizione generale delle varietà di elementi a più di tre di- mensioni, come abbiamo osservato precedentemente, l'ha data H. G r a s s m a n n nella *Ausdehnungslehre. Egli dice: Per ente estensivo di 1" specie intendiamo I1 insieme degli elementi determi- anati da un elemento generatore con una variazione continua . Come abbiamo fatto rilevare nell'introduzione i concetti contenuti in que- sta definizione non furono precedentemente definiti da Grassmann. Ma è chiaro che egli ha inteso di escludere dapprima il concetto numerico. Egli da così la definizione dell'ente estensivo semplice: ((L'ente estensivo semplice viene generato dalla continuazione delia stessa va- riazione fondamentale . Abbiamo già detto nell'introduzione e parlando del lavoro di Schle- gel quanto sia indeterminato questo concetto della stessa variazione fonda- mentale. E poi: 1) Da quanto riferisce il sig. R. ziramermann nel suo opuscolo: Henry More und die vlerte Dimension des Raumes Sitz. Ber. der phil.-hist. Classe der k. Ak. Wien, 1881, il filosofo inglese More del XVII secolo sebbene attribuisse quattro dimensioni al mondo degli spiriti, non ha però mai espres- sa 1' idea di uno spazio di queste dimensioni. 2) Baryc. Calciil-Leipzig, 1827 opp. Math. Werke, voi. I. 39

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610 ((L'insieme di tutti gli elementi che sono generabili mediante la stessa variazione fondamentale e la inversa, si chiama sistema di la specie . Sottomettendo il sistema di 1* specie ad un' altra variazione fondamentaìe ot- tiene il sistema di 2" specie, e così via. Per le altre ipotesi che Grassmann fa su questi sistemi, essi corri- spondono, salvo il numero delle dimensioni, al sistema ordinario Euclideo. Per lui la geometria è però sempre a tre dimensioni, e neir Ausdehnungstehre l'elemento non ha alcun significato né contenuto reale. La nostra introduzione dimostra quanto complessi siano appunto i con- cetti adoperati da Grassmann nelle sue definizioni, quando non si voglia appoggiarsi al continuo numerico. Al carattere puramente astratto di queste definizioni si informano le nostre del sistema ad una dimensione, di sistema omogeneo e identico nella posizione delle sue parti, e di sistema a più dimen- sioni. Non premettiamo però, come fa Grassmann, il concetto generale di un sistema continuo ad una dimensione, e neppure lo diamo nell'introduzione, II campo delle nostre forme astratte è più generale di quello dell' Aus- dehnungslehre. Per quanto sappiamo fu primo il Gay 1 ey ad usare l'espressione geometria a n dimensioni, ma senza dare né la definizione né la spiegazione di questo nome *). In una nota successiva utilizza il concetto delle varietà analitiche a più di tre dimensioni per ricavare un teorèma dello spazio ordinario 2). Più esplicitamente noi troviamo l'uso del linguaggio geometrico alle varietà analitiche a più di tre dimensioni nelle definizioni di Cauchy 3), che si riassumono così: Data una varietà numerica di n variabili indipendenti 1,a?3,...,a;n* ogni sistema di valori (xl #n) si chiama punto analitico. Ogni equazione o più sistemi di equa- zioni con queste variabili rappresentano un luogo analitico. Retta analitica è un si- stema di punti analitici, le cui diverse coordinate si esprimono mediante delle fun- zioni lineari di una fra esse. Infine la distanza di due punti analitici è la radice quadrata della somma dei quadrati delle differenze fra le coordinate corrispondenti di quei due punti. A questa definizione, come si vede, puramente analitica si informano quelle di Salmon, Beltrami, Kronecker, Betti, Jordan, Lie, Klein, Halphen, Darboux ecc. 4) È da osservare però che quesli autori adoperano con più franchezza il linguaggio geometrico, sebbene non usino sempre le 1) Chapters in thè analytical geometry of (n) dimensions. Camb. and Dublin Math. Jour. t. iv, 1815. pag. 119-127 opp. Collected Papers voi. r, pag. 55. Egli tratta qui di alcune proprietà di deter- minanti con n variabili. 2) Sur quelques théoremésrte la geometrie de position: Giorn. di Crei 1 e,1846opp. Collected Papers, voi. I, pag. 317-321. m questa nota, dopo aver dato un teorema di figure piane ricorrendo allo spa- zio ordinario; aggiunge. Il teorema può essere considerato come un fatto analitico che deve avere ugualmente luogo considerando quattro coordinate in luogo di tre. Qui si ha un'interpretazìone geo- metrica che si applica ai punti dello spazio. Si può infatti, senza ricorrere adi alcuna nozione me- tafisica rispetto alla possibilità dello spazio'a quattro dimensioni, ragionare nel modo seguente ecc. Del contenuto di questa nota avremo occasione di occuparci ancora. 3) Mémoire sur les lieux géométrique* : Comptes Ren. 1847. 4) Salmon: Higer Algebra, 1866; Beltrami (I. e.) Kronecker Ueber Systeme v. Punk, meh. Variabeln. Mon.Ber. der Ak z. Beri in, 1869 Betti: Sopra gli spazi di un numero qualunque di dimensioni, Ann. di Mat. 1871 Lie Ueber diejenige Theorie eines Raumes mit belieblg vielen Dimen- sionen ecc. Gòtt. Nach. 1871 ecc. J o r d a n : Essai sur la geometrie a n dimensions : Comptes Ren. 1872 K1 e i a (1. e.) Halphen: Recherches de geometrie a n diniensions (Bull. S. M de Franco, 1875).

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611 stesse denominazioni per indicare gli stessi enti analitici. Noto inoltre che nella massima parte dei loro lavori le definizioni sono indipendenti dal postu- lato delle parallele, e che non sempre essi partono dai medesimi postulati, ma ne conservano tutto il carattere analitico. Una seconda definizione di spazio e di geometria a più dimensioni che si collega con quella dei sistemi di specie superiore di Grassmann è quella di Riemann, seguita con qualche modificazione anche da Hel-moltz, Cay- ley ecc. 1). Data ina varietà in cui l'elemento di natura qualsiasi viene determinato da m quantità variabili indipendenti, e viceversa (colla debita restrizione indicata da Can- to r), essa si chiama varietà ad n dimensioni. Quando questa varietà è assoggettata alle leggi dello spazio ordinario, indipen- dentemente dalle dimensioni,, essa si chiama pure spazio e punto il suo elemento. Come si vede fra questa e la prima definizione vi è soltanto la differenza che la varietà non è la stessa varietà numerica che la determina, ma la sua esistenza dipende però da questa, che è pure una varietà. Il punto di vista della nostra definizione dei sistemi ad una o a più dimensioni della nostra introduzione è più generale, perché da essa noi deduciamo anche le varietà numeriche. Per la seconda definizione, ogni varietà concreta, anche non geometrica, potrebbe essere chiamata col nome di spazio. Non mancano anche autori che hanno la tendenza di chiamare geometria la teoria di ogni varietà analitica. Gli stessi o altri autori adoperano anche nei loro lavori la parola varietà anziché spazio, la quale, siccome prima mancava l'oggetto geometrico, era più propria 2). Ben distinta invece dalle precedenti è la nostra definizione di Sn cioè: Dato lo spazio S3 e un punto fuori di esso costruiamo lo spazio S4, e così ana- logamente lo spazio Sn, assoggetandolo agli assiomi dello spazio generale. Noi abbiamo generato il piano, gli spazi S^S4....Sn nello spazio gene- rale il cui concetto, come dicemmo, è implicito nella prima pagina del no- stro primo lavoro stampato nel 1881 nei Math. Annalen. Qui il punto non è né un sistema di numeri, né un oggetto di natura qualsiasi, ma il punto tale e quale ce lo immaginiamo nello spazio ordinario; e gli oggetti composti di lì Helmoltz 1. e. Cayley: A memoir on abstract geometry: 1. e. 2) Bel tram i ha sempre saputo contenere la geometria nei suoi veri limiti. Egli per es. non ha mai detto che la superficie pseudosferica sia il piano di Lobatschewsky, ma che è una rappresen- tazione di esso; cosi pure nella sua Teoria generale ecc. spiegando le locuzioni geometriche da lui adoperate dice che il lettore ha piena facoltà di non attribuire loro che un significato meramente analitico. Klein dopo aver data la definizione di varietà numerica ad n dimensioni (Math. Ann. Voi. 6) dice Per n=Z gli elementi (e questo è il concetto fondamentale della geometria analitica) possono essere rappresentati dai punti dello spazio, e la varietà può essere considerata quale un aggregato di punti. Noi vogliamo qui e in seguito servirsi di questa facile e intuitiva iuterpretazione per for- mare da essa quelle idee, che devono essere trasportate nel concetto generale di varietà . Vale a dire egli assoggetta la varietà alle leggi dello spazio ordinario come gli autori precedenti. In questa definizione si accosta più al concetto di Grassmann di non nominare spazio una tale varietà, ma fa però uso di questa e di altre parole geometriche in altri studi su tale varietà (Vedi la mem. Li- nien geometrie u. metriche Geometrie: Afath. Ann. Voi. Vh

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612 punti sono oggetti (figure) a cui applichiamo continuamente l'intuizione spa- ziale combinata coir astrazione, e quindi il metodo sintetico *). Se ogni consi- derazione geometrica si deve interpretare nel senso che in essa si debba avere sempre la figura dinanzi agli occhi, coli'ultima definizione ma non colle pre- cedenti si ottiene questo risultato. Si possono considerare delle varietà di n variabili indipendenti senza con- traddirsi ; la dimostrazione puramente logica di ciò, senza ricorrere ad es. a qualche sistema già conosciuto, si trova nello stesso principio dell'introdu- zione, sul quale abbiamo appoggiata la nostra definizione di spazio generale. E poiché per l'aggiunta sui principi della geometria analitica la nostra definizione si confonde colle precedenti, così agli occhi di coloro che ammettono come inattaccabili le prime definizioni e le'loro conseguenze e non hanno l'abitu- dine di applicare l'intuizione spaziale a queste ricerche, i nostri principi e le nostre deduzioni sono pienamente confermate. Nella prefazione ho detto anche perché nelle ricerche superiori per geo- metria a più dimensioni si possa intendere anche la teoria dei'sistemi di con- tinui non lineari. Quanto al metodo di trattazione, cioè al metodo sintetico, non si può dire sia stato mai generalmente e sistematicamente applicato prima che nei nostri 1) Dal capitolo I della parte I nel quale operiamo addirittura nello spazio generale e dalla parte II è chiaro in qual modo noi facciamo uso dell' intuizione spaziale, e come non vi sia dubbio sul- l'esclusione dei concetti analitici, che stanno invece a base delle altre definizioni, e che le figure a più dimensioni siano differenti dalle forme astratte dell'introduzione. Ma siccome fu mosso il dubbio che o non si possa applicare l'intuizione in tali ricerche o che con essa si vada troppo oltre, cosi insi- stiamo nuovamente su questo punto per far vedere come difatti facciamo uso dell'intuizione spaziale; perché anche qui in gran parte si tratta di abitudine. consideriamo ad es. la parte dello spazio intuitivo (parte I, oss. emp. I) racchiusa da due piani paralleli a e 6, e supponiamo che essa rappresenti tutto lo spazio a tre dimensioni. Sia P un punto fuori di questo spazio, contenuto però nello spazio intuitivo stesso. Se conduciamo per P una retta r, essa ha nel nostro spazio infiniti punti comuni con la parte (ab), compresi fra i punti A e B d'intersezione con a e . Ebbene fissiamo di essa un solo punto X comune con lo spazio (ab), e che ad ogni altro punto X di r corrisponda unj altra retta sovrapposta ad r, dimodoché ogni retta passante per p ne rappresenterà infinite, ciascuna delle quali - avrà un solo punto comune con lo spazio (ab). Tutte le rette semplici IL cosi considerate intorno a P determinano una varietà a quattro dimen- sioni rispetto al punto come elemento, la quale è una rappresentazione nello spazio ordinario di quello a quattro dimensioni. Eseguita una co- struzione qualunque nella rappresentazione, essa è l'immagine di una costruzione eseguita cogli elementi corrispondenti dello spazio a quattro dimensioni. Ma questo spazio non è le sua rappresentazione in 83,come si potrebbe credere, imperocché noi immaginiamo che essendo il punto originale (P) fuori di 53 (nel qual caso immaginiamo tutto lo spazio ordinario in base al principio a del n. 37 dell'introduzione), come P è fuori di (ab), ogni retta passante per (P) abbia effettivamente (in senso però geometrico e non metafisico) un solo punto comune con 53, vale a dire le in finite rette che coincidono in PX sono le imma- gini delle rette del piano (P) PX; e questo piano noi lo intuiamo come ogni piano ordinario. Gli altri punti d'intersezione della retta PX con (ab) sono soltanto apparenti, come succede nella rappresen- tazione dello spazio a tre dimensioni nei piano. Per rendere più intuitiva la rappresentazione si può tracciare a tratto continuo il segmento (PX) e punteggiato il resto da xnel verso PX. Certo che la illu- sione non o completa come nella rappresentazione piana, perché dovremmo intuire la retta PX in modo da non avere che un solo punto con (ab), e ciò o impossibile, perché non intuiamo completa- mente che lo spazio a tre dimensioni Ma come questa illusione non è necessaria per la costruzione della rappresentazione piana di una figura a tre dimensioni, non lo è neppure in quella delle figure a quattro o a più di quattro dimensioni nello spazio ordinario. Però, abituandosi per forza di astra- zione all'idea che la retta PX non abbia che un solo punto comune con lo spazio S3 trascurando colla mente gli altri punti comuni; od anche che il punto (p) sia fuori di ogni piano e quindi di ogni retta dello spazio 3, il che rispetto al punto e al piano s'intuisce completamente; per l'intuizione di cui insieme con questa astrazione si fa uso continuo, pare quasi di avere l'intuizione di questo fatto, men- tre c$so è il risultato di questa astrazione combinata colla intuizione spaziale.

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lavori *). Ma ciò che li distingue poi maggiormente è 1*applicazione sistema- tica del principio di proiezione e di sezione, sulla cui possibilità e sui cui vantaggi non vi è alcun dubbio, come non se ne possono mettere in dubbio le applicazioni allo spazio ordinario e al piano 2). Vi sono lavori antecedenti ai nostri in cui questo metodo è stato appli- cato in qualche caso speciale, ma le leggi a cui da luogo questo principio nello studio generale degli enti geometrici, l'idea di studiare con questo principio gli enti del piano e dello spazio ordinario ricorrendo ad enti normali più semplici di uno spazio superiore, non si trovano che nei nostri e in molti altri che si svolsero poi nel medesimo indirizzo 3). 1) La memoria dei prof. Stringham sai diversi tipi di corpi regolari dello spazio a quattro di- mensioni (American J. IH, 1880) appare scritta più con metodo sintetico che analitico, ma qui si tratta in fondo più che altro di un metodo cornbinatorio. Nella nostra memoria sulla geom. descrittiva a quattro dimensioni abbiamo dati i metodi generai i per costruire non solo le proiezioni di questi corpi ma di ogni problema dello spazio a quattro dimensioni, metodi di cui abbiamo fatto una breve applicazione nella nostra nota Di una nuova costruzione delle superficie del 4 ordine dotate di conica doppia. (R. Istituto Veneto, 1884} e che si collega coir importante lavoro : Ètudes dedifT. surfaces du 4 ordre ecc. Math. Ann. XXIV, 1884 del prof. Segre, che ha fatte al- tre notevoli ricerche su questi argomenti. Ricordo anzi che un mio illustre maestro, il prof. Fie- dler, partendo dai principi della mia memoria pubblicata nei Math. Annalen si è pure occupato nelle sue lezioni'del 1882 della geometria descrittiva a quattro dimensioni (Zur Geschichte und Theorie der eleni. Abbiidungsmethoden vierteljahrschrift der Ziirch. Nat. Ges. 1882). Più spiccamente intuitivo si può dire il metodo usato dal sig. R u d e 1 nella sua nota Von den Elementen und Grundgebilden der synthetischen Geometrie: Progr. der k. Gewerbeschule in Bamberg; 1887 pag. 15-25, nella quale sono contenute le idee di due brevi note precedenti stampate nei Ba- yer. Blàtter dello stesso anno. L'A. parte senz' altro dal postulato che due spazi a tre dimensioni si incontrino in un piano nello spazio di quattro dimensioni, che egli chiama das Ali. Egli rin- traccia quali sono le forme fondamentali di I, li e III specie, rna senza occuparsi delle loro relazioni. Egli termina il breve scritto con queste parole: Staudt hat offenbar ein System geschaffen das nicht nur die Geometrie des Imaginàren in sich aufzunehmen und vollendet zu gestalten vermochte, das sogar vollstàndig geeignet erscheint von einem ihm ebenbiirtigen Geiste unzweifelhaft einst zur ei- ner Geometrie beliebig hoher Dimension ausgebaut zu werden . Altri lavori prima dei nostri due primi non conosciamo nei quali tale geometria sia stata trat- tata col metodo sintetico. 2) Contro r articolo citato del prof. Segre stampato nella Rivista di Matematica di cui è diret- tore il pr^.f. Pea n o, questi credette opportuno di iniziare una polemica (fase. 4-5 pag G6-69 e fase. 6 7 pag. 15^-159) parte cibila quale è rivolta contro gli iperspazì nel s enso da me inteso e specialmente contro r uso del metodo di proiezione e di sezione non solo dagli iperspazì allo spazio ordinario, ma eziandio dallo spazio ordinario al piano. Il sig. Pea no ha torto nella forma e nella sostanza, ma per quanto non sia difficile rispondere alle sue affermazioni, siccome egli accusa di mancanza di buon senso quei geometri che non possono pensare come lui (1. e. pag 157} è resa cosi impossibile ogni di- gnitosa e amichevole discussione io sono convinto che le questioni sui principi delia matematica, e specialmente della geometria siano già di per sé abbastanza difficili senza che vi sia bisogno di aggiungervi nuove difficoltà di altra natura con polemiche appassionate e intolleranti, come sono altresì convinto che certe critiche pel modo con cui son fatte portano chiaramente in so la loro con- danna. 3) C a y 1 e y nella II nota sopra citata considera un certo numero di punti nello spazio a n dimen- s.oni e tagliando la figura di essi collo spazio ordinario, ottiene una figura appartenente a quelle che no i abbiamo chiamato omologiche, ma non da in questo caso speciale neppure la dimostrazione della proprietà inversa. Halphen nelle sue Recherches de Geometrie a dimensions (I. e.) trova con una proiezione speciale il numero miuimo di punti doppi apparenti di una curva d'ordine n nello spazio ordinario. Un altro caso interessante lo da il Darboux (Sur une nouvelle sèrie de systòmes ortho- gonaux aigébriques: Comptes Ren. 1869). Da un sistema triplo di superficie ortogonali, mediante una proiezione stereografica, ottiene un sistema di curve piane ortogonali. Ed egli dice : Se si esaminano le operazioni analitiche con le quali si passa a un sistema di tre variabili, si osserva che queste operazioni conservano un senso ben definito, e sono ancora possibili allorquando si impiega in luogo d'un sistema di superficie ortogonale di tre variabili x,y,z, un sistema ortogonale di n variabili. È facile stabilire, egli dice, con tutto rigore che esse conducono a un sistema di n 1 variabili; ma qne- ste operazioni analitiche non potrebbero essere interpretate geometricamente, almeno in una maniera semplice, che ammettendo la nozione di uno spazio a più di tre. dimensioni. Comunque sia, si vede che se si conosce un sistema ortogonale di 4 variabiii si dedurrà un sistema di 3 varia- bili, ecc. Come si vede dunque colla nostra definizione e colle nostre costruzioni questo teorema trova la

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614 Qui non abbiamo inteso di scrivere Una monografia su tutti i lavori dì geometria a più di tre dimensioni, sebbene per quanto riguarda i principi ne abbiamo parlato precedentemente *). Negli ultimi anni queste teorie nell'indi- rizzo geometrico, in Italia specialmente, hanno trovato valenti cultori. Né si deve credere, come ho già accennato, che questi lavori si occupino dei soli enti a più di tre dimensioni ma in essi si trovano spesso ricerche importanti anche sugli enti dello spazio ordinario e del piano. Il linguaggio usato colle due prime definizioni ha dato luogo ad una vi- vace polemica perché mancava l'oggetto geometrico. Ora quel linguaggio è pienamente giustificato anche geometricamente 2). semplice interpretazione di cai parla Darboux. Altri lavori hanno prima del nostro primo utiliz- zato in un altro indirizzo ia geometria a più di tre dimensioni, ad es. il Klein nello studio citato della geometria della retta nello spazio ordinario (Math. Ann. 1. e. Voi. 5). Riconosciamo che Clif ford nella sua importante memoria Classiftcation of LOCÌ (Phil. Trans, of. London M. S. 1879) che abbia- mo anche citata nella prima nostra memoria, si è occupato della curva razionale d'ordine n e di quelle di genere y dello spazio a n dimensioni, dando alcuni teoremi importanti su di esse. Ma il carattere dei due indirizzi sono diversi, e C1 i f fo r d non si occupa del principio di proiezione, né accenna ai teoremi che da questo princìpio noi abbiamo ricavato. Le proprietà sono di natura proiettiva, ma non si può dire che né in questo né in altri lavori vi si giunga col metodo di proiezione e sezione, dal quale principio prende nome appunto la geom. proiettiva, né il concetto di curve e superficie normali entra in questo lavoro. 1) A questo proposito, come pure per la geometria non Euclidea si può consultare la lista dei la- vori pubblicata da Halsted (American Journ. voi. I e II. fino al 1879), cosi pure quella di Schlegel pubblicata nel 1886 nella memoria Ueber Entwikelung und Stand der n. dira. Geometrie mit be- sond. Berriicksichtigung der vier dimensionalen. K. Leop. Carol Deuts. Ak. der Wiss, Halle. Debbo però osservare che l'egregio autore non ha fatto bene rilevare il carattere e il posto che occupano i la- vori dei geometri italiani; parecchi dei quali sono anche dimenticati nella lista suddetta, sebbene egli faccia risaltare i pregi del principio di proiezione. Nella prima lista si trovano però citati dei lavori d'indole fllosoflca, chea mio parere dovreb- bero essere separati dai lavori matematici. Si può consultare inoltre la monografia di G. Lo ria (II passato e il presente delie ricerche geometriche, Genova 1886, tradotta in tedesco da Schutte con una pref. di R. St ur m, Lipsia 1888; e in polacco da Dickstein. Pei lavori pubblicati negli ultimi anni su tali ricerche si possono consultare altresì i Fortschritte der Mathematik di Berlino. 2) Riferiamo alcuni brani di questa polemica, perché il lettore possa formarsene un'idea. ___gewiss ist logische Spielerei ein System von vier oder fùnf Dimensionen noch Raum zu nennen. Gegen alle solche Versuche muss mann sich wahren; sie sind Grimassen der Wissenschaft, die durch vóllige nutzlose Paradoxien das gewòhnliche Bewusstsein einschtìchtern und tiber sein gu- tes Recht in der Begrenzung der Begriffe tauschen (Lotze, Logik, 217). Bellavitis nella seconda parte della XII sua rivista del R. Istituto Veneto dichiara di essere tanto cieco per non iscorgere gli spazi a quattro, cinque ecc. n dimensioni. E nella rivista X (1871) in una critica alla memoria ci- tata di Detti egli dice: L'analogia ci può trarre a considerare gli spazi a quattro dimensioni, ai quali si riferisce una funzione f (oc, y, z, t), senonchè manca ogni tipo reale ai nostri pensa- menti . Noi diciamo invece che mancava l'oggetto ottenuto con una costruzioue puramente geometrica, al quale potesse essere applicata la funzione f (x, y, z, t), quando però l'oggetto stesso non si con- siderava compreso nello spazio intuitivo stesso. Es werderi in philosophischen Schriften geradezu haarstraubende Dinge vondersogenannten me- tamathematick erzàhlt (E. Erdmann, 1. e.). Ma o ben certo, che la nessuna cura posta dai matematici nel circoscrivere il campo delle loro ricerche è stata la cagione prima di simili malintesi (Ma se i. Le forme dell'ìntuizione-Chieti, 1880). La confusione derivò appunto da ciò che mancava alla geometria a più di tre dimensioni pro- priamente detta la sua base naturale, la costruzione cioè dei suoi enti, a cui deve appoggiarsi il metodo analitico quando fa bisogno, come il Descartes applicò alla geometria ordinaria la sua grande invenzione. Per me le questioni relative agli spazi ad un numero qualunque di dimensioni non sono che delle questioni di analisi .... Io non contesto l'utilità di questa nuova via aperta all'analisi, sola- mente si avrebbe torto di lasciar supporre che si creda alla realtà del significato geometrico dei nomi impiegati. Si spoglia cosi la geometria di ciò che forma il suo miglior vantaggio e la sua bel- lezza particolare, della proprietà cioè di dare una rappresentazione sensibile ai risultati dell'ana- lisi, e si sostituisce questa qualità col difetto contrario, poiché dai risultati che non avrebbero ^niente di urtante sotto la loro forma analitica, non offrono più presa allo spirito, o sembrano as- surdi quando si esprimono con una nomenclatura geometrica supponendo dei punti, delle linee e de-

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615 Sul movimento senza deformazione l) II testo dimostra chiaramente che noi non abhiamo avuto bisogno del prin- cipio del movimento dei corpi rigidi per lo svolgimento della geometria, ma solamente per le pratiche applicazioni di essa ; e che un tale indirizzo anziché complicare semplifica la teoria dell'uguaglianza delle figure. Nel testo stesso si è veduto come anzi si possa definire astrattamente il principio del moto dei corpi rigidi o senza deformazione, e svolgerne le prime conseguenze, che appunto sono necessarie per le pratiche costruzioni. Ma nella nota a pag. 239-240 abhiamo pure accennato che in fondo lo stesso principio del movimento senza deformazione si appoggia sul concetto di uguaglianza quando si vuole spiegare che cosa significano queste espressioni. Nella prefazione ho formulato una specie di accusa contro questo assioma comunemente ammesso nei trattati elementari, la quale si scinde in due parti; l'una matematica, l'altra d'indole più psicologica che matematica. Certamente che una tale questione nulla ha che fare col testo stesso 2). Il principio del movimento senza deformazione secondo la nostra condi- zione VI sugli assiomi geometrici equivale ad ammettere in senso astratto, come si vede pure analiticamente, dei sistemi di figure uguali nello spazio ordinario, o in un altro spazio, mentre l'uguaglianza di due figure in sé, come quel- la di due cose qualunque, è indipendente dai sistemi continui e dalle di- mensioni dello spazio particolare che le contiene. E non solo si ammettono questi sistemi per es. per la retta, ma per ogni figura data, mentre le pro- prietà dei sistemi di figure invariabili in un dato spazio, e che, come abbiamo veduto, servono di base al principio anzidetto, li abbiamo trattati dopo conosciute le altre proprietà fondamentali della retta, del piano, dello spazio a tre o a n dimensioni. % L'intuizione spaziale può considerarsi inoltre indipendente dalP intui- zione del movimento, anche se questa serve a formar quella. Poiché, quando guardiamo gli oggetti che ci circondano senza che nessuno di essi si muova, e senza che si muova il nostro occhio, o almeno senza accorgerci del loro movi- mento, abbiamo ugualmente l'intuizione del vuoto che ci attornia. E poiché la geometria si occupa dello spazio vuoto, che è immobile, sarebbe per lo meno singolare che fosse necessario ricorrere al movimento reale dei corpi nella definizione e nella dimostrazione delle proprietà dello spazio immobile. Se gli spazi che non hanno alcuna esistenza reale, e di cui la supposizione ripugna al buon senso o ol- trepassa la nostra intelligenza (Gè noce hi: Mem. dell'Acc. di Torino 1. e,). Il prof. Kiiling nel suo libro citato in alcune parti si accosta al nostro metodo e tratta di al- cuni argomenti svolti nella nostra prima memoria riportando il capitolo relativo ai caratteri delle curve, ma in una nota alla fine egli dice che col metodo sintetico, secondo lui, si è oltrepassata la giusta misura. Veramente non ha detto chi l'ha oltrepassata e in qual modo; in ogni caso essa non si può riferire, quanto al metodo, ai nostri lavori. 1) Questo scritto presuppone la cognizione di quanto abbiamo detto nella prefazione e dei principT del testo che riguardano questo argomento. 2) L'attento lettore dovrà sempre badare a queste distinzioni in tali questioni.

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616 10 spazio in cui avviene il movimento non avesse la proprietà di essere, come noi diciamo identico nella posizione delle sue parti, il movimento senza defor- mazione non potrebbe aver luogo, mentre è possibile pensare che non abbia luogo questo movimento e lo spazio goda ugualmente la proprietà suddetta. Di più, come risulta dall'analisi minuta alla quale abbiamo assoggettato nell'introduzione il principio d'identità e le sue conseguenze per le forme astratte e quindi anche per le forme concrete; l'idea d'identità di due cose, e perciò anche di due figure, nasce dal confronto che la nostra mentre fa tra esse. Ora, l'idea del movimento di un corpo è estranea a questo concetto, ma non già quella del moto senza deformazione, perché un corpo nel movimento può anche deformarsi, anzi sappiamo che si deforma, sia pure insensibilmente. 11 giudizio che noi esprimiamo che il corpo nella posizione A è identico al, o ad un, corpo nella posizione B, si appoggia adunque sul principio d'identità. In questo senso sono dati i nostri assiomi III e IV. Secondo questo modo di spiegare il movimento senza deformazione, e non ne conosciamo né sappiamo immaginarne altri, vi è una petizione di principio nella proposizione che due corpi sono uguali quando si possono sovrapporre con un movimento senza de- formazione. In ogni caso non è permesso di dire, come avviene nella più parte dei trattati elementari che se due figure non possono sovrapporsi nel modo suddetto, esse non sono uguali. Così si restringe il concetto dell'u- guaglianza facendolo dipendere dalle dimensioni dello spazio in cui le figure sono contenute 1), mentre ricorrendo ad uno spazio di una dimensione di più si possono far coincidere anche col suddetto principio. Avendo noi stabilite le basi della geometria addirittura nello spazio generale, l'uguaglianza delle figure avendo luogo in questo spazio, la restrizione suddetta risalta maggior- mente agli occhi. Di più, dalla costruzione dello spazio ad es. di quattro dimensioni si devono dedurre tutte le sue proprietà, e quindi anche quelle relative all'uguaglianza delle sue figure senza nessun principio estraneo alla costruzione medesima. Ed è infatti per la considerazione degli iperspazi, per i quali non abbiamo una rappresentazione sensibile completa, che abbiamo riconosciuto la possibilità e la necessità di escludere il principio del movi- mento dai principi della geometria teoretica. È inoltre da osservare che mentre col solo principio del movimento senza deformazione si può dire che due triangoli considerati in sé sono uguali quando i loro elementi di determinazione sono uguali, non si può dire altret- tanto di due triedri comunque situati nello spazio ordinario, perché possono avere tutti i loro elementi di determinazione uguali e non essere sovrappo- nigli. E si badi che fra questi elementi di determinazione noi consideriamo anche l'ordine in cui sono poste le parti delle figure stesse, il quale però non è da confondere col verso della figura rispetto allo spazio ordinario. Il verso 1) Vedi introd osa. I. n. 112. Come dissi nel testo molti scrittori di trattati elementari ritengono che due triedri opposti al vertice non sono ugnar, mentre anche volgarmente, ad es: la mano destra si dice uguale alla mano sinistra e la immagine di un oggetto in uno specchio è geometri- camente uguale all'oggetto stesso. IV altronde non è neppure empirica la definizione suddetta, perché praticamente per vedere se due corpi sono uguali non si fa penetrare Tuno dentro l'altro, ed anche non si usa un tale metodo per grandi superficie piane, o che non sono trasportabili.

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étt è un contrassegno che non appartiene alla figura in sé, ma soltanto quando la si considera immersa nello spazio S3 (o Sn), come non è un contrassegno del triangolo il verso che ha nel piano di esso. Nello spazio generale non vi è la distinzione dei versi, e quindi non vi è neppure la distinzione di figure congruenti e simmetriche l). 1) Secondo Helmoltz, come dissi nella prefazione, la geometria ha bisogno della rigidezza e di una certa libertà di movimento dei corpi. E da quanto egli dice (I. e. pag. 621) è escluso che egli inten- da la necessità di questi concetti soltanto per le pratiche applicazioni. Questa distinzione fra la geo- metria teorica e le sue pratiche applicazioni, per quanto sappiamo, non è stata fatta da alcuno prima di noi. Ho Uè 1 (l. e. pag. 70) sostiene che è in seguito ad una confusione di idee che parecchi geometri vogliono bandire la considerazione del movimento dagli elementi della geometria. È del resto, egli dice, quello che fanno inconsapevolmente a loro malgrado tutti gli autori, ed è difficile di trovare una sola dimostrazione di una proposizione fondamentale di geometria sotto la quale non si celi la idea di movimento. Anche noi abbiamo fatto uso fin dair introduzione {nr. 67) del linguaggio del mo- vimento per maggiore comodità di dicitura, sempre però colle debite cautele e spiegando sempre che cosa intendiamo di dire con esso. Il sig. Ho ilei non ha detto veramente quali siano questi parecchi geometri che si sono proposti di escludere il principio del movimento dagli elementi della geometria e non vi sono riusciti. Si attribuisce agli antichi questo proposito, ma fra essi non mi è riuscito di di trovarne alcuno che abbia voluto esplicitamente escludere questo principio dagli elementi. B. E rd m an ii (l. e ), Lin dem an n (1. e. pag. 556) assicurano che Legendre e Bolyai hanno tentato di escludere il movimento dagli elementi. Gli autori suddetti non hanno citati i passi relativi in cui essi esprimano questo proposito; a me invece consta il contrario, perché Legendre include esplicitamente il principio del movimento nell'assioma V dei suoi Élements, e ne fa uso, come pure lo adoperano Giovannie Voi fa ago Bolyai nei libri che io conosco di essi. B. Er dmann (1. e. p. 148) ritiene, senza provarlo, che la ricerca matematica delle relazioni della congruenza ha dimostrata la necessità del concetto di movimento. Ma egli si appoggia sull'autorità di Helmoltz e di Houel, i quali a loro volta non hanno dimostrato questa necessità. I filosofi razio- nalisti combattono invece in generale questa necessità e sono geometricamente nel vero. Essi però non l'hanno mai fatto collo svolgimento della geometria. Noi però non diciamo che abbiano ragione /L losoflcamente, che anzi l'esclusione del movimento dalla geometria teorica nulla significa contro l'ori- gine empirica di essa. Sebbene Euclide faccia u tacitamente del principio del movimento senza deformazione, quando può però ha la tendenza di farne senza. Egli dimostra ad es. senza il suddetto principio che due triangoli aventi un iato e due angoli adiacenti uguali sono uguali, cosi pure da la costruzione di due triedri uguali, la quale vale tanto per due triedri congruenti quanto per due triedri simmetrici (ed. He i ber g). inoltre Euclide, è bene notarlo, non dice che se due figure nello spazio ordi- nario non si possono sovrapporre esse non sono uguali, si può soltanto osservare che non ha detto chiaramente che cosa ha inteso per figure uguali, perché l'ass. Vili cose che coincidono sono uguali non d una idea chiara di ciò che Euclide ha voluto dire, il sig. Lindemann (l. e. pag. 556) inter- preta questo assioma nel senso del principio di sovrapposizione; ciò può, anzi pare a me debba essere interpretato in modo diverso trattandosi di cose qualunque e di nozioni comuni. In ogni caso è azzardato dire, per lo ragioni precedenti* che Euclide ed Helmoltz sono in ciò d'accordo, che anzi per le ragioni suesposte risulterebbe il contrario, anche se Euclide nella geometria piana e più ancora nella geometria solida ha adoperato il principio di sovrapposizione nel senso comunemente inteso. Legendre fa uso esplicito del principio del movimento, ma distingue poi l'uguaglianza per sim- metria da quella per congruenza quando si imbatte in due triedri aventi gli stessi elementi, e che non sono sovrapponìbili. Ma anche a lui si possono far gli stessi appunti, perché ad es. non stabilisce bene quando due triedri uguali lo sono per congruenza o per simmetria. D'altronde anch' egli non si manifesta contrario ali' applicazione dei principio del movimento. Dire semplicemente come fa lui, che le facce sono disposte nella stessa maniera, o come dicono altri slmilmente poste, non significa nulla; e la sua dimostrazione che quando due triedri sono cosi chiamati coincidono, non o conclu- dente. In altre parole non definisce bene i versi delle figure nello spazio. Altri autori distinguono questa doppia uguaglianza. Per es. Mób ius (Baryc. Calcul-Leipzig, 1827 p. 182), cosi B e 11 r a mi (Teor. gen. ecc. p. 238), e specialmente in B e 11 r a mi si nota la tendenza ad esclu- dere il movimento dei corpi rigidi dalla geometria. Questa tendenza r abbiamo notata anche nel li- bro di de Tilly, mentre poi come abbiamo veduto egli ne fa grandissimo uso. Anche negli assiomi di Grassmann si può riscontrare lo stesso fatto, ma oltre che egli non ha ben definiti i concetti che ser- vono alla generazione delle forme continue astratte, non ha svolto il concetto di uguaglianza in modo da renderlo utile nelle ricerche geometriche; né ha svolto sufficientemente i suoi assiomi per poter conoscere le sue idee in proposito. Come già dissi altrove le idee indeterminate in tali questioni val- gono poco o nulla se non si fa vedere che effettivamente possono attuarsi. Più spiccatamente questa tendenza si riscontra nei lavori di Klein e di Li e, sebbene essi non abbiano mai manifestato il pro- posito di escludere il movimento dagli elementi della geometria; al più il Kle in uellu. sna ultima memoria che fu pubblicata contemporaneamente alla nostra nota sul continuo rettilineo (veJ. pref.

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618 Sulle definizioni dì angoli di due raggi o di due rette aventi un punto comune. La definizione di angolo è una di quelle che hanno dato più a pensare agli scrittori degli elementi, e per quanto ci consta, nessuna di quelle date da altri soddisfa pienamente. Questa definizione ha dato luogo anche recente- mente ad una discussione nel Zeitschrift fur math. Unterricht di Hoffmann (1889-90). Le principali definizioni geometriche di questo ente sono le seguenti: 1) Angolo piano è l'inclinazione di due linee nel piano che si incon- trano e non sono poste sulla medesima retta. L'angolo si chiama rettilineo se le linee sono rette (E u ci i de). Dalla prima parte sono esclusi due raggi situati in linea retta, mentre non sono esclusi ad es. due archi della stessa circonferenza con un estremo comune. Di più che cosa sia l'inclinazione non si sa. 2) Allorché due linee AB, AC si incontrano, la quantità più o meno grande per cui esse linee sono distanti l'una dall'altra rispetto alla loro po- sizione chiamasi angolo ecc. (Legendre). A questa assomiglia nel concetto quella di S eh le gel (I. e.) secondo cui l'angolo è la differenza di direzione delle due rette. 3) Da molti si definisce l'angolo come grandezza o misura della rota- zione di un lato sull'altro nel piano (ad es. Sannia e D'Ovidio 1. e.). Ma oltre che si fa uso del piano, in senso astratto non si sa che cosa sia la ro- pag. i) egli dice che si può cominciare a trattare la geometria colle proprietà ottiche anziché con quelle meccaniche, il Lindemann che segue principalmente come dissi nel suo libro recente lo indirizzo di Klein, sembra anzi che ritenga necessario il movimento, come lo è difatti come io dissi nelle costruzioni pratiche, di guisa che finché non si fa questa distinzione i sostenitori in massima del principio suddetto sono nel vero, non però nel senso comunemente inteso. Le ragioni per le quali io trovo nei citati autori la tendenza a escludere il movimento sono qneste. Le considera- zioni che essi fanno sul movimento per stabilire le trasformazioni che mutano ad es. la conica ali'in- inflnito dei piano in sé stessa, e le quali lasciano invariata la funzione della distanza fra due punti non sono strettamente necessarie. Soltanto che lasciando cadere quelle considerazioni si cade anche evidentemente per la trattazione dei principi nel più capriccioso artificio; inoltre vi è il guaio che se del concetto di uguaglianza non si fa prima uso per le figure, se ne fa uso nel discorso e nelle for- inole, dalle quali dipende lo svolgimento dei loro lavori, mentre i concetti analitici sono ausiliari e non necessari per la geometria propriamente detta nel senso spiegato nella prefazione. Ma ad ogni modo questo metodo non ci da nello spazio generale, per ora almeno, la uguaglianza assoluta delle figure, imperocché piegando una figura dello spazio a n dimensioni senza stiramento o rottura le linee di ugual lunghezza possono non mantenersi più uguali, sebbene la lunghezza rimanga costante. Queste definizioni, come risulta dal n. 120 deir introduzione hanno in vista i rapporti di misura delle figure stesse ; senza contare poi che si fa uso di tanti concetti non necessari per definire r uguaglianza di due figure considerate in sé facendola anche dipendere dair assoluto di C a y 1 e y. Del resto in H e 1- m o l,t z stesso troviamo appoggio alle nostre considerazioni. Egli dice (Ueber den Ursprung und Sinn der geora. Sàtze; Antwort gegen Herrn Prof. Land, Wiss. Abh. voi. ir pag. 648, e nel succitato discorso pag. 66) : Chiamo di uguale valore fisico (physisch gleichwerthig) quelle grandezze spaziali nelle quali in uguali condizioni e in uguali intervalli di tempo possono sussistere e svolgersi gli stessè processi (Vorgànge) fisici, il metodo che con adatte e precise regole di misura è il più adoperato per la de- * terminazione di grandezze spaziali di uguale valore fisico è il trasporto di corpi rigidi, come il com- passo e le scale, da un luogo all'altro. Da ciò è chiaro che la definizione dell'uguaglianza fisica di due grandezze spaziali non deriva dal principio del movimento del corpi rigidi, ma che questo è un inesco per la determinazione pratica e quindi approssimativa di grandezze uguali.

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tazìone o la grandezza dì essa. Questa definizione corrisponde però meglio delle altre conosciute all'idea di angolo; la grandezza della rotazione sostituisce la grandezza intensiva del settore angolare secondo la nostra definizione. 4) Altri dicono che l'angolo è la figura formata da due rette o raggi aventi un punto comune (Hoùel, C a ss a ni, de Tilly, ecc.). Secondo que- sta definizione tutti gli angoli sarebbero uguali, perché formati da due rette incontrantisi in un punto, che sono uguali. Evidentemente i raggi non bastano senza dire quale figura essi determinano, o quali altri elementi entrano a for- marla. Secondo le nostre definizioni due raggi che si incontrano determinano prima la coppia rettilinea (pag. 237), il settore angolare e l'angolo nel fascio, (pag. 291), e gli enti analoghi nel piano (pag. 299). 5) Finalmente si definisce l'angolo come la parte di piano racchiusa fra due raggi uscenti da un punto (Bertrand di Ginevra, Creile, Baltzer, De Paolis, Lindemann (1. e. pag. 344)) mentre l'angolo nel senso comunemente inteso è una grandezza ad una dimensione, e non a due come è una parte di piano ì). Osservazioni su alcune dimostrazioni contro l'infinito e I9 infinitesimo attuale. Gauss scrivendo a Schumacher 2) protesta contro l'uso della quantità infinita determinata, e sostiene che ciò non è giammai permesso nelle mate- matiche. L'infinito secondo Gauss non è che una maniera di parlare, perché si tratta di limiti, a cui certi rapporti possono avvicinarsi quanto si vuole, mentre altri sono suscettibili di crescere indefinitamente. È giustissima l'osservazione che fa Gauss contro la dimostrazione di Schumacher, il quale mediante la grandezza infinita determinata vuoi dimo- strar^ che la somma degli angoli di un triangolo è due angoli retti senza bi- sogno del postulato delle parallele, perché Schumacher non usa bene la gran- dezza infinita. È pure giusto quanto dice Gauss finché si rimane nel solo campo finito, cioè che l'infinito e l'infinitesimo sono puramente potenziali; anzi in tal caso noi abbiamo usato nel testo le parole indefinitamente grande e indefinitamente piccolo 3). Ma dobbiamo pur dire che ciò nulla dimostra con- tro l'infinito attuale nonostante il grande rispetto che abbiamo verso P auto- rità del sommo matematico tedesco. Boi zano 4) il quale a malgrado molti difettosi ragionamenti del suo opuscolo ha il pregio come osserva G. Cantor stesso di aver riconosciuta la possibilità dell'infinito attuale, si arresta dinanzi al segmento rettilineo infi- nito limitato da ambe le parti, e lo combatte. Veggasi anche la dimostrazione contro questo infinito del prof. Gute- 1) Vedi la nota della pivf. pag. XXXt. 2) 12 Luglio 1831; corrispondenza tradotta in francese da Hotiel : Meni, de la Societé des scien- ces de Bordeax, t. IV. 3) Vedi nota pag. 127. 4) l'aradoxien des Unendlkhen T,eipzig, 1847.

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èàò berlet in una lettera diretta a 6. Cantor *), la quale si riduce a questo. Se si ha un segmento rettilineo infinito limitato (AB), se ne tagli in A un pezzo finito (AX)', se si fa poi scorrere il segmento (X ) da X verso A finché X viene in A, il punto B esce dall'infinito (!), e il segmento (XB) diventa finito, dunque (AX) -f- (X ) è finito. Siccome nel nostro segmento infinito (AB) esiste un punto X1 all'infinito tale che (XrB) = (AX) e valendo la legge commu- tativa, si ha (AX') = (XB). Metto poi in guardia qualche lettore frettoloso di non confondere i miei infiniti con quelli del trattato Élements de la geometrie de l'infini (Paris 1727) di Fontenelle, già segretario dell'Accademia di Francia, soltanto perché si usano, ivi come in altro senso si fa anche oggi, le denominazioni di infiniti e infinitesimi di diversi ordini, e si adotta spesso come da noi il segno oo. È inutile che qui riportiamo le diverse ed evidenti contraddizioni di que- sto autore; ci riferiamo alle vadide ragioni colle quali alcuni matematici hanno distrutto il sistema di Fontenelle 2). Sarebbe spesso interessante in questa, come in altre simili questioni, il fare una critica alla critica, perché se certi autori hanno avuto delle idee precon- cette, i loro critici non ne sono andati esenti. Non possiamo ad es. seguire Achard e Gerdil nella dimostrazione che essi cercano di dare contro il nu- mero infinito attuale, ma è d'uopo pur riconoscere che sia in Fontenelle (1. e. pag. 30), e più specialmente in Gerdil, è contenuta appunto l'idea del numero w infinito di Cantor. Gerdil dice infatti a pag. 268, t. IV, 1. e. La serie naturale dei numeri è infinita in potenza, in quanto che si conce- pisce che non vi è alcun numero assegnabile in questa serie, al quale non si pos- te sano aggiungerne altri sempre con un'addizione interminabile di unità ad unità. ((Questa possibilità di aggiungere continuamente un termine ad un altro senza al- cuna fine, è ciò che costituisce l'infinito in potenza. Ora l'infinito in potenza non diventa infinito in atto, che quando ciò che si concepisce come in formazione nel- ((l'infinito in potenza, è concepito come già fatto e compiuto. L'infinità attuale è per così dire l'esecuzione o il compimento della possibilità che costituisce T infinito in potenza. Dunque la serie naturale infinita in potenza, non può divenire attual- mente infinita che concependo che questa possibilità di addizione di numero a nu- mero sia interamente compiuta . Questa è l'idea di G. Cantor quando dice: sarebbe contradditorio di parlare di un numero massimo della serie (I) dei numeri naturali; tuttavia si può immaginare un nuovo numero, che chiameremo co, e che servirà a espri- mere che tutto r insieme (I) è dato secondo la legge nella sita successione na- turale 3), o come un ente già formato (vedi la nostra nota p. 103). Gerdil continua così: 1) Zeitschrift fiir Phil. von Pichte, Voi. 91 fase. I, pag. 99 opp. Zur Lehre von Transflniten-Halle 1890. 2) Maclaurin Treatise of Fluxions, 1742; trad. francese di Pezenas, 1749: intr. pag. XU- XLV; card. Gerdil Opere edite e inedite: Roma, 1806, t. IV, pag. 261 e t. V, pag. 1. La memoria stam- pata nel tomo V intitolata De Y infini absolu considerò dans le grandeur è stata prima pubblicata nelle Miscellanea Tiiurinensia dogli anni 17CO 17G1; Achard Uóflcxions sur Tinfini mathématifine Acad. roy. de Uerlin, 1745. 3) Ad es. Acta math. Voi. 2, pag 385.

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621 E siccome non vi è alcun numero possibile che non entri nella serie naturale (e questo è l'errore), perché non vi è alcun numero che non possa essergli aggiunto, affinchè questa serie diventi infinita in atto, bisogna anche che non vi sia alcun numero possibile che non si concepisca attualmente aggiunto. Dunque questa serie non può essere infinita in atto, che non comprenda tutti i numeri possibili o tutta la possibilità dei numeri . Se Gerdil non fosse stato preoccupato dal dare poi una dimostrazione contro l'eternità dell'universo, avrebbe scoperto facilmente il numero w di Cantor, come vi sarebbe riuscito anche chi avesse esaminato questa discus- sione con spinto critico alto e imparziale. L'abate Mo i gno nel suo opuscolo: Impossibilitò du nombre actuelle- ment inrìni* La scienze dans ses rapport avee la foi (Paris, 1884) nulla dice matematicamente di nuovo contro il numero attuale infinito. D'un altro genere sono gli infinitesimi di J. Bernoulli 1), di de l'Ho- spital 2) e di Poisson 3). Bernoulli scrive a Leibniz: Dico . . . infinita et infinite parva non posse demonstrari existere, sed etiam non posse demonstrari non existere: probabile tamen esse existere. Si ornnes ter- minis hujus progressionis -5-' j-' -rr-1 -y^- etc. actu existunt, ergo existit infi- nitesimus (1. e. pag, 402). E più tardi considerando la serie suddetta: Si decem sunt termini existit utique decimus, si centum sunt termini existit utique cehtesimus, . . . ., ergo si numero infinito sunt termini existit infinitesimus . Evidentemente Bernoulli non definisce l'infinitesimo, ma crede alla sua esistenza; né lo dimostra colla serie suddetta; difatti non risulta che da una serie infinita di termini finiti sia determinato l'infinitesimo; e sarebbe poi una contraddizione in termini se esso si supponesse esistente nella serie stessa. Così anche l'idealista di Du Bois Reymond crede ali'infinitesimo ma noi* lo definisce. Egli dice (1. e. pag. 71, 72). La proprietà che il numero dei punti di divisione dell'unità di misura è infi- nito, genera con logica necessità la credenza ali'infinitamente piccolo ; e per infì- nito egli intende ogni gruppo di elementi illimitato nella rappresentazione che con- siderato indipendentemente dall'esistenza di esseri pensanti oltrepassa ciò che è misurabile mediante misure fisse Cpag. 70) . I punti di divisione dell'unità ottenuti colla divisione in un numero intero finito n di parti uguali sono in numero infinito, e la loro classe è della prima potenza come ha dimostrato G. Cantor, eppure ogni segmento che unisce due di questi punti dati è sempre finito. Ma anche ogni dimostrazione contro la credenza di Bernoulli manca di base, perché bisogna dare prima non solo una, ma tutte le definizioni com- patibili con questa credenza dell'infinitesimo attuale (rappresentato da un segmento rettilineo limitato); il che non fu fatto. Abbiamo fatto vedere ad es. 1) Leibnitii et Johannis Bernoulli Commercium philos. et matHeraaticum. 1745, t. I, p. 370-340. 2) Analyse des infiniments petis, ? ed. Paris, 171*}. 3) Traité de mécanique 2. ed, 1833,

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622 che il nostro infinitesimo non può essere espresso per mezzo dei numeri tran sfiniti di Cantor. Certo è che senza una definizione di un' idea, che può avere interpretazioni diverse, si cade facilmente in contraddizione. Dobbiamo aggiungere però che nulla vediamo si possa dire contro la pos- sibilità degli infinitesimi di Du Bois Reymond e di Stolz. 11 marchese de l'Hospital non da nella sua Analyse una definizione dell'infinitesimo, ma assume come postulato che due grandezze finite che dif- feriscono d'un infinitesimo sono uguali come fa per definizione l'idealista di Du Bois Reymond, mentre codesta è una proprietà che noi abbiamo dimostrato pei nostri infinitesimi. E a proposito di questa proposizione dirò che sia i credenti nell'infinitesimo, come anche i loro critici, non hanno ben distinta l'uguaglianza relativa da quella assoluta; concetto che si svolge fin dalle prime pagine del nostro testo. Poisson finalmente da questa definizione (1. e. pag. 16): Un infinitamente piccolo è una grandezza minore di ogni grandezza data della stessa natura . Questa proposizione contiene evidentemente una contraddizione in termini. P. Mansion nel suo Esquisse de rhistoire du càlcul infinitesimàl com- batte l'infinitesimo attuale, che chiama pseudo-infiniment petit, ma egli si ap- poggia alla definizione di Poisson. Da quanto abbiamo detto sopra non è giu- sto attribuire a Bernoulli la stessa definizione di Poisson, come fa Man- sion, almeno sino a prova contraria (1. e. pag. 30). Abbiamo già parlato nell'introduzione della incompleta dimostrazione contro l'infinitesimo attuale rappresentato da un segmento rettilineo continuo limitato (begrenzt e non endlich) del sig. G. Cantor. Il sig. dott. V*i vanti ha pubblicato nella Rivista di matematica del mese di giugno, quando stava per essere stampata questa appendice, un articolo sull'infinitesimo attuale. Io pure ero stato invitato fin dal gennaio scorso dal direttore di quella Rivista di scrivere sul medesimo argomento in se- guito ad alcune comunicazioni che io gli aveva fatte intorno alla suddetta dimo- strazione di Cantor. Le mie occupazioni per la stampa di questo libro mi impedirono di aderire al gentile desiderio espressomi; d'altra parte la que- stione era in esso ampiamente trattata. Al sig. Vi'vanti fin dal decembre scorso, sapendo che si era occupato dei lavori di Cantor, inandai alcune mie osservazioni su quella dimostrazione, chiedendogli se per avventura la cono- scesse per intero. Egli mi rispose che non aveva mai avuto prima occa- sione di occuparsene, come pure risulta dalla comunicazione fatta dal sig. Vi- vanti stesso al Circolo matematico di Palermo nel giugno 1890 in risposta ad alcune osservazioni del prof. Giudice. Parlando della dimostrazione di G. Cantor, senza aver definito prima che cosa sia il segmento rettilineo, il sig. Vi vaii ti dice che tutti i segmenti rettilinei si dividono in due classi, quelli dell'una sono limitati a due punti A e B, quelli dell'altra sono limitati da un solo punto, I primi li chiama finiti^ e infiniti i secondi (1. e. pag. 137),

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623 Dopo la suddetta definizione con un richiamo egli si riferisce alle definizioni di gruppi di elementi finiti e infiniti di Cantor e Dedekind, che veramente non dice come debbano essere qui applicate per la definizione di segmento fi- nito, dappoiché il segmento rettilineo continuo ordinario è un gruppo di infi- niti elementi che come ha dimostrato Can tor è di una potenza superiore alla prima, eccettochè il sig. Vi vanti non avendo ben definito il segmento non intenda altra cosa. In ogni modo è chiaro dalla definizione stessa che un segmento qualun- que della retta è o finito o infinito; una terza ipotesi è esclusa dalla defini- zione stessa. Egli si fa poi la domanda. Esiste un segmento tale che ripetuto un numero finito qualunque grande di volte, non esaurisca mai un segmento finito assegnato? Questo segmento, secondo la definizione che egli da precedentemente (pag. 137) è infinitesimo attirale, vale a dire ripetuto un numero finito qual- siasi di volte non forma giammai una quantità finita qualunque, e quindi perché qui si tratta di segmenti, un segmento finito qualunque. Ora secondo la definizione sopra riportata è invece o finito o infinito. Qm per lo meno c'è una grave ed evidente confusione di denominazioni, perché nel senso anche ordinario infinitesimo non è finito né infinito rispetto ad un segmento finito assegnato, se non quando l'infinitesimo è preso nel senso di indefinitamente piccolo, il che è escluso in questo caso. Io chiamo i segmenti limitati della forma fondamentale finiti assoluti (intr. pag. 112-113), ma questi possono esse tali che l'uno sia infinito rispetto all'altro, mentre colla sola parola finiti, come nel senso comunemente inteso, intendo che lo siano l'uno rispetto all'altro, ossia soddisfino all'assioma V d'Archimed e. La conclusione poi a cui il sig. Vi vanti arriva, e cioè che l'infinite- simo^ attuale, come grandezza estensiva, cioè rappresentabile mediante un seg- mento non esiste non è vera in generale ; egli vi arriva colla definizione del continuo ordinario, come del resto ha fatto anche lo Stolz *), vale a dire se non in quanto i segmenti limitati rettilinei soddisfano all'assioma suddetto. Se il sig. Viva nti voleva dimostrare la sua conclusione in generale, siccome i principi I-V della mia nota: II continuo rettilineo e Vassioma V d'Archi- mede valgono per la retta, doveva dimostrare che il simbolo di moltepli- cità iì del mio principio V è un numero finito ; così avrebbe potuto anche per- suadersi dell'utilità per lo stesso continuo rettilineo della separazione di que- sto principio, e quindi anche pel continuo ordinario dell'ass. d'Archime- de dagli altri. Ma ciò non ha fatto, e non poteva fare, come dimostrano gli stessi numeri di 2 grado del prof. Bettazzi (1. e.) Quanto al giudizio che esprime il dott. Vi vanti che non vi è cioè alcuna ragione per preferire in senso convenzionale la mia definizione del continuo ordinario data nella nota suddetta a quella di Stolz (accettata con qualche 1) M3.th. Anu. voi. 31, pag 603.

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624 miglioramento da Bettazzi) abbiamo già detto abbastanza nella prefazione sulle ragioni che la fanno invece preferire a questa. E quanto al giudizio dello stesso che non sia da preferirsi1 perché l'assioma d'Archi mede non è evidente, non ho che ad appellarmi a tutti i trattati di geometria elementare nei quali esplicitamente o implicitamente prima della definizione del continuo si fa uso dell'assioma suddetto l). Il sig. Pasch stesso che come dicemmo segue il puro empirismo nello stabilire i principi della geometria da pure questo assioma. Trattandosi di evi- denza geometrica mi pare che la storia sia il giudice migliore. Il dott. Vivanti adduce a sostegno della mancanza di evidenza dell'as- sioma d'Archi m ed e il fatto che l'esistenza dell'infinitesimo attuale è tut- tora ammessa da matematici e da filosofi. Ma caro ed egregio dottore, ciò non prova nulla, imperocché il detto assioma si riferisce ai segmenti che noi osserviamo esternamente, mentre se esistesse anche effettivamente nel mondo esterno il segmento infinitesimo (ciò che noi non abbiamo bisogno di supporre) non lo vedremmo mai insieme coi segmenti finiti. Quanto alla dimostrazione dell'assioma d'Archi mede abbiamo detto ab- bastanza specialmente nella nota a pag. 198 rispetto ad alcune definizioni del continuo. Qui aggiungiamo che la dimostrazione stessa data da Stolz e da Bettazzi si può rendere inutile,, seguendo la stessa definizione della continuità, in modo cioè da far vedere che o la definizione stessa contiene in una forma diversa il detto assioma, o in modo che esso sia immediata conseguenza di quella definizione. Difatti: se una classe di grandezze contiene il gruppo Pl di. grandezze nB e il gruppo P2 di grandezze A mB, comunque grandi siano m e n (es- sendo m e n interi finiti) e se (A mB) nB rimane più grande della gran- dezza B in tal caso Bettazzi (pag. 30) dice direttamente che nella classe vi è un salto (secondo Stolz eine Lùcke ). Secondo Bettazzi (pag. 40) una classe è connessa se non possiede mai gruppi (P^) che non conducono né a successioni né a salti , cioè è escluso il gruppo anzidetto di grandezze, ossia è escluso che A pB (p=:m-\-n) sia maggiore di B, vale a dire (sempre adoperando una forma diversa per espri- mere la stessa proposizione) è esclusa la proprietà contraria dell'assioma d'Ar- chi me de, ossia è ammesso questo assioma stesso. E una classe è secondo Bettazzi continua quando è connessa e chiusa, vale a dire quando soddisfa all'assioma d'Archimede ed è chiusa. Ora, la dimostrazione di questo assioma data da Stolz, dopo aver dimostrate altre proprietà del continuo stesso, come quella di Bettazzi, si appoggia sulla mancanza di salti. Non è cosi ad es. quando dopo daU la definizione delle parallele come fa Eu e li de si ricava poi da tale proprietà insieme colle precedenti che la som- ma degli angoli del triangolo è uguale a due retti. In questo senso devono essere interpretate le brevi parole da me dette in principio di quella nota, e che non ho spiegate ulteriormente attendendo la pubblicazione delle osservazioni comunicatemi gentilmente dal prof. Stolz; I) Veggasi ad es. De Paolis : Elementi di Geometria.,

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625 stesso nel giugno 1890, e nelle quali era contenuta la correzione al suo principio IV. Rilevo ancora, per non essere frainteso, che in quella nota ho detto di non seguire lo stesso metodo usato in questo libro, perché è un estratto di uno scritto inviato al prof. Stolz, nel quale, sia per essere meglio inteso, sia per brevità mi sono attenuto al metodo stesso delle sue Vorlesungen. D'altronde tale questione assume soltanto un1 importanza quando si danno i principi del continuo indipendentemente dall'assioma d'Archi me de, ciò che ho appunto fatto nella suddetta nota e in questo libro, e che quindi si può trattare una geometria assoluta nella quale vi sono segmenti rettilinei limi- tati che non soddisfano a quell'assioma. 40

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Index

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627 INDICE DEI NOMI ') Achard 620; Archimede XII, XXVII, XXIX, XXX, 83, 105, 216, 316, 564, 568, 569, 586, 623, 624, 625. Bali 583, 584; Baltzer 318, 334, 619; Battagliai 571, 572, 584; Baumann XIII, XV; Bellavitis 579, 604, 614; Beltrami I, 458, 569, 570, 577, 578, 579, 582, 584, 592, 597, 598, 610,611,617; Bernoulli G. 621,622; Bertrand, L. 570, 619; Bertrand G. 579; Bessel Vili, XIX, 571; Bettazzi XXVI, 623, 624; Betti 55, 334, 610, 614; Bolzano 619; Bolyai G. 570, 572, 578, 581, 617; Bolyai, V. 571, 572, 574, 592, 596, 617; Boole 605; Brill 578; Brioschi 55, 334; Buch- heim 584.. Cantor, G. X, 30, 34, 48, 87, 102, 103, 105, 106, 108, 575, 591, 594, 610, 619, 620, 621, 622, 623; Cantor, M. 568; Carton 579; Castelnuovo 524; Cassani 524, 595, 596, 597, 619; Cauchy 610; Cayley XV, 578, 579, 580, 581,582, 583, 584, 586, 610, 611, 617; Chasles XXIV;Clavio 268; Clebsch 583; Clifford 34, 450, 584, 587, 592 ; Comberousse 596 ; Creile 565,595,596, 619 ; Cremona XXIV. Darboux 584, 610, 613, 614; Dedekind 39, 48, 87, 197, 598, 607, 623; Dehana 596; De Paolis XIX, 132, 138, 144, 198, 318, 322, 334, 538, 583, 588, 619; Descartes 562, 563, 605, 614; Dikstein 614; Dini 222, 276; D'Ovidio V, 318, 334, 407, 618; Du Bois Reymond XIV, XXVII, XXVIII, 16, 67, 95, 105, 124, 128, 568, 585, 587, 621, 622; Duhamel 596, 597. Erb.696; Erdmann, B. XIII, XV, 18, 592, 614, 617; Euclide XVII, XVIII, XXIV, XXXVI, 566, 567, 568, 569, 570, 571, 574, 585, 617, 618, 624. Fano XIV; Faifofer 322, 334; Fiedler 583, 613; Flie S. Marie 582, 596,604; de Foncenex 579; Fontenelle 619; Fourier 595, Frischauf 572, 582, 596, 597. Gauss Vili, XIX, XXII, 566, 571, 576, 597,619; Gazzaniga XL; Gemino 568; Ge- noccbi XIX, XXIV, 579, 593, 595, 615; Gerdil, card. 620, 621; Gerhardt568; Gerling 596; Giordano, V. 569; Giudice 622; Grassmann, H. Vili, XIX, XXV, XXVIII, 15, 30, 132, 133, 180, 577, 584, 600, 601, 602, 603, 604, 609; Gute- berlet 105, 619. Halphen 610, 613; Halsted 614; Hamilton XXVII, 604; Hankel 10, 30,568;Hei- berg 568, 517; v. Helmoltz V, XIV, XXVIII, XXXV, XXXVI, 30, 39, 458, 587, 588, 589, 590, 591, 592, 594, 598, 611, 617, 618; Hoffmann 618; Hoùel 568, 571, 573, 574, 577, 590, 597, 617, 619; de l'Hospital 621, 622; Hugens 569; Hume XIII. i) Àtbiamo tralasciato di citare quei nomi coi quali sono intitolati comunemente alcuni giornali scientifici, come pure quelli di Euclide, di Lobatschewsky e di Riemann quando servono a indicare proposizioni, enti o sistemi geometrici che spesso sono ripetuti nel testo.

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628 Kant XIII, XIV, 579, 609; Klein, F. XIII, XXIV, 560, 577, 579, 581, 582, 583, 584, 585, 586, 590, 592, 598, 599, 600, 605, 610, 611, 617, 618; Killing XXII, 132, 582, 595, 599, 604, 615; Kivkmann 558; Kronecker 34, 39, 610. Ivory 579. Jordan 524, 598, 610; Jùrgens 575. Lagrange XXIV; Land 618; Legendre 322, 334, 347, 568, 569, 570, 571, 579, 617, 618; Leibniz XXII, 568, 569, 572, 595, 605, 621; Lie 589, 590, 591, 598, 10, 617; Lindemann 579, 583, 617, 6i8, 619; Lobatschewsky 566, 569, 570, 571, 572, 574, 577, 578, 580; Locke XV; Loria, G. 614; Lotze 614; Lùroth 34, 575, 579, 584. Maclaurin 620; Mansion 569, 622; Masci XIII, XV, 614; Mili, S. XV; Minarci!! 579; Mòbius 604, 609, 617;;Moigno 621; Monge XVII, 595; More, H. 609. Nassaradin 568; Netto 578; Newcomb 582; Newton XXI, XXII, XXXVI. Padova 583, Pascal 558, Pascli XV, 47, 584, 585, 586, 587, 588, 606, 608, 624 ; Peano XXVIII, 28, 30, 34, 39, 85, 103, 606, 607, 608, 613, 622; Pezenas 620; Plùcker 553; Pincherle 124, 197; Poincaré 582, 599; Poisson 621, 622; Pon- celet XXIV; Proclo 568, 569. Quetelet;579. Rausenberger 579; Riemann 570, 574, 575, 577, 578, 580, 581, 582, 584, 588, 591, 611; Rouché 596; Rudel 613. Saccheri 569, 570; Salmon 610; Sayno 583; Schering 571 ; Schlegel 600, 602, 603, 604,609, 614,618; Schròder 34,605; Schumacher 571, 619 ; Schur 584; Schùtte 614; Schmidt 572; Segre XXIV, 613; Staudt XXIV, 583, 613; Stemer XXIV; Stolz XXVII, 10, 15, 83, 105, 132, 622, 623,624; Stringham 613; Stai-m, R. 614. de Tilly 578, 579, 582, 590, 592, 593, 594, 595, 596, 617, 619; Tolomeo 568; To- mae 575, 584. Villari XL ; da Vinci, L. 605; Vivanti 622, 623, 624. v. Walterhausen 571; Weber, H. 574; Weierstrass XXII, 132, 197, 538; Wundt XIV, XV. Zeuthen 584; Zimmermann 609; Zòllner XII, 609.

Errata and corrections

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629 Mie Pag. XXII verso 33 dedursi dedursi per proiezione 47 53 Veggasi Veggansi 55 4-5 e) Sea~6 ...Ciò deriva... def. I e II 58 24 A e da B B e da C 63 28 (XA)=(XA) (XA) = (X'Af) 65 26 punto elemento 82 46 il solo segmento (AB) il solo segmento (AB) e i multipli di (AB) 83 10 identico ad (AB) identico ad (AB) e i suoi multipli 83 31 assioma d'Archimede che assioma d'Archimede e che 85 22 e all'elemento A e l'elemento A 88 22 (AB)2 (AB)+(BC) (AB)2 (AB)+(BC) 88 23 (AB)i-(BO) (AB)+(BC) 0 (BC)+(AB) 91 38 di V del teor. * 95 24 unità unità (A^A) 105 4 ; né può . Né (4X) può 105 57 Vedi 3 nota n. 96 Vedi 3a nota n. 97 e nota 121 113 19 di (II), di (II), di cui la somma rappresenta un numero di (II), 114 4 proviene esiste 128 8 (XX), (X'X) (XX') o (X'X) 133 8 di (AX) di (AX) o al più uguale ad uno stato di (AX) 133 20 (AY)....(AX) (AX\ ... (AY) 144 32 (NN ) (AN2) 153 22 (AX'Mn-lHAXi) UX'iHn IJ-K^Xj) 155 11 4- i- 163 28 (XT)=2(X'X") (X'Fjz=(X'X") 163 29 (X'F) (X'X") 165 3| numericamente succestivamente 211 11 una figura una sua figura 219 50 uguali non determinano uguali possono non determinare 221 16 ad un segmento (AB) ad un segmento qualunque (ABi 231 3 Se i punti della linea sem- Se i punti di un segmento (AB) della linea sem- plice di un segmento (AB) plice 231 31 può essere costante, perché può essere costante, per es. uguale ad a, perché 232 4,10,45 int. d, 97 teor. Ili 258 21 (AC)....A (RO) ... R 259 49 pref. app. 261 2 dare i medesimi dare approssimativamente i medesimi 265 2 opposti opposte 277 6 di segmenti di segmenti uguali 278 7 sia è 285 28 paralleli paralleli e dello stesso veiso 299 12 sistema sistema piano 311 12 (B'X), (RY)=(R'T) (jRX'), (RY)=(RY') 319 33 di un triangolo di un triangolo, o su due dei suoi lati, 321 9 Se una retta che non passa Se una retta per alcuno dei vertici del triangolo 342 24 di due a due 346 38 clj,e la^ distanza che se la distanza

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630 352 verso 31 rimanenti sono rimanenti e di questi tre pnnti sono 376 34 passano passino 377 14 dovrebbe potrebbe 379 16 normale normale 'BXi 380 4 dei tre ai Ire 385 14 sulla rettn suddetta sulle rette suddette 389 42 piano passante piano non parallelo al primo passante 390 1 paralleli paralleli, e non paralleli ad essi. 390 6 Se due piani Se due piani non paralleli 391 4-5 finito e del campo infinito finito 393 11 perpendicolare (teor. I, 73 perpendicolare e inversamente (teor. I, 73; teor. e def I) I, 69; teor. VI e del I) 394 17 coniugate coniugate e inversamente 397 28-29 dei due piani sono due a del piano sono a due a due uguali e le due fi- due uguali e le due figure gure da essi formate col piano da essi formate 410 16 def IV... triangolo def. V ... tetraedro 413 36 Dunque i versi dei due Dunque i due 420 18 dei rimanenti coi rimanenti 437 26 Ogni piano polare Ogni piano 443 36 sono retti sono retti, e inversamente. 444 14 retti retti, e inversamente. 457 1 libro IH libro I 457 6 specie dello specie e dello 457 21 dirò diremo 491 26 triangolo triangolo e di un tetraedro 496 45 triedro di 2a specie suo quadriedro 549 29 n l...n n 2.... i 1 563 3 Plùckeriano nel quale uno Plùekeriano uno 565 11 esposizione recensione 565 28 in questa su questa 569 16 dimostrare ciò alcuni dimostrare alcuni 570 11 XIII III 582 45 non si tra tra che non si tratta